Silvano Fausti, Filippo Clerici. Si meravigliava della loro non fede

Il Signore si meraviglia di nulla, se non della nostra fede o non fede: è una libera decisione dell’uomo, che può accettare o rifiutare Dio e il suo amore. Dove è accolto, è sorpreso per la gioia e vive; dove è respinto è sorpreso dal dolore e muore – lasciando aperto a tutti il suo cuore.

Perché i suoi, che lo conoscono bene, non lo accettano? Se fosse stato figlio dell’imperatore, l’avrebbero rifiutato?
Noi, che siamo i suoi, accettiamo Gesù com’è: povero, umile e servo di tutti?

Salmo 117 (118)

Alleluia.

Celebrate il Signore, perché è buono; perché eterna è la sua misericordia. Dica Israele che egli è buono: eterna è la sua misericordia.
Lo dica la casa di Aronne: eterna è la sua misericordia. Lo dica chi teme Dio: eterna è la sua misericordia.
Nell’angoscia ho gridato al Signore,
mi ha risposto, il Signore, e mi ha tratto in salvo. Il Signore è con me, non ho timore;
che cosa può farmi l’uomo?
Il Signore è con me, è mio aiuto, sfiderò i miei nemici.
È meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nell’uomo. 
È meglio rifugiarsi nel Signore che confidare nei potenti. 
Tutti i popoli mi hanno circondato, ma nel nome del Signore li ho sconfitti. 
Mi hanno circondato, mi hanno accerchiato, ma nel nome del Signore li ho sconfitti. 
Mi hanno circondato come api, 
come fuoco che divampa tra le spine, ma nel nome del Signore li ho sconfitti.
Mi avevano spinto con forza per farmi cadere, ma il Signore è stato mio aiuto.
Mia forza e mio canto è il Signore, egli è stato la mia salvezza.
Grida di giubilo e di vittoria, nelle tende dei giusti:
la destra del Signore ha fatto meraviglie, la destra del Signore si è innalzata,
la destra del Signore ha fatto meraviglie. Non morirò, resterò in vita
e annunzierò le opere del Signore. Il Signore mi ha provato duramente,
ma non mi ha consegnato alla morte. Apritemi le porte della giustizia:
voglio entrarvi e rendere grazie al Signore. È questa la porta del Signore,
per essa entrano i giusti.
Ti rendo grazie, perché mi hai esaudito, perché sei stato la mia salvezza.
La pietra scartata dai costruttori
è divenuta testata d’angolo; 
ecco l’opera del Signore: una meraviglia ai nostri occhi. 
Questo è il giorno fatto dal Signore: rallegriamoci ed esultiamo in esso. 
Dona, Signore, la tua salvezza, dona, Signore, la vittoria! 
Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Vi benediciamo dalla casa del Signore; 
Dio, il Signore è nostra luce. Ordinate il corteo con rami frondosi fino ai lati dell’altare. 
Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie, sei il mio Dio e ti esalto.
Celebrate il Signore, perché è buono: perché eterna è la sua misericordia.
 
Questo Salmo è una meraviglia davanti all’opera del Signore. Ecco l’opera del Signore: e qual è l’opera sua? Quella di aver fatto della pietra scartata ha fatto la testata d’angolo. Cioè, ciò che noi rifiutiamo, scartiamo, ciò che a noi sembra assolutamente inutile e improduttivo, diventa invece il centro della casa, ciò che tiene su tutto. E l’abbiamo scelto perché oggi vediamo lo scandalo di Gesù.

Gesù è lo scandalo; scandalo è la pietra contro cui si inciampa. Proprio ciò contro cui inciampiamo e sembra farci cadere, in realtà è ciò che ci fa stare in piedi. Il brano che leggiamo questa sera è particolarmente importante. La volta scorsa abbiamo visto nei due miracoli, quello dell’emorroissa e quello della figlia di Giairo, proprio il passaggio alla vita dalla morte e Gesù che, riferendosi alla bambina, dice agli stanti: datele da mangiare.

Il problema è mangiare, cioè vivere. Come si fa a vivere una volta che si è nati? Ora il centro, la sorgente della vita è la fede. È la fede in colui che ha dato la vita per noi. La fede in Gesù e questa sera si chiude un po’ tutta una sezione che riguarda il cammino della

Parola che diventa fede.

La fede in Gesù si scontra con la nostra incredulità. E vediamo perché siamo increduli e perché aver fede e come si passa dall’una all’altra.

Marco 6, 1-6a

1E uscì di lì e giunge nella sua patria, e lo seguono i suoi discepoli. 2E, venuto il sabato, cominciò a insegnare nella sinagoga; e molti, ascoltando, erano scossi dicendo: Donde a costui queste cose? E quale sapienza data a costui? E codesti prodigi operati dalle sue mani? 3Non è questi il falegname, il figlio di Maria e fratello di Giacomo e Giuseppe e Giuda e Simone? E le sue sorelle non sono
qui tra noi? E si scandalizzavano di lui. 4E diceva loro Gesù: Non c’è profeta disprezzato se non nella sua patria e tra i suoi congiunti e nella sua casa. 5E lì non poteva fare nessun prodigio, solo, imposte le mani a pochi infermi, li curò. 6aE si meravigliava della loro non fede.

Per entrare in questo brano, parliamo di una ipotesi. Noi diciamo in genere: se vedessi il Signore, se lo toccassi, gli crederei! Supponete che adesso entri il Signore qui, da questa porta così da vederlo come l’hanno visto i suoi: come reagiremmo noi? Gli diremmo: “Per favore, sta fuori, stiamo parlando di cose importanti!

Stiamo parlando del Vangelo, della fede, di Gesù Cristo!” Cioè, non penseremmo che lui è quello di cui parliamo.

Cosa vuol dire? Che possiamo conoscere Cristo, Dio e tutto; ma ci scandalizza che Dio sia quel povero Cristo uguale a noi, che fa per trent’anni il falegname, che ha le nostre fragilità, le nostre debolezze, che in tutto è simile a noi, che ha condiviso la nostra sorte, tutte le nostre paure, i nostri limiti, fino a quello della morte.

Perché la potenza di Dio è lì. Se la potenza di Dio fosse in Clinton, comprenderemmo forse qualcosa di più! Ma che sia in quell’uomo lì, non ci va. Che Dio sia uno come me, questo è scandaloso! E proprio per questo è Dio. Perché l’uomo cerca sempre di essere diverso dall’altro, per essere sempre di più; Dio invece ha scelto come via di essere in tutto simile a noi. Ha scelto di avere la nostra carne. “Carne” vuol dire proprio la debolezza, la fragilità; perché Dio è amore e l’amore porta a identificarsi con l’altro. E allora proprio Dio si rivela come Dio in quell’uomo lì, in quella fragilità lì, in quella debolezza lì. Ed è per questo che ogni nostra debolezza, fragilità e limite può avere un senso, perché Dio la condivide. Proprio per questo ci salva! Noi pensiamo sempre a un Dio diverso. Se fosse diverso, non ci salverebbe: io resterei come sono, con le mie debolezze, con le mie fragilità e le mie paure e direi: beato lui, lui è Dio! E invece no, lui è come me. E riconoscere in Dio uno come me, questo è il problema. Di fatti il fondamento di tutta  la  teologia  cristiana  più  antica,  formulata  già  dai  Padri,  era “Caro cardo salutis ”, cioè la carne di Gesù è il cardine della salvezza. Il fatto che sia “carne”, cioè in tutto simile a noi. E la prima eresia è non accettare la carne di Gesù e dire: sì, lui era Dio, ha fatto finta di essere un uomo, addirittura si è travestito da falegname, addirittura ha fatto finta di morire in croce, ma non era lui, era un altro. E anche Maometto, dice, giustamente: Non è vero che è stato crocifisso! No, è stato crocifisso, proprio per questo è Dio! Proprio ciò che è scandalo e inciampo è oggetto della fede e della salvezza.

E questo brano ha due meraviglie grosse:

la prima meraviglia è la nostra meraviglia che Dio sia così; 
e la seconda è che anche lui si meraviglia! È interessante: il brano conclude dicendo: e si meravigliava… 

E Dio si meraviglia di due sole cose uguali e contrarie: si meraviglia della fede o della non fede. Cioè di quella donna che ha avuto tanta fede si dice: egli si meravigliò della sua fede, ed era una pagana. E qui si meraviglia della non fede dei suoi.

Cioè la fede è una meraviglia anche per Dio. Ci si meraviglia per qualcosa di nuovo, di inatteso, di piacevole, oppure di orrendo. Dio davanti alla nostra fede si meraviglia, perché è la più bella sorpresa che possa avere: vedere uno che lo accetta. Si meraviglia. Perché è frutto della nostra libertà.

Riusciamo a meravigliare Dio con la nostra fede. E così con la nostra mancanza di fede. Cioè siamo una sorpresa per Dio, per il gioco che facciamo con la nostra libertà. Addirittura da far meraviglia a Dio: sia in un caso che nell’altro si sorprende. Da qui si capisce la grossa dignità dell’uomo e della sua libertà: sorprende addirittura Dio.

Sia nell’esito positivo sia nell’esito negativo. E per lui è tanto importante questa libertà che non la toglie, neanche se è contro di me, neanche se è contro di lui. È troppo grande.

E lui attende evidentemente la meraviglia positiva: che l’uso della nostra libertà sia buono.

Pensavo all’ipotesi che avanzavi all’inizio: hanno fatto più fatica quelli a credere a Gesù che noi. Ho come l’impressione che facessero più fatica loro, perché lo vedevano, perché lo sentivano.

Noi magari sbagliamo, ma abbiamo un’aria religiosa. Quelli, invece, ascoltavano la Parola di Dio come parola di uno che conoscevano, di una persona che era cresciuta con loro; vedevano la figura, il volto di una persona e dovevano pensare che quella era l’icona perfetta di Dio, cioè l’immagine di Dio. Non è tanto il discorso che facessero. più fatica; forse a tutti è chiesto di avere fede. A loro era chiesto di avere fede ed a noi è chiesto di riconoscere non tanto che Gesù è Dio, ma che il Dio che mai nessuno ha visto è in questo uomo, in questa persona, Gesù di Nazaret.

Ed è bello poi che questo Gesù di Nazaret abbia nulla da nascondere, sanno tutto di lui: l’origine, i parenti stretti, il lavoro, la professione, la condizione, tutto. E Gesù dice: sì, è vero, io sono così. Mentre normalmente i guru hanno bisogno di un alone di mistero. Ed è molto pericoloso. Cosa nasconde il mistero? Sempre un imbroglio! Dio ha un solo mistero: si è rivelato nel Figlio che non ha alcun mistero, è in tutto simile a noi.

È tutto quello che vediamo lì. Non è che dica: io ho fatto finta di fare il falegname, ma non sapete dove ho studiato, quali maestri ho avuto! È bello questo ed è importante.

E quando c’è qualcosa da nascondere, è perché c’è da imbrogliare. Dio non ha nulla da nascondere, tant’è vero che Dio ha sempre detto di non farsi alcuna immagine di Dio, perché ogni immagine è sbagliata; e anche nessuna immagine dell’uomo, perché ogni immagine dell’uomo è sbagliata. L’uomo è quello che è. Per noi oggi che viviamo del culto dell’immagine, cosa c’è che non sappiamo? Invece l’uomo è quello che è, nella sua verità, nella sua fragilità, nei suoi limiti, nei suoi doni, in quello che vedi.

Il mangiare, il vivere è connesso all’accettazione della persona concreta di Gesù, non del Dio vago, invisibile, vaporoso, che noi ci inventiamo, che è l’attaccapanni di tutte le nostre buone opinioni, ma nella persona concreta di Gesù. E la fede cristiana è accettazione di Gesù nella sua umanità concreta. Questo poi ha molte implicanze, perché allora vuol dire che accettiamo anche l’umanità concreta nostra, l’umanità concreta della chiesa e dei fratelli e lì vediamo Dio.

Dicevi: c’è nell’AT la proibizione di costruirsi, di farsi immagini che rappresentino Dio. L’immagine perfetta di Dio è quest’uomo, immagine perfetta del Padre. Potremmo pensare anche al desiderio che c’è oggi, alla sete, alla fame di segni, di immagini di parole da parte del Signore. Circa le parole, Lui ha detto una parola sola, ed è il Figlio. E nel Vangelo dice appunto di ascoltare Gesù, espressione totale, esauriente di ciò che è lui. La sua immagine è Gesù. Non parole.

1E uscì di lì e giunge nella sua patria, e lo seguono i suoi discepoli.

Gesù torna nella sua patria a Nazaret. era sul lago e nella sua patria si svolge la sua prima attività, fino al capitolo 3, quando decidono di ucciderlo, perché guarisce in giorno di sabato. E nella sua patria i suoi vengono anche a cercarlo, perché dicono costui è pazzo. Cioè non gli va tanto bene a casa sua. Ora ci torna, dopo un po’ di successi in giro. È seguito dai discepoli che sono la sua nuova famiglia. Che cosa ci va a fare nella sua patria? già avevano deciso di ucciderlo, già dicevano che era pazzo. Vediamo adesso cosa gli succede.

Tra l’altro, nel brano parallelo di Luca si dice che alla fine volevano precipitarlo dalla rupe.

2E, venuto il sabato, cominciò a insegnare nella sinagoga; e molti, ascoltando, erano scossi dicendo: Donde a costui queste cose? E quale sapienza data a costui? E codesti prodigi operati dalle sue mani?

Viene di sabato che è il giorno di festa. A lui va sempre male di sabato. Il primo sabato, decidono di ucciderlo. L’ultimo sabato riposerà nel sepolcro. In questo sabato, non gli credono. È interessante. E lì incomincia a insegnare nella sinagoga, dove era stato da piccolo, dove aveva imparato a leggere e a scrivere – la sinagoga era anche la scuola – dove aveva vissuto con tutti i suoi compagni; la sinagoga era quasi l’oratorio. Cioè dove ha vissuto la sua quotidianità da piccolo, è cresciuto, ha imparato a conoscere la Parola di Dio, a conoscere gli altri, dove ha tutte le sue relazioni, dove conosce tutti ed è conosciuto da tutti e lì si mette a parlare e la gente lo ascolta. Lo ascolta se non altro, perché avendo avuto successo in giro, dice: vediamo cosa fa qui a noi. Non è detto cosa dice. È importante il risultato.

L’insegnamento di Gesù non è circa qualcosa, è la comunicazione di ciò che lui è, cioè è l’insegnamento, la proclamazione dell’Evangelo che è Gesù Cristo.

È interessante comunque capire i sentimenti con i quali Gesù può tornare a casa sua, tra i suoi. Cosa sentiva uno che ha vissuto per trent’anni in un paesino, dove ha tutte le sue radici, i suoi affetti, i suoi ricordi? Lì c’è Maria, c’è stato Giuseppe, ci sono i suoi parenti, tutti gli altri. Lì ha vissuto la sua quotidianità: ha giocato, ha pianto, ha riso, si è divertito, è cresciuto, cioè ha vissuto la quotidianità della vita come tutti noi. È importante questo luogo, perché è il luogo dove lui è stato trent’anni. Il resto è durato forse tre anni, forse un anno e mezzo, non si sa bene, poi l’han fatto fuori. Comunque trent’anni è una vita, è il luogo della sua vita.

Guardare su questo mistero del cosiddetto nascondimento. Silvano sottolineava adesso ciò che sentiva Gesù in questa situazione, in questa circostanza. A me piace anche pensare cosa sentivano questi, nella comunicazione, nella rivelazione di Gesù, cosa sentivano gli altri. Questa discrepanza: loro conoscevano una persona e ora sentono un messaggio, ben diverso, profondo, misterioso. Da ciò si capisce l’abbondante obiezione, in termini quantitativi, si vede che è un pacco di interrogativi, di domande che questi si pongono o pongono a Gesù.

Di questo Gesù che ha vissuto lì la quotidianità e torno sull’aspetto della quotidianità. Perché noi cerchiamo sempre il sensazionale. Lui lì è vissuto da Dio, per trent’anni, facendo che cosa? Quello che fa la persona più povera del paese, perché non è che quello del falegname fosse come è oggi un lavoro pregiato. Tutti avevano la terra in Israele; chi aveva perso la terra doveva adattarsi a fare dei lavoretti per poter vivere, quei lavoretti che normalmente il contadino si fa durante l’inverno; poi, quando c’è qualche urgenza e non ha tempo, chiama un altro. Quindi era proprio un lavoro di rimedio. Siccome però non c’erano i rubinetti, non c’era l’idraulico, allora non era gran che. Era una vita molto quotidiana, molto bassa, ed è importante che sia così. Perché ciò che è divino, non è ciò che pensiamo noi di eccezionale, di sensazionale, di far chissà che cosa, è il vivere la quotidianità. Se non ha senso la vita quotidiana, che senso ha la vita? La vita è fatta di decenni, di anni, di giorni, di minuti, di secondi… quotidiani. Di irrepetibile c’è solo la morte, alla fine. Tutto il resto è ripetibile, quotidiano. Con che spirito lo vivi?

Questo è il mistero più profondo della vita di Gesù. Quando lui poi parlava, non faceva altro che dire quello che aveva capito in quei trent’anni, ovviamente, e quel che aveva vissuto in quei trent’anni. Così che quei trent’anni che costituiscono la sua vita ordinaria avessero il senso da Figlio di Dio. In modo che la nostra vita ordinaria avesse il senso della vita del Figlio di Dio. Ed è questo lo scandalo dell’Incarnazione. Se non fosse così, la mia vita ordinaria non sarebbe salvata. Mentre invece io ho bisogno di salvare la mia vita ordinaria, la mia quotidianità, il mio vivere, il mio mangiare, il mio faticare, il mio penare, il mio gioire, il mio morire, tutto questo che lui ha condiviso. Quindi sono importantissimi quei trent’anni, coi testimoni davanti, tutti quelli di casa sua, con tutti gli altri. Ed era una vita come quella di tutti gli altri. Per questo dicono: è impossibile! Cioè restano colpiti e dicono: che belle cose che dice! È come noi: da dove gli vengono? Appunto, come noi. E la Parola di Dio viene a persone come noi, non ad altri. Se fosse andata a impararla a Gerusalemme, beato lui, l’ha imparata a Gerusalemme!

E invece no: qui come noi: da dove gli vengono?

È come se avesse fatto carriera… Ma da dove viene, cioè è qualcosa di più profondo, non è qualcosa di acquisito, è qualcosa che vien su dalla radice.

E poi continuano: questa sapienza, ma quale sapienza è? Sapienza è l’attributo di Dio. Data a costui. Fosse data questa sapienza a uno che ha studiato, a uno nobile, ricco, potente, capisco. Ma a costui che è come noi. È importante che la sapienza sia data proprio a costui!

E codesti prodigi operati dalle sue mani… fosse stato un altro a far prodigi, capisco! Ma proprio costui che conosciamo bene!

Cioè, lo scandalo è che la sapienza e la potenza di Dio si riveli in costui che è uguale a noi, che conosciamo bene e che è in tutto come noi.

È la trappola in cui incappano quelli di Nazaret nel caso, è la trappola in cui incappiamo noi quando cioè – parlando di quelli di Nazaret – diciamo: loro sanno chi è Gesù, ce l’hanno in mente, circoscritto; qui c’è qualche cosa che non si capisce e allora o l’ammetti e fai il passo di fede, diversamente neghi. Sappiamo chi è Gesù per noi e abbiamo la nostra idea. E non gli consentiamo di essere qualcosa di diverso, di misterioso, di più profondo, di più vero, qualcosa che contraddice anche noi, qualcosa che mette in scacco anche la nostra intelligenza, la nostra memoria, la nostra esperienza.

Cioè si interrogano se ci sia qualche trucco, qualche segreto, perché per loro qualcosa ci deve essere; invece non c’è alcun trucco, è proprio come noi. 

3Non è questi il falegname, il figlio di Maria e fratello di Giacomo e Giuseppe e Giuda e Simone? E le sue sorelle non sono qui tra noi? E si scandalizzavano di lui. 

Non è questo il falegname… è definita la sua identità; chi è? È il falegname, è la sua identità, è il suo lavoro. È bella l’identità di Dio. Anche lui ha assunto la sua identità da quello che faceva. Che è sorprendente, perché non ha fatto finta di fare il falegname, è un mestiere che ha imparato un po’ a fatica, gli consentiva di vivere e addirittura gli ha dato l’identità: il falegname; un’identità molto magra, ma era la sua vita.

Cos’è la professione di un uomo? Il figlio di Maria… non si dice di Giuseppe, perché appunto – lo sappiamo dal Vangelo – è nato per opera dello Spirito Santo e allora non si dice di Giuseppe. Probabilmente Giuseppe era già anche morto, perché di lui si dice che era “il falegname”, non “il figlio del falegname”. Cioè, faceva lo stesso lavoro, il padre era morto da tempo. E poi ci sono tutti i suoi fratelli, le sue sorelle… Con la parola “fratelli e sorelle”, nella chiesa antica vengono intesi i cugini, sono chiamati fratelli tutti quelli del proprio sangue. Conosciamo anche tutta la sua parentela. Quindi è una persona che conosciamo bene, conosciamo la professione, conosciamo la madre, conosciamo tutta la parentela… Non abbiamo ancora conosciuto il padre, che è il padre di tutti noi. È questo il mistero che si rivela nella sua carne, il mistero del Padre.

E si scandalizzavano di lui… Perché evidentemente si domandano: queste cose, questa sapienza, sono cose divine, da dove gli vengono? Allora dovrebbero rispondere: gli verranno dal Padre. Sarebbe la conclusione ovvia. Il che certamente l’avrebbero detto, a una condizione: se Gesù non fosse stato il falegname. Cioè, se Gesù fosse stato il figlio dell’imperatore, avrebbero detto: chiaro, questo è il Figlio di Dio. Se Gesù si fosse presentato con potere, con sapienza mondani, con tutte le credenziali, allora avrebbero detto: sì, sì, costui è un Dio. E invece no, il fatto che Dio si presenti proprio nella carne, umile, di un uomo qualunque… È questo lo scandalo. Ed è questa invece la salvezza, cioè che Dio è davvero così. E noi vorremmo un Dio diverso. Se fosse stato diverso, l’avrebbero accettato. Se lui avesse detto: non ve l’ho mai detto, ma voi non sapete chi sono io… invece no, sono quello che vedete, proprio così sono Figlio di Dio. Non ha fatto finta di essere così. È il mistero della nostra vita che davvero diventa vita divina.

Circa lo scandalizzarsi: mi viene da pensare che la fede è scandalosa, è incespicosa. Cioè uno ci sbatte contro e facilmente cade. Poi un’altra nota, circa questo fatto della professione, del mestiere, se pur di mestiere si può parlare… di Gesù si dice il mestiere che faceva, quella specie di lavoro, si caratterizza così. E lo si caratterizza anche – questo è anche bello – come figlio di Maria, fratello di… ecc. Cioè il suo collegamento con l’umanità. Si sottolinea l’umanità, tramite Maria, la Madre e poi i cugini. È collegato con noi. Noi immaginiamo sempre, ostinatamente un Dio astratto, al di là della cometa, e invece è proprio collegato con noi, ha dei vincoli umani, si può dire che siamo parenti, lui ha lo stesso sangue nostro, è la nostra stessa umanità, nel senso proprio di carne, di debolezza umana.

Cioè noi immaginiamo sempre un Dio che sia diverso da noi, che non abbia i nostri limiti e che li tolga anche a noi. E invece il nostro Dio è uno che ha i nostri stessi limiti e non solo non li toglie a noi, li ha presi anche lui, perché questi limiti sono importanti, fanno parte della nostra vita.

Noi diciamo di solito che lui sapeva già tutto, faceva finta di niente, ma sapeva già che era Figlio di Dio, che sarebbe finito in Croce.. No, non lo sapeva. L’ha imparato un po’ alla volta. Quando hanno deciso di metterlo in croce, un po’ prima ha detto: mi metteranno in Croce. È cresciuto come uomo.

È bello capire l’umanità di Gesù, perché vuol dire capire la propria umanità. E accettare l’umanità di Gesù è accettare la propria umanità come luogo di rivelazione di Dio. Se io nego l’umanità di Gesù, nego la mia umanità e la salvezza della mia umanità.

Per cui proprio ciò che ci scandalizza è la nostra salvezza.

Si dice giustamente che Gesù rivela Dio, ma rivela anche noi, rivela l’uomo, l’umanità.

Un altro esempio: noi in genere diciamo: sì, Cristo sì, però la chiesa no. Bene. La Chiesa cioè dovrebbe essere perfetta! Se la chiesa fosse perfetta, chi farebbe parte della Chiesa? Qualcuno di voi è perfetto? Vuol dire non accettare il limite che c’è nella storia, vuol dire non accettare la storia, non accettare se stessi, vuol dire non fare di se stessi davvero il luogo del cammino e della salvezza. Vogliamo sempre qualcosa di diverso, perché abbiamo paura di noi stessi, dei nostri limiti. Invece sono proprio questi limiti, addirittura il male, anche il male stesso che possiamo e dobbiamo vivere come luogo di incontro con Dio.

4E diceva loro Gesù: Non c’è profeta disprezzato se non nella sua patria e tra i suoi congiunti e nella sua casa

Forse comprendiamo anche il perché. Perché il profeta porta la sapienza e la potenza di Dio, però la porta nella sua umanità e chi conosce questa umanità si scandalizza e dice: no, non dev’essere così, è come me. E invece è importante che sia come me. Se c’è qualche margine di mistero lo accetto. Senza nessun mistero, accettare che in ciò che conosco, accettare anche nella mia vita che conosco, che lì è presente il Signore con la sua salvezza, è questo il problema!

Ed è interessante adesso la conclusione, perché ci fa capire qualcosa sulla fede, su quello che fa la fede.

5E lì non poteva fare nessun prodigio, solo, imposte le mani a pochi infermi, li curò. 6aE si meravigliava della loro non fede.

Si capisce allora da dove vengono i prodigi di Gesù: vengono dalla nostra fede. Cioè, se non c’è fede, non può far prodigi, Perché i suoi prodigi non sono una cosa magica, ma è esattamente lui è dono, è l’amore stesso di Dio, uno se lo accoglie ce l’ha, se non lo accoglie, non ce l’ha. E la fede è questo accogliere questo dono nella sua umanità. Accogliere che nella sua umanità, totalmente simile alla nostra, che Dio ci doni se stesso. Questo è il prodigio, questa è la fede.

Parlando di prodigio, mi vien da dire che noi non possiamo fare i prodigi, non abbiamo questa capacità; però abbiamo capacità opposte: possiamo impedire che avvengano i prodigi, in senso evangelico, che lui compirebbe e compie. Noi abbiamo questa capacità.

E questo brano allora ci vuole dire in positivo che cos’è la fede, cioè la non fede è quella che ci impedisce di sperimentare la potenza di Dio; la fede è quella che ci fa accettare la potenza di Dio in questa persona, in quest’uomo, nei suoi limiti, nella sua umanità e anche nei miei limiti, nella mia umanità accetto la potenza di Dio e l’incontro con lui.

E allora davvero è salvata la mia storia, sono salvato io dalla sua storia, dalla sua persona.

E questa “non fede” meraviglia il Signore. È qualcosa che lo stupisce e dice: no, non ci dovrebbe essere.

E quando c’è si meraviglia e dice: ma possibile che ci sia? Cioè

è qualcosa di assolutamente nuovo la nostra fede, è la nostra libertà di accettare o meno l’umanità di Gesù. E nell’accettazione dell’umanità di Gesù c’è l’accettazione della nostra salvezza, c’è l’accettazione di Dio e c’è l’accettazione di noi stessi come suoi figli.

Come vedete è un brano molto importante che ci fa capire il valore della fede come accettazione dell’umanità di Gesù e della nostra umanità. Ed è lì che troviamo la sapienza, la potenza di Dio. Ed è bello vedere che i suoi – conclude Luca – decidono di ucciderlo, perché non lo accettano. Però non importa, non importa nel senso che lui lo stesso c’è. Ed è bello che anche se non accettato, non si rifiuti, perché? Perché proprio così vuol dire che davvero c’è.

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