14 settembre. Esaltazione della Santa Croce. Approfondimenti








H. U. Von Balthasar. Mysterium Paschale. La Consegna
Don Divo Barsotti. Meditazioni per il Venerdì Santo
Vanhoye. La Croce
Accadde al Getsemani. Fare memoria del suo dolore
Venerdì Santo. Romano Guardini, Il Signore
Lo sconosciuto del Getsemani
LA CROCE E IL CROCIFISSO. Uno studio da meditare
Mons. Caffarra. LA CROCE E LA VERITA’ SULL’UOMO

Il Mistero nella dipinta croce
P. Cantalamessa: “Cristo Imparò l’obbedienza dalle cose che patì”
In Passione Domini. Dal "Libro delle Rivelazioni" di Giuliana di Norwich
Inos Biffi. Cristo ascende la Croce. Inizia il tempo nuovo. L''inno "All''ora terza" di sant''Ambrogio
Dalla via dolorosa al Golgota
Così è morto Gesù: check up della Passione
La morte di Gesù come espiazione nella concezione paolina. Pino Pulcinelli
J. Ratzinger. Gesù tra la bellezza e il dolore
Santa Caterina da Siena. « Sapendo che era giunta la sua ora... Gesù li amò sino alla fine »



Un albero riapre il paradiso


La tradizione innografica del l’oriente cristiano adopera spesso il genere letterario del dialogo o della disputa. Di Romano il Melodo, morto nel 555, abbiamo due inni dedicati alla croce di Cristo, e il primo presenta appunto la discussione tra l’Ade e il diavolo presentato sotto la forma del serpente. 
È un testo che sviluppa il tema della redenzione di Cristo per mezzo della sua croce; è un poema che in alcune strofe raggiunge una profondità e una bellezza uniche nel suo genere. Il filo conduttore è il ritorno di Adamo in paradiso grazie alla croce di Cristo, chiave per la sua riapertura. I tre primi tropari introducono e situano tutto il poema: «La spada di fuoco non custodisce più la porta dell’Eden, perché al suo posto è sopraggiunto il legno della croce. Il pungiglione della morte e la vittoria dell’Ade sono stati inchiodati. E in essa inchiodato tu ci hai redenti, o Cristo Dio nostro. Le creature celesti e terrestri gioiscono con Adamo, perché è stato chiamato di nuovo nel paradiso». L’inizio descrive quasi fisicamente il Golgota e l’Ade sconfitto: «Tre croci piantò Pilato sul Golgota, due per i ladroni e una per il datore di vita; l’Ade la vide e disse a quelli di laggiù: O miei ministri e miei eserciti, chi ha conficcato un chiodo nel mio cuore? Una lancia di legno mi ha trafitto all’improvviso, e sono costretto a rigettare Adamo e i nati da lui che a me mediante un albero erano stati dati: un albero li introduce di nuovo nel paradiso». La disputa inizia con il rimprovero del diavolo all’Ade che si accorge di essere sconfitto dalla croce, rimprovero originato dalla cecità del serpente di fronte alla forza della croce: «Ade che hai? Perché piangi a vuoto? Ho architettato io lassù per il figlio di Maria questo legno che ti ha spaventato. È la croce sulla quale ho fatto inchiodare Cristo, perché con un legno voglio distruggere il secondo Adamo. Non ti turbare, continua a tenere stretti i tuoi prigionieri». E la risposta dell’Ade rimproverato diventa quasi una professione di fede nella redenzione: «Corri e apri bene i tuoi occhi, e guarda la radice del legno dentro la mia anima: mi è scesa fin nel profondo per portare in alto Adamo ed essere ricondotto in paradiso». Seguono i rimproveri tra l’Ade e il diavolo, descritti come orbo l’uno e cieco l’altro. L’Ade presenta al serpente la forza della croce di Cristo: «Per te la croce è stoltezza, ma da tutto il creato è ammirata come un trono, inchiodato sul quale Gesù ascolta il ladrone e gli dice: Oggi, povero uomo, con me entrerai di nuovo nel paradiso». La promessa fatta da Cristo al ladrone fa reagire e aprire gli occhi al diavolo cieco che confessa la sua sconfitta: «Sbigottito e battendosi il petto diceva: Parla con un ladrone e non risponde agli accusatori? Neanche di una parola ha degnato Pilato, e adesso si rivolge a un assassino?». Sconfitto, il diavolo cerca rifugio presso l’Ade e nella sua disfatta descrive la salvezza che sgorga dalla croce di Cristo: «Accoglimi, Ade: presso di te è il mio rifugio! Ho visto anch’io il legno che ti ha spaventato, e arrossato di sangue e acqua. L’uno prova l’uccisione di Gesù, l’altro prova che egli è vivo, poiché la vita è sgorgata dal suo fianco, ed è stato il secondo Adamo a far rifiorire Eva, la madre dei viventi, di nuovo nel paradiso». Lungo tutto il testo si succedono immagini di notevole profondità poetica e teologica: «Aspetta, Ade sciagurato, disse piangendo il demonio, taci, sopporta. Sento una voce annunciatrice di gioia, un sussurro mi è giunto che porta buone notizie, un brusio come di foglie dall’albero della croce. Sul punto di morire Cristo ha detto: Padre, perdona loro, non sanno quel che fanno. Noi però sappiamo che colui che soffre è il Signore della gloria, che vuol riportare Adamo di nuovo nel paradiso». La croce quindi diventa luogo di conversione, non più albero di condanna, vigna dai tralci amari, bensì luogo della dolcezza e della vita: «Piangiamo ora, o Ade, vedendo l’albero che avevamo piantato trasformato in un tronco sacro! Ai suoi piedi hanno preso dimora e fra i suoi rami hanno nidificato briganti e assassini, esattori e meretrici, per cogliere il frutto della dolcezza da quello che pareva un albero secco. Abbracciano la croce come pianta della vita, si aggrappano a essa per compiere a nuoto la traversata col suo aiuto e approdare di nuovo nel paradiso!». Romano verso la fine mette in bocca all’Ade il tema del «furto» del ladrone che nella croce «ruba» la sua salvezza: «Nessuno di noi dovrà più far violenza alla stirpe di Adamo, perché è stata segnata dal sigillo della croce, come un tesoro che dentro un fragile scrigno ha una perla inviolabile, che l’accorto ladrone sulla croce è riuscito a sottrarre, e per questo furto è stato chiamato di nuovo nel paradiso!»

