Giovedì della XXI settimana del Tempo Ordinario







L'ANNUNCIO
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 
Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. 
Perciò anche voi state pronti, perché nell'ora che non immaginate, il Figlio dell'uomo verrà.    
Qual è dunque il servo fidato e prudente che il padrone ha preposto ai suoi domestici con l'incarico di dar loro il cibo al tempo dovuto? 
Beato quel servo che il padrone al suo ritorno troverà ad agire così! 
In verità vi dico: gli affiderà l'amministrazione di tutti i suoi beni. 
Ma se questo servo malvagio dicesse in cuor suo: Il mio padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a bere e a mangiare con gli ubriaconi, arriverà il padrone quando il servo non se l'aspetta e nell'ora che non sa, lo punirà con rigore e gli infliggerà la sorte che gli ipocriti si meritano: e là sarà pianto e stridore di denti. 
 (Dal Vangelo secondo Matteo 24, 42-51)




Con la parabola di oggi il Signore ci svela quale sia l"agire" dei cristiani, il loro atteggiamento fondamentale nella vita: "vegliare, stare pronti". Che significa? Non dormire? Non proprio, visto che nella parabola delle dieci vergini appare che tutte si addormentano. E' qualcosa di più profondo, e dobbiamo andare al Cantico dei Cantici: "Quando dormivo ma il mio cuore vegliava". 

Ecco, la Chiesa è l'amata che attende l'Amato. "Vegliare" è, dunque, attendere il Signore, istante dopo istante. Il "cuore" che "veglia", infatti, è un cuore innamorato. E' l'intimo di chi ha conosciuto l'amore di Cristo che guarda sempre la sua amata come "la sua perfetta", anche se è un cumulo di difetti e peccati. E lì decide il bene, desidera compiere la volontà di Dio, è "prudente e fidato" perché non ha altro pensiero che Cristo, il "suo Signore".

Il cuore del Vangelo di oggi è proprio questo "Signore vostro". "Veglia" solo chi appartiene a Cristo e, nella Chiesa, ha fatto l'esperienza che Cristo si è fatto suo e dei suoi fratelli, è il "loro Signore", completamente. 

Ma Gesù è davvero il mio Signore? E' il Signore "nostro", della nostra comunità, della nostra parrocchia? Oppure è un "ladro" che viene a prendere ciò che è mio? Forse abbiamo accolto nel cuore l'inganno del serpente, e, come il servo malvagio della parabola dei talenti, viviamo pensando che il Signore sia come "un uomo duro, che miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha sparso". 

Per questo passiamo le giornate a difenderci; ma più difendiamo la vita più la perdiamo. E' come un'emorragia: non c'è verso di bloccare il flusso di vita che disperdiamo lungo le ore. I nostri figli, quante ore perse davanti a un display. Facebook, Twitter, Instagram, Youtube, magnetizzano occhi e cuore polverizzando ogni altro interesse.

Che tristezza vederli consegnati anima e corpo agli smartphone. Prova a toglierlo per un giorno... La vita finisce, non sanno più cosa fare, cosa dire, cosa pensare. I cellulari o i tablet sono delle estensioni delle loro mani, sembra che le dita sbuchino fuori dall'apparecchio come i rami di un albero.

Non si tratta però di lottare contro questa vera e propria depravazione; si tratta di tornare ad offrire ai giovani un contenuto pieno e gustoso al loro tempo. Di annunciargli l'amore e la "beatitudine" della vita perduta per amore, consegnata con Cristo a questa generazione.

Come ha fatto Gesù quando la gente lo seguiva e non aveva da mangiare. Era "sera", cioè era un momento preciso nel quale era rappresentato ogni tempo nel quale si scopre di essere affamati e non avere da mangiare. 

Era "sera" come il tempo nel quale vive il mondo; è "sera" nella vita di tua figlia, per questo cerca luce, calore, cibo dentro il display di uno smartphone. E' "sera" per ogni uomo che non attende il suo Signore, ma solo briciole di felicità, pace, serenità, appagamento, che precipitino come meteoriti da un universo sconosciuto.

Sì, per il mondo il tempo è una lunga "sera" che prepara alla "notte" dove tutto finisce. Chiediglielo a tua figlia che cosa o chi sta aspettando. Ammesso che riesca ad alzare lo sguardo dal cellulare, ti guarderà stralunata, come uscendo da un sogno, e i suoi occhi ti pianteranno in faccia un bel: ma che stai a dì?

Non ci ha mai pensato, non è un problema suo. Lei vive questo attimo totalizzante, fatto di presenze, parole, immagini virtuali, fuori dal tempo e dallo spazio. Per questo non può soffrire, non può sacrificarsi; per questo non studia, non aiuta in casa, non si accorge e non si preoccupa di ciò che le accade a cinque centimetri. 

E' un'egoista totale, strangolata dall'io e dai suoi capricci, perché il demonio, attraverso il mondo che frequenta, le ha stretto le mani al collo, senza che se ne accorgesse. E non te ne sei accorta neanche tu, cara mamma. Anche tu presa da troppe preoccupazioni per riempire un tempo tiranno, che non fa sconti, scorre e ti lascia rughe a deturpare il viso, capelli bianchi a fare scempio della testa, e indifferenza di tuo marito sempre più vecchio e noioso. Anche tu perduta nella "sera" che ha imboccato l'esistenza.

Ma Gesù ha riempito di novità e di vita la "sera" degli uomini. Ha chiamato i suoi discepoli e li ha trasformati in cibo: "date voi stessi da mangiare". Date la vostra vita, il vostro tempo, date il vostro corpo, i criteri, i progetti, il denaro, le forze, la salute. date tutto voi stessi in cibo a questa moltitudine di affamati che stanno per essere ingoiati dalla "sera" senza speranza.

Ed è lo stesso che vuol fare con noi, con te e con me, con tua figlia drogata di post, tag e "mi piace". Non importa quello che siamo: cinque pani e due pesci vanno benissimo. Essi sono immagine della formazione che stiamo ricevendo nella Chiesa. Non sono per noi, non ci sazierebbero! Siamo stati chiamati nella Chiesa per diventare cibo da dare al "tempo dovuto" a chi ci è accanto. 

Solo così saremo "beati", cioè felici, realizzati, sazi. La "beatitudine" consiste quindi nel "vegliare", "agendo" con "prudenza e fedeltà", cioè con sapienza, adempiendo l'"incarico" che è stato affidato.  E' "beato" insomma che compie la volontà di Dio, istante per istante. Perché l'amore è obbedienza; i sentimenti se li porta via il vento. L'amore autentico appare solo nel crogiolo dell'obbedienza.

Chi non rinuncia a se stesso non ama; quindi non "veglia", e quindi resta sempre "insoddisfatto", infelice, adirato. Ecco perché può arrivare anche a "percuotere i suoi compagni e a bere e a mangiare con gli ubriaconi". E' un "ipocrita", vive cioè una vita che non gli si addice. E' un cristiano che ha perduto la primogenitura, come il sale che ha perduto il sapore. Non serve a nulla.

E' impaziente come tutti gli orgogliosi; lui è dio, e tutto deve servire ai bisogni di sua maestà... Non può aspettare, tutto e subito, come quando sfiori un display e ti compare una donna nuda in atteggiamenti abominevoli. Attento con tuo figlio, attento; senza accorgertene stai covando un mostro di egoismo: infilato nella rete virtuale alla fine crederà che tutto nella vita è a portata di touch... E quando scoprirà che non è così non farà altro che bastonare gli amici, esigere da loro che nutrano il suo orgoglio, e di drogherà, berrà, passerà da un letto all'altro, senza saziarsi mai.

E' quello che accade nel mondo, ma anche dentro di noi. Attento, perché se ti sembra che il tempo ti insegua per soffocarti; se hai paura del suo incedere e non sopporti di non avere nulla tra le mani, è il segno che sei ancora un grandissimo orgoglioso, ingannato a dovere dal demonio.  

Che cosa dovrebbe contenere il tempo, che cosa dovrebbe portarci in dote per non averne paura e affrontarlo in pace? Quello che la nostra carne desidera: successo, considerazione, stima, affetto, prestigio. Il tempo dovrebbe essere un autobus che fa scendere ininterrottamente alla fermata della nostra esistenza persone ed eventi capaci di saziare le nostre concupiscenze, incluse quelle spirituali, così subdole e nascoste. 

Invece il tempo è qualcosa di completamente diverso: ci reca frustrazione e nostalgia, paura e angoscia perché il demonio ne ha fatto uno strumento per ucciderci, rivestendolo di false e illusorie aspettative. Per questo siamo infelici e sempre scuri in volto. Non perché le cose non vanno come vorremmo, ma perché siamo morti dentro, senza amore. 

Siamo stati chiamati alla Chiesa, abbiamo ascoltato la parola di Dio, ci siamo nutriti dei sacramenti, ma non ci siamo innamorati di Cristo. "Pensiamo nel cuore che Egli stia ritardando", che non gli importa di noi, e per questo abbiamo smesso di "vegliare". E spendiamo la vita tra una malvagità e l'altra.

Ma non è ancora troppo tardi. Possiamo convertirci, pastori, catechisti o comuni fratelli che siamo. Possiamo accogliere oggi Cristo il "servo fedele e prudente" che non ha sprecato un istante della sua vita, ma ha approfittato di ogni occasione per donarsi a noi e darci da mangiare nei momenti in cui, morti per i nostri peccati, non avremmo potuto procurarci il pane. Lui è venuto dal paradiso per perdonarci, salvarci e sfamarci, noi che eravamo sfiniti dalla fatica...  

Risuscitati e nutriti dal suo amore, scopriremo che la vita ci è data come un "incarico" d'amore con il quale dare pienezza e compimento al tempo. Per questo la Chiesa ci invita a destarci dal sonno dell'orgoglio e umiliarci dinanzi a Dio: a chiedere perdono e ricominciare a camminare nelle ore semplici e concrete che ci sono date. 

Per questo abbiamo bisogno di un cuore nuovo, innamorato. Abbiamo bisogno che Cristo ci doni il suo cuore, capace di discernere in ogni evento il "momento che non sappiamo" nel quale Lui viene per farci una cosa con sé; la carne è incapace di riconoscerlo, ha altri parametri, quelli dell'orgoglio, secondo i quali Cristo non può venire come l'Amato del cuore attraverso l'insulto di mio marito, l'indifferenza dei parrocchiani, una mnalattia e un fallimento.

Per questo Gesù dice che tornerà "quando meno ce lo aspettiamo": per spogliarci dell'uomo vecchio e carnale che non vede e non capisce nulla, per rivestire il nuovo, guidato dallo Spirito Santo che fiuta nelle persone e negli eventi il profumo di Cristo.

Così, quando giunge la "sera" per noi e per chi ci è accanto, sapremo discernere il momento favorevole, e aprire allo sposo che bussa al nostro cuore. Questo significa essere "pronti": accettare la nostra debolezza per consegnarci così come siamo a Cristo che farà di noi il cibo di cui il mondo ha bisogno.

Il Vangelo innanzi tutto! Sempre pronti ad annunciare la Buona Notizia, il solo cibo capace di salvare e saziare. E poi noi pronti a dare noi stessi da mangiare. Forse oggi tuo figlio ha bisogno di due ore per parlarti; forse il collega ha bisogno di un agnello che non lo giudichi ma prenda su di sé i suoi insulti; forse qualche nemico ha fame, è sera e non sa dove andare a comprare da mangiare... 

Coraggio allora, non c'è situazione difficile, non c'è umiliazione che impedisca tutto questo! La Parola di Dio non è incatenata: San Paolo sapeva approfittare anche del carcere per annunciare il Vangelo; anzi, proprio grazie al carcere ha potuto predicare ai pagani. 

Così ogni situazione, ogni evento, ogni momento, anche i più noiosi e routinari sono quel "a suo tempo" in cui "dare da mangiare" al prossimo. Proprio quando sembra che Cristo ritardi a consolarci, a darci quello che desideriamo, Egli è più vicino, si sta donando a noi perché, attraverso di noi, vuole farsi "cibo" per il mondo. 

Accogliendo la storia così come si presenta, accoglieremo Cristo, e ci doneremo a Lui e in Lui a chi ci è accanto, e sperimenteremo, proprio nei momenti più aridi, più difficili, più incomprensibili, la "beatitudine" celeste dell' "amministratore di tutti i suoi beni". Potremo cioè disporre delle Grazie necessarie per perdonare, pazientare, essere casti e aprirci alla vita, essere generosi e liberi da mammona, annunciare il Vangelo, accogliere la persecuzione e il martirio, pregare e offrire la vita per i nemici. 

Potremo vivere beati gustando e amministrando tutti i beni di Cristo, la vita che non muore e che si moltiplica saziando coloro ai quali siamo inviati.








αποφθεγμα Apoftegma





La Chiesa ha il compito di rendere presenti e quasi visibili Dio Padre e il Figlio suo incarnato, 
rinnovando se stessa e purificandosi senza posa sotto la guida dello Spirito Santo.
Ciò si otterrà anzi tutto con la testimonianza di una fede viva e adulta, 
vale a dire opportunamente formata a riconoscere in maniera lucida le difficoltà e capace di superarle.
Di una fede simile han dato e danno testimonianza sublime moltissimi martiri.
Questa fede deve manifestare la sua fecondità, 
col penetrare l'intera vita dei credenti, compresa la loro vita profana, 
e col muoverli alla giustizia e all'amore, specialmente verso i bisognosi.
Ciò che contribuisce di più, infine, a rivelare la presenza di Dio, 
è la carità fraterna dei fedeli che unanimi nello spirito lavorano insieme per la fede del Vangelo
e si presentano quale segno di unità. 

Gaudium et spes

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