Commissione teologica internazionale. Alcune questioni sulla Teologia della Redenzione


Lo studio della teologia della redenzione è stato proposto ai membri della Commissione Teologica Internazionale da Sua Santità Papa Giovanni Paolo II nel 1992. Per preparare questo studio venne formata una Sottocommissione composta dal prof. Jan Ambaum, dal prof. Joseph Doré, dal prof. Avery Dulles, dal prof. Joachim Gnilka, dal prof. Sebastian Karotemprel, da mons. Miceál Ledwith (presidente), dal prof. Francis Moloney, da mons. Max Thurian e dal prof. Ladislaus Vanyo. Le discussioni generali su questo tema si sono svolte in numerosi incontri della Sottocommissione e durante le sessioni plenarie della stessa Commissione Teologica Internazionale, tenutesi a Roma rispettivamente nel 1992, 1993 e 1994. Il presente testo è stato approvato in forma specifica, con il voto della Commissione, il 29 novembre 1994, ed è stato poi sottoposto al suo presidente, S.Em. il Card. Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il quale ha dato la sua approvazione per la pubblicazione.
La Commissione Teologica Internazionale non si propone di offrire nuovi elementi teologici ma piuttosto, fornendo in questa sede una sintesi degli approcci teologici contemporanei, di offrire un sicuro punto di riferimento per la discussione e l'approfondimento futuri su questo argomento. 



1. LA CONDIZIONE UMANA E LA REALTÀ DELLA REDENZIONE

1. La situazione attuale

1. Oggi una riflessione adeguata sulla teologia della redenzione deve prima di tutto tracciare le linee principali dell'insegnamento cristiano autentico sulla redenzione e sul suo rapporto con la condizione umana, di come la Chiesa ha presentato questo insegnamento nel corso della sua tradizione.

2. In primo luogo si deve affermare che la dottrina della redenzione riguarda ciò che Dio ha realizzato per noi nella vita, morte e risurrezione di Gesù Cristo, vale a dire la rimozione degli ostacoli che si frapponevano tra Dio e noi, e l'offerta che Dio ci ha fatto di partecipare alla sua vita. In altre parole, la redenzione riguarda Dio — in quanto autore della nostra redenzione — prima di riguardare noi, ed è solo perché è così che la redenzione può davvero significare liberazione per noi e può essere per ogni tempo e per tutti i tempi la Buona Notizia della salvezza. Ovvero, è solo perché la redenzione riguarda prima di tutto la bontà gloriosa di Dio, piuttosto che il nostro bisogno — ciò nonostante la redenzione si prende cura di tale bisogno —, che essa è per noi una realtà liberatrice. Se la redenzione, al contrario, dovesse essere giudicata o misurata secondo i bisogni esistenziali degli esseri umani, come si potrebbe evitare il sospetto di avere semplicemente creato un Dio Redentore fatto a immagine del nostro bisogno?

3. C'è qui un parallelismo con ciò che troviamo nella dottrina della creazione. Dio creò tutte le cose e gli esseri umani a sua immagine, e trovò la sua creazione «molto buona»1. Tutto questo è anteriore all'inizio della nostra storia, nella quale l'attività umana non risulta essere così inequivocabilmente «buona» come la creazione di Dio. Tuttavia, nonostante ciò, l'insegnamento della Chiesa lungo i secoli — fondato sulla Scrittura — è sempre stato che l'immagine di Dio nella persona umana, benché spesso nascosta e distorta nella storia come risultato del peccato originale e delle sue conseguenze, non è mai stata completamente cancellata o distrutta. La Chiesa crede che gli esseri umani peccatori non sono stati abbandonati da Dio, ma piuttosto che Dio, nel suo amore che redime, assegna un destino di gloria alla stirpe umana, e in verità a tutto l'ordine creato, che è già presente in germe dentro e attraverso la Chiesa. Nella prospettiva cristiana tali considerazioni sottendono e sostengono la fede che la vita qui e ora vale la pena di essere vissuta. Tuttavia ogni generico appello ad «affermare la vita» o «a dire "sì" alla vita», se è indubbiamente pertinente al riguardo e dev'essere ben accolto, non esaurisce il mistero della redenzione, come la Chiesa cerca di viverlo.

4. La fede cristiana è perciò attenta, da un lato, a non divinizzare o a considerare idoli gli esseri umani a causa della loro grandezza, della loro dignità e delle loro conquiste e, dall'altro, a non condannarli o schiacciarli a causa dei loro fallimenti e misfatti. La fede cristiana non sottovaluta il potenziale umano e il desiderio di crescita e di realizzazione, e le conquiste a cui l'attuazione di tale potenziale e desiderio possono effettivamente condurre. Tali conquiste non soltanto non vengono considerate a priori dalla fede come ostacoli da superare o avversari da combattere, ma esse, al contrario, sono valutate positivamente sin dall'inizio. Dalle prime pagine del libro della Genesi alle encicliche degli ultimi Papi, l'invito rivolto agli esseri umani — e, naturalmente, prima di tutto ai cristiani — è sempre di organizzare il mondo e la società in modo tale da migliorare a tutti i livelli le condizioni della vita umana e, oltre a ciò, di accrescere la felicità dei singoli, promuovere la giustizia e la pace fra tutti e, per quanto è possibile, favorire un amore che, una volta tradotto in parole e azioni, non escluda nessuno sulla faccia della Terra.

5. Per quanto riguarda il male e la sofferenza umani, essi non sono in nessun senso sottovalutati dalla fede: questa, con il pretesto di proclamare la felicità eterna in un mondo che deve venire, non è in alcun modo incline a ignorare i molti generi di dolore e di sofferenza che affliggono i singoli, né la manifesta tragedia collettiva intrinseca a molte situazioni. Ma, ciò nonostante, la fede non si rallegra certo del male e dei tempi di prova in se stessi, come se essa non potesse esistere senza di loro.

6. Qui, almeno come primo passo, la fede è semplicemente paga di prendere nota e di registrare. Non è perciò ammissibile accusarla di chiudere gli occhi; ma è altrettanto inammissibile essere risentiti nei suoi confronti, accusandola di trattare il male e la sofferenza come fatti essenziali senza i quali la fede non avrebbe alcun fondamento credibile, come se, in breve, essa potesse solo fondarsi, come una condizione sine qua non della sua esistenza, sulla miseria della condizione umana e sulle conseguenze e il riconoscimento di tale dramma.

7. Il male e la sofferenza, infatti, non sono, in primo luogo, una funzione di nessuna particolareinterpretazione teologica della vita, ma sono un'esperienza universale. E il primo moto della fede, di fronte al male e alla sofferenza, non è di sfruttarli per i propri fini! Se la fede cristiana ne tiene conto è, in primo luogo, semplicemente al fine di compiere una valutazione coerente e onesta della reale, concreta situazione storica della stirpe umana. E l’unica preoccupazione della fede è di sapere se, come e in quali condizioni la sua visione di questa situazione storica attuale può oggi ancora conquistare l'attenzione e l'adesione delle persone, mentre prende in considerazione le loro analisi sulla propria condizione e gli atteggiamenti che esse assumono nelle diverse situazioni che devono affrontare.

8. Tuttavia la fede cristiana ha una specifica prospettiva sulla condizione umana, che sotto molti aspetti chiarisce ciò che molte concezioni non cristiane del mondo affermano a modo loro. In primo luogo, la fede sottolinea che il male appare presente sempre già nella storia e nell'umanità, il male trascende e precede tutte le nostre responsabilità individuali e appare essere originato da «poteri» e persino da uno «spirito» che sono presenti prima del nostro agire, e sino a un certo punto sono esterni a ogni personale consapevolezza e volere che agiscono qui e ora.

9. In secondo luogo, la fede rileva che il male e la sofferenza che influenzano la condizione storica degli esseri umani hanno anche, addirittura in larga misura, la loro origine nel cuore degli esseri umani, nei loro abituali atteggiamenti egoistici, nella loro avidità di piacere e di potere, nella loro silenziosa complicità con il male, nella loro codarda capitolazione al male, nella loro terribile durezza di cuore. Tuttavia la rivelazione biblica e la fede cristiana non perdono la speranza nella persona umana; al contrario, esse continuano a fare appello alla libera volontà, al senso di responsabilità, alla capacità di prendere una iniziativa decisiva al fine di cambiare, e a quei momenti di lucida consapevolezza nei quali queste facoltà possano essere efficacemente esercitate. La fede crede veramente che tutti sono fondamentalmente capaci sia di prendere le distanze da qualsiasi cosa possa condizionarli negativamente, sia di rinunciare al proprio egoismo e chiusura in se stessi, al fine d'impegnarsi al servizio degli altri e così aprirsi a una speranza viva che potrebbe persino essere superiore ai loro desideri.

10. Per la fede cristiana, dunque, gli esseri umani sono, per un dato di fatto storico, lontani dalla santità di Dio a causa del peccato, oltre al fatto che siamo distinti da Dio in quanto creati e non intrinsecamente divini. Questa duplice differenza tra Dio e l'umanità è attestata dalla Scrittura ed è presupposta da tutti i cristiani di retta fede che hanno scritto in epoca postbiblica. Ma l'iniziativa divina di un movimento d'amore verso l'umanità peccatrice è una caratteristica costante del comportamento di Dio nei nostri confronti prima e all'interno della storia ed è il presupposto fondamentale della dottrina della redenzione. Perciò la dialettica della grazia e del peccato presuppone che, prima che qualunque peccato entrasse nel mondo, la grazia di Dio fosse già stata offerta agli esseri umani. La logica interna della concezione cristiana della condizione umana richiede anche che sia Dio l'autore della redenzione, poiché ciò che ha bisogno di essere guarito e salvato non è altro che la vera immagine di Dio stesso in noi.

11. Il valore della natura umana creata è dunque, per la fede cristiana, garantito dal principio da Dio stesso ed è indistruttibile, e similmente la realtà della redenzione è stata ottenuta ed è garantita da Dio in Cristo anch'essa per sempre. Sia la creazione sia la redenzione — insegna la Chiesa — sono radicate nella misericordiosa e insondabile bontà e libertà di Dio, e dal nostro punto di vista rimangono incomprensibili, inesplicabili e meravigliose. La ricerca di una comprensione di queste realtà scaturisce da un atto o atteggiamento di rendimento di grazie per esse. Esso è precedente, non deducibile e dunque irriducibile2.

12. Mentre per noi una piena comprensione della redenzione è certamente impossibile, tuttavia una certa comprensione della dottrina non solo è possibile ma è richiesta dalla natura specifica della redenzione, la quale riguarda la verità, il valore e il destino ultimo di tutta la realtà creata. Se non dovesse essere permesso alcun tentativo di comprendere la redenzione, la ragionevolezza della fede risulterebbe erosa, la legittima ricerca di una comprensione verrebbe negata alla fede e il risultato sarebbe il fideismo. Inoltre, poiché la persona umana è redenta nella sua interezza da Cristo, ciò deve poter essere dimostrato come vero nell'ordine intellettuale3.

13. Per la fede cristiana, la verità della redenzione ha sempre illuminato in particolare quegli aspetti della condizione umana che indicano con maggiore evidenza il bisogno umano di salvezza. Gli esseri umani sperimentano a molti livelli nella loro vita frammentazione, inadeguatezze e frustrazioni. Nella misura in cui spesso si considerano responsabili per la qualità frammentaria e insoddisfacente della loro esperienza, essi confessano, nel linguaggio tradizionale, la loro peccaminosità. Tuttavia, se si deve rappresentare l'immagine completa della condizione umana, devono essere considerati anche quegli aspetti della vita che deturpano e distruggono l'esistenza umana e per i quali nessuno è direttamente responsabile, perché anch'essi esprimono eloquentemente la necessità umana della redenzione. Realtà quali la carestia, la pestilenza, le catastrofi naturali, la malattia, la sofferenza fisica e mentale e la stessa morte rivelano che il male — come la tradizione cristiana ha sempre riconosciuto — non si esaurisce affatto con ciò che viene denominato malum culpae (il male morale), ma comprende anche il malum poenae (la sofferenza), sia essa un male in sé o che derivi dai limiti della natura. Tradizionalmente tuttavia — come rivela la stessa testimonianza biblica — ogni sofferenza, e in realtà la stessa morte, è stata compresa come derivante dal peccato, «il mistero dell'iniquità», secondo l'espressione di san Paolo4.

14. Se le sfide appena menzionate sono le difficoltà esistenziali fondamentali affrontate dagli esseri umani, c'è anche un'intera serie di altri problemi più intimi che le persone devono fronteggiare. In primo luogo esse incontrano difficoltà nel raggiungere, come individui, un equilibrio personale interno. In secondo luogo, hanno difficoltà nel vivere in armonia con i propri simili, come rivela la storia delle guerre, con tutta la crudeltà e l'orrore che ne derivano. In terzo luogo, la loro incapacità a vivere bene nei confronti della natura non umana si riflette drammaticamente nel mondo contemporaneo nella questione ecologica. In quarto luogo, quando le prove della vita si fanno troppo forti, può facilmente nascere il sospetto che l'esistenza umana sia destinata al fallimento e ad una totale mancanza di senso. Soggiacente alle aree critiche sopracitate c'è, infine, la questione della ricerca sempre incompiuta da parte dell'umanità di quella pace con Dio che è frustrata dalla realtà del peccato, potente e onnipervasiva.

15. Questo abbozzo preliminare del modo in cui, per la fede cristiana, la verità della redenzione illumina la condizione umana dev'essere completato da una valutazione del modo in cui oggi gli esseri umani stessi vedono la propria situazione storica attuale.

16. In primo luogo ci occuperemo tuttavia di esaminare brevemente la comprensione della redenzione proposta dalle grandi religioni mondiali. Nel far ciò qui, in questa sezione-rassegna, possiamo lasciare da parte l'ebraismo, nel quale il cristianesimo ha le sue radici e con il quale condivide una concezione della redenzione fondata sulla sovrana benevolenza di Dio Creatore verso la stirpe umana che erra lontana dalla via qual è espressa nell'Alleanza.


2. Rapporti con le religioni mondiali

17. L'induismo non è una religione monolitica. Esso è piuttosto un mosaico di credenze e di pratiche religiose che sostiene di offrire alla stirpe umana redenzione e salvezza. Benché il primo induismo vedico fosse politeista, la tradizione vedica successiva giunse a parlare di una Realtà ultima, a cui ci si riferiva anche come Atman Brahman, come Uno, dal quale tutte le cose emergevano con una specifica, triadica forma di manifestazione. Il Brahman è di per sé incomprensibile e informe, ma è anche l'essere consapevole della sua autoesistenza, il quale è la pienezza della beatitudine. A un livello più popolare, personale, divinità come Shiva, il distruttore dell'imperfetto, e la Dea Madre Shakti, Vishnu e i suoi avatara (incarnazioni), come Rama, l'Uno Luminoso, Krishna, corrispondono agli attributi della Realtà suprema. Le «incarnazioni» di Dio discendono sulla Terra per combattere le forze del male quando esse diventano potenti sulla Terra.

18. Tenendo in dovuto conto l'eccessiva semplificazione, si potrebbe dire che per l'induismo la persona umana è una scintilla del divino, un'anima (atman) incarnata a causa dell’avidya(ignoranza: o un tipo d'ignoranza metafisica della vera natura dell'Uno o un tipo d'ignoranza originaria). Di conseguenza l'essere umano è soggetto alla legge del karma o rinascita, e il ciclo della nascita e della rinascita è noto come karma-samsara, o legge della retribuzione. Il desiderio egoista, che conduce all'ignoranza spirituale, è la fonte di ogni male, miseria e sofferenza nel mondo.

19. Per l'induismo la redenzione — espressa con termini quali moksha e mukti — significa perciò liberazione dalla legge del karma; anche se gli esseri umani possono in tre modi (che non si escludono a vicenda) compiere alcuni passi verso la propria salvezza, attraverso l'azione disinteressata, l'intuizione spirituale e la devozione piena d'amore per Dio, secondo la quale lo stadio finale della comunione salvifica con Dio può essere raggiunto solo con l'aiuto della grazia.

20. Per quanto riguarda il buddismo, si può cominciare dicendo che Buddha, nell'affrontare la sofferenza del mondo, ha rifiutato l'autorità dei Veda, l'utilità dei sacrifici e non ha visto alcun vantaggio nelle speculazioni metafisiche sull'esistenza di Dio e dell'anima. Egli ha cercato la liberazione dalla sofferenza all'interno dell'uomo stesso. La sua principale intuizione è che il desiderio umano sia la radice di ogni male e miseria — che successivamente dà origine all'«ignoranza» (avidya) — e la causa ultima del ciclo di nascita e rinascita.

21. Dopo Buddha sorsero molte scuole di pensiero che elaborarono i suoi semplici insegnamenti fondamentali in sistemi che trattavano della dottrina del karma intesa come la tendenza, insita nell'azione, a rinascere. La vita umana storica non ha alcun filo unificante, personale, reale ed esistenziale; essa è fatta soltanto di frammenti esistenziali non collegati di nascita, crescita, decadimento e morte. La dottrina dell'anicca o della «non permanenza» di tutta la realtà è centrale per il buddismo. La nozione di precarietà esistenziale preclude la possibilità dell'esistenza di unatman e di qui il silenzio di Buddha sull'esistenza di Dio o dell’atman. Tutto è apparenza (maya). Nulla può venir detto sulla realtà, né positivamente né negativamente.