© Osservatore Romano - 14 settembre 2016


Il serpente in Oriente e nella Bibbia

Frederic Manns

Nel 2001, l'Oriente ha celebrato con sfarzo nuovo anno lunare: Capodanno è stata posta sotto il segno del serpente. Gli indovini erano occupati nelle città orientali da una folla di curiosi che vogliono sapere che cosa l'anno del serpente li riserva.
     Considerando che, in Occidente, è comune parlare dei serpenti di invidia e calunnia, e anche cestinare oratori in Oriente il serpente rettile è più vantaggioso. Il suo veleno è anche parte di alcuni preparati farmaceutici. Farmacia Saint-Sauveur è un vaso, sul quale l'iscrizione teriaca per raccogliere il veleno di una vipera Palestina. Tuttavia, tutti i serpenti non sono velenosi. Nelle Filippine, circa 135 specie conosciute, solo sei sono serpenti velenosi.
ceramica

Animale sacro in Oriente

     In Oriente, il serpente vive in contatto con il mondo divino. E 'associato con la vita e la saggezza. E 'la creatura più astuta, capace di vivere tra le rocce, scalare le mura e vivere il contatto con le forze misteriose della terra. Peeling in primavera sembra acquistare una nuova vita. Leggenda cinese narra che un serpente bianco ha preso una forma femminile, si è mai sposato un uomo e lui ha un figlio che è diventato un grande saggio.Quest'ultimo doveva venerare la madre, il serpente. Nella leggenda di Gilgamesh, l'eroe assiro la cui ricerca dell'immortalità è famosa, è il serpente che ruba la vita delle piante e ringiovanisce.

In Egitto, la Grecia e il Medio Oriente
 

statua di Asclepio
     Faraone, re d'Egitto, indossava la ureo sulla sua tiara. Questo piccolo serpente è stato visto come un simbolo di regalità. Nella mitologia greca, il serpente era un attributo delle Furie che tormentano i malvagi. Tuttavia Asclepio, il dio della medicina, è spesso raffigurato con un serpente il cui veleno può essere una droga. Mercurio, messaggero degli dei, è conosciuto con il suo caduceo, due serpenti intrecciati, che è diventato un simbolo di pace. Il culto del serpente era diffusa in tutto il Medio Oriente.

Nella Bibbia
 

pittura
Il serpente di bronzo 
Simon Vouet

Olio su tela, 283 x 629 centimetri
Museo di Belle Arti di Tolosa
     La Bibbia attesta al libro dei Numeri ( 21,4-9 ). Anche Israele aveva accettato: il serpente di rame è stato introdotto nel Tempio di Gerusalemme, dove gli Israeliti offrivano sacrifici a lui fino alla riforma di Ezechia ( 2 R 18.4 ). Nel racconto biblico della tentazione di Adamo ed Eva, la vita serpente promette: "Tu non morirai" e acquisire maggiore conoscenza è quella degli dei (Gen. 3,5). Lui è furbo (aroum). Il termine aroumè in uso frequente Proverbi per descrivere il saggio ( Pr 12.16 , 13.16 ).
     L'episodio del serpente di bronzo innalzato da Mosè nel deserto, quando i serpenti hanno attaccato gli israeliti approfondito nel libro della Sapienza ( 16,5-11 ). Il serpente di bronzo è definito come un segno di salvezza. Tuttavia, la letteratura indica che questo sinagoga non era il serpente che guarito, ma la fede di colui che alzò gli occhi al Padre celeste. Giovanni nel suo Vangelo sarà parallelo il serpente di bronzo e l'elevazione di Gesù sulla croce. "Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. "(3,14-15) Sul Monte Nebo, una rappresentazione monumentale del serpente di bronzo permette pellegrini a sollevare questo passo biblico.
   La storia della caduta di Adamo ed Eva inizia con un riferimento al serpente che impegna il dialogo. La sua domanda ha portato la donna a chiarire il divieto serpente divino la cui contesta la fondatezza. Qui troviamo il tema della gelosia degli dei. L'autore di Genesi 3 e la lotta contro i culti della fertilità cananei e accusa una saggezza umanistica che era popolare alla corte di Salomone.

Simbolo ambivalente

     Il serpente è un simbolo ambivalente. Può essere un soccorritore animale, ma una bestia maledetta. Simbolo di astuzia e di guarigione, può anche rivelarsi avversario di uomo. Tra il serpente e la donna, i rapporti sono quelli di ostilità dopo la caduta. Questa inimicizia, il Signore ha ricapitolato in se stesso si è fatto uomo nato da donna e calpestare la testa del serpente. L'autore del libro della Sapienza identifica il serpente con il diavolo; il libro dell'Apocalisse di Giovanni ( 12,9 ) non esita a prendere questa identificazione. Questa valenza negativa è emersa in Occidente che ha finito per dimenticare il significato positivo del serpente.
     Tra le sette gnostiche, Ireneo cita gli Ofiti: "Alcuni dicono che è la Sapienza stessa era il serpente è per questo che si alzò in piedi contro l'autore Adam e ha dato agli uomini la gnosi; Questo è anche il motivo per cui si dice che il serpente è il più astuto di tutte le creature. Non è fino al luogo del nostro intestino, attraverso la quale porta il cibo e per la loro configurazione, che vedrebbe, nascosto in noi, la sostanza madre della vita sotto forma di un serpente. "(Adv. Haer. 1,30,15)
     L'anno del serpente dovrebbe essere quello di saggezza e rispetto per la vita.Dovrebbe portare la guarigione a tutti coloro che sono stati feriti dalla vita, o dalla violenza degli uomini. Infine, è opportuno collegare l'Oriente e l'Occidente nella loro ricerca della saggezza. Non è la scienza che porterà gli uomini, solo la saggezza permettere loro di ricordare il loro status di creature.




Benedetto XVI sull'Esaltazione della santa Croce

“Il segno della Croce è in qualche modo la sintesi della nostra fede perché ci dice quanto Dio ci ha amati; ci dice che, nel mondo, c’è un amore più forte della morte. Per essere guariti dal peccato, guardiamo il Cristo crocifisso!, esortava Sant’Agostino. La Chiesa ci invita ad elevare con fierezza questa Croce gloriosa affinché il mondo possa vedere fin dove è arrivato l’amore del Crocifisso per gli uomini. Per questo, il segno della Croce è il gesto fondamentale della preghiera del cristiano: Segnare se stessi con il segno della Croce è pronunciare un sì visibile e pubblico a Colui che è morto per noi e che è risorto, al Dio che nell’umiltà e debolezza del suo amore è l’Onnipotente, più forte di tutta la potenza e l’intelligenza del mondo”. (Angelus, 11 settembre 2005)

“Quale mirabile cosa è mai il possedere la Croce! Chi la possiede, possiede un tesoro! (Sant’Andrea di Creta, Omelia X per l’Esaltazione della Croce: PG 97, 1020). In questo giorno in cui la liturgia della Chiesa celebra la festa dell’Esaltazione della santa Croce, il Vangelo che avete appena inteso ci ricorda il significato di questo grande mistero: Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché gli uomini siano salvati (cfr 
Gv 3,16). Il Figlio di Dio s’è reso vulnerabile, prendendo la condizione di servo, obbedendo fino alla morte e alla morte di croce (cfr Fil 2,8). E’ per la sua Croce che siamo salvati. Lo strumento di supplizio che, il Venerdì Santo, aveva manifestato il giudizio di Dio sul mondo, è divenuto sorgente di vita, di perdono, di misericordia, 
segno di riconciliazione e di pace. “Per essere guariti dal peccato, guardiamo il Cristo crocifisso!” diceva sant’Agostino (Tract. in Johan.,XII,11). Sollevando gli occhi verso il Crocifisso, adoriamo Colui che è venuto per prendere su di sé il peccato del mondo e donarci la vita eterna. E la Chiesa ci invita ad elevare con fierezza questa Croce gloriosa affinché il mondo possa vedere fin dove è arrivato l’amore del Crocifisso per gli uomini, 
per noi uomini. Essa ci invita a rendere grazie a Dio, perché da un albero che aveva portato la morte è scaturita nuovamente la vita. È su questo legno che Gesù ci rivela la sua sovrana maestà, ci rivela che Egli è esaltato nella gloria. Sì, “Venite, adoriamolo!”.  
In mezzo a noi si trova Colui che ci ha amati fino a donare la sua vita per noi, Colui che invita ogni essere umano ad avvicinarsi a Lui con fiducia. E’ questo grande mistero che Maria ci affida anche stamane, invitandoci a volgerci verso il Figlio suo. In effetti, è significativo che, al momento della prima apparizione a Bernadette, 
Maria introduca il suo incontro col segno della Croce. Più che un semplice segno, è un’iniziazione ai misteri della fede che Bernadette riceve da Maria. Il segno della Croce è in qualche modo la sintesi della nostra fede, perché ci dice quanto Dio ci ha amati; ci dice che, nel mondo, c’è un amore più forte della morte, più forte delle nostre 
debolezze e dei nostri peccati. La potenza dell’amore è più forte del male che ci minaccia. E’ questo mistero dell’universalità dell’amore di Dio per gli uomini che Maria è venuta a rivelare qui, a Lourdes. Essa invita tutti gli uomini di buona volontà, tutti coloro che soffrono nel cuore o nel corpo, ad alzare gli occhi verso la Croce di Gesù per trovarvi la sorgente della vita, la sorgente della salvezza. La Chiesa ha ricevuto la missione di 
mostrare a tutti questo viso di un Dio che ama, manifestato in Gesù Cristo. Sapremo noi comprendere che nel Crocifisso del Golgota è la nostra dignità di figli di Dio, offuscata dal peccato, che ci è resa? Volgiamo i nostri sguardi verso il Cristo. È Lui che ci renderà liberi per amare come Egli ci ama e per costruire un mondo riconciliato. Perché, su questa Croce, Gesù ha preso su di sé il peso di tutte le sofferenze e le ingiustizie della 
nostra umanità. Egli ha portato le umiliazioni e le discriminazioni, le torture subite in tante regioni del mondo da innumerevoli nostri fratelli e nostre sorelle per amore di Cristo. Noi li affidiamo a Maria, Madre di Gesù e Madre nostra, presente ai piedi della Croce. ”. (Angelus, 17 settembre 2006)


“L’Eucaristia è mistero di morte e di gloria come la Croce, che non è un incidente di percorso, ma il passaggio attraverso cui Cristo è entrato nella sua gloria (cfr Lc 24,26) e ha riconciliato l’umanità intera, sconfiggendo ogni inimicizia”. (Angelus, 11 settembre 2005)




INTRODUZIONE ALLA FESTA DELL’ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE


È una delle 12 grandi feste dell’anno liturgico, ha un giorno di vigilia e si conclude il 21 settembre. La data del 14 settembre è comune all’Oriente e all’Occidente dove il papa orientale Sergio I (687-701) ne ordinò la festa.
La festa dell’Esaltazione riassume e richiama alcuni eventi storici legati al santo Legno, principalmente la scoperta della Vera Croce. Una tradizione formatasi abbastanza presto riferisce che sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, aveva ritrovato a Gerusalemme, presso il Golgota, le tre croci usate per Gesù Cristo e i due ladroni; una guarigione miracolosa, avvenuta al contatto con una d’esse, permise il riconoscimento della croce del Salvatore e di mostrarