"Bisognava far festa"





Dove siamo? Dove abitiamo? La Quaresima ci invita a guardarci attorno e riconoscere che dove siamo oggi non è casa nostra. Anche se è con la tua famiglia, con i genitori, gli amici, in parrocchia. A casa nostra si è liberi, non si prova vergogna, si ama senza esigere ricompensa;  a casa non ci sono barriere, ci si parla senza timore d' essere giudicati. Non manca nulla di quello di cui abbiamo bisogno, ci si sazia e si gusta la pace. A casa è festa, e ciascuno giosce e gode per il bene dell'altro, senza invidie e gelosie. A casa c'è Papà che pensa a me, sempre,  e non sbaglia mai modo di amarmi. Dunque, siamo a casa nostra? Probabilmente in quella dove abitiamo, gli ambienti di ogni giorno, a scuola, a lavoro, in chiesa, stringiamo relazioni come cappi al collo degli altri, schiavi delle concupiscenze, incapaci di donarci. Abbiamo tagliato con Dio e ci ritroviamo a "pascolare i porci", lavoro tra i più impuri, immagine di una vita sporcata e gettata fuori dalla comunione. Proprio i luoghi dell'amore si sono trasformati in esili di frustrazioni e tristezza. Ci sforziamo per "saziarci" almeno "con le carrube che mangiano i porci", una parola, un complimento, un sorriso, e nulla, "nessuno ce ne dà". Abbiamo esaurito progressivamente l'eredità ricevuta, perdendo con essa l'identità, al punto di essere stranieri in casa. È qui l'origine degli scambi di ruoli tra moglie e marito, padre e madre, delle ribellioni dei figli, di quella costante insoddisfazione che trasforma le famiglie in tetre prigioni. Siamo morti, accettiamolo. Ma quello che a prima vista sembra un esito tragico e definitivo, si rivela il momento decisivo per i nostri cuori inquieti. La ricerca della felicità si infrange sulla stessa rivelazione cruda e amara della menzogna che aveva sedotto il figlio prodigo. La quaresima è un fascio di luce che illumina questa realtà, per condurci a ritrovare un brandello della dignità perduta, e ridestare la consapevolezza misteriosa di essere, comunque, figli di Dio, per sperare d'essere riaccolti. Questo tempo ci depone sulla soglia della conversione, per rientrare in noi stessi. La misericordia di Dio non ci ha mai abbandonati, era lì accanto a noi mentre peccavamo; non ci ha limitati, ha rispettato la nostra libertà, anche a costo di vederci precipitare nell'inferno. Come con il figlio minore della parabola, il Padre non ha smesso un istante di esserci padre, anche mentre il figlio aveva rifiutato di essere figlio; per quanto ci fossimo allontanati sfigurando la somiglianza con nostro padre, siamo comunque rimasti suoi figli: proprio perché liberi siamo figli, anche se abbiamo usato la libertà per farci e fare del male. Figlii liberi di un Padre libero. E' l'essenza del cristianesimo: nell'abisso del male provocato dalla perversione della libertà appare più fulgido l'immutabile amore di Dio. Proprio perché creato a immagine e somiglianza del Dio libero, accanto al proprio compimento nell'amore, all'uomo si presenta sempre anche la possibilità di peccare interpretando e usando perversamente della libertà che lo fa somigliante al Creatore. Ma se l'uomo è stato libero di rivolgersi contro il suo Creatore, Dio è libero di amarlo ancor di più, di guardarlo con una più grande misericordia, e con essa, strapparlo al destino di morte che si è preparato. Lo sguardo del padre che, nell'attesa, scrutava alla finestra il ritorno del figlio prodigo, era andato ben oltre l'orizzonte su cui si posa l'occhio umano. Come la nube della Presenza-shekinà di Dio aveva accompagnato il Popolo sui sentieri dell'esilio, quello sguardo d'amore e gravido di misericordia aveva accompagnato il figlio con una pazienza a noi sconosciuta. La misericordia di Dio, infatti, non ha misura, supera infinitamente quella dei farisei, i più puri e intransigenti religiosi, ai quali la parabola era rivolta. Essa risplende negli occhi del Padre che erano sempre stati fissi su quel suo figlio perduto, sino a farsi in lui memoria e nostalgia proprio mentre scendeva in quel letamaio dove era precipitata la sua vita. "Rientrando in se stesso" il figlio ritrova la traccia di quell'amore, un'ombra forse di quello sguardo paterno che lo attirava a sé. Confuso nel deserto della sua anima, il ragazzo percepisce la voce paterna che parla al suo cuore e lo fa "levare", risuscitare