22. La redenzione per il buddismo consiste perciò in uno stato di liberazione (nirvana) da questo mondo di apparenza, una liberazione dalla natura frammentaria e dalla precarietà dell'esistenza, raggiunto grazie alla soppressione di ogni desiderio e di ogni coscienza. Attraverso tale liberazione viene raggiunto uno stato puro e indeterminato di vuoto. Essendo radicalmente altro rispetto al tormento transitorio di questo mondo del maya, il nirvana — letteralmente «estinzione» o «spegnimento» (cioè, di ogni desiderio), come la luce di una candela si spegne quando la cera si è consumata — sfugge a ogni definizione, ma non è semplicemente uno stato di mera estinzione o ditotale annientamento. Il nirvana non è un traguardo intellettuale ma una esperienza non definibile. Esso è la liberazione da tutti i desideri e le brame, la liberazione dal ciclo di rinascita e di dolore (dukkha). La via più perfetta per la liberazione secondo il buddismo è quella dell'Ottuplice Sentiero — retto discernimento, retta intenzione, retto modo di parlare, retta condotta, retta occupazione, retto sforzo, retta contemplazione e retta concentrazione (Vinayana Pitaka) — che pone tutto l'accento sugli sforzi umani. Nella prospettiva del buddismo, tutte le altre vie religiose sono imperfette e secondarie.

23. Come l'ebraismo e il cristianesimo, l’islam («sottomissione») è una religione monoteistica, dell'alleanza, con una fede ferma in Dio Creatore di tutte le cose. Come il suo nome suggerisce, essa vede la chiave della vera religione e dunque della salvezza nella fede, nella fiducia e nella totale sottomissione alla volontà di Dio grande e misericordioso.

24. Secondo la fede dei musulmani, la religione dell'islam venne rivelata da Dio proprio sin dai primordi dell'umanità e confermata attraverso successive alleanze con Noè, Abramo, Mosè e Gesù. L'islam si considera il completamento e il compimento di tutte le alleanze che sono esistite sin dall'inizio.

25. L'islam non ha il concetto di peccato originale e il significato cristiano della redenzione non ha alcun posto nel pensiero islamico. Tutti gli esseri umani sono semplicemente considerati bisognosi di salvezza, che essi possono ottenere solo volgendosi a Dio con fede assoluta. Il concetto di salvezza è espresso anche dal termine «successo» o «prosperità». Tuttavia l'idea di salvezza è espressa meglio da termini quali sicurezza o protezione: in Dio la stirpe umana trova la sicurezza definitiva. La pienezza della salvezza — concepita in termini di delizie materiali e spirituali5 — viene raggiunta soltanto nell'ultimo giorno con il giudizio finale e nella vita nell'aldilà (akhira). L'islam crede in una sorta di predestinazione, in materia di salvezza, o alla beatitudine del Paradiso o alla sofferenza del fuoco infernale (nar), ma l'essere umano rimane libero di rispondere con la fede e le buone opere. A parte la professione di fede, i mezzi per raggiungere la salvezza sono: la preghiera rituale, l'elemosina legale, il digiuno del Ramadan e il pellegrinaggio alla casa di Dio alla Mecca. Alcune tradizioni aggiungono a tali mezzi la jihad o «lotta», intesa come guerra santa per diffondere o difendere l'islam o, più raramente, come lotta spirituale personale.

26. A parte le grandi religioni mondiali classiche, ci sono altre religioni, variamente definite religioni tradizionali, primitive, tribali o naturali. Le origini di tali religioni si perdono nell'antichità. Le loro credenze, culti e codici etici sono tramandati dalla viva tradizione orale.

27. I seguaci di tali religioni credono in un Essere Supremo, chiamato con nomi diversi e ritenuto il creatore di tutte le cose, ma Egli stesso increato ed eterno. L'Essere Supremo ha delegato la supervisione delle cose terrene a divinità minori, conosciute come spiriti. Questi influenzano il benessere o la sventura degli esseri umani. Propiziarsi gli spiriti è molto importante per il benessere umano. Nelle religioni tradizionali, il senso di comunione di un gruppo con gli antenati del clan, della tribù e della più ampia famiglia umana è importante. Gli antenati defunti sono onorati e venerati in diversi modi e tuttavia non adorati.

28. Le religioni più tradizionali hanno un patrimonio di miti e di leggende epiche che parlano di uno stato di beatitudine con Dio, della caduta da una situazione ideale e dell'attesa di qualche sorta di redentore-salvatore che ristabilisca il rapporto perduto e determini la riconciliazione e lo stato di beatitudine. La salvezza è concepita in termini di riconciliazione e armonia con gli antenati defunti, con gli spiriti e con Dio.


3. La dottrina cristiana della redenzione e il mondo moderno

29. Oltre a considerare le concezioni di redenzione proposte dalle grandi religioni mondiali e dalle più circoscritte religioni ancestrali tradizionali di molte culture umane, si deve tuttavia prestare una certa attenzione anche agli altri movimenti e stili di vita alternativi contemporanei che promettono la salvezza ai loro seguaci (ad esempio i culti moderni, i vari movimenti del New Age e le ideologie di autonomia, emancipazione e rivoluzione). Tuttavia in questo campo è necessario essere prudenti ed evitare, se possibile, il rischio di una eccessiva semplificazione.

30. Sarebbe fuorviante ritenere, ad esempio, che gli uomini e le donne contemporanei rientrano in una delle due categorie: o quella di una modernità sicura di sé, che crede nella possibilità dell'autoredenzione, o quella di una disincantata postmodernità, che dispera di ogni miglioramento nella condizione umana, per così dire, «dall'interno» e confida soltanto sulla possibilità di salvezza «dall'esterno». Invece ciò che si riscontra è un pluralismo tra è un pluralismo culturale e intellettuale, una vasta gamma di analisi differenti della condizione umana e una varietà di modi per provare a farvi fronte. Accanto a una sorta di fuga in piacevoli diversioni o nelle avvincenti ed effimere attrattive dell'edonismo, si riscontra un rivolgersi verso varie ideologie e nuove mitologie. Accanto a uno stoicismo più o meno rassegnato, lucido e coraggioso, si trovano sia una disillusione che ha la pretesa di essere pratica e realistica, sia una risoluta protesta contro la riduzione degli esseri umani e del loro ambiente a risorse commerciabili che possono essere sfruttate, e contro la corrispondente relativizzazione, svalutazione e infine banalizzazione del lato oscuro dell'esistenza umana.

31. Un dato di fatto nella situazione contemporanea è dunque assai chiaro: la condizione concreta degli esseri umani è piena di ambiguità. Si potrebbero descrivere in molti modi i due «poli» tra cui ogni singolo essere umano, e l'umanità nel suo complesso, sono in effetti lacerati. C'è ad esempio, in ogni soggetto, da un lato un inestirpabile desiderio di vita, felicità e realizzazione e, dall'altro, l'inevitabile esperienza del limite, dell'insoddisfazione, del fallimento e della sofferenza. Se si passa dalla sfera individuale a quella generale, si può vedere lo stesso quadro su una tela più ampia. Anche qui, da un lato, si può indicare l'immenso progresso reso possibile dalla scienza e dalla tecnologia, dalla diffusione dei mezzi di comunicazione e dai passi in avanti fatti, ad esempio, nel campo del diritto privato, pubblico e internazionale. Ma, d'altro canto, si dovrebbero anche indicare le tante catastrofi che si verificano nel mondo e, tra gli esseri umani, la così vasta corruzione, il cui risultato è che un grandissimo numero di persone patiscono terribili oppressione e sfruttamento e diventano vittime indifese di ciò che ad esse può effettivamente apparire soltanto come un crudele destino. È chiaro che, malgrado le differenze di sottolineatura, qualsiasi sereno ottimismo sul progresso generale e universale in virtù della tecnologia ai nostri giorni è andato perdendo percettibilmente terreno. E proprio nell'attuale contesto di diffusa ingiustizia e di mancanza di speranza dev'essere presentata oggi la dottrina della redenzione.

32. Tuttavia è importante sottolineare che la fede cristiana non dà giudizi affrettati: né per rifiutare in toto, né per approvare troppo acriticamente. Procedendo sia con benevolenza sia con discernimento, essa non manca di notare, nella grande diversità di analisi e atteggiamenti che incontra, alcune intuizioni fondamentali che le sembrano corrispondere in se stesse a una profonda verità sull'esistenza umana.

33. La fede nota inoltre, ad esempio, che, malgrado i loro limiti e all'interno di essi, gli esseri umani tuttavia cercano una possibile realizzazione per le loro vite; che il male e la sofferenza vengono da loro sperimentati, in breve, come qualcosa di profondamente «anormale»; che le diverse forme di protesta suscitate da tale prospettiva sono già di per sé il segno che gli esseri umani non possono che cercare «qualcos'altro», «qualcosa di più», «qualcosa di meglio». E infine, come conseguenza di questo, la fede cristiana comprende che gli esseri umani contemporanei non sono semplicemente alla ricerca di una spiegazione della loro condizione, ma aspettano o si augurano — che lo ammettano o no — una effettiva liberazione dal male e una conferma e una realizzazione di tutto ciò che è positivo nella loro vita: il desiderio per il bene e per il meglio etc.

34. Tuttavia, mentre riconosce l'importanza dello sforzo di comprendere e valutare gli attuali problemi degli esseri umani nel mondo, i diversi comportamenti da essi derivati e le proposte concrete fatte per affrontarli, la Chiesa riconosce la necessità di non perdere mai di vista la questione fondamentale che è alla base di questi problemi e che è necessariamente anche alla base di ogni proposta per risolverli, la questione della verità: qual è la verità della condizione umana? Qual è il significato dell'esistenza umana e che cosa — nella prospettiva dello stesso presente — possono sperare in definitiva gli esseri umani? Nel presentare al mondo la dottrina della redenzione, la Chiesa può forse indirizzare varie diverse prospettive sulle questioni ultime concentrandosi sull'aspetto della fede cristiana nella redenzione, che è forse il più cruciale per l'umanità: la speranza. Poiché la redenzione è la sola realtà sufficientemente forte da venire incontro al vero bisogno umano e la sola realtà sufficientemente profonda da persuadere le persone di che cosa c'è davvero dentro di loro6. Questo messaggio di speranza relativo alla redenzione ha il suo fondamento nelle due dottrine cristiane chiave della Cristologia e della Trinità. In tali dottrine si trova la ragione fondamentale ultima per la comprensione cristiana della storia umana e della persona umana, fatta a immagine di Dio Uno e Trino, una Unità nella Comunione, e redenta grazie all'amore dall'unico Figlio di Dio, Gesù Cristo, al fine della partecipazione alla vita divina, per la quale in primo luogo siamo stati creati. Questa partecipazione è ciò che viene indicato dalla dottrina della risurrezione della carne, quando gli esseri umani, nella loro totale realtà, condivideranno la pienezza della vita divina.

35. La valutazione cristiana della condizione umana non è dunque a sé stante, ma è un aspetto di una più ampia concezione, al centro della quale c'è la comprensione cristiana di Dio e del rapporto di Dio con la stirpe umana e con l'intero ordine creato. La visione più ampia è quella di un’Alleanza che Dio ha voluto e vuole per la stirpe umana. È un'Alleanza con la quale Dio vuole associare gli esseri umani alla sua vita, realizzando — addirittura al di là di ogni loro possibile desiderio o immaginazione — tutto ciò che di positivo c'è dentro di loro e liberandoli da tutto ciò che c'è di negativo dentro di loro e che frustra la loro vita, la loro felicità e il loro sviluppo.

36. Ma è essenziale sottolineare che, se la fede cristiana parla in questo modo di Dio e della sua volontà di stringere un'Alleanza con gli esseri umani, non è perché noi siamo stati, per così dire, solo informati (in virtù del puro e semplice insegnamento) delle intenzioni di Dio. E perché, in un modo molto più radicale, Dio è letteralmente intervenuto nella storia e ha agito proprio nel cuore della storia: grazie ai suoi «polenti interventi», in primo luogo attraverso tutta l'antica Alleanza, ma in maniera somma e definitiva attraverso e in Gesù Cristo, il suo vero e unico Figlio, che è entrato, si è incarnato, nella condizione umana, nella sua forma totalmente concreta e storica.

37. A rigor di termini, da questo deriva che, per esporre ciò che essi hanno da dire sulla condizione umana, i credenti non cominciano con l'interrogarsi su di essa, per poi procedere domandandosi quale ulteriore illuminazione il Dio che professano possa effondere su di essa. Correlativamente, e sempre a rigor di termini, i cristiani non cominciano con l'affermare Dio in forza di una linea di argomentazione o, almeno, non in forza di una riflessione puramente astratta, per poi procedere, soltanto in seconda battuta, a esaminare quale illuminazione questo precedente riconoscimento della sua esistenza potrebbe portare riguardo al destino storico dell'umanità.

38. In realtà, per la rivelazione biblica, e quindi per la fede cristiana, conoscere Dio significa professarlo sulla base di ciò che Egli stesso ha fatto per gli esseri umani, rivelandoli pienamente a se stessi proprio nell'atto di rivelare Se stesso a loro, precisamente entrando in relazione con loro: stabilendo e offrendo loro un'Alleanza, e arrivando al punto, per raggiungere questo scopo, di entrare e d'incarnarsi proprio nella loro condizione umana.

39. È in fondo da tale prospettiva che la visione della persona umana e della condizione umana, proposta dalla fede cristiana, acquista tutta la sua specificità e tutta la sua ricchezza.

40. Infine bisognerebbe prestare una certa attenzione a quello che si potrebbe definire il dibattito interno al cristianesimo sulla redenzione e, specialmente, alla domanda su come la sofferenza e la morte di Cristo siano connesse alla redenzione del mondo. L'importanza di questa domanda è oggi accresciuta in molti ambienti dalla percezione dell'inadeguatezza — o almeno dalla percezione dell'apertura a gravi e pericolosi equivoci — di certi modi tradizionali d'intendere l'opera redentrice di Cristo in termini di compenso o punizione per i nostri peccati. Inoltre la drammaticità del problema del male e della sofferenza non è diminuita con il passare del tempo, ma si è piuttosto acutizzata, e la capacità di molti di credere che esso possa essere adeguatamente affrontato in tutti i suoi aspetti è stata in questo secolo minata in quanto sarebbe problema irrisolvibile. In tali circostanze, sembrerebbe importante ripensare di nuovo il modo in cui la redenzione rivela la gloria di Dio. Si può porre la questione se un tentativo di comprendere la dottrina della redenzione possa essere, in fondo, un esercizio di teodicea, un tentativo di suggerire una risposta credibile al «mistero d'iniquità», secondo l'espressione di san Paolo, alla luce della fede cristiana. La risposta divina è il mistero di Cristo e della Chiesa. In breve, la redenzione è la giustificazione di Dio, ovvero la più profonda rivelazione di Se stesso a noi e perciò il dono fatto a noi della pace «che sorpassa ogni intelligenza»?7

41. Lo scopo di questo documento non è di essere una trattazione esauriente dell'intera area della teologia della redenzione, ma piuttosto di affrontare alcuni problemi scelti relativi alla teologia della redenzione che si pongono oggi con particolare forza all'interno della Chiesa.


2. LA REDENZIONE BIBLICA: LA POSSIBILITÀ DELLA LIBERTÀ

1. La testimonianza biblica riflette una inesausta ricerca del significato ultimo della condizione umana8. Per Israele, Dio si fa conoscere attraverso la Torah e, per il cristianesimo, Dio si fa conoscere attraverso la persona, l'insegnamento, la morte e la risurrezione di Gesù di Nazareth. Tuttavia, sia la Legge sia l'Incarnazione lasciano ancora l'umanità nell'ambiguità di una rivelazione data, a cui si accompagna una storia umana che non corrisponde alle verità rivelate. Noi ancora «gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo»9.

2. L'essere umano si trova di fronte a una situazione drammatica, nella quale tutti gli sforzi per liberarsi dalla sofferenza e dalla schiavitù che si è assunto volontariamente sono destinati al fallimento. Limitati a causa della nostra origine di creature, senza limiti a causa della nostra vocazione di essere uno con il nostro Creatore, non siamo in grado, sulla base dei nostri soli sforzi, di passare dal finito all'infinito. Di conseguenza il cristiano guarda al di là del compimento umano. «Inquieti sono i nostri cuori, fino a quando non riposano in te»10.
3. Già nella sua legislazione civile, Israele manifestava la consapevolezza di un «redentore» (go'el). Le famiglie potevano pagare il riscatto per un parente, per salvaguardare la solidarietà della famiglia11. L'importanza della solidarietà della famiglia è alla base di istituzioni giuridiche quali il levirato nel matrimonio12, la vendetta del sangue13 e l'anno giubilare14. La legge ebraica permette che una persona condannata possa essere riscattata15. Il pagamento del kofer libera la persona colpevole, la di lui o di lei famiglia, la famiglia offesa e l'intera comunità, in quanto il conflitto è risolto. Ci sono alcuni episodi narrati nell'Antico Testamento nei quali si verificano casi di riscatto, che hanno le loro radici in questo contesto giuridico. Attraverso l'offerta di sé fatta da Giuda, il quale annulla il suo crimine contro Giuseppe16, la famiglia viene riscattata dalla vendetta. Allo stesso modo, Giacobbe, che aveva derubato Esaù della sua benedizione per l'eredità, lo rimborsa con un'ampia parte del suo patrimonio17. La vendetta viene evitata.

4. La religione ebraica sviluppò una liturgia dell'espiazione. Essa era l'atto simbolico di omaggio attraverso il quale la persona colpevole soddisfaceva e ripagava un debito nei confronti di YHWH. Gli elementi essenziali di tale liturgia erano: a) i riti d'istituzione divina (luoghi santi, il sacro sacerdozio e i riti ordinati da YHWH); b) YHWH è l'unico che perdona18»; e) i riti sono tutti sacrificali, e in genere sacrifici di sangue, nei quali viene versato il sangue che rappresenta la vita. YHWH dona agli esseri umani il sangue per il rito del perdono19. Il sangue sacrificale esprime la gratuità del perdono a livello di espressione rituale.

5. Gli uomini santi, e specialmente Mosè e i profeti che vennero dopo di lui, avevano grande valore davanti a Dio. Questo controbilanciava il disvalore del male e del peccato degli altri. Perciò essi attribuivano grande importanza all'intercessione per il perdono del peccato20. La figura del Servo Sofferente in Is 53,4-12 sarà ripetutamente usata nel Nuovo Testamento come tipo del Cristo Redentore.

6. I racconti dell'opera di Dio nell'Esodo21 e l'amore redentore di Esther e Ruth22 mostrano come la libertà derivi dal dono disinteressato di sé per una nazione o una famiglia. Questi stessi sentimenti sono rintracciabili nella vita di preghiera d'Israele, che celebra l'amore redentore di Dio per il suo popolo nell'Esodo23 e la sua sollecitudine e bontà che porta libertà e pienezza alla vita delle persone24.

7. Questi antichi temi della liberazione e redenzione vengono messi a fuoco con maggiore nitidezza in Gesù Cristo. Frutto di questo mondo, e dono di Dio al mondo, Gesù di Nazareth indica la strada per una libertà autentica e duratura. Nella sua persona, nelle sue parole e nelle sue azioni, egli ha dimostrato che la presenza del regno di Dio era vicina e ha chiamato tutti alla conversione, in modo che potessero essere parte di questo regno25. Gesù di Nazareth narrava parabole del regno che hanno mandato in frantumi la struttura profonda della nostra accettata visione del mondo26. Esse rimuovono le nostre difese e ci rendono disponibili nei confronti di Dio. Qui Egli ci tocca, e giunge il regno di Dio.

8. Gesù, il narratore delle parabole del regno di Dio, è la Parabola di Dio. La sua costante apertura a Dio si manifesta nel suo rapporto con il Dio tradizionale d'Israele, Dio come Abba21Essa si può vedere nel suo essere pronto, come Figlio dell'Uomo, a subire ogni possibile insulto, sofferenza e morte, nella convinzione che, alla fine, Dio avrebbe avuto l'ultima parola28. Egli ha radunato discepoli29 e ha condiviso la sua tavola con peccatori, ribaltando i valori accettati nel momento in cui ha offerto loro la salvezza30. Ha perseverato nel suo stile di vita e nel suo insegnamento, nonostante la tensione che questo creava intorno a lui31, culminata nella sua simbolica «distruzione» del Tempio32, nella sua ultima cena che prometteva di essere la prima di molte altre cene33 e nella sua morte sulla Croce34. Gesù di Nazareth è stato l'essere umano più libero che sia mai vissuto. Egli non aveva alcun desiderio di controllare il proprio futuro, perché la sua completa fiducia nel suo Abba-Padre lo liberava da tutte queste preoccupazioni.

9. La storia giovannea della Croce narra la rivelazione di un Dio che ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio35. La Croce è il luogo dove Gesù è «innalzato»36, per glorificare Dio e quindi raggiungere la sua propria gloria37. «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici»38. Poiché la Croce fa conoscere Dio, tutti coloro che crederanno dovranno volgere «lo sguardo a colui che hanno trafitto»39.

10. Molta ricerca di liberazione, di libertà o di ogni altro dei termini usati oggi per parlare di ciò che potrebbe essere definito una «redenzione» dalle ambiguità della situazione umana consiste in tentativi di evitare e ignorare la sofferenza e la morte. La via di Gesù di Nazareth indica che il dono gratuito di se stessi alle vie di Dio, costi quello che costi, glorifica noi stessi e anche Dio. La morte di Gesù non è l'atto di un Dio crudele che esige il sacrificio supremo; non è un «ricomprare» da qualche potere alienante che ha reso schiavi. E il tempo e il luogo in cui un Dio che è amore e che ci ama si rende visibile. Gesù crocifisso rivela quanto Dio ci ami e afferma che in questo gesto d'amore un essere umano ha dato un assenso incondizionato alle vie di Dio.

11. Il Vangelo di Gesù crocifisso dimostra la solidarietà dell'amore di Dio con la sofferenza. Nella persona di Gesù di Nazareth questo amore salvifico di Dio e la sua solidarietà con noi ricevono la loro forma storica e fisica. La crocifissione, una forma di morte spregevole, è diventata «Vangelo». Benché molto dell'Antico Testamento veda la morte come tragica e definitiva40, questa visione viene gradualmente superata dall'idea emergente di una vita nell'aldilà41 e nell'insegnamento di Gesù che Dio è un Dio dei vivi, non dei morti42. Ma il sanguinoso evento del Calvario richiedeva che la Chiesa primitiva spiegasse, sia per se stessa sia per la sua missione, l'efficacia riconciliatrice della morte sacrificale di Gesù sulla Croce43.

12. Il Nuovo Testamento usa immagini sacrificali per spiegare la morte di Cristo. La salvezza non può essere ottenuta mediante la pura e semplice perfezione morale, e il sacrificio non può essere considerato come la reliquia di una religiosità fuori moda. Il giudaismo forniva già il modello della morte espiatrice del martire esemplare44, ma il Nuovo Testamento si spinge oltre grazie al significato decisivo attribuito al «sangue di Cristo». La Croce di Gesù, che occupava una posizione centrale nel primo annuncio, comportava lo spargimento di sangue. Il significato salvifico della morte di Gesù veniva spiegato in termini mutuati dalla liturgia sacrificale dell'Antico Testamento, dove il sangue svolgeva un ruolo importante. Continuando ma trasformando la comprensione, presente nell'Antico Testamento, del sangue inteso come il segno fondamentale della vita, nella Chiesa primitiva nacquero il linguaggio e la teologia sacrificale:

1) Secondo un'argomentazione tipologica, il sangue di Cristo venne considerato efficace per stabilire una nuova e perfetta Alleanza tra Dio e il Nuovo Israele45. Ma, a differenza delle azioni reiterate dei sacerdoti della precedente Alleanza, il sangue di Gesù, il solo mezzo per ottenere il perdono e la santificazione46, scorre una sola volta, in un sacrificio che viene offerto una volta per tutte47.

2) Il termine «morte» non ha di per sé il significato di un'opera di redenzione. «Sangue» implica più della morte. Esso ha la connotazione attiva della vita48. Lo spargimento di sangue sull'altare era considerato l'atto essenziale e decisivo di offerta (Levitico), ma per Paolo l'efficacia attribuita al sangue di Cristo (giustificazione, redenzione, riconciliazione ed espiazione) va molto al di là della portata rivendicata al sangue nel Levitico, dove esso ha un effetto soltanto negativo, la protezione da o neutralizzazione di ciò che non permette un culto di Dio sicuro e accettabile49. Cristo è considerato il kaporeth: al tempo stesso offerta e propiziazione.

3) Far parte dell'Alleanza significa obbedire50. L'idea dell'obbedienza e della lealtà fino alla morte alla Torah era ben conosciuta dal giudaismo del primo secolo. Paolo perciò è in grado di spiegare la morte di Gesù come obbedienza alle richieste di Dio51. Questa obbedienza non è il modo di placare un Dio adirato, ma una libera offerta di sé che rende possibile la creazione della Nuova Alleanza. Il cristiano entra nella Nuova Alleanza prendendo a modello la pazienza e l'obbedienza di Gesù52.

4) Come tutta la vita terrena di Gesù53, la sua morte sulla croce ha avuto luogo in presenza e grazie all'aiuto dello Spirito Santo54. Qui ogni analogia con l'Antico Testamento viene meno. E Gesù Cristo «che con uno Spirito eterno offrì se stesso»55. Tutto ciò che accade sulla croce è una testimo­nianza resa al Padre e, secondo Paolo, nessuno può chiamare Dio Padre se non nello Spirito, e lo Spirito di Dio gli rende testimonianza nei credenti56. Secondo il Quarto Vangelo, lo Spirito viene dato alla Chiesa quando Gesù grida «Tutto è compiuto», e trasmette lo Spirito57.

5) La morte di Gesù è stata lode ed esaltazione di Dio. Egli è rimasto fedele nella morte; ha manifestato il regno di Dio e quindi, nella morte di Gesù, Dio era presente. Per questa ragione la Chiesa primitiva attribuiva alla morte di Gesù un potere redentore: «Pur essendo Figlio, imparò tuttavia l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono, essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek»58. Il sacrificio di Gesù sulla croce non è stato soltanto passio, ma anche actio. L'ultimo aspetto, l'offerta volontaria di sé al Padre, con il suo contenuto pneumatico, è l'aspetto più importante della sua morte. Il dramma non è un conflitto tra il fato e il singolo individuo. Al contrario, la croce è una liturgia di obbedienza che manifesta l'unità tra il Padre e il Figlio nello Spirito eterno.

13. Gesù risorto conferma la risposta misericordiosa di Dio a tale amore che dona se stesso. Alla fine, il cristianesimo contempla una croce vuota. L'incondizionata accettazione da parte di Gesù di Nazareth di tutto ciò che gli era stato chiesto dal Padre ha portato all'incondizionato «sì» del Padre a tutto ciò che Gesù ha detto e fatto. Proprio la risurrezione proclama che la via di Gesù è quella che vince il peccato e la morte per condurre a una vita che non ha limiti.

14. Il cristianesimo ha il compito di annunciare in parole e opere l'irrompere della libertà dalle molte schiavitù che disumanizzano la creazione di Dio. La rivelazione di Dio in e attraverso Gesù di Nazareth, crocifisso ma risorto, ci chiama a essere tutto ciò per cui siamo stati creati. La persona che partecipa all'amore di Dio rivelato in e attraverso Gesù Cristo diventa ciò che egli o ella era stato creato per essere: l'immagi­ne di Dio59, come Gesù è l'icona di Dio60. La storia di Gesù dimostra che questo ci costerà tutto. Ma la risposta di Dio alla storia di Gesù è ugualmente drammatica: la morte e il peccato sono stati sconfitti una volta per tutte61.

15. Il potere di distruzione rimane nelle nostre mani; la storia di Adamo è ancora con noi62. Ma il dono dell'obbedienza sul modello di Cristo offre al mondo la speranza della trasformazione63, libera dalla Legge per una feconda unione con Cristo64. Vivere sotto la Legge rende impossibile la vera libertà65, mentre la vita nello Spirito permette una libertà che viene dal dono misericordioso di Dio66. Ma tale libertà è possibile soltanto attraverso la morte al peccato, cosicché noi possiamo essere «viventi per Dio, in Cristo Gesù»67.

16. La vita redenta dei cristiani ha un evidente carattere storico e una inevitabile dimensione sociale. I rapporti tra padroni e schiavi non potranno più essere gli stessi68; non esiste più lo schiavo e la persona libera, non più il greco o l'ebreo, non più il maschio e la femmina69. I cristiani sono chiamati a essere autenticamente umani in un mondo diviso, la manifestazione unica di amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e dominio di sé, vivendo dello Spirito e camminando anche secondo lo Spirito70.

17. Nella soteriologia della Lettera agli Efesini e della Lettera ai Colossesi spiccano i temi della pace e della riconciliazione: «Egli [Cristo] è la nostra pace»71. La pace (shalom) e la riconciliazione qui diventano il cuore e la migliore espressione della redenzione. Ma questo aspetto della redenzione non è nuovo. La parola «pace» dev'essere intesa alla luce del ricco uso che ne viene fatto nella tradizione biblica. Essa ha una triplice dimensione:

1) Significa pace con Dio: «Giustificati dunque per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo»72.

2) Significa pace tra gli esseri umani. Ciò comporta il loro essere ben disposti gli uni verso gli altri. La pace, che è Cristo, distrugge i muri dell'odio, della divisione e della discordia, e si costruisce sulla reciproca fiducia.

3) Significa l'importantissima pace interiore che l'essere umano può trovare in se stesso o in se stessa. 

Questo aspetto della pace di Cristo ha conseguenze di grande portata. In Rm 7,14-25 Paolo parla della persona umana divisa contro se stessa, la cui volontà e le cui azioni sono in conflitto tra di loro. Questa persona, priva del potere liberatorio che proviene dal dono della grazia e della pace di Gesù Cristo, può solo gridare: «Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?»73. Paolo fornisce immediatamente la risposta: «Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!»74.

18. Nell'inno a Cristo che apre la Lettera ai Colossesi75, la redenzione portata da Cristo è oggetto di lode in quanto redenzione cosmica e universale. L'intera creazione dev'essere liberata dalla schiavitù della corruzione per ottenere la gloriosa libertà dei figli di Dio. Questo tema della integrità di tutta la creazione, essenzialmente orientata a Dio, già enunciato eloquentemente nella precedente Lettera di Paolo ai Romani76, ci rende consapevoli delle nostre attuali responsabilità nei confronti della creazione.

19. Nella Lettera agli Ebrei troviamo l'immagine del popolo di Dio in cammino, sulla strada verso la terra promessa del riposo di Dio77. Il modello è quello della generazione di Mosè: viaggiare attraverso il deserto per 40 anni in cerca della terra promessa di Canaan. In Gesù Cristo tuttavia noi abbiamo «il capo che guida alla salvezza»78, il quale, a causa della sua condizione di Figlio, è superiore di gran lunga a Mosè79. Egli è il sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek. Il suo sacerdozio non solo supera quello dell'Antica Alleanza, ma lo ha abolito80. Gesù Cristo ci ha liberato dai nostri peccati grazie al suo sacrificio. Ci ha santificato e ci ha resi suoi fratelli. Ha redento coloro i quali, a causa della paura della morte, erano soggetti alla schiavitù per tutta la vita81. Ora appare come nostro difensore al cospetto di Dio82.

20. Il viaggio del cristiano attraverso la storia è quindi segnato da una verità incrollabile. È vero che «ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza»83. Noi possiamo anche non vederla, ma abbiamo ricevuto la promessa della Nuova Gerusalemme, il luogo dove: «Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno il suo popolo ed egli sarà il "Dio-con-loro". E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate. [...] "Ecco, io faccio nuove tutte le cose"»84. Avendo già ricevuto i doni dello Spirito, della libertà e della promessa85 che sgorgano dalla morte e risurrezione di Gesù, noi avanziamo fiduciosi verso la fine del tempo esclamando: «Vieni, Signore Gesù»86.


3. PROSPETTIVE STORICHE

1. L'interpretazione patristica della redenzione

Introduzione

1. I Padri continuarono l'insegnamento del Nuovo Testamento sulla redenzione, sviluppando ed elaborando alcuni temi alla luce della loro situazione religiosa e culturale. Ponendo l'accento sulla liberazione dal paganesimo, dall'idolatria e dai poteri demoniaci e in consonanza con la mentalità del loro tempo, essi interpretarono la redenzione soprattutto come una liberazione della mente e dello spirito. Tuttavia non trascurarono l'importanza del corpo, nel quale i segni del deterioramento e della morte, come conseguenze del peccato87, apparivano con maggiore evidenza. Rimanendo fedeli all'assioma caro cardo salutis, essi sconfessarono la concezione gnostica della redenzione della sola anima.

2. I Padri hanno una idea chiara dell'efficacia «oggettiva» della redenzione e della riconciliazione, che opera la salvezza del mondo intero, e dell'efficacia «soggettiva» che riguarda i singoli esseri umani. L'«oggettivo» è strettamente connesso con l'Incarnazione e la Cristologia, mentre il «soggettivo» è connesso con i sacramenti e la dottrina della grazia, che accompagna e guida la storia umana verso l’eschaton.


1. I Padri Apostolici e gli Apologeti

3. Ignazio di Antiochia usa il titolo soteriologico Christos iatros (Christus medicus)«Non c'è che un solo medico, che è insieme carne e spirito, generato e ingenerato, fatto Dio in carne, vita vera nella morte, nato da Maria e da Dio, prima passibile poi impassibile, Gesù Cristo nostro Signore»88. Cristo non si limita a curare la malattia, ma abbraccia la morte, allo stesso modo della vita; e in realtà la vera vita si trova nella morte. La sua attività risanatrice, che nei Vangeli è parte della sua opera redentrice, esprime prima di tutto la sua divina bontà: egli voleva che le sue guarigioni e i suoi esorcismi fossero azioni buone per le quali le persone avrebbero lodato il Padre. Le sue guarigioni si fondavano sul suo potere divino di perdonare i peccati, per la qual cosa egli richiedeva come unica condizione la fede. Questa corrente di pensiero si ritrova nella Prima Lettera di Clemente89, nella Lettera a Diogneto90 e in Origene91.

4. Il pensiero di Giustino è strettamente connesso al Credo. La sua comprensione del Christos didaskalos e del Logos didaskalos richiama la testimonianza di Gesù davanti a Ponzio Fi lato. Gli Apologeti enfatizzano la figura del Chris tus Magister (Christos didaskalos) e il loro interesse s'incentra ancora sui suoi insegnamenti ed esorcismi, ma Giustino, per la sua spiegazione della presenza risanatrice di Cristo, fa affidamento soprattutto sulla tradizione della pratica sacramentale della Chiesa e sulle formulazioni del Credo. Le parole del Logos si accompagnano a una forza divina; hanno un potere liberatore. Gn 6, 1-4 mise in moto le forze del male, e la storia della salvezza è segnata dall'incontro tra Cristo e i demoni in una lotta contro la corruzione sempre crescente, come insegnano l’Apologia di Giustino92 e Atenagora93. L'articolo del Credo apostolico descendit ad inferos descrive il momento culminante di questa battaglia attraverso il battesimo, la tentazione, gli esorcismi e la risurrezione di Gesù. In maniera analoga, l'uso fatto da Giustino del termine soter, per parlare del prosegui mento dell'opera redentrice di Cristo, deriva dalle formule della liturgia e del Credo. Lo stesso si può dire della sua concezione di Gesù come Redentore e Soccorritore, Figlio di Dio, nato prima di tutti i secoli, nato da una Vergine, che ha sofferto sotto Ponzio Filato, è morto e risorto da morte, è asceso in cielo, ha cacciato, sconfitto e sottomesso tutti i demoni94. Giustino, mentre riprende il pensiero dei Padri Apostolici, dipende dunque dalle formule di fede battesimali, dal Nuovo Testamento e dalla soteria vissuta nei sacramenti della Chiesa.

