Martedì della V settimana del Tempo Ordinario



Tra tutte le piante che coprono il campo delle Scritture,
distinguo un fiore meraviglioso.
Esso ha cominciato a fiorire sulle labbra del Salvatore.
Ha la sua radice nel cuore di Gesù:
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

S. Macario, Omelia 18




Mc 7,1-13

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani immonde, cioè non lavate - i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavate le mani fino al gomito, attenendosi alla tradizione degli antichi, e tornando dal mercato non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, stoviglie e oggetti di rame - quei farisei e scribi lo interrogarono: “Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani immonde?”. Ed egli rispose loro: “Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini”. E aggiungeva: “Siete veramente abili nell’eludere il comandamento di Dio, per osservare la vostra tradizione. Mosè infatti disse: Onora tuo padre e tua madre, e chi maledice il padre e la madre sia messo a morte. Voi invece dicendo: Se uno dichiara al padre o alla madre: è Korban, cioè offerta sacra, quello che ti sarebbe dovuto da me, non gli permettete più di fare nulla per il padre e la madre, annullando così la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte”.

Il commento

Come rigidi funzionari schiavi della burocrazia, spesso «annulliamo» la Parola in nome della nostra presunta sapienza: «tradizioni di uomini», oggi come ieri, tra gli scribi e i farisei di ogni tempo, tradizioni di famiglia, di lavoro, di gruppo. Principi assoluti, gli unici che crediamo capaci di sostenere l'architettura del mondo. I nostri. E quel mantra ripetuto ed esibito come un lasciapassare: ’per principio’, e quel tono saccente di chi insegna sempre senza bisogno di apprendere nulla, perché nulla è da mettere in discussione. Viviamo sicuri e al calduccio, infilati nelle nostre idee trasformate in legge. Nelle case, nei rapporti matrimoniali, nei condomini, dal fruttivendolo, al bar, a scuola, al lavoro, anche durante una partita di calcio. Ovunque giunge in perfetto orario il nostro giudizio di merito, la soluzione pronta e infallibile, il rullo compressore dei nostri criteri. Come negare una morte dignitosa ad un malato? Come negare il diritto a vedere esaurito, ad ogni costo e con ogni mezzo, il desiderio di un figlio, se è scritto proprio nella Bibbia, lì all'inizio, in quel "Crescete e moltiplicatevi"? Come negare il diritto ad avere diritto di pensare-decidere-fare secondo i propri diritti? È il sofisma antico: se Dio vi ama perchè proibisce? Se sei Figlio di Dio perchè devi obbedire? Se il Creatore ti ha dato la ragione e i desideri, come è possibile soffocarli nell'abbraccio mortale dei limiti imposti dagli altri? Meglio sperimentare su un embrione e ucciderlo che milioni di malati, che diamine! A casa come nelle aule parlamentari, in famiglia come tra le urla delle piazze, assassiniamo soavemente la Parola, cioè la Vita, cioè Cristo. «Eludiamo abilmente il comando», il cammino per la vita, camuffando le nostre tradizioni e spacciandole per parola divina o sostituendole ad essa. Ma «sono solo precetti di uomini», forieri di corruzione e di morte, delle famiglie come degli embrioni. Per i precetti umani, per il bene carnale, si uccide il bene spirituale. Per una menzogna si cancella il vero.

«Invano essi mi rendono culto»: una parola durissima per chi, come i farisei, aveva innalzato una barriera intorno alla Legge per impedire che fosse violata per inavvertenza. 613 comandamenti, infatti, avevano la funzione di attualizzare la legge per la vita concreta. Solo l'obbedienza scrupolosa alla Legge e la dipendenza assoluta dalla sua interpretazione precettistica definiva l'appartenenza al popolo di Dio: «un ignorante non può essere pio», amavano ripetere i Farisei. Il precetto umano circoscriveva così il campo del puro e dell'impuro, che non atteneva alla sfera prettamente morale, ma che era in funzione del culto. I precetti avrebbero dovuto costituire il regolamento cui attenersi scrupolosamente per essere atti al culto. Ma, attraverso le parole di Gesù, i precetti della tradizione si svelano al contrario come un impedimento al culto, e i farisei, insegnandoli, lo rendono vano. Le labbra ripetono vuote parole mentre il cuore scivola via lontano. La superficie diviene un assoluto mentre evapora la sostanza. Al punto di non comprendere più la libertà per la quale il Popolo ha ricevuto la Legge. E' lo stesso stordimento che sperimentiamo quando, issando i nostri criteri quali assoluti a prova di dubbio, cadiamo preda del giogo peggiore, quello del moralismo, che, schiacciandoci, trascina con noi chi ci è accanto. I discepoli di Gesù invece sono entrati nel cuore della Legge, ne hanno assaporato la Verità compiuta in quel Profeta di Nazaret, e per questo sono ormai liberi. Li muove il cuore rinnovato nell'amore, e rendono così a Dio un culto autentico, in spirito e verità. Esso infatti è espressione di una relazione d'amore, non è frutto di sforzi moralistici che sporcano di giudizio ogni presunta opera pia. Non è un culto rattoppato come un vestito vecchio, è vino nuovo in otri nuovi. Così in famiglia, al lavoro, in parrocchia, ovunque. La libertà di chi ha consegnato a Cristo la propria vita senza riserve, vivendo ogni istante come il frammento di una liturgia di lode. Un culto senza lode, infatti, è sempre falso, l’ipocrita esibizione di un certificato di buona condotta con il quale comprarsi il Cielo. Un culto vano, idolatrico, vanaglorioso. La lode invece scaturisce sempre dalla debolezza rivestita di misericordia, da un cuore contrito che ha conosciuto il perdono. Per questo il culto autentico, quello che Dio desidera, è il frutto di labbra che confessano il suo Nome, un cuore grato e stupito dinanzi al suo amore smisurato. I discepoli lo avevano conosciuto e sperimentato, e per questo ai loro occhi tutto era ormai divenuto puro, perché tutto era stato bagnato dalla misericordia. Ogni istante, ogni persona, tutto era santo, perché stretto nell'abbraccio di benevolenza del Signore. Chi ha conosciuto Cristo, chi ne ha sperimentato il perdono, guarda tutto con occhi puri. La Legge non è più un giogo opprimente, ma è invece il gioco dolce di Cristo, la Croce che ha salvato dalla morte la propria vita. Chi ha conosciuto Cristo prende su di sé il suo giogo, e impara da Lui, mite e umile di cuore. Attrae la moglie, il marito, i figli, gli amici, i colleghi, nella sua vita trasformata in una liturgia di lode, e guarda tutti con occhi di speranza e misericordia. Chi ha conosciuto Cristo e gli ha consegnato il cuore, ama, e nell'amore pensa, parla, lavora, prega. Ha rinnegato se stesso, i propri criteri, i precetti modellati dalla propria ragione. E' abbandonato alla Volontà del Padre, segue il Signore sul sentiero della conversione, della felicità e della vita, desiderando che si compia in lui il Comandamento, il primo e il più grande, la sintesi della Legge e dei Profeti: l'amore a Dio e al prossimo, l'amore riversato nel cuore dallo Spirito di Cristo risorto; in esso non vi sono più giudizio, esigenza e moralismo, ma vi albergano misericordia e pazienza, e quella letizia che solo chi ha sperimentato la liberazione autentica dalla schiavitù del peccato può gustare e diffondere. La letizia dei misericordiosi.




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