secondo l'originale greco, per tornare da lui. Non si riconosce più come figlio, ma riconosce il Padre. Di se stesso aveva ritrovato solo quell'ultimo brandello di dignità che lo legava alla vita, ma tanto è bastato. Non era importante chi e che cosa egli fosse diventato, quanto chi era suo Padre. Risuscitato dall'inferno il figlio si pone allora in cammino, sospinto nella conversione dalla memoria paterna riaccesa in lui dalla Grazia. E in quel cammino, a che punto non ci è dato sapere perché esso è quello pensato e diverso per ciascun uomo, il Padre accorre ad abbracciare e accogliere "il figlio smarrito e ritrovato, morto e ritornato in vita". In quell'abbraccio di misericordia si compie e materializza quello invisibile che lo aveva accompagnato istante dopo istante, impercettibile perché rispettoso della libertà del figlio. La parabola del vangelo illumina il nostro cammino quaresimale di conversione, spingendoci nella stanchezza e nella prova, nella certezza che, proprio sui passi del ritorno a casa, molto prima di quanto potremmo immaginare, sentiremo posarsi sulle nostre spalle le braccia del Padre che sigilleranno il ritrovamento e la misericordia. In essa siamo stati creati, ad essa anela il nostro spirito, anche nei momenti più dolorosi, e si fa nostalgia più intensa e struggente proprio nell'angoscia figlia del peccato. La misericordia di Dio è l'unica e reale origine della festa, mistero che attira e muove il cuore alla conversione. E' la pedagogia di Dio che non si pente di aver creato l'uomo libero, ma che lo segue con pazienza sulle tracce dei suoi fallimenti, perché in essi intercetti la bellezza e pienezza originarie della libertà compiuta in amore: Dio scende con ogni uomo nella schiavitù, per riaccendere in lui la luce della verità, strappando la libertà alla perversione e così orientarla di nuovo alla giustizia, alla comunione con il Padre, all'amore. Stiamo camminando verso il rinnovo delle promesse battesimali. Nella notte di Pasqua potremo scendere di nuovo nell'abisso della misericordia di nostro Padre. E qui, spogliati da ogni ipocrisia e schiavitù della carne, seppellire l'uomo vecchio e ritrovare la dignità di figli; risorti a vita nuova "rivestiremo la veste più bella", la veste bianca battesimale, che risplende del candore sfolgorante di Cristo risorto; e rinnovare, per pura Grazia, l'alleanza spezzata nel tradimento orgoglioso, e ricevere "l'anello" della nuova ed eterna alleanza sigillata nel sangue preziosissimo di Cristo. Stiamo tornando a casa, perché ogni nostra famiglia possa sedersi al banchetto dove mangiare "il vitello grasso" riservato per i momenti indimenticabili, quelli della riconciliazione. C'è solo il pericolo di chiuderci alla Grazia di questo tempo, spinti dal demonio a chiudere gli occhi sui nostri peccati, come  il "figlio maggiore"; rimasto in casa senza amare e conoscere realmente suo padre, era incapace di entrare nella Pasqua a far festa, perché non aveva sperimentato il perdono. Corriamo il pericolo di ritenerci giusti, peccatori da poco; ma, anche se non abbiamo rubato, violentato, ucciso, tutti siamo questo figlio ferito, perduto e ritrovato perché egli è, innanzi tutto, immagine del Figlio di Dio crocifisso e trafitto da ogni peccato, perduto nell'oscurità della tomba, ritrovato nella risurrezione. Il Padre lo ha atteso al ritorno dagli inferi, e in Lui ha riabbracciato ciascuno di noi. Nella Chiesa, la comunità dei figli perduti e ritrovati, attraverso l'ascolto della Parola e della predicazione, i sacramenti e la dolcezza della comunione con i fratelli, possiamo "levarci" dalla morte, dal peccato e dal fallimento. In questo cammino di ritorno impariamo così a vivere ogni relazione, ad essere padri e madri, figli, sposi e spose, amici, fidanzati: con gli occhi del cuore e della mente incollati invincibilmente su chi ci è vicino e si allontana, ci rifiuta, nelle piccole come nelle grandi cose, per seguirlo con amore e misericordia; senza smettere di riconoscere in lui l'identità di figlio libero di un Padre libero; senza dimenticare l'amore nel quale siamo stati riscattati e perdonati noi per primi, per attendere con pazienza la sua conversione, fosse anche sino all'ultimo istante della vita, nella speranza della Pasqua, che è la certezza della vittoria di Dio su ogni peccato. 


Nessun commento: