La guarigione completa e radicale è la "salvezza".
In verità, la lebbra che realmente deturpa l'uomo e la società è il peccato;
sono l'orgoglio e l'egoismo che generano
nell'animo umano indifferenza, odio e violenza.
Questa lebbra dello spirito, che sfigura il volto dell'umanità,
nessuno può guarirla se non Dio, che è Amore.
Aprendo il cuore a Dio,
la persona che si converte viene sanata interiormente dal male.
Benedetto XVI
Dal Vangelo secondo Luca 17,11-19
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
Il commento
In "dieci lebbrosi" si fanno incontro a Gesù, il
numero minimo di adulti necessari per il servizio della sinagoga, immagine di
ogni comunità cristiana. Tutti "gridano" ad una sola voce
riconoscendo in Gesù un "maestro", un "epistatès" - "colui
che sta in alto" - nella speranza che si chini su di loro per guarirli.
Così anche noi, quando sono
apparse le pustole sulla pelle del matrimonio, dell'amicizia,
del lavoro, abbiamo cominciato a frequentare con più assiduità la Chiesa,
implorando Gesù di "avere pietà di noi" e di guarirci. E Lui,
prontamente, ci ha accolti, senza distinzioni e preferenze. Ma a modo suo,
senza guarirci immediatamente; come con i dieci lebbrosi, ci ha messo in cammino con
un annuncio che è insieme profezia e compimento: "Andate a presentarvi ai
sacerdoti". Il Levitico, infatti, prescriveva che se il lebbroso fosse
stato sanato, doveva andare a mostrarsi ai sacerdoti perché ne certificassero
la guarigione riammettendolo così alla vita e al culto del popolo.
Pieni di speranza, abbiamo obbedito alla Buona Notizia che ci
annunciava la guarigione, e ci siamo incamminati verso Gerusalemme. Conoscendo
l'estrema vulnerabilità e incostanza del cuore dell'uomo, con amore il Signore
ha preparato per noi un lungo e serio percorso di conversione; esso
è immagine del catecumenato della Chiesa primitiva, l’iniziazione
cristiana senza la quale il battesimo resta allo stato infantile.
E, come i dieci lebbrosi “furono purificati mentre andavano”,
anche noi, proprio durante il
cammino di conversione, siamo stati risanati. Il matrimonio ha cominciato a
funzionare, ci sono stati donati dei figli, abbiamo imparato ad accettare la
suocera e il genero. Anche il rapporto con i soldi è cambiato. Insomma, quelle
pustole sono scomparse. Ma può
non bastare. Anzi, per nove su dieci – una percentuale altissima –
non è bastato. Sicuramente si sono accorti di essere guariti, ma è mancata loro
una cosa, fondamentale e decisiva.
Tanti “vanno incontro a Gesù”, tutti lebbrosi. Tanti lo pregano
e gli obbediscono, nella speranza di essere guariti. Ma non è ancora la “fede
che salva”. Non
basta essere "guariti", perché una vita “senza malattie” non è ancora
quella che Dio ha pensato per noi! Occorre "vedere"
i propri peccati con gli occhi nuovi della “fede”; e scoprire di essere stati
“graziati” e sanati all’origine, dove è nato e si è sviluppato il bacillo
maligno; solo così si potrà essere "salvati", che significa essere
perdonati e strappati alle conseguenze mortali dei peccati e colmati della vita
divina.
“Guarigione” e “salvezza”, infatti, non coincidono
automaticamente. I nove lebbrosi non hanno compreso l’amore che li aveva
raggiunti; come moltissimi di noi, erano così presi da se stessi e
dall’ingiustizia che avevano sofferto, da non essere capaci di stupirsi
“vedendosi risanati”. Paradossalmente non si sono accorti di essere guariti!
non perché non avessero visto scomparire le pustole dalla pelle, ma perché, per
loro, non era necessaria la "salvezza" dalla morte causata
dal peccato! Come molti di noi, che crediamo di aver bisogno solo
di una ritoccatina di chirurgia plastica, più o meno profonda, ma certo non un
trapianto di cuore... Non si accorgono di essere stati guariti perché
scambiano la misericordia crocifissa con una pomatina. Non
credevano di essere morti davvero, dentro, nel cuore corrotto e marcio; erano
le situazioni e le persone al loro esterno che gli avevano fatto contrarre la
lebbra. Le cause erano fuori di loro. Non si erano mai
accettati peccatori; anzi, si sentivano in credito con Dio e gli
uomini. Per questo tutto era loro dovuto, anche il miracolo, vissuto
probabilmente come un risarcimento che Dio era obbligato a pagare.
