Benedetto XVI. Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori


La quinta domanda del Padre nostro presuppone un mondo nel quale esistono debiti - debiti di uomini verso uomini, debiti di fronte a Dio; ogni colpa tra uomini comporta in qualche modo un ferimento della verità e dell' amore e si oppone così a quel Dio che è la Verità e l'Amore. Il superamento della colpa è una questione centrale di ogni esistenza umana; la storia delle religioni gira intorno a tale questione. Colpa chiama ritorsione; si forma così una catena di indebitamenti, in cui il male della colpa cresce di continuo e diventa sempre più difficile sfuggirvi.


Il Signore, con questa domanda, ci dice: la colpa può essere superata solo attraverso il perdono, non attraverso la ritorsione. Dio è un Dio che perdona, perché ama le sue creature; ma il perdono può penetrare, può diventare efficace solo in colui che, da parte sua, perdona.

Il tema «perdono» pervade tutto il Vangelo. Lo incontriamo subito all'inizio del Discorso della montagna nella nuova interpretazione del quinto comandamento, in cui il Signore ci dice: «Se dunque presenti la tua offerta sull' altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all' altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono» (Mt 5,23s).

Non si può presentare al cospetto di Dio chi non si è riconciliato con il fratello; prevenirlo nel gesto della riconciliazione, andargli incontro - questo è il presupposto per un giusto culto a Dio. Al riguardo è spontaneo pensare che Dio stesso, sapendo che noi uomini come ribelli eravamo in contrasto con Lui, dalla sua divinità si è mosso incontro a noi, per riconciliarci. Ci ricorderemo che, prima del dono dell'Eucaristia, Egli si è inginocchiato davanti ai suoi discepoli e ha lavato i loro piedi sporchi, li ha purificati con il suo umile amore. A metà del Vangelo di Matteo (cfr. 18,23-35) c'è la parabola del servo spietato: a lui che era un alto dignitario del re è stato condonato il debito inimmaginabile di diecimila talenti; ma lui poi non è disposto a condonare la somma, al confronto addirittura ridicola, di cento denari: qualunque cosa abbiamo da perdonar ci a vicenda, è sempre piccola cosa rispetto alla bontà di Dio che perdona a noi. E infine sentiamo dalla croce la preghiera di Gesù: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).

Se vogliamo comprendere fino in fondo e fare nostra la domanda del Padre nostro, dobbiamo andare ancora un passo avanti e chiedere: che cos'è veramente il perdono? Che cosa avviene lì? La colpa è una realtà, una forza oggettiva; essa ha causato una distruzione che deve essere superata.

Perciò perdonare deve essere più di un ignorare, di un semplice voler dimenticare. La colpa deve essere smaltita, sanata e così superata. Il perdono ha il suo prezzo - innanzitutto per colui che perdona: egli deve superare in sé il male subìto, deve come bruciarlo dentro di sé e con ciò rinnovare se stesso, così da coinvolgere poi in questo processo di trasformazione, di purificazioni interiori anche l’altro, il colpevole, e ambedue, soffrendo fino in fondo il male e superandolo, diventare nuovi. A questo punto ci imbattiamo nel mistero della croce di Cristo. Ma innanzitutto ci imbattiamo nei limiti della nostra forza di guarire, di superare il male. Ci imbattiamo nello strapotere del male che, con le sole nostre forze, non riusciamo a dominare. Reinhold Schneider commenta: «Il male vive in mille forme; occupa i vertici del potere [...] sgorga dall'abisso. L'amore ha un'unica forma; è il tuo Figlio» (p. 68).

Il pensiero che Dio per il perdono della colpa, per la guarigione degli uomini dal di dentro abbia pagato il prezzo della morte del suo Figlio, ci è diventato oggi assai estraneo: che il Signore si sia «caricato delle nostre sofferenze e addossato i nostri dolori», che Egli sia «stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità»; che «per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (1s 53,4-6) - di tutto ciò non riusciamo più a capacitarci. Vi si oppone, da una parte, la banalizzazione del male, nella quale ci rifugiamo, mentre, dall' altra, prendiamo tuttavia gli orrori della storia, proprio anche di quella più recente, come pretesto irrefutabile per negare un Dio buono e diffamare la sua creatura, l'uomo. Alla comprensione del grande mistero dell' espiazione è poi di ostacolo, però, anche la nostra concezione individualistica dell'uomo: non riusciamo più a capire il significato della vicarietà, perché secondo noi ogni uomo vive isolato in se stesso; non siamo più in grado di capire il profondo intreccio di tutte le nostre esistenze e il loro essere abbracciate dal1' esistenza dell'Uno, del Figlio fattosi uomo. Quando parleremo della crocifissione di Cristo, dovremo riprendere questi temi.

Per il momento basti un pensiero del Cardinale John Henry Newman, il quale disse una volta che Dio fu sì capace di creare il mondo intero dal nulla con una parola, ma la colpa e la sofferenza degli uomini poté superarle solo mettendosi Egli stesso in gioco, divenendo nel suo Figlio Egli stesso un sofferente che ha portato questo peso e lo ha superato per mezzo del dono di se stesso. Il superamento della colpa richiede il prezzo dell'impegno del cuore - di più: l'impegno dell'intera nostra esistenza. E anche questo impegno non basta; può divenire efficace solo mediante la comunione con Colui che ha portato il peso di tutti noi.

La domanda del perdono è più di un appello morale - è anche questo, e come tale ci sfida nuovamente ogni giorno. Ma nel più profondo essa è - come anche le altre domande - una preghiera cristologica.

Ci ricorda Colui che per il perdono ha pagato il prezzo della discesa nella miseria dell' esistenza umana e della morte in croce.

Così ci invita innanzitutto alla gratitudine e poi anche a smaltire con Lui il male mediante l'amore, a consumarlo soffrendo. E se ogni giorno dobbiamo riconoscere quanto poco a ciò bastino le nostre forze, quanto spesso torniamo a essere noi stessi debitori, allora questa domanda ci dona la grande consolazione che il nostro pregare è assunto nella forza del suo amore e con esso, per esso e in esso può, nonostante tutto, divenire forza di guarigione.


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