L’Assunzione al Cielo di Maria è il mistero della Pasqua di Cristo
pienamente realizzato in Lei.
Ella è intimamente unita al suo Figlio risorto,
vincitore del peccato e della morte,
pienamente conformata a Lui.
Ma l’Assunzione è una realtà che tocca anche noi,
perché ci indica in modo luminoso il nostro destino,
quello dell’umanità e della storia.
In Maria, infatti, contempliamo quella realtà di gloria
a cui è chiamato ciascuno di noi e tutta la Chiesa.
Benedetto XVI, Angelus, 15 agosto 2012
Dal Vangelo secondo Luca 1,39-56
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.
Il commento
Maria è l’immagine
della storia di salvezza che Dio ha preparato per ogni uomo, lo specchio fedele di quello che ci accade
ogni giorno: in noi è già seminato ed è vivo il miracolo della vita
eterna, ma le nostre forze non hanno
ancora potuto darlo alla luce.
Sentiamo dentro
l'amore di Dio, come una donna incinta che vive ogni cosa in modo particolare, afferrata
da una presenza misteriosa che le appartiene e, allo stesso tempo, le sfugge.
Intuiamo d’essere fatti per qualcosa che non si
corrompa, che non resti impigliato nei ricordi e nei rimpianti. Ma, come per Elisabetta, abbiamo
bisogno d'una visita che ci “colmi di Spirito Santo”, perché il miracolo di
Grazia “sussulti nel grembo”. Abbiamo bisogno di Maria.
Non vi è
altro motivo che l’amore gratuito e infinito di Dio, a spingere Maria, immagine
della Chiesa, a “venire da noi” per annunciarci e donarci suo Figlio. Il suo “saluto”
che risuona dove si cela il seme di eternità, è l'annuncio del Vangelo che
desta la vita in un’ “esultanza” di gioia: Dio s'è fatto carne nella nostra
carne per fare santa la nostra vita.
“Shalom”
annuncia Maria ad Elisabetta, come una profezia delle parole del Figlio risorto.
“Pace” ci annuncia la Chiesa, come un’eco della vittoria di Cristo, laddove il
mondo ode invece una dichiarazione di guerra, e arma l'ira, la ribellione,
l'indignazione, i conati di chi sente defraudato dalle ingiustizie.
Dove i
giudei hanno visto solo una donna rimasta incinta prima di sposarsi, e in Gesù
solo carne e sangue uguali a quelli di tutti, Dio svelava il Mistero che ci
avrebbe salvato: in Maria Egli gestava la carne di Gesù che avrebbe reso divina
ogni carne. Per questo la storia ci dice “Pace!”: nella carne è disceso Dio, e
tutto è ormai parte di un Cielo che non abbiamo ancora visto ma che possiamo
cominciare a sperimentare.
Tutto di Maria era, da sempre, per
il suo Figlio, e così tutto di Lui è stato per Lei. Maria ha offerto tutta se stessa
per dare la vita terrena al suo Figlio, ed Egli ha donato a Lei la Vita
immortale.
“Questo è il nucleo della nostra fede
nell’Assunzione: noi crediamo che Maria, come Cristo suo Figlio, ha già vinto
la morte e trionfa già nella gloria celeste nella totalità del suo essere, in
anima e corpo” (Benedetto XVI). Ma non si tratta di un dogma solo perché proclamato da Pio
XII il 1 novembre del 1950. In quel giorno il Papa ha sigillato la fede e l’esperienza
viva e incontrovertibile della Chiesa.
Essa crede e annuncia ciò che
sperimenta quotidianamente: Cristo è risorto ed è asceso al Cielo e da lì ha
donato alla Chiesa il suo Spirito. Da quel giorno la vita della Chiesa, come il corpo e l’anima di Maria, è “assunta”
in Cielo: pur camminando nella storia essa vive la vita di Cristo.
I passi veloci della Figlia di Sion sul crinale
delle montagne di Giuda sono, da allora, i passi urgenti degli apostoli di ogni
tempo che annunciano il Vangelo; ma sono anche i "passi" degli eventi e
delle persone che, guardati con gli occhi di fede di Maria, ogni giorno ci abbracciano
in un saluto che rivela l’autentico progetto di Dio: "Io so i pensieri
che medito per voi, pensieri di pace e non di male, per darvi un avvenire e una
speranza" (Ger. 29,11).
Per esperienza
i cristiani, nella moglie, nel marito, nei figli e colleghi, anche quando si
fanno nemici e tolgono la vita, sanno discernere l’ “avvenire” celeste che li
attende; con ferma “speranza” possono allora consegnarsi alla croce e alla
morte del proprio “io” che l’amore suppone, nella certezza che, proprio dove il
mondo non può resistere e divorzia, abortisce, trascina in tribunale e scatena guerre,
vi è deposta la Vita che non muore.
La fede
di Maria, infatti, attesta che in loro accadrà quello che Lei ha sperimentato:
la “beatitudine” per aver creduto alla predicazione; la “benedizione” tra tutte
le donne e gli uomini per la fede che vince il mondo; la “benedizione” di
vivere per Gesù, il “frutto del loro grembo”; donando la propria carne a Lui nell’amore,
la vedranno trasfigurata e incorruttibile in Cielo, del quale sono una primizia
i momenti più difficili, i roveti ardenti
nei quali vivono, come Maria, senza che il fuoco delle passioni li consumi.
Così anche noi siamo chiamati ad annunciare che il
Cielo esiste: attraverso la debolezza della nostra carne, evidente nella
scontrosità del carattere, nelle nevrosi e nelle insicurezze, anche nelle
ferite inferte dai peccati e trasfigurate dal sangue di Cristo, dalle quali la sua luce filtra e illumina i luoghi
e i tempi della nostra vita.
Essa non attende futuri che non si realizzeranno
mai - società civili senza macchia, con politici onesti, giudici giusti, banche
solidali, famiglie senza tensioni - perché ha già conosciuto il riscatto dalla
tirannia della superbia. Il Cielo, infatti, si affaccia sulla terra in coloro
che, nella Chiesa, imparano a vivere come Maria, umile perché felice della sua
realtà, l’unica possibile dove Dio compie
l’impossibile.
Maria è nostra
Madre e i nostri occhi assomigliano ai suoi, disegnati per vedere Dio in ogni
istante; siamo chiamati, nel “timore” di perdere il suo amore, a “magnificare
il Signore e Salvatore”, cantando la “misericordia” di Dio che “si stende di
generazione in generazione” e non esclude nessuno.
La sua misericordia,
infatti, permette i fallimenti umani che ci ridimensionano, per “disperdere”
così “i pensieri superbi” annidati nei nostri cuori; attraverso una malattia o
qualsiasi precarietà, il suo amore ci “rimanda a mani vuote” ogni volta che le
riempiamo di idoli per farci “ricchi” di illusioni; solo così può “ricolmare di
beni” incorruttibili la nostra fame di assoluto; anche oggi ci “rovescerà dai
troni” che abbiamo costruito al lavoro, tra gli amici e in famiglia, per “innalzare”
quanto di noi è “umile” e autentico, le debolezze che, come “Israele suo servo”,
ci fanno forti con Lui (è il significato del nome Israele) perché “soccorsi” dalla sua fedeltà.
Con Maria siamo per il mondo il compimento della “promessa
fatta ad Abramo e ai Padri”, la Vita “per sempre” offerta gratuitamente ad ogni
uomo: "Dio non ci abbandona neppure nella e oltre la morte, ma ha un posto per noi… in Dio non sopravvive soltanto un’«ombra» di noi stessi… Dio conosce ed ama tutto l’uomo, ciò che noi siamo, e accoglie nella Sua eternità ciò che ora, nella nostra vita, fatta di sofferenza e amore, di speranza, di gioia e di tristezza, cresce e diviene… Il Cristianesimo non annuncia solo una qualche salvezza dell’anima in un impreciso al di là, nel quale tutto ciò che in questo mondo ci è stato prezioso e caro verrebbe cancellato, ma promette la vita eterna: niente di ciò che ci è prezioso e caro andrà in rovina, ma troverà pienezza in Dio” (Benedetto XVI).
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