La "fede" autentica e adulta, invece, si manifesta
nella "gratitudine" dell'unico lebbroso illuminato dalla Grazia. Che
cos’aveva di diverso dagli altri? Perché proprio e solo lui? Perché è l’unico
che non ha nulla da difendere, neanche lo status di ebreo; era uno “straniero”,
un “samaritano”, un eretico. Era doppiamente escluso dalla comunità, come
lebbroso e come “samaritano”, non aveva alcuna speranza, non poteva bastargli
neanche la “guarigione”: una volta risanato, infatti, sarebbe comunque rimasto
emarginato, odiato e giudicato da tutti. Per questo l’esperienza della “pietà”
suscita in lui, naturalmente, il bisogno di “ringraziare” Gesù: è
come incapace di trattenere la conversione (“ritorno” in
ebraico);
“torna indietro
lodando Dio a gran voce” per incontrare Gesù, l’unico che non l’aveva escluso
per essere eretico, oltre che lebbroso. D0altronde, lui, samaritano, che
sarebbe andato fare a Gerusalemme? Non era quello che vi si trovava il Tempio
nel quale egli credeva si dovesse adorare Dio. Per gli altri nove, al
contrario, la “purificazione” era addirittura una possibilità codificata dalla
Legge, un passaggio obbligato perché tutto tornasse come prima. Una volta
ottenuta non dovevano far altro che quello che aveva detto loro Gesù.
Ecco dunque rivelato che cosa sia la conversione! E’ la
traduzione gioiosa della gratitudine per l’amore con il quale il Signore ci ha
guardati senza giudicarci, con un amore infinito. Non nasce da noi, ma dalla
misericordia sperimentata senza alcun merito. Un uomo che si converte loda Dio
con tutto se stesso. Diversamente, si tratterebbe di volgari imitazioni, occhi
smorti e pieni di malcelata mormorazione, quella di chi cerca, con sforzi e
impegno, di strappare da Dio quanto la carne desidera. La conversione ipocrita
dei farisei, che non pensano minimamente di averne bisogno...
L’unico lebbroso, invece, si “prostra” dinanzi a
Gesù, nella consapevolezza di essere un peccatore che non aveva alcun diritto.
Può celebrare con Cristo l' "eucarestia" (rendimento di grazie)
perché vive quello che essa significa e realizza, il sacrificio e la Pasqua di
Gesù. E’ ormai passato dalla schiavitù alla libertà, dal dover “restare a
distanza” al poter giungere sino “piedi di Gesù”, dalla supplica alla
"lode". Per caso, sono così le nostre assemblee domenicali? Sono
esplosioni di gioia e gratitudine che sgorgano da cuori contriti e stupiti? Si
sentono nei quartieri e nei paesi le grida di gioia che innalzano al cielo le
benedizioni che contestano, con amore e verità, le maledizioni vomitate da chi
non conosce il perdono? Forse no, forse sono riunioni di insoddisfatti, che,
mentre cantano il "sanctus" mormorano per l'affitto rincarato e il
carattere della suocera... Quanti riti vuoti anche se affollati di
impegnatissimi volontari. Quante liturgie di cristiani che si sforzano a
rimettere a posto quanto Dio non è stato capace di salvare...
In quest’unico lebbroso, invece, risplende
la novità della Chiesa; nel peggiore di tutti, indegno anche di stare tra
quei dieci... La Chiesa misericordiosa oltre ogni legge si rivela in chi
non ti aspetteresti mai, il peccatore che non osa venire avanti e si ferma
sempre nella penombra dell'ultimo banco. O in quello che, forse, neanche viene
a messa perché si sente indegno, e si infila in chiesa di nascosto, quando
nessuno lo vede, ad accendere un cero alla Vergine Maria, sperando in un
miracolo vero, qualcosa di soprannaturale perché la sua natura proprio non ce
la fa a "salvare" il suo matrimonio. Molti si scandalizzano di Papa
Francesco, dei suoi gesti e delle sue parole. Le ritengono sovversive, eretiche
e indegne di un pontefice, un eretico per alcuni... Un "samaritano",
proprio come dicevano a Gesù per tacciarlo di bestemmiatore, accusa che lo ha
condotto alla Croce... Purtroppo, come i nove lebbrosi che pure avevano
incontrato Gesù, da Lui erano stati risanati e a Lui avevano obbedito, molti
anche oggi nella Chiesa non hanno occhi “mistici” capaci di riconoscere
l’essenziale che trasfigura la guarigione in salvezza.
"E gli altri nove dove sono? " si chiede anche oggi
Gesù. In chiesa, sono a messa, in parrocchia a fare attività e catechismo,
nelle nostre comunità. Siamo noi, incapaci di arrenderci
alla misericordia perché, forse, non ne abbiamo mai sperimentato la dolcezza
infinita e immeritata. I "nove" non vanno a peccare, a
rubare o a ubriacarsi, a evadere le tasse o a prostitute. No, certamente
saranno arrivati al Tempio, alla messa delle 12; e, tra i sacrifici e gli
incensi, adempiono la Legge, fanno anche l'elemosina, ma non possono
passare alla Grazia. Resta in loro il lievito dell’uomo vecchio che cerca
nella Legge la “salvezza”; una volta guariti non hanno bisogno d’altro, la
Legge lo prevedeva, nessuno stupore dunque… Per loro anche la gratitudine si
realizzava nel rispetto esteriore delle regole, disattese poi mille volte
nell'intimo. Erano ciechi sulla propria totale debolezza, non pensavano neanche
lontanamente di non essere diversi da quel “samaritano” che, non a caso, era
con loro... Non si sentono i peggiori di tutti. Non hanno ancora
compreso che, se non hanno ucciso la moglie, è solo per la Grazia di Dio che li
ha protetti. E' scandaloso, ma è così... Per questo non si accorgono della vita
nuova che Dio ha deposto in loro, e rendono così vana la Croce di Cristo: non
cambia il loro cuore, anche se spariscono dalla pelle i segni della lebbra. Neanche
si chiedono chi fosse quel Maestro che li aveva guariti, non ne avevano bisogno;
così, anche se riammessi nella società dai sacerdoti, la "guarigione"
non gli sarebbe servita a nulla. Sarebbero tornati prima o poi alla loro
lebbra, perché il cuore si era chiuso alla "salvezza".
Per lo “straniero”, invece, il Tempio era lì, nuovo e
inaspettato, diverso anche da quello del Monte Garizim nel quale era abituato
ad adorare Dio. Il tempio era il corpo di Gesù che avvicinava Dio alla sua
lebbra; non occorreva più andare a Gerusalemme o al Garizim, perché il
Cielo s'era fatto misericordia viva in Cristo. In quel pezzo di mondo aperto
sul Cielo, uno solo riconosce in Gesù non solo il “Maestro” ma anche l'unico
Sacerdote che, dopo averlo "guarito", può certificare la
"salvezza" del suo cuore. La Chiesa, dunque, è proprio l’ ”ospedale
da campo” issato “lungo il cammino verso Gerusalemme”, dove la misericordia
incontra il peccato; i veri adoratori di Dio nascono, infatti, laddove “Gesù
passa” e si fa “straniero” sino a morire da eretico e bestemmiatore per loro.
Gesù e quel lebbroso e straniero risanato - tu e Cristo -
costituiscono la più bella cattedrale mai costruita: Gesù è il lebbroso e il lebbroso è
Cristo, questo è il mistero della Chiesa, inaudito e scandaloso.
Incarnazione e Mistero Pasquale costituiscono l'incontro tra Dio e ciascun
uomo, tra la santità e il peccato, per fare di ogni peccatore un santo. Ora,
"oggi", come accadde al ladrone crocifisso accanto a Gesù, e a questo
lebbroso, malato accanto a chi era fatto peccato per lui. Insieme, nelle
liturgie e nella vita, annunciano nella Chiesa che Dio è sceso a toccare i
peccatori e che questi, perdonati e rigenerati, possono davvero “alzarsi”,
risuscitare e salire al Cielo “rendendo Gloria a Dio”. Chi “si vede purificato”
nelle membra ritornate alla vita - la moglie che ha potuto perdonare il marito
che l'ha tradita, sapendo di che rancore era stata capace - ha la certezza che
il Signore si è fatto "straniero" per lei: in Lui ha conosciuto la
"salvezza" del suo cuore. Questo
sguardo di gratitudine e misericordia è la “fede che “salva” e invia in
missione!
Ogni vocazione, al presbiterato come alla vita religiosa o alla
famiglia, nasce dalla gratitudine cantata sui passi della conversione. Non
basta far parte della Chiesa per essere cristiano, un segno di Lui nel
mondo. Solo chi ha sperimentato la salvezza è per natura un suo
annunciatore e missionario. Per questo le vocazioni autentiche perché umili
sono così poche, in media una su nove… Tutti vivono nella stessa
comunità, tutti sono amati da Dio, ma non tutti sanno amare, che è la vocazione
di tutti. Dio ci chiama oggi ad aprire gli occhi sulla nostra vita e sul suo
amore; a prendere sul serio i segni di un’esistenza che, passo dopo passo, sta
ritornando ad essere la liturgia
di amore e di lode che il peccato aveva soffocato. In questa
esperienza profonda potremo “tornare” a Cristo, con gratitudine e lode, perché
ci invii nella missione che ha preparato per noi. E "prostrarci ai suoi
piedi", che non sono - solo - quelli dipinti in un'icona... Ma sono -
soprattutto - quelli della moglie e del marito, dei figli e dei colleghi, dei
nemici, icone vive di Cristo. E' nell'amore gratuito che sgorga in noi che
la "salvezza" si rivela come un
miracolo, non spiegabile scientificamente ma inconfutabile perché accaduto
realmente in una carne conosciuta da tutti come debole e impotente. Il resto
sono chiacchiere.... Sarà proprio il fratello, immagine di Gesù, a certificare
che siamo stati guariti e salvati dal peccato. L’amore per lui testimonierà l’opera
di Dio in noi. Coraggio dunque, perché siamo stati "salvati" davvero:
possiamo perdonare chi ci ha fatto del male ed essere riammessi al “culto” di
una vita nuova.
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