2. Ireneo

5. Ireneo, all'inizio del V libro dell’Adversus haereses, spiega: Cristo il maestro (Christus Magister) è il Verbo fatto uomo che ha stabilito una comunione con noi, cosicché possiamo vederlo, comprendere le sue parole, imitare le sue opere, realizzare i suoi comandi e rivestirci d'incorruttibilità. In questo noi siamo ricreati a somiglianza di Cristo. Allo stesso tempo, Cristo è Verbo potente in tutto e vero uomo (Verbum potens et homo verus) che intelligibilmente (rationabiliter) ci ha redento mediante il suo sangue, donando se stesso come riscatto (redemptionem) per noi. Secondo Ireneo, la redenzione fu realizzata in un modo che l'essere umano era in grado di comprendere (rationabiliter): il Verbo, che è onnipotente, è anche perfetto nella giustizia. Il Verbo dunque si oppone al nemico, non con la violenza, ma con la persuasione e la benevolenza, assumendo ciò che a buon diritto gli appartiene (sua proprie et benigne assumens). Ireneo non ammette che Satana abbia alcun diritto di dominare l'umanità dopo la caduta. Al contrario, Satana, regna ingiustamente (iniuste), perché noi apparteniamo per natura a Dio onnipotente (natura essemus Dei omnipotentis). Nel redimerci con il suo sangue, Cristo ha inaugurato un nuovo stadio nella storia della salvezza, effondendo lo Spirito del Padre affinché Dio e l'umanità possano essere uniti e in armonia. Mediante la sua Incarnazione, egli ha garantito all'umanità, in maniera certa e reale, l'incorruttibilità95. Il Redentore e la redenzione sono inseparabili, perché la redenzione non è altro che l'unità dei redenti con il Redentore96. Proprio la presenza reale del Logos divino nell'umanità ha un effetto risanatore ed elevante sulla natura umana in genere.

6. Il concetto di «ricapitolazione» (anakephalaiosis) in Ireneo implica la restaurazione dell'immagine di Dio nell'essere umano. Benché l'espressione provenga da Ef 1, 10, il pensiero d'Ireneo ha un vasto fondamento biblico. Il terminus a quo della redenzione è la liberazione dal dominio di Satana e la ricapitolazione della storia anteriore dell'umanità. Il terminus ad quem è l'aspetto positivo: il ripristino dell'immagine e della somiglianza di Dio. Il primo Adamo porta in sé il seme di tutta la stirpe umana; il secondo Adamo, tramite l'Incarnazione, ricapitola ogni persona che ha vissuto sino ad allora e si rivolge a tutti i popoli e a tutte le lingue. La redenzione non guarda soltanto al passato; è un'apertura al futuro. Per la ricapitolazione dell'immagine e della somiglianza di Dio devono essere presenti sia il Verbum sia lo Spiritus. Il primo Adamo prefigura il Verbo incarnato, in vista del quale il Verbum e lo Spiritus hanno formato il primo uomo, ma egli rimase in una condizione infantile perché lo Spirito, che dona crescita, lo abbandonò. La somiglianza donata dallo Spirito Santo introduce il periodo nuovo e finale dell'oeconomia, che venne completato con la risurrezione, quando tutta la stirpe umana ricevette la forma del nuovo Adamo97. L'aspetto pneumatico dell’anakephalaiosis è importante perché il possesso duraturo della vita è possibile solo attraverso lo Spirito98. Anche se l'Incarnazione riassume il passato, compendiandolo nella ricapitolazione, essa in un certo senso porta il passato verso un termine. Infatti l'effusione dello Spirito Santo, che è stata inaugurata dalla risurrezione, guida la storia verso l’eschaton e rende l’anakephalaiosis davvero universale.

3. Le tradizioni greche

7. Atanasio non trascurò mai il significato del peccato, ma vide chiaramente che il Redentore doveva sanare non soltanto la realtà dello stesso peccato, ma anche le sue conseguenze: la perdita della somiglianza con Dio, la corruzione e la morte99. Atanasio sosteneva che, se avesse solo avuto bisogno di prendere in considerazione il peccato, Dio avrebbe potuto realizzare la redenzione in qualche altro modo piuttosto che tramite l'Incarnazione e la crocifissione. Non negava che Cristo entrasse in contatto diretto con il peccato, ma affermava che, benché il peccato non toccasse la natura divina di Cristo, egli sperimentava nella sua natura umana le conseguenze del peccato. Entrava nel mondo del peccato e della corruzione, perché la corruzione e la morte sono esse stesse peccato100.

8. Gregorio Nazianzeno insegna che l'Incarnazione è avvenuta perché l'umanità aveva bisogno di maggiore aiuto. Prima dell'Incarnazione, la pedagogia di Dio si era dimostrata insufficiente101. Cristo assunse tutta la condizione umana per liberarci dal dominio del peccato102, ma la fonte della salvezza, resa possibile dall'Incarnazione, è la crocifissione e la risurrezione di Cristo103. Gregorio rifiuta completamente l'ipotesi che Dio sia entrato in trattative con Satana e l'idea che al Padre venisse pagato un riscatto. Qualunque cosa fosse stata toccata dalla divinità era santificata104. Questo concetto è sviluppato da Gregorio Nisseno, che utilizza la simbologia giovannea per sostenere che il Verbo, come un pastore, si è unito alla centesima pecora. Tracciando un'analogia con «il Verbo si fece carne», egli afferma che «il pastore si fece pecora»105. Questo concetto ritorna in Agostino: Ipse ut pro omnibus pateretur, ovis est factus106.


4. Le tradizioni latine

9. Nella tradizione latina, Ambrogio e Agostino attinsero alla ricchezza dei «misteri» della Chiesa, della vita liturgica, della preghiera e soprattutto della vita sacramentale, che fiori va nella Chiesa latina a partire dal IV secolo. Ambrogio, a cui la conoscenza del greco rendeva possibile travasare molta della tradizione orientale in Occidente, fondò i suoi insegnamenti sui sacramenti del Battesimo, della Penitenza e dell'Eucaristia. Questo non solo ci fornisce una testimonianza inestimabile sulla vita sacramentale della Chiesa latina, ma anche sul modo in cui la Ecclesia orans comprese il mistero dell'azione redentrice di Dio nell'evento di Cristo, passato (redenzione oggettiva), presente e futuro (redenzione soggettiva)107.

10. Agostino non è un innovatore del pensiero cristiano sulla redenzione. Tuttavia, con acutezza e intuito, egli elabora e sintetizza le tradizioni, le pratiche e le preghiere della Chiesa che ha ricevuto. Soltanto Dio può aiutare l'umanità nella sua impotenza108. Agostino mette in evidenza il profondo abisso tra il nostro stato attuale e la nostra vocazione divina. Non può esserci alcun accordo tra Dio e Satana. La redenzione può essere solo opera della grazia109. Nel piano di salvezza di Dio la missione di Cristo è limitata a un tempo determinato, ma tuttavia si tratta di una realtà oltremondana: l'amore del Dio adirato verso l'umanità. Questo eterno amore, attraverso la crocifissione e la morte di Cristo, porta la riconciliazione e la condizione di figli110. L'opera di redenzione dev'essere degna sia di Dio sia dell'uomo e, di conseguenza, Dio perdona e dimentica il peccato soltanto se la persona umana si pente ed espia per esso. Quando questo avviene, Dio annienta il peccato e la morte. Perciò la riparazione e la riconciliazione si fondano sulla giustizia, in quanto solo in questo modo l'umanità può essere coinvolta responsabilmente nella storia della salvezza. L'umanità è attirata verso la riconciliazione a tal punto che essa accetta in modo attivo la salvezza e la redenzione.

11. Là redenzione non è un evento che semplicemente accade all'essere umano. Noi siamo attivamente coinvolti in essa, tramite il nostro capo, Gesù Cristo. Il sacrificio redentore di Cristo è l'apice dell'attività cultuale e morale dell'umanità. E il solo e unico sacrificio meritorio (sacrificium singulare). La morte di Gesù Cristo è un sacrificio perfetto e un atto di adorazione. La crocifissione è la perfezione di tutti i sacrifici offerti in precedenza a Dio. Accettata dal Padre, essa ottiene la salvezza per i fratelli e le sorelle di Cristo. Riproponendo un concetto che, come in Ambrogio, era associato con la sua concezione dell'effetto redentore della vita sacramentale della Chiesa, e soprattutto de] Battesimo, Agostino insegnava che tutti i sacrifici, compreso quello della Chiesa, possono essere soltanto una «figura»111 del sacrificium singulare, ovvero del sacrificio di Cristo112.

12. Benché sia pura grazia, la redenzione implica la satisfactio guadagnata tramite l'obbedienza del Figlio di Dio, il cui sangue è il riscatto per mezzo del quale egli ha meritato e ottenuto la giustificazione e la liberazione113. Gesù Cristo combat te la sua battaglia da essere umano e in questo modo salva l'onore dell'umanità nella sua risposta perfetta a Dio (la factio richiesta all'umanità) e inoltre rivela la maestà di Dio (il satis da parte di Dio che completa satisfactio). Perciò Cristo non è solo un guaritore ma anche un santificatore, che salva santificando. Continuando una tradizione dei primi Padri, Agostino asserisce che Cristo è il capo dell'umanità, ma, poiché egli era già anche il Salvatore dell'umanità prima di tutti i tempi e prima della sua Incarnazione, Cristo influisce su tutte le singole persone, nonché sull'umanità in generale.


Conclusione

13. La base della riflessione patristica sulla redenzione si fonda su temi che ci giungono dalla tradizione biblica. L'abisso tra la condizione umana e la speranza nella libertà di essere figli e figlie dell'unico vero Dio sono compresi e presentati con chiarezza. L'iniziativa di Dio colma l'abisso attraverso il sacrificio di Gesù Cristo e la sua risurrezione. All'interno delle diverse scuole di pensiero, questi elementi costituiscono la base della riflessione patristica. Ugualmente importante per i Padri è l'associazione della storia umana e dei singoli esseri umani con la morte e la risurrezione di Gesù Cristo. Una vita di amore e di obbedienza rispecchia e, in qualche modo, ci coinvolge nel perenne significato della sua vita e morte. Benché parlassero in modi diversi, che riflettevano la loro personale visione del mondo e i loro problemi, i Padri della Chiesa elaborarono, sulla base del Nuovo Testamento e dello sviluppo dei «misteri» della vita, della preghiera e della pratica della Chiesa, un solido corpo di tradizione sul quale la riflessione teologica successiva ha potuto costruire.


2. Teorie più recenti sulla redenzione

14. La Sacra Scrittura e i Padri della Chiesa offrono un solido fondamento per la riflessione sulla redenzione della stirpe umana attraverso la vita, l'insegnamento, la morte e la risurrezione di Cristo in quanto Figlio di Dio incarnato. Forniscono anche una grande quantità di metafore e analogie con le quali illustrare e contemplare l'opera redentrice di Cristo. Parlando di Cristo come vincitore, maestro e medico, i Padri tendevano a sottolineare l'azione «discendente» di Dio, senza però trascurare l'opera di Cristo come quella di colui che offre soddisfazione, pagando il «riscatto» dovuto e offrendo il solo sacrificio degno.
15. Significherebbe andare al di là della portata del presente documento tracciare la storia della teologia della redenzione attraverso i secoli. Per il nostro scopo è sufficiente indicare alcuni punti culminanti di quella storia, per individuare i principali problemi che devono essere affrontati in una trattazione contemporanea.


1. Il Medioevo

16. Il contributo medievale alla teologia della redenzione può essere studiato in Anselmo, Abelardo e Tommaso d'Aquino. Nel suo classico Cur Deus Homo, Anselmo, senza dimenticare l'iniziativa «discendente» di Dio nell'Incarnazione, pone l'accento sull'opera «ascendente» di riparazione legale. Egli parte dalla concezione di Dio come Signore sovrano, il cui onore viene offeso dal peccato. L'ordine della giustizia commutativa richiede un'adeguata riparazione, che può essere data solo dal Dio-uomo. «Il debito era così grande che, non dovendolo sciogliere se non l'uomo e potendolo solo Dio, dovette farlo uno che fosse uomo e Dio»114. Offrendo un'adeguata soddisfazione, Cristo libera l'umanità dalla pena dovuta per il peccato. Ponendo l'accento sulla morte soddisfattoria di Cristo, Anselmo tace riguardo all'efficacia redentrice della risurrezione di Cristo. Preoccupato della liberazione dalla colpa, egli presta poca attenzione all'aspetto della divinizzazione. Concentrando la sua attenzione sulla redenzione oggettiva, Anselmo non si diffonde sull'appropriazione soggettiva degli effetti della redenzione da parte dei redenti. Tuttavia egli riconosce che Cristo ha dato un esempio di santità che tutti devono seguire115.

17. Pietro Abelardo, se non nega il valore soddisfattorio della morte di Cristo, preferisce parlare di Cristo come di colui che ha insegnato con l'esempio. Secondo la sua concezione, Dio avrebbe potuto soddisfare il proprio onore senza la croce di Cristo, ma Dio ha voluto che i peccatori riconoscessero se stessi come oggetto dell'amore crocifisso di Gesù e in tal modo fossero convertiti. Abelardo vede nella passione di Cristo una rivelazione dell'amore di Dio, un esempio che ci muove all'imitazione. Come suo locus classicus egli si richiama a Gv 15, 13: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici»116.
18. Tommaso d'Aquino riprende il concetto di soddisfazione di Anselmo, ma lo interpreta in un modo che ricorda Abelardo. Per l'Aquinate la soddisfazione è l'espressione concreta del dolore per il peccato. Egli sostiene che la passione di Cristo ha pagato per il peccato perché è stata un atto d'amore per eccellenza, senza il quale non potrebbe sussistere alcuna soddisfazione117. Nel suo sacrificio, Cristo ha offerto a Dio più di quanto veniva richiesto. Citando l Gv 2, 2, l'Aquinate dichiara che la passione di Cristo ha soddisfatto sovrabbondantemente per i peccati di tutto il mondo118. La morte di Cristo era necessaria solo in quanto risultato di una libera decisione di Dio di redimere l'umanità in maniera appropriata, proclamando sia la giustizia sia la misericordia di Dio119. Secondo l'Aquinate, Cristo il Redentore guarisce e divinizza gli esseri umani peccatori non solo per mezzo della sua croce ma anche per mezzo della sua Incarnazione e di tutti i suoi acta et passa in carne, compresa la sua gloriosa risurrezione. Nella sua sofferenza e morte Cristo non è un puro e semplice sostituto dei peccatori caduti, ma piuttosto il capo rappresentativo di una umanità rigenerata. L'Aquinate sostiene «che Cristo è capo della Chiesa e che la grazia che egli possiede come capo viene trasmessa a tutte le membra della Chiesa in forza della congiunzione organica del Corpo mistico»120.


2. Riforma e Controriforma

19. I riformatori protestanti ripresero la teoria anselmiana della soddisfazione, ma non distinsero, come egli aveva fatto, tra le alternative di soddisfazione e punizione. Per Lutero, la soddisfazione avviene esattamente tramite la punizione. Cristo sta sotto la collera di Dio, perché, come insegna Paolo nella Lettera ai Galati (3, 13), egli non prese su di sé soltanto le conseguenze del peccato, ma il peccato stesso121. Cristo, secondo Lutero, è il più grande ladro, assassino, adultero e blasfemo mai vissuto122. In alcuni punti Lutero parla paradossalmente di Cristo come al tempo stesso puro e tuttavia il più grande peccatore123. Poiché Cristo ha pagato completamente il debito dovuto a Dio, noi siamo dispensati da ogni adempimento. I peccatori possono completare il «felice scambio» se smettono di fare affidamento su qualsiasi loro merito e si rivestono, tramite la fede, dei meriti di Cristo, proprio come egli si rivestì dei peccati dell'umanità124. La giustificazione avviene tramite la sola fede.

20. Calvino offre una spiegazione imputativa della colpevolezza di Cristo. Cristo, egli dice, venne ricoperto dalla sozzura del peccato tramite una «imputazione trasferita»125. «La colpa che ci ha resi passibili di punizione è stata trasferita sul capo del Figlio di Dio. Dobbiamo ricordare soprattutto tale sostituzione»126 in modo da essere liberati dall'ansia. Non solo Gesù morì come un malfattore; egli discese anche all'Inferno e soffrì le pene dei dannati127.

21. Nel sec. XVII Ugo Grozio riformulò la soteriologia di Calvino in una forma più giuridica, spiegando ampiamente come lo spargimento del sangue di Cristo proclami l'odio di Dio nei confronti del peccato128.
22. Il Concilio di Trento dedica una breve trattazione alla redenzione nel suo decreto sulla giustificazione. Basandosi su Agostino e sull'Aquinate, il Concilio sostiene che Cristo, tramite il suo grande amore, meritò la nostra giustificazione e soddisfece per noi sull'albero della croce129. La dottrina della soddisfazione è inserita a Trento in una cornice più ampia che include la divinizzazione effusa sui peccatori giustificati tramite lo Spirito Santo, che li rende membra vive del corpo di Cristo130.


3. Il protestantesimo liberale

23. In alcune versioni dell'oratoria sacra protestante, e persino cattolica, la teoria della sostituzione penale rappresentava Dio quasi come un sovrano vendicativo che esigeva riparazione per il suo onore offeso. L'idea che Dio punisse l'innocente al posto del colpevole appariva incompatibile con la convinzione cristiana che Dio è eminentemente giusto e misericordioso. E dunque comprensibile che i cristiani liberali scegliessero un approccio molto diverso, nel quale la giustizia vendicativa di Dio non aveva alcun posto. Tornando per alcuni aspetti ad Abelardo, alcuni teologi del secolo XIX posero l'accento sull'amore esemplare di Gesù, che suscita una risposta di gratitudine, rendendo altri in grado d'imitare le sue azioni misericordiose e quindi di ottenere la giustificazione. Sotto l'influenza di Kant, la dottrina della redenzione venne purificata dalle sue presunte «corruzioni sacerdotali», compreso il concetto di sacrificio e di soddisfazione della pena. Albrecht Ritschl, con il dovuto riconoscimento a Kant, ridefinì la redenzione in termini di libertà di collaborare in una connessione di virtù finalizzata al «regno di Dio»131.

24. Una variante della teoria liberale si può trovare in Schleiermacher, il quale sosteneva che Gesù ci conduce alla perfezione non tanto per quello che fa quanto per quello che è, la suprema istanza della coscienza umana trasformata dall'unione con il divino. Piuttosto che parlare semplicemente d'influenza morale, Schleiermacher usava categorie organiche, addirittura fisiche, di causalità: «Trasmettendo loro un nuovo principio vitale, il Redentore eleva i credenti alla comunione con la sua intatta salvezza, e questa è la sua attività di riconciliazione»132.


4. Le correnti del secolo XX

25. Numerose nuove teorie della redenzione hanno fatto la loro comparsa nel sec. XX. Nella teologia kerigmatica di Rudolf Bultmann, Dio redime l'umanità per mezzo della proclamazione della croce e della risurrezione. Il significato redentore della croce, per Bultmann, non risiede in alcuna teoria «ascendente» del sacrificio o della soddisfazione vicaria (ambedue in odore di mitologia), ma nel giudizio «discendente» del mondo e nella sua liberazione dal potere del male. Il messaggio paradossale della salvezza tramite la croce desta nei suoi ascoltatori una risposta di sottomissione piena d'amore che li fa passare da un'esistenza inautentica a un'esistenza autentica. «Credere nella croce di Cristo non significa guardare a un accadimento mitico, che si sia compiuto al di fuori di noi e del nostro mondo, a un avvenimento oggettivamente contemplabile, che Dio considererebbe come verificatosi a nostro favore; credere nella croce di Cristo significa accettarla come la propria, significa farsi crocifiggere insieme a Cristo»133.

26. Paul Tillich propone una teoria esistenziale simile, senonché egli attribuisce il potere di superare l'alienazione umana all'immagine biblica di Gesù come il Cristo e, specialmente, al simbolo della Croce. «La Croce non è la causa ma l'effettiva manifestazione del prendere su di sé da parte di Dio le conseguenze della colpa umana»134. Come Dio partecipa alla sofferenza umana, così noi veniamo redenti condividendo liberamente la partecipazione divina e permettendole di trasformarci135.

27. In ambedue le forme, la teoria esistenziale attribuisce la redenzione alla potenza di Dio, che opera attraverso le parole o i simboli i quali trasformano la comprensione che l'essere umano ha di sé. Solo un'attenzione secondaria viene prestata a Gesù, il quale è considerato una figura della storia, oscura e ostacolata dal mito.

28. Reagendo contro la disattenzione nei confronti del Gesù storico da parte della teologia kerigmatica e contro la pietà ecclesiocentrica dei secoli recenti, alcuni teologi moderni si sono adoperati per ricostruire la vera storia di Gesù e hanno posto l'accento sul fatto che la sua morte fu il risultato della sua lotta contro strutture oppressive e ingiuste, sia politiche sia religiose. Gesù, si dice, difendeva i diritti dei poveri degli emarginati, dei perseguitati. Ai suoi discepoli viene chiesto di essere solidali con gli oppressi. La vita e la morte di Gesù sono considerate redentrici in quanto esse ispirano altri a intraprendere la lotta per una società giusta. Questo tipo di soteriologia caratterizza la teologia della liberazione e alcune versioni della teologia politica136.

29. La teologia della liberazione può apparire unilaterale nella sua enfasi posta sulla riforma sociale. Come alcuni suoi fautori riconoscono, la santità non può essere raggiunta, né il peccato può essere sconfitto da un puro e semplice cambiamento delle strutture sociali ed economiche. Poiché il male ha la sua fonte in larga misura nel cuore umano, i cuori e le menti devono essere trasformati e impregnati con la vita dall'alto. I teologi della liberazione differiscono tra loro nel risalto che danno alla speranza escatologica. Alcuni di loro affermano esplicitamente che il regno di Dio non può essere pienamente instaurato dall'azione umana all'interno della storia ma solo dall'azione di Dio alla parousia.

30. Tra i teologi moderni che intendono ristabilire il senso dell'azione «discendente» di Dio a favore delle sue creature bisognose, Karl Rahner merita una menzione speciale. Egli descrive Gesù come il simbolo insuperabile che manifesta la volontà salvifica universale immutabile di Dio. In quanto realtà simbolica, Cristo rappresenta effettivamente sia l'irrevocabile autocomunicazione di Dio nella grazia sia l'accettazione di quell'autocomunicazione da parte dell'umanità137. Rahner è molto cauto rispetto all'idea del sacrificio espiatorio, che egli descrive come un antico concetto che era presupposto valido ai tempi del Nuovo Testamento, ma che «offre poco aiuto oggi per la comprensione di ciò di cui siamo alla ricerca», cioè il significato causale della morte di Gesù138. Nella teoria di Rahner della causalità quasi sacramentale, la volontà salvifica di Dio pone il segno, in questo caso la morte di Gesù insieme alla sua risurrezione, e all'interno e attraverso il segno essa causa ciò che è significato139.

31. Sembrerebbe che per Rahner i benefici essenziali della redenzione possano essere ottenuti tramite l'accettazione dell'autocomunicazione interiore di Dio che viene data a tutti, come un «esistenziale soprannaturale», anche prima che la Buona Notizia di Gesù Cristo venga udita. Il messaggio del Vangelo, quando viene conosciuto, rende possibile comprendere meglio ciò che è già implicito nella parola interiore della grazia di Dio. Tutti coloro che ascoltano e credono nel messaggio cristiano raggiungono la certezza che la parola ultima di Dio verso gli esseri umani non è di severità e giudizio ma di amore e misericordia.

32. La teoria di Rahner ha un valore indiscutibile in quanto pone l'accento sull'iniziativa misericordiosa di Dio e sulla appropriata risposta di fiducia e gratitudine. Essa si distacca dalle limitazioni legalistiche e moralistiche di alcune teorie precedenti. Tuttavia alcuni si sono chiesti se la teoria dia spazio sufficiente all'efficacia causale dell'evento Cristo e soprattutto al carattere redentore della morte di Gesù sulla croce. Il simbolo Cristo esprime e comunica dunque semplicemente ciò che viene dato in precedenza nella volontà salvifica universale di Dio? E la parola interiore di Dio (come «rivelazione trascendentale») viene enfatizzata a scapito della parola esteriore, annunciata nella proclamazione del Vangelo come Buona Notizia?

33. Spingendosi oltre Rahner, vari teologi contemporanei hanno introdotto una distinzione ancora più radicale tra gli aspetti trascendentali e categoriali della religione. Per essi la rivelazione come orientamento trascendentale viene data allo spirito umano sempre e in ogni luogo. Nelle varie religioni, compresi l'ebraismo e il cristianesimo, essi individuano simbolizzazioni condizionate storicamente e culturalmente di una esperienza spirituale comune a tutte. Tutte le religioni vengono considerate redentrici nella misura in cui i loro «miti» risvegliano la consapevolezza dell'opera interiore della grazia e spingono i loro seguaci a un'azione liberatrice. Nonostante le loro divergenze dottrinali, viene sostenuto, le varie religioni sono unite nel loro orientamento alla salvezza. «La spinta comune, tuttavia, rimane soteriologica, poiché la preoccupazione della maggior parte delle religioni è la liberazione (vimuktimoksanirvana140. Sulla base di ragionamenti di questo tipo, un teologo contemporaneo invoca una transizione dal teocentrismo o Cristocentrismo a ciò che egli chiama «soteriocentrismo»141.

34. Questi approcci interreligiosi sono lodevoli tentativi di raggiungere l'armonia tra concezioni religiose differenti e di rivendicare la centralità della soteriologia. Ma le diverse identità delle religioni vengono messe a repentaglio. Il cristianesimo, in particolare, viene snaturato se è privato della dottrina secondo cui tutta la redenzione non giunge semplicemente tramite un lavorio interiore della grazia divina o tramite l'impegno umano a un'azione liberatrice, ma tramite l'opera di salvezza del Verbo Incarnato, la cui vita e morte sono eventi storici reali.

35. Dalla teologia trascendentale delle religioni alle teorie del New Age, a cui è stato accennato in precedenza142, il passo è breve. Con il presupposto che il divino è una parte costitutiva inerente alla natura umana, alcuni teologi insistono su una religione celebrativa incentrata sulla creazione, in sostituzione del tradizionale rilievo cristiano della caduta e della redenzione. Si ritiene che la salvezza consista nella scoperta e nell'attualizzazione della presenza divina immanente attraverso una spiritualità cosmica, una liturgia gioiosa e delle tecniche psicologiche di elevazione della coscienza o di padronanza di sé143.
36. I metodi di consapevolezza spirituale e di disciplina sviluppati nelle grandi tradizioni religiose e in alcuni movimenti contemporanei del «potenziale umano» non devono essere trascurati, ma essi non vanno equiparati con la redenzione intesa nel senso cristiano della parola. Non ci sono validi fondamenti per minimizzare gli effetti pervasivi del peccato e l'incapacità dell'umanità di redimersi da sola. L'umanità non è redenta, né Dio è convenientemente glorificato, se non tramite l'azione misericordiosa di Dio in Gesù Cristo.


5. La ripresa della tradizione primitiva

37. Un certo numero di teologi cattolici contemporanei stanno cercando di mantenere in tensione i temi «ascendente» e «discendente» della soteriologia classica. Spesso, propendendo per una teologia della redenzione narrativa o drammatica, questi autori hanno ripreso temi importanti nei racconti biblici, in Ireneo, Agostino e Tommaso d'Aquino. L'abbozzo composito che segue si basa su materiali tratti da una molteplicità di autori recenti.

38. In quanto distinte dalle teorie legalistiche della riparazione o della sostituzione nella pena, queste teorie pongono l'accento su quello che possiamo definire primato rappresentativo. Mentre non trascurano la distinzione tra il Redentore e i redenti, queste teorie enfatizzano il modo in cui Cristo s'identifica con l'umanità decaduta. Egli è il nuovo Adamo, il progenitore di una umanità redenta, il Capo o la Vite in cui i singoli devono essere incorporati come membra o rami. La partecipazione sacramentale è la maniera normale per mezzo della quale i singoli diventano membra del Corpo di Cristo e crescono nella loro unione con lui.

39. La teoria del primato rappresentativo intende la redenzione come intervento misericordioso di Dio nella situazione umana di peccato e sofferenza. Il Verbo incarnato diventa il punto d'incontro per la costituzione di una umanità riconciliata e risanata. Tutta la vicenda di Gesù, compresi i misteri della sua vita nascosta e pubblica, è redentrice, ma raggiunge il culmine nel mistero pasquale, per mezzo del quale Gesù, tramite la sua sottomissione piena d'amore alla volontà del Padre, suggella un nuovo rapporto di alleanza tra Dio e l'umanità. La morte di Gesù, che deriva inevitabilmente dalla sua coraggiosa opposizione al peccato umano, costituisce l'atto supremo del suo dono sacrificale, e sotto tale aspetto è gradito al Padre, poiché espia in modo eminente il disordine del peccato. Senza essere personalmente colpevole o essere punito da Dio per i peccati degli altri, Gesù s'identifica per amore con l'umanità peccatrice e sperimenta la sofferenza della sua separazione da Dio144. Nella sua mansuetudine Gesù permette ai suoi nemici di scaricare su di lui il loro rancore. Ricambiando l'odio con l'amore e acconsentendo a soffrire come se fosse colpevole, Gesù rende l'amore misericordioso di Dio presente nella storia e apre un canale attraverso il quale la grazia redentrice può fluire nel mondo.

40. L'opera della redenzione si completa nella vita risorta del Salvatore. Nel risuscitare Gesù dai morti, Dio lo costituisce fonte di vita per molti. La risurrezione è l'effusione dell'amore creatore di Dio nello spazio vuoto creato dal sacrificio «kenotico» di sé da parte di Gesù. Attraverso il Cristo risorto, che agisce nello Spirito Santo, il processo di redenzione continua sino alla fine dei tempi, man mano che nuove persone vengono, per così dire, «innestate» sul corpo di Cristo. I peccatori sono redenti quando si aprono al generoso dono di sé fatto da Dio in Cristo; quando, con l'aiuto della sua grazia, imitano la sua obbedienza e quando ripongono la propria speranza di salvezza nella incessante misericordia di Dio in suo Figlio. Essere redenti, in breve, significa entrare in comunione con Dio attraverso la solidarietà con Cristo. Nel corpo di Cristo i muri della divisione vengono progressivamente abbattuti e si raggiungono la riconciliazione e la pace.



4. PROSPETTIVE SISTEMATICHE


1. L'identità del Redentore: chi è il Redentore?

1. Proprio dalle concezioni di peccato o di caduta, da un lato, e di grazia o divinizzazione, dall'altro, appare evidente che la natura umana decaduta non era in grado di ristabilire il suo rapporto interrotto con Dio e di entrare in amicizia con lui. Un Redentore autentico, dunque, doveva essere divino. Tuttavia era molto opportuno che l'umanità svolgesse un ruolo nel riparare per la sua colpa collettiva. Con le parole di Tommaso d'Aquino: «Un puro uomo non avrebbe potuto soddisfare per tutto il genere umano; Dio d'altra parte non doveva soddisfare; era quindi necessario (oportebatche Gesù Cristo fosse Dio e uomo»145. Secondo la fede cristiana, Dio non ha cancellato la colpa umana senza la partecipazione dell'umanità nella persona del nuovo Adamo, nel quale l'intera stirpe doveva essere rigenerata.

2. La redenzione perciò è un processo che coinvolge sia la divinità sia l’umanità di Cristo. Se egli non fosse divino, non potrebbe pronunciare il giudizio efficace di Dio di perdono né potrebbe far partecipare alla vita trinitaria intima di Dio. Ma se non fosse uomo, Gesù Cristo non potrebbe compiere opera di riparazione in nome dell’umanità per le offese commesse da Adamo e dalla posterità di Adamo. Solo perché ha ambedue le nature egli ha potuto essere il capo rappresentativo che offre soddisfazione per tutti i peccatori e che da loro la grazia.

3. In quanto opera di Dio ad extra, la redenzione è attribuibile a tutte e tre le persone divine, ma è attribuita a ognuna di loro per aspetti diversi. L'iniziativa per mezzo della quale il Figlio e lo Spirito sono inviati nel mondo è attribuita al Padre, l’origine fontale da cui fluisce ogni beneficio. Il Figlio, poiché s'incarna e muore sulla Croce, attua il capovolgimento grazie al quale noi veniamo trasformati da inimicizia in amicizia con Dio. Lo Spirito Santo, inviato nelle menti e nei cuori dei credenti, li mette in grado di prendere parte personalmente ai benefici dell'azione redentrice di Dio. Dopo l'Ascensione di Cristo, lo Spirito Santo rende presenti i frutti dell'attività redentrice di Cristo nella e attraverso la Chiesa146.

4. Chi è il Redentore? A questa domanda si può rispondere soltanto dall'interno della Chiesa e attraverso la Chiesa. Conoscere il Redentore significa appartenere alla Chiesa. Agostino lo sottolineava nel suo insegnamento sul Cristo totale (Christus totus), Capo e Membra insieme. Come afferma Gregorio Magno, «il nostro Redentore è considerato una persona sola con la santa Chiesa che egli ha fatto sua»147. La vita della Chiesa in quanto corpo di Cristo non dev'essere amputata dalla vita del Capo. Giovanni Eudes fornisce un approccio iniziale a una descrizione dell'unicità del Redentore: «Noi dobbiamo sviluppare continuamente in noi e, infine, completare gli stati e Misteri di Gesù. Dobbiamo poi pregarlo che li porti lui stesso a compimento in noi e in tutta la sua Chiesa [...]. Il Figlio di Dio desidera [...] come un'estensione e continuazione in noi e in tutta la sua Chiesa dei suoi Misteri»148. La Gaudium et spes al n. 22 esprime questa unicità del Redentore che tutto abbraccia: «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione. [...] Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata, per ciò stesso è stata in noi anche innalzata a una dignità sublime. Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo». Giovanni Paolo II riecheggia queste parole nella Redemptor hominis: «ognuno è stato compreso nel mistero della Redenzione, e con ognuno Cristo si è unito, per sempre, attraverso questo mistero»149.

5. Attraverso l'incarnazione del Verbo, l'unicità del Redentore diviene discernibile per noi già nella sua forza redentrice. Nel mistero pasquale il Redentore ha reso la salvezza disponibile per tutti: «Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me»150. Il dono della Pentecoste rese finalmente i suoi apostoli e discepoli capaci di riconoscere chi e che cosa fosse Gesù, come nella comunione della Chiesa — l'insegnamento, la frazione del pane e le preghiere151 — essi divennero consapevoli di ciò che Gesù aveva fatto per loro, di che cosa aveva insegnato e comandato. Questa è esattamente la funzione dello Spirito Santo nella teologia giovannea152.

6. Quindi noi, in quanto esseri umani, possiamo conoscere chi è il Redentore, ma solo all'interno della comunità ecclesiale e attraverso di essa. Cristo non può essere isolato dalla Chiesa. Egli è proprio colui che nutre il suo corpo in quanto Chiesa e quindi attira la comunità dei credenti nell'opera di realizzazione della redenzione. Sarebbe anche un errore gravare la Chiesa con un'autonomia che non potrebbe sostenere da sola.

7. L'unicità di Cristo dev'essere compresa all'interno di questa «costellazione cristologica» che assume forma concreta nella Chiesa. Il mistero pasquale costituisce il contesto per l'anno liturgico della Chiesa153. I cristiani sono invitati — attraverso la loro fede oggettiva (fides quae) e anche secondo le proprie possibilità all'interno della comunità ecclesiale — a confessare e predicare Cristo come l'unico e il solo Redentore di questo mondo, cosicché la Chiesa è il sacramento della salvezza universale. L'evento Cristo è reso disponibile attraverso la Chiesa in quanto essa percepisce, spiega e predica l'unicità del Redentore.
8. La Chiesa rende presente il solo e unico Redentore in quanto, come comunità (koinonia) che vive del mistero pasquale, essa accoglie tutti coloro che sperimentano la giustificazione in Cristo nel Battesimo o nel sacramento della riconciliazione e vogliono vivere la redenzione. Benché qui noi dobbiamo anche tenere conto che la comunione nel sacrificio di Cristo (prosphora) implica pure una condivisione delle sue sofferenze154, questa sofferenza con Cristo, che si esprime sia sacramentalmente sia efficacemente nella vita cristiana, contribuisce all’edificazione della Chiesa e di conseguenza è redentrice.

9. Il significato della redenzione e l'unicità del Redentore sono rivelati dalle attività costitutive della Chiesa in questo mondo: martyriadiakonia leitourgia. In quanto koinonia del Signore, la Chiesa chiama l'umanità a uno stile di vita altruistico e oblativo (prosphora), che ha il suo fondamento soprattutto nell'Eucaristia ma anche nella comunione dei Santi, nella quale Maria occupa un posto speciale. La conoscenza, acquisita dalla fede vissuta della Chiesa, dell'esistenza di una inter-soggettività tra i redenti e il solo e unico Redentore, può essere oggettivata in autentiche enunciazioni teologiche. Esse, quando partono dall'oggettività del Redentore, possono rafforzare la vita individuale di fede e darle una forma precisa. Molto antica, ad esempio, e indissolubilmente legata alla consapevolezza dell'unicità del Redentore è la celebrazione della domenica come giorno della risurrezione di Colui che è stato crocifisso.

10. L'associazione della Chiesa nell'opera redentrice di Cristo è eminentemente verificata nella persona di Maria, Madre della Chiesa. In virtù di una grazia singolare, ella era stata preservata da ogni peccato, e la sua associazione con l'opera redentrice di Cristo avrebbe raggiunto l'apice alla crocifissione, quando «soffrì profondamente col suo Figlio unigenito e si associò con animo materno al sacrificio di lui, amorosamente consenziente all'immolazione della vittima da lei generata»155. Nelle parole di Giovanni Paolo II: «Con la morte redentrice di suo Figlio, la materna mediazione della serva del Signore ha raggiunto una dimensione universale, perché l'opera della redenzione comprende tutti gli uomini. Così si manifesta in modo singolare l'efficacia dell'unica e universale mediazione di Cristo "fra Dio e gli uomini". La cooperazione di Maria partecipa, nel suo carattere subordinato, all’universalità della mediazione del Redentore, unico mediatore»156.

11. Il Padre ci ha reso suoi figli redimendoci attraverso la volontà umana di Cristo. Nell'obbedienza di Cristo alla volontà del Padre e nel suo dare la vita per molti157, la sua persona e la sua opera di redenzione nel nostro mondo acquistano un significato e una dignità unici e incomparabili. Il procedere di Cristo dal Padre continua nel suo darsi per noi. Questo rapporto unico, proprio per la sua natura, non può essere integrato teologicamente in nessun'altra religione, anche se l'opera della redenzione è accessibile a tutti. Il fatto che la volontà umana di Cristo come Redentore sia condizionata storicamente non esclude di per sé la possibilità che sia umanamente sui generis, il che è forse ciò a cui la Lettera agli Ebrei fa riferimento come «un imparare l'obbedienza», un'obbedienza che Cristo realizzerà radicalmente nel mistero pasquale. Poiché questa volontà di Cristo come Redentore è in completo accordo con la volontà divina («Sia fatta non la mia, ma la tua volontà»), Cristo, in quanto mediatore incarnato, è anche il nostro avvocato nel santuario celeste158.

12. La concezione del dono di sé per tutti da parte del Redentore dipende indubitabilmente dal mistero pasquale, ma dipende in non minor misura dal mistero dell'Incarnazione e dai misteri della vita di Cristo, che rappresentano per i cristiani un invito e un esempio per vivere la loro vita comefilii in Filio139. Da qui appare chiaro che la vita cristiana ha una dimensione trinitaria. Nel corso della giustificazione che il credente può ricevere nella Chiesa, l'esperienza cristiana entra con il Redentore in una santificazione della vita redenta che è guidata e perfezionata — in maniera più intensa che nella giustificazione — dallo Spirito Santo. Questo significa che siamo invitati, tramite Cristo nello Spirito Santo, a condividere, già ora, la vita divina della Trinità. Il dono del Padre, vale a dire la persona di suo Figlio e la condivisione nello Spirito Santo, impedisce perciò un pelagianesimo che vuole cercare di giustificare la natura umana attraverso le risorse che le sono proprie e, parimenti, esclude un quietismo che vuole un coinvolgimento troppo modesto della persona umana.

13. La vita cristiana è considerata correttamente dalla tradizione come una preparazione alla comunione eterna con Dio. In questo senso noi stiamo camminando «nella carne» verso il nostro solo e unico Signore, il Redentore, al fine di essere un giorno più pienamente uniti a lui. Tuttavia l'unicità del Redentore si rivela nella vita dei credenti qui e ora. In questo mondo, segnato com'è sia dalla bontà della creazione sia dalla peccaminosità della caduta, i cristiani cercano, tramite la loro imitazione di Cristo, di vivere fino in fondo e diffondere la redenzione. Il loro vivere rettamente e l'esempio di uno stile di vita cristiano rendono possibile alla gente di ogni epoca di giungere a conoscere Colui che è l'unico e solo Redentore di questo mondo. L'evangelizzazione consiste precisamente in questo.


2. L'umanità caduta e redenta

14. La fede cristiana nella redenzione è prima di tutto fede in Dio. In Gesù Cristo, il suo proprio e unico Figlio Incarnato, «l'Unico che gli uomini chiamano Dio» (san Tommaso) si rivela come l'unico e vero salvatore in cui tutti possono confidare. Allo stesso tempo, tuttavia, dobbiamo sottolineare che questo Dio-salvatore rivela l’umanità a se stessa: la condizione di quest'ultima è dunque radicalmente situata e costantemente chiamata a dare una definizione di se stessa in relazione alla salvezza che le viene offerta.

15. Come viene illuminata la condizione umana dalla salvezza che Dio le offre in Gesù Cristo? Come appare l'umanità di fronte alla redenzione? La risposta potrebbe illuminare la situazione storica umana, ma, come abbiamo rilevato nel capitolo 1, essa è anche segnata da importanti contrasti.

16. Si potrebbe dire che, di fronte alla redenzione offerta da Gesù Cristo, l'umanità scopre di essere fondamentalmente orientata alla salvezza [1] e profondamente segnata dal peccato [2].


1. L’umanità orientata alla salvezza

17. La prima luce che la redenzione di Cristo getta sull'umanità è che Egli la rivela a se stessa come al tempo stesso destinata alla salvezza [1] e in grado di accettarla [2].

18. In tutta la tradizione biblica abbondano le situazioni in cui il popolo d'Israele — o i gruppi di poveri che sono chiamati a diventare il popolo d'Israele — veniva guidato a cercare e a confessare il proprio Dio attraverso interventi tramite i quali Dio lo salvava dall'angoscia e dalla perdizione. Dalle peripezie dell'Esodo, dove YHWH interveniva con mano forte e braccio proteso, al perdono dato al cuore straziato dal dolore e pentito, è chiaro che, per il popolo di Dio e per ogni credente, nel momento in cui appare per portare la salvezza Dio si rivela.

19. Ma correlativamente è chiaro che Dio interviene, e quindi si rivela, in relazione a un bisogno di salvezza chiaramente manifestato nelle sue vere dimensioni a coloro che beneficiano della salvezza che Dio offre loro. Questa caratteristica generale della rivelazione biblica verrà messa in rilievo nel Nuovo Testamento.

20. Dio è stato così fedele al suo «impegno» nei confronti dell'umanità, al suo progetto di alleanza con l'umanità che, «al tempo stabilito», ha mandato il suo unico Figlio. In altre parole, Dio non si è semplicemente accontentato d'intervenire «dall'esterno», tramite intermediari, ovvero mantenendo le distanze da coloro i quali Egli desiderava salvare. In Gesù Cristo, Dio è venuto in mezzo a loro, è diventato uno di loro. Il Padre ha mandato il suo unico Figlio, nello Spirito Santo, a condividere la condizione umana (in ogni cosa eccetto che nel peccato), in modo da stabilire una comunicazione con l'umanità. Questo è stato fatto per permettere loro di contraccambiare pienamente la benevolenza di Dio ed entrare appieno nella vita divina. Il risultato è che la condizione umana vede se stessa in una prospettiva completamente nuova.

21. La condizione umana appare prima di tutto come l’oggetto di un amore che può giungere «all'estremo»: la prova che Dio ci ama è che Cristo, mentre eravamo ancora peccatori, «è morto per noi»160 e «se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?»161.

22. Poi c'è la pienezza della sorte che attende l'umanità, secondo la volontà salvifica che Dio ha manifestato a suo riguardo nel suo Figlio che si è incarnato, è morto e risorto dai morti. C'è anche la natura radicale della salvezza che Dio destina all'umanità in Gesù Cristo: essa è invitata a entrare a sua volta nel dinamismo del mistero pasquale di Gesù, il Cristo. Da un lato questa salvezza assume la forma di una condizione di figlio, nello Spirito di Cristo il Figlio. Attirati e sostenuti dallo Spirito (a cui partecipano attraverso i sacramenti), gli uomini e le donne sono chiamati a vivere con fede e con speranza la loro condizione di figli del Padre che è nei cieli, ma con il dovere di compiere la sua volontà sulla Terra, amando e servendo i loro fratelli nell'amore.

23. D'altro canto, se ad essi non viene risparmiata l'esperienza della speranza e della tristezza, quindi le sofferenze di questo mondo, essi sanno che la grazia di Dio — la presenza attiva in loro del suo amore e della sua misericordia — li accompagnerà in ogni circostanza. E se essi devono sperimentare anche la morte, sanno che questa non suggellerà il loro destino, perché hanno la promessa della risurrezione del corpo e della vita eterna.

24. Anche se l’umanità può sembrare impoverita e indegna, non dobbiamo concludere che essa sia completamente priva di valore agli occhi di Dio. Al contrario, la Bibbia ci ricorda continuamente che, se Dio interviene a favore dell’umanità, questo avviene proprio perché ritiene gli esseri umani degni del suo intervento. Dobbiamo, ad esempio, sottolineare l’assicurazione data a Israele al culmine della sua sofferenza: «Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo»162.

25. In altre parole, secondo la fede biblica e cristiana, nonostante tutto ciò che c'è di negativo nell'umanità, vi rimane qualcosa che è suscettibile di essere salvato, perché è suscettibile di essere amato da Dio stesso e di conseguenza è amato da Lui. Com'è possibile questo e come ne diviene consapevole la persona umana?

26. La risposta biblica e cristiana viene data nella dottrina della creazione. Secondo questa dottrina, l'umanità e il mondo non hanno alcun diritto di esistere e, tuttavia, essi non sono il risultato del «caso e della necessità». Esistono perché sono stati e sono chiamati. Sono stati chiamati quando non esistevano, ma in modo tale da poter cominciare a esistere. Sono chiamati dal non essere per essere dati a se stessi e perciò per esistere in se stessi.

27. Ma se tale è la condizione originaria dell'uomo in questo mondo, una condizione che lo definisce esattamente come uno che annuncia questo messaggio, ci sono conseguenze importanti che la fede rende esplicite.

28. Dio non crea l'umanità senza avere uno scopo. Egli la crea proprio per il motivo che gli interventi divini nella storia rivelano: per amore dell'umanità e per il suo bene. In termini più precisi, Egli crea la persona umana per stringere un'alleanza con essa, allo scopo di renderla partecipe della vita propria di Dio. In altre parole, se c'è la creazione, essa è per grazia, per la vita di Dio, con Dio e per Dio.

29. Se Dio ci chiama a un fine che va chiaramente oltre le nostre capacità umane, e quindi può soltanto essere pura grazia, nondimeno è vero che questo fine deve corrispondere a ciò che la persona umana è in quanto tale. Altrimenti la persona che riceve il dono di Dio e che è beneficiaria della grazia sarebbe diversa da quella chiamata a essere salvata. In questo senso, mentre rispetta la gratuità della grazia, la natura umana è orientata al soprannaturale e si realizza in esso e attraverso di esso in modo tale che la natura dell’umanità è aperta al soprannaturale (capax Dei).

30. Tuttavia, poiché questo ha senso soltanto nel contesto di un'alleanza, bisogna anche rilevare che Dio non impone la sua grazia all'umanità; Egli semplicemente la offre. Tuttavia questo comporta un rischio. Usando la libertà datagli da Dio, l'essere umano può agire non sempre in armonia con le intenzioni di Dio, ma può fare un cattivo uso, ai propri fini e per la propria gloria, dei talenti che Dio gli ha dato.

31. Dio ha dato questi doni affinché il desiderio che dovrebbe condurre l'umanità a cercare e a trovare Dio come l'unico compimento provenga dalla persona umana stessa. Ma la persona umana può sempre riorientare il dinamismo della sua natura e il moto del suo cuore. Nondimeno rimane vero che l'essere umano è stato costituito per l'amore di Dio e tale rimarrà: per la grazia e la salvezza a cui Dio lo ha destinato.


2. L'umanità nel peccato

32. La redenzione di Cristo ci offre un secondo punto di vista sull’umanità nella sua condizione storica: gli aspetti negativi che la segnano [1] sono anche il risultato del peccato umano [2], ma questo non mette in dubbio la fedeltà di Dio al suo amore creatore e salvatore.

33. Come nel caso di ogni esperienza comune, la fede deve prendere nota degli aspetti negativi della condizione umana. Essa non può ignorare che nella storia non tutto avviene in conformità con le intenzioni di Dio Creatore. Questo tuttavia non annulla la fede: si può confidare nel Dio nel quale si professa fede. Non solo Dio non ha rinunciato al suo primo proposito, ma ha fatto in modo di ristabilire, in modo mirabile, ciò che era stato compromesso. Intervenendo in Gesù Cristo, egli si mostrò fedele a se stesso, nonostante l'infedeltà della persona umana, suo partner.

34. Nell'inviare il suo proprio Figlio in forma umana, Dio, creatore e salvatore del mondo, rimosse ogni motivo di dubbio sul piano divino di un'alleanza salvifica.

35. Questa manifestazione di fedeltà alla sua alleanza da parte di Dio fa risaltare gli aspetti negativi della condizione umana e di conseguenza l'ampiezza e la profondità della necessità della salvezza da parte della stirpe umana.

36. Se Dio ha dovuto mandare il suo unico Figlio per ristabilire il suo piano di salvezza istituito proprio all'atto della creazione è perché questo piano era stato radicalmente compromesso. Il suo successo è collegato a questo «nuovo inizio», che Ireneo ha chiamato «ricapitolazione». Se il Figlio si è incarnato per ristabilire l'alleanza di Dio, è perché l'alleanza era stata infranta non per volontà di Dio, ma per volontà degli esseri umani. E se, al fine di ristabilirla, il Figlio Incarnato ha dovuto compiere la volontà del Padre, se Egli ha dovuto diventare obbediente fino alla morte, sino alla morte sulla croce, è perché la vera fonte della sventura umana consiste nella sua disobbedienza, nel suo peccato, nel suo rifiuto di camminare nelle vie dell'alleanza offerta da Dio.

37. Perciò l'incarnazione, la vita, la morte e la risurrezione del Figlio di Dio, mentre rivelano l'amore di Dio Salvatore, allo stesso tempo rivelano la condizione umana a se stessa.

38. Se Gesù appare come l'unica via di salvezza, è perché l'umanità ha bisogno di Lui per la sua salvezza e perché senza di Lui sarebbe perduta. Dobbiamo quindi riconoscere che ogni persona e il mondo intero erano racchiusi «sotto il peccato»163 e che è stato così «dal principio». Si può quindi dire che Gesù è apparso per «ristabilire» la condizione umana in modo radicale, ovvero con un nuovo inizio.

39. Si potrebbe dire che Cristo rappresenta un «inizio» più di Adamo stesso. L'Amore «originante» è più importante del peccato «originale», poiché la stirpe umana ha preso piena consapevolezza dell'ampiezza e della profondità del peccato che segna la sua condizione solo nel momento in cui in Gesù Cristo venne rivelata P«ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità»164 dell'amore di Dio per l'intera stirpe umana.

40. Se Dio ha mandato il suo unico Figlio per riaprire a tutti le porte della salvezza è perché Egli non ha cambiato atteggiamento nei loro confronti; il cambiamento è avvenuto da parte della stirpe umana. L'alleanza che era stata voluta sin dall'inizio dal Dio di amore è stata compromessa dal peccato umano. Di conseguenza si è verificato un conflitto tra il piano di Dio, da un lato, e il desiderio e il comportamento umano dall'altro165.

41. Nel rifiutare sin dall'inizio l'invito di Dio, l'umanità ha deviato dal suo destino autentico e gli eventi della storia sono stati segnati da un allontanamento da Dio e dal suo piano di amore; in realtà la storia è segnata da un rifiuto di Dio.

42. La venuta del Figlio unico di Dio nel cuore della storia umana rivela la volontà divina di perseguire l'applicazione del suo piano nonostante l'opposizione. Così come tiene conto della gravità del peccato e delle sue conseguenze su parte dell'umanità — il «mistero» dell'iniquità — il mistero di Cristo, e in particolare la sua croce, è la rivelazione chiara e definitiva della natura gratuita, che perdona radicalmente, ed escatologicamente vittoriosa dell'amore di Dio.

43. Qui possiamo rilevare il tradizionale tema patristico e agostiniano dei due «Adami». Non c'è alcun tentativo di equipararli, ma il loro tradizionale riavvicinamento è tuttavia ricco di significato. I principali passi paolini in cui si trova il parallelo166 lo utilizzano per evidenziare la dimensione universale del peccato, da un lato, e della salvezza, dall'altro. Questo parallelo nella sua applicazione è dominato dall'idea del «tanto più», che rovescia l'equilibrio in favore di Cristo e della salvezza: se il primo Adamo ha una dimensione universale nell'ordine della caduta, tanto più il secondo ha acquisito questa dimensione universale nell'ordine della salvezza, ovvero attraverso la dimensione universale della sua offerta e l'efficacia escatologica della sua comunicazione.

44. Così dunque appare la condizione umana: divisa tra due Adami, e questo è il modo in cui la fede cristiana interpreta tale situazione «contrastata» che chiunque, anche al di fuori del contesto di fede, può riconoscere come una caratteristica della condizione storica della persona umana. Immersa in una storia di peccato, disobbedienza e morte, come risultato delle sue origini in Adamo, l'umanità è chiamata a entrare nella solidarietà del nuovo Adamo che Dio ha inviato: il suo unico Figlio che è morto per i nostri peccati e che è risorto per la nostra giustificazione. La fede cristiana afferma chiaramente che con il primo Adamo c'è stata una proliferazione di peccato e con il secondo Adamo una sovrabbondanza di grazia167.

45. Tutto il corso della storia umana e il cuore di ogni per sona costituiscono il palcoscenico sul quale tra questi due Adami si svolge il dramma della salvezza e della vita di tutti gli esseri umani, nonché la grazia e la gloria di Dio.



3. Il mondo sotto la grazia redentrice


1. L' umanità sotto il segno della redenzione

46. Il Figlio di Dio si è fatto nostro fratello soprattutto per salvare gli esseri umani168, «provato in ogni cosa, come noi, escluso il peccato»169. Secondo alcuni scrittori patristici (compresi Ireneo e Atanasio, ricordati in precedenza)170, si può affermare che, benché non si tratti di una «incarnazione collettiva», l'incarnazione del Logos influenza tutta la natura umana. Poiché il Figlio di Dio è un membro della famiglia umana, tutti gli altri sono stati elevati alla nuova dignità di suoi fratelli e sorelle. Proprio perché la natura umana assunta da Cristo ha conservato la sua identità creaturale, la stessa natura umana è stata innalzata a una condizione superiore. Come leggiamo nella Costituzione pastorale su «La Chiesa nel mondo contemporaneo»: «Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo»171. In quanto «secondo Adamo» Cristo ricapitola l'umanità di fronte a Dio, diviene il capo di una famiglia rinnovata e restituisce l'immagine di Dio alla sua verità primitiva. Nel rivelare il mistero dell'amore del Padre, Cristo rivela pienamente l'umanità a se stessa e svela l'altissima vocazione di ogni persona172.

47. L'opera redentrice di Cristo influenza tutti gli esseri umani nella loro relazione al destino ultimo, poiché tutti sono chiamati alla vita eterna. Spargendo il suo sangue sulla croce, Cristo ha stabilito una nuova alleanza, un regime di grazia, che è rivolto a tutta l'umanità. Ognuno di noi può dire insieme al l'Apostolo che egli «mi ha amato e ha dato se stesso per me»173. Ognuno è chiamato a condividere mediante l'adozione a figlio la filiazione di Cristo. Dio non fa questa chiamata senza rendere capaci di risponderle. Perciò il Vaticano II può insegnare che non c'è essere umano, neppure «quelli che senza colpa ignora no il Vangelo di Cristo», che non sia toccato dalla grazia di Cristo174. «Perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire a contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale»175. Nel pieno rispetto delle misteriose vie della divina Provvidenza nei confronti dei non evangelizzati, l'attenzione è centrata qui sul piano rivelato di salvezza che manifesta i disegni misericordiosi di Dio e il modo in cui Dio viene convenientemente glorificato.


2. La risposta di fede

48. La prima condizione per entrare nella nuova alleanza di grazia è avere una fede modellata su quella di Abramo176. La fede è la risposta fondamentale alla Buona Notizia del Vangelo. Nessuno può essere salvato senza la fede, la quale è il fondamento e l'origine di tutta la giustificazione177.

49. Per la vita di fede non è sufficiente acconsentire con la mente ai contenuti del Vangelo o riporre la propria fiducia nella misericordia divina. La redenzione è efficace soltanto quando acquisiamo una nuova esistenza fondata sull'obbedienza praticata con amore178. Una tale esistenza corrisponde alla concezione classica della fede animata dalla carità179.

50. Tramite il Battesimo, sacramento della fede, il credente è inserito nel Corpo di Cristo, liberato dal peccato originale e reso certo della grazia redentrice. Il credente «si riveste» di Cristo e cammina in novità di vita180. Una consapevolezza rinnovata del mistero del Battesimo, come morte al peccato e risurrezione alla vita vera in Cristo, può rendere capaci i cristiani di sperimentare la realtà della redenzione e di raggiungere la gioia e la libertà della vita nello Spirito Santo.


3. Liberazione

51. Il Battesimo è il sacramento della liberazione dal peccato e della rinascita nella libertà nuovamente scelta. Liberato dal peccato per mezzo della grazia di Dio, che suscita la risposta di fede, il credente comincia il cammino della vita cristiana. Tramite la fede suscitata dalla grazia, il credente è liberato dal dominio del male e viene affidato a Gesù Cristo, il maestro che dona la libertà interiore. Questa non è una pura e semplice libertà che autorizza indifferentemente ogni scelta possibile, bensì una libertà di coscienza che invita le persone, illuminate dalla grazia di Cristo, a obbedire alla legge più profonda del loro essere e ad osservare la regola del Vangelo.

52. È solo grazie alla luce del Vangelo che la coscienza può essere formata a seguire la volontà di Dio senza alcuna limitazione della sua libertà. Come insegna il Vaticano II: «Tutti gli uomini sono tenuti a cercare la verità, specialmente in ciò che riguarda Dio e la sua Chiesa, e una volta conosciuta ad abbracciarla e custodirla. Il sacro Concilio professa pure che questi doveri toccano e vincolano la coscienza degli uomini, e che la verità non s'impone che in forza della stessa verità, la quale penetra nelle menti soavemente e insieme con vigore»181.

53. Le membra viventi del corpo di Cristo sono rese amici di Dio ed eredi nella speranza della vita eterna182. Esse ricevo no le primizie dello Spirito Santo183, la cui carità è riversata copiosamente nei loro cuori184. Tale carità, fruttificando nel l'obbedienza e nelle buone opere185, rinnova i credenti dall'in terno, rendendoli capaci di aderire liberamente alla nuova legge del Vangelo186. La grazia dello Spirito Santo dona pace interiore e dà gioia e serenità nel credere e nell'osservare i comandamenti.


4. Riconciliazione

54. La liberazione dal peccato grazie alla redenzione in Cristo riconcilia una persona con Dio, con il prossimo e con tutta la creazione. Poiché il peccato originale e quello attuale sono essenzialmente ribellione contro Dio e contro la volontà divina, la redenzione ristabilisce pace e comunicazione tra l'essere umano e il Creatore: Dio viene sperimentato come il Padre che perdona e riaccoglie suo figlio. San Paolo si diffonde in maniera eloquente sull'aspetto della riconciliazione: «Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco, ne sono nate di nuove. Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo [...]. È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi [i ministri] la parola della riconciliazione [...]. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio»187.

55. La parola del Vangelo riconcilia coloro che si sono ribellati alla legge di Dio e indica un nuovo cammino di obbedienza alle profondità di una coscienza illuminata da Cristo. I cristiani devono riconciliarsi con il loro prossimo prima di presentarsi all’altare188.

56. Il sacramento della penitenza e della riconciliazione permette un ritorno santificante al mistero del Battesimo e costituisce la forma sacramentale di riconciliazione con Dio e l'attualità del suo perdono, grazie alla redenzione data in Cristo.

57. All'interno della Chiesa, i cristiani sperimentano incessantemente il mistero della riconciliazione. Ristabiliti in pace con Dio e obbedienti ai comandamenti del Vangelo, essi conducono una vita riconciliata con gli altri in comunità con i quali sono chiamati. Riconciliati con il mondo, essi non violano più le sue bellezze né temono i suoi poteri. Cercano invece di proteggere e di contemplare le sue meraviglie.


5. Comunione

58. La libertà dal peccato, fortificata dalla riconciliazione con Dio, con il prossimo e con la creazione, permette ai cristiani di trovare la vera comunione con il loro Creatore, che è diventato il loro Salvatore. In questa comunione essi realizzano le loro potenzialità latenti. Per quanto grandi, i poteri intellettivi e creativi della natura umana non possono realizzare quel compimento reso possibile dalla comunione con Dio. La comunione con la persona del Redentore diventa comunione con il Corpo di Cristo, ovvero comunione di tutti i battezzati in Cristo. La redenzione ha dunque un carattere sociale: è nella e attraverso la Chiesa, il Corpo di Cristo, che il singolo viene salvato e trova la comunione con Dio.

59. Unito ai credenti battezzati di ogni tempo e luogo, il cristiano vive nella comunione dei santi, che è una comunione di persone santificate (sancti) attraverso la ricezione di cose sacre (sancta): la parola di Dio e i sacramenti della presenza e azione di Cristo e dello Spirito Santo.


6. La lotta e la sofferenza

60. Tutti coloro che vivono in Cristo sono chiamati a diventare attivi partecipanti nel processo continuo della redenzione. Incorporati nel Corpo di Cristo, essi continuano la sua opera e perciò entrano in una più stretta unione con lui. Proprio come Egli è stato segno di contraddizione, nello stesso modo il singolo cristiano e Finterà Chiesa diventano segni di contraddizione nella loro lotta contro le forze del peccato e della distruzione, tra sofferenze e tentazioni. I fedeli sono uniti al Signore grazie alle loro preghiere189, le loro opere190 e le loro sofferenze191, le quali hanno tutte un valore redentore quando sono unite e assunte nell'azione di Cristo stesso. Poiché ogni azione umana meritoria è ispirata e guidata dalla grazia divina, Agostino poteva affermare che Dio vuole che i suoi doni diventino i nostri meriti192.

61. La comunione dei santi comporta uno scambio di sofferenze, onori e gioie, preghiere e intercessioni, fra tutti i membri del Corpo di Cristo, compresi quelli che ci hanno preceduto nella gloria. «Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte»193.

62. Nella prospettiva della reciproca riconciliazione dei cristiani nel Corpo di Cristo, la sofferenza di ognuno è una partecipazione alla sofferenza redentrice di Cristo. Con la sofferenza al servizio del Vangelo, il cristiano completa nella sua carne «quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa»194.1 fedeli non fuggono la sofferenza, ma trovano in essa un mezzo efficace di unione con la croce di Cristo. Essa diventa per loro una intercessione tramite Cristo e la Chiesa. La redenzione comporta un'accettazione della sofferenza con il Crocifisso. Le tribolazioni esterne vengono alleviate dalla consolazione delle promesse di Dio e da un'anticipazione delle benedizioni eterne.


7. La solidarietà ecclesiale

63. La redenzione ha un aspetto ecclesiale in quanto la Chiesa venne istituita da Cristo «per perpetuare l'opera salvifica della redenzione»195. Cristo ha amato la Chiesa come sua sposa «e ha dato se stesso per lei, per renderla santa»196. Attraverso lo Spirito Santo, Cristo si fa presente nella Chiesa, la quale «di questo regno [di Dio] costituisce in terra il germe e l'inizio»197. Benché sfigurata dalla peccaminosità e dalle divisioni dei suoi membri, che spesso non riescono a riflettere il vero volto di Cristo198, la Chiesa rimane, nella sua realtà più profonda, il tempio santo di cui i fedeli sono «pietre vive»199. Essa cerca continuamente di purificarsi, in modo da apparire chiaramente come il «sacramento universale di salvezza»200, «segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano»201. La Chiesa ha il compito di proclamare il messaggio di salvezza e di attualizzare l'evento salvifico con la celebrazione sacramentale.

64. Le diverse tappe della redenzione si manifestano all'interno della Chiesa, dove devono essere conseguite la liberazione, la riconciliazione e la comunione già descritte. La vita nella Santa Chiesa, il corpo del Redentore, permette ai cristiani di raggiungere una guarigione progressiva della loro natura, ferita dal peccato. Nella solidarietà con i suoi compagni di fede, all'interno della Chiesa il cristiano sperimenta la progressiva liberazione da tutte le schiavitù alienanti e trova un'autentica comunione che sconfigge l'isolamento.

65. La vita di fede fortifica i cristiani, nella certezza che Dio ha perdonato i loro peccati e che essi hanno trovato comunione e pace gli uni con gli altri. La vita spirituale del singolo è arricchita dallo scambio di fede e di preghiera nella comunione dei santi.

66. Nella celebrazione dell'Eucaristia, il cristiano trova la pienezza della vita ecclesiale e la comunione con il Redentore. In questo sacramento i fedeli rendono grazie per i doni di Dio, si uniscono all'offerta che di sé ha fatto Gesù e partecipano al movimento salvifico della sua vita e morte. Nell'Eucaristia la comunità è liberata dal peso del peccato e rivivificata all'autentica fonte della sua esistenza. «Ogni volta che il sacrificio della croce, "col quale Cristo, nostro agnello pasquale, è stato immolato" (1Cor 5,7), viene celebrato sull'altare, si effettua l'opera della nostra redenzione»202. Partecipando all'Eucaristia, il singolo cristiano viene nutrito e trasformato nel Corpo di Cristo, essendo inserito più profondamente nella comunione liberante della Chiesa.

67. La comunione eucaristica assicura il perdono dei peccati nel sangue di Cristo. In quanto medicina d'immortalità, questo sacramento elimina gli effetti del peccato e comunica la grazia di una vita più elevata203.

68. L'Eucaristia come sacrificio e comunione è un'anticipazione del regno di Dio e della felicità della vita eterna. Questa gioia si esprime nella liturgia eucaristica, che rende il cristiano capace di vivere, a livello del memoriale sacramentale, i misteri del Redentore, che libera, perdona e unisce i membri della Chiesa.


8. Santificazione

69. Libero dal peccato, riconciliato e in comunione con Dio e con la Chiesa, il fedele sperimenta un processo di santificazione che comincia con il Battesimo nella morte al peccato e in una nuova vita con il Cristo risorto. Ascoltando la parola di Dio e partecipando ai sacramenti e alla vita della Chiesa, il cristiano viene gradualmente trasformato secondo la volontà di Dio e configurato all'immagine di Cristo per portare i frutti dello Spirito.

70. La santificazione è una condivisione della santità di Dio, il quale, tramite la grazia ricevuta nella fede, modifica progressivamente l'esistenza umana per conformarla al modello di Cristo. Questa trasfigurazione può subire alti e bassi a seconda che la persona obbedisca ai suggerimenti dello Spirito o si sottometta di nuovo alle seduzioni del peccato. Anche dopo il peccato, il cristiano è risollevato di nuovo dalla grazia dei sacramenti e guidato a progredire nella santificazione.

71. Tutta la vita cristiana è contenuta e ricapitolata nella carità, amore disinteressato per Dio e per il prossimo. San Paolo chiama la carità «frutto dello Spirito»204 e poi indica le molte implicazioni di questa carità, sia nel suo elenco dei frutti dello Spirito Santo205 sia nel suo inno alla carità206.


9. Società e cosmo

72. La redenzione ha effetti che si estendono al di là della vita interiore e delle reciproche relazioni dei cristiani nella Chiesa. Essa dispiega la sua influenza all'esterno in quanto la grazia di Cristo tende ad alleviare tutto ciò che porta al conflitto, all'ingiustizia e all'oppressione, contribuendo in questo modo a quella che Papa Paolo VI definiva una «civiltà dell'a more». Le «strutture di peccato» erette dall'avidità del profitto e del potere personale non possono essere sconfitte se non dall'«impegno per il bene del prossimo. Con la disponibilità, in senso evangelico, a "perdersi" a favore dell'altro»207. L'amore disinteressato di Cristo, trasformando la vita dei credenti, rompe il circolo vizioso della violenza umana. L'amicizia autentica stabilisce un clima favorevole alla pace e alla giustizia, contribuendo così alla redenzione della società.

73. Rimane comunque vero che, come molti Papi hanno ammonito, la redenzione non può limitarsi alla liberazione dell'ordine sociopolitico208. I «casi di peccato sociale sono il frutto, l'accumulazione e la concentrazione di molti peccati personali»209. I cambiamenti nelle strutture sociali, se migliorano il destino dei poveri, non possono di per se stessi sconfiggere il peccato o infondere la santità, che si trova nel cuore del disegno redentore di Dio ed è anche, in un certo senso, il suo scopo210. Viceversa, le persone che soffrono la povertà e l'oppressione, mali che non furono risparmiati a Cristo stesso, possono ricevere abbondantemente la grazia redentrice di Dio ed essere annoverate tra i poveri che Cristo chiama beati211.

74. La redenzione ha un aspetto cosmico, perché Dio si compiace in Cristo di «riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli»212. Paolo può parlare di tutta la creazione che «geme e soffre [...] nelle doglie del parto» e di tutti noi che «gemiamo interiormente» mentre attendiamo una redenzione che ci farà entrare «nella libertà della gloria dei figli di Dio»213. Il libro dell'Apocalisse, seguendo Isaia, parla di «nuovi cieli e nuova terra» come risultato finale della redenzione214. La Chiesa nella liturgia del Venerdì Santo canta di cieli e mari che vengono purificati dal sangue di Cristo (terra, pontus, astra, mundus, / quo lavantur flumine)215.


10. Prospettive escatologiche

75. La ricezione della redenzione nella vita presente è frammentaria e incompleta. Noi «possediamo le primizie dello Spirito», ma ancora gemiamo con tutta la creazione «aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo? Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza»216.

76. Anche se i fedeli cristiani ricevono il perdono dei peccati e l'infusione della grazia, affinché il peccato non regni più su di loro217, le loro tendenze peccaminose non sono completamente sconfitte. I segni del peccato, comprese la sofferenza e la morte, rimarranno sino alla fine dei tempi. Coloro che conformano la propria vita a Cristo nella fede hanno la certezza che, attraverso la propria morte, otterranno una partecipazione definitiva alla vittoria del Salvatore risorto.

77. I cristiani devono combattere costantemente il male e la sofferenza presenti in tante forme nel mondo e nella società, con la promozione della giustizia, della pace e dell'amore, nello sforzo di assicurare la felicità e il benessere di tutti.

78. La redenzione giungerà a compimento solo quando Cristo ritornerà per stabilire il suo regno definitivo. Allora egli presenterà al Padre i frutti della sua lunga battaglia. Coloro che saranno beati in cielo condivideranno la gloria della nuova creazione. La presenza divina permeerà tutta la realtà creata; tutte le cose brilleranno con lo splendore dell'Eterno, così che «Dio sia tutto in tutti»218.



[*] Lo studio della teologia della redenzione è stato proposto ai membri della Commissione Teologica Internazionale da Sua Santità Papa Giovanni Paolo II nel 1992. Per preparare questo studio venne formata una Sottocommissione composta dal prof. Jan Ambaum, dal prof. Joseph Doré, dal prof. Avery Dulles, dal prof. Joachim Gnilka, dal prof. Sebastian Karotemprel, da mons. Miceál Ledwith (presidente), dal prof. Francis Moloney, da mons. Max Thurian e dal prof. Ladislaus Vanyo. Le discussioni generali su questo tema si sono svolte in numerosi incontri della Sottocommissione e durante le sessioni plenarie della stessa Commissione Teologica Internazionale, tenutesi a Roma rispettivamente nel 1992, 1993 e 1994. Il presente testo è stato approvato in forma specifica, con il voto della Commissione, il 29 novembre 1994, ed è stato poi sottoposto al suo presidente, S.Em. il Card. Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il quale ha dato la sua approvazione per la pubblicazione.
La Commissione Teologica Internazionale non si propone di offrire nuovi elementi teologici ma piuttosto, fornendo in questa sede una sintesi degli approcci teologici contemporanei, di offrire un sicuro punto di riferimento per la discussione e l'approfondimento futuri su questo argomento.
Il testo italiano qui riportato (con alcune varianti redazionali) si trova in CivCatt 146 (1995), IV, 551-599.

Gn 1, 31.
2 Cf. fides quaerens intellectum.
Cf. 2Cor 10, 5.
2 Ts 2, 7.
5 Cf. il giardino (genna) della suprema beatitudine.
Cf. Gv 2, 25.
Fil 4, 7.
Cf., per es. Gn 1-11; Mc 13, 1-37; Ap 22, 20.
Rm 8, 23.
10 Agostino d'Ippona, Confessiones, 1, 1.
11 Cf. Es 21, 2-7; Dt 25, 7-10.
12 Cf. Dt 25.
13 Gf. Lv 25; Nm 35, 9-34.
14 Cf. Es 21, 2; Lv25; Ger 34, 8-22; Dt 15, 9-10.
15 Cf. Es 21, 29-30 (ebraico: kofer, greco: lytron).
16 Cf. Gn 37, 26-27; 44, 33-34.
17 Cf. Gn 32, 21.
18 Cf. Lv 17, 10.12.
19 Cf. Lv 17, 11.
20 Cf. Es 32, 7-14.30-34; 33, 12-17; 34, 8-9; Nm 14, 10-19; Dt 9, 18-19; Am 7; Ger 15, 1; Is 53, 12; 2Mac 15, 12-16.
21 Es 1-15.
22 Cf. specialmente Est 14, 3-19.
23 Cf., per es., Sal 74, 2; 77, 16.
24 Cf., per es., Sal 103, 4; 106, 10; 107; 111, 9; 130, 7.
25 Cf. Mc 1, 5.
26 Cf. Lc 15.
27 Cf. Mc 14, 36.
28 Cf. Mc 8, 31; 9, 31; 10, 32-34.
29 Cf. Mc 1, 16-20.
30 Cf. Mc 2, 15-17; 14, 17-31; Lc 5, 29-38; 7, 31-35.36-50; 11, 37-54; 14, 1-24; 19, 1-10.
31 Cf. Mc 2, 15-17; Lc 5, 27-32; 15, 2; 19, 7.
32 Mc 11, 15-19; Mt 21, 12-13; Lc 19, 45-48; Gv 2, 13-22.
33 Cf. Mc 14, 17-51; Mt 26, 20-35; Lc 22, 14-34.
34 Cf. Gv 19, 30: consummatum est!
35 Cf. Gv 3, 16.
36 Cf. Gv 3, 14; 8, 28; 12, 32-33.
37 Cf. Gv 11, 4; 12, 23; 13, 1; 17, 14.
38 Gv 15, 13.
39 Gv 19, 37.
40 Cf., per esempio, Gb 2, 4; Qo 9, 4; Is 58, 18; Sal 6, 5; 16, 10-11; 73, 27-28.
41 Cf. Dn; Sap.
42 Cf. Mt 22, 31-52.
43 Cf. 1Cor 1, 22-25.
44 Cf. 4Mac.
45 Cf. Es 24; Mt 26, 27-28; lCor 11, 23-26; Eb 9, 18-21.
46 Cf. Eb 9, 22.
47 Ephapax: cf. Rm 6, 10; Eb 7, 27; 9, 12; 10, 10.
48 Cf. Rm 5, 8-10.
49 Rm 3, 24-25.
50 Cf. Sal 2, 8.
51 Cf. Rm 5, 13-18; Fil 2, 8; cf. anche Eb 10, 5.
52 Cf. anche 1Pt 1, 18-20.
53 Cf. Mt 1, 21; 3, 17; 4, 1-10; Lc 1, 35; 4, 14.18; Gv 1, 32.
54 Cf. Lc 23, 46.
55 Eb 9, 14.
56 Cf. Rm 8, 15; Gal 4, 6.
57 Gv 19, 30: Paredoken to pneuma.
58 Eb 5, 8-10.
59 Cf. Gn 1, 26-27.
60 Cf. Col 1, 15.
61 Cf. Rm 6, 5-11; Eb 9, 11-12; 10, 10.
62 Cf. Rm 5, 12-21.
63 Cf. Rm 6, 1-21.
64 Rm 7, 1-6.
65 Rm 7, 7-25.
66 Rm 8, 1-13.
67 Cf. Rm 6, 10-11.
68 Cf. Rm, specialmente 15-17.
69 Cf. Gal 3, 28.
70 Cf. 1Cor 13; Gal 5, 22-26.
71 Ef 2, 14.
72 Rm 5, 1.
73 Rm 7, 24.
74 Rm 7, 25a.
75 Col 1, 15-20.
76 Cf. Rm 8, 18-23.
77 Eb 4, 11.
78 Eb 2, 10.
79 Cf. Eb 3, 5-6.
80 Eb 7, 1-28.
81 Eb 2, 10-15.
82 Eb 9, 24; 7, 25.
83 Rm 8, 24-25.
84 Ap 21, 3-5.
85 Cf. 2 Cor 1, 22; 5, 5; Ef 1, 13-14.
86 Ap 22, 20.
87 Cf. Rm 5, 12.
88 Ignazio di Antiochia, Ad Ephesios, 7, 2.
89 Clemente Romano, Ad Corinthios, 59, 4.
90 Ad Diognetum, 9, 6.
91 Origene, Contra Celsum, 2, 97 [PG 11, 902b-c].
92 Giustino, Apologia, 5-6, 6.
93 Atenagora, Supplicatio pro Christianis, 25, 3, 3-4.
94 Giustino, Dialogus cum Tryphone, 30, 3.
95 Ireneo di Lione, Adversus haereses, 5, 1, 1.
96 Ireneo di Lione, Adversus haereses, 5, Introduzione: uti nos perficeret esse quod est ipse.
97 Ireneo di Lione, Adversus haereses, 1, 2, 1; 3, 17, 6.
98 Ireneo di Lione, Adversus haereses, 5, 7, 2.
99 Atanasio, De Incarnatione Verbi, 7.
100 Atanasio, Orationes contra Arianos, 2, 68-69 [PG 26, 292 A.296 A].
101 Gregorio di Nazianzo, Orationes, 38, 13 [PG 37, 325 AB]; Id., Epistula 101, [PG 37, 117 C].
102 Gregorio di Nazianzo, Orationes, 30, 21 [PG 36, 132 B].
103 Gregorio di Nazianzo, Orationes, 12, 4 [PG 35, 148 B]; 30, 6 [PG 36, 109 C].
104 Gregorio di Nazianzo, Orationes, 12, 4 [PG 35, 848 ABC].
105 Gregorio di Nissa, Adversus Apollinarem, 3, 1.
106 Agostino d’Ippona, Johannis Evangelium, 124, 123 [CCSL 678].
107 Cf., per es., De incarnationis dominicae sacramentoDe mysteriisDe sacramentisDe paenitentiaDe sacramento regenerationis sive de philosophia.
108 Agostino d’Ippona, De gratia Christi et de peccato originali, 25 [PL 44, 399].
109 Agostino d’Ippona, De natura et gratia, 23, 5; 30, 34 [PL 44, 259 e 263]; Id., De Trinitate, 14, 15, 21 [PL 42, 1051-1053].
110 Agostino d’Ippona, Enchiridion, 10, 33 [PL 40, 248 s.].
111 Latino: figura; greco: heterosis.
112 Cf. Agostino d’Ippona, Enchiridion, 10, 13; 13, 41 [PL 40, 248 s. e 253].
113 Cf. Agostino d’Ippona, De Trinitane, 14, 18-19 [PL 42, 1049-1051].
114 Anselmo d'Aosta, Cur Deus homo, 2, 18 a.
115 Anselmo d'Aosta, Cur Deus homo, 2, 18 b.
116 Pietro Abelardo, Sermo 9 [PL 178, 447].
117 Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, III, 14, 1; cf. Suppl., 14, 2.
118 Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, III, 48, 2.
119 Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, III, 46, 1.
120 Commissione Teologica Internazionale, Alcune questioni riguardanti la cristologia, 1979, 4, 4, 6.
121 M. Luther, Auslegung der Galaterbrief (1535) [WA 40/1, 434, 7-9].
122 WA 40/1, 433, 26-29.
123 WA 40/1, 435, 17-19.
124 WA 40/1, 434, 7-9.
125 J. Calvinus, Institutio Christianae Religionis (1560), 11, 16, 6.
126 J. Calvinus, Institutio, 11, 16, 5.
127 J. Calvinus, Institutio, 11, 16, 10.
128 H. Grotius, Defensio fidei catholicae de satisfactione Christi (1671); cf. B. Sesboüé, Jésus-Christ l'unique médiateur, I, Desclée, Paris 1988, 71.
129 Concilio di Trento (Sessione 6), 7.
130 Concilio di Trento (Sessione 6), can. 11.
131 A. Ritschl, Die christliche Lehre von der Rechtfertigung und Versöhnung (1874).
132 F. Schleiermacher, La dottrina della fede esposta sistematicamente secondo i principi fondamentali della Chiesa evangelica, 101 [Opere scelte III (3)], Paideia, Brescia 1985, 200; orig. tedesco, Der christliche Glaube nach der Grundsatzen der evangelischen Kirche im Zusammenhang dargestellt (1821-22).
133 R. Bultmann, Nuovo Testamento e mitologia. Il manifesto della demitizzazione, Queriniana, Brescia 19702, 162. Il brano citato è tratto dal saggio Zum Problem der Entmythologisierung, in Id., Kerygma und Mythos, Hamburg, 1952.
134 P. Tillich, Systematic Theology, II, 176.
135 P. Tillich, Systematic Theology, II, 176.
136 La dottrina della redenzione nella teologia della liberazione può essere studiata in opere come G. Gutierrez, Teología de la liberación (1971), L. Boff, Jesús Cristo libertador (1972) e J. Sobrino, Cristología desde América Latina (1976).
137 K. Rahner, Corso fondamentale sulla fede, Edizioni Paoline, Alba 1977, 254 s.
138 K. Rahner, Corso, 364.
139 K. Rahner, Corso, 364.
140 A. Pieris, «The Place of Non-Christian Religions and Cultures in the Evolution of Third World Theology», in Irruption of the Third World: Challenge to Theology, ed. V. Fabella - S. Torres, Orbis Books, Maryknoll (NY) 1983, 133.
141 P.F. Knitter, «Toward a Liberation Theology of Religions», in The Myth of Christian Uniqueness: Toward a Pluralistic Theology of Religions, ed. J. Hick - P.F. Knitter, Maryknoll (NY) 1987, 178-200, qui 187; trad. italiana, L'unicità cristiana: un mito?, Cittadella, Assisi 1994.
142 Cf. supra 1.
143 Molti di questi temi sono esemplificati nelle opere di M. Fox, specialmente nel suo Original Blessing: a Primer in Creation Spirituality, Bear & Co., Santa Fe 1983; ed. ampliata, 1990.
144 Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 603.
145 Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, III, 1, 2.
146 I legami tra le missioni del Figlio e dello Spirito Santo nel mistero della redenzione sono esaminati da Giovanni Paolo II, in Dominum et vivificantem, Lettera enciclica sullo Spirito Santo nella vita della Chiesa e del mondo (18 maggio 1986), specialmente ai nn. 11; 14; 24; 28; 63.
147 Gregorio Magno, Moralia in Job, 1, 6, 4; cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 795 per ulteriori riferimenti.
148 Cit. in Catechismo della Chiesa Cattolica, 521; per l'intera questione cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, 512-570.
149 Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, Lettera enciclica d’inizio del ministero pontificale (4 marzo 1979), 13, 3.
150 Gv 12, 32.
151 At 2, 42.
152 Cf. Gv 16, 13-15.
153 Cf. Sacrosanctum Concilium, 102-104.
154 Cf. Col 1, 24.
155 Lumen gentium, 8.
156 Giovanni Paolo II, Redemptoris Mater, Lettera enciclica sulla Beata Vergine Maria sulla vita della Chiesa in cammino (25 marzo 1987), 40.
157 Cf. Mc 14, 24; 10, 45; Commissione Teologica Internazionale, Temi scelti di ecclesiologia, 1984, 2.
158 Eb; Preghiere Eucaristiche.
159 Cf. Rm 8, 15-17.
160 Rm 5, 8.
161 Rm 8, 31-32.
162 Is 43, 4.
163 Gal 3, 22.
164 Ef 3, 18.
165 Rm 5, 12.
166 Rm ,12-15 e 1Cor 15, 21-22; 45-47.
167 CCC, 412, che cita Rm 5, 20 e Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, III, 1, 3.
168 Eb 2, 17.
169 Eb 4,15.
170 Cf. supra 3.
171 Gaudium et spes, 22; cf. Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, 8; 13 e passim.
172 Gaudium et spes, 22; cf. Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, Lettera enciclica circa alcune questioni fondamentali dell’insegnamento morale della Chiesa (6 agosto 1993), 2.
173 Gal 2, 20.
174 Lumen gentium, 16.
175 Gaudium et spes, 22.
176 Rm 4, 1-25.
177 Concilio di Trento (Sessione 6), 8 [DenzH, 1532].
178 Rm 16, 26; cf. Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, 66; 88.
179 cf. Concilio di Trento (Sessione 6), 7-9 [DenzH, 1530-1534].
180 Rm 6, 4.
181 DH, 1; cf. 10.
182 Concilio di Trento (Sessione 6), 7 [DenzH, 1528-1531].
183 Rm 8, 23.
184 Rm 5, 5; cf. Gaudium et spes, 22.
185 Concilio di Trento (Sessione 6), 7-10 [DenzH, 1530-1535].
186 Concilio di Trento (Sessione 6), 11 [DenzH, 1536].
187 2Cor 5, 17-20.
188 Cf. Mt 5, 24.
189 2Cor 1, 11; 1Tm 2, 1-4.
190 1Cor 3, 9-14.
191 Cf.2Cor 4, 10-11; Col 1, 2.4.
192 Agostino d'Ippona, De Gratia et libero arbitrio, 8 [PL 44, 893]; cf. Concilio di Trento (Sessione 6), 16 [DenzH, 1548].
193 1Cor 12, 26-27.
194 Col 1, 24.
195 Concilio Vaticano I, Pastor aetemus, Costituzione dogmatica sulla Chiesa (18 luglio 1870) [DenzH, 3050].
196 Ef 5, 25-26.
197 Lumen gentium, 5.
198 Gaudium et spes, 19.
199 1 Pt 2, 5; cf. Lumen gentium, 6.
200 Lumen gentium, 48.
201 Lumen gentium, 1.
202 Lumen gentium, 3.
203 Ignazio di Antiochia, Ad Ephesios, 2.
204 Gal 5, 22.
205 Gal 5, 22-23.
206 1Cor 13, 4-7.
207 Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, Lettera enciclica nel XX anniversario dellaPopulorum progressio (30 dicembre 1987), 38.
208 Paolo VI, Evangelii nuntiandi, Lettera apostolica sull'evangelizzazione del mondo contemporaneo (8 dicembre 1975), 32-35.
209 Giovanni Paolo II, Reconciliatio et paenitentia, Esortazione apostolica circa la riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa oggi (2 dicembre 1984), 16.
219 Cf. 1Ts 4, 3; Ef 1, 4.
211 Mt 5, 3.
212 Col 1, 20.
213 Rm 8, 21-23.
214 Ap 21, 1; cf. Is 65, 17; 66, 22.
215 Pange lingua.
216 Rm 8, 23-25.
217 Rm 5, 21; cf. 8, 2.
218 1Cor 15, 28.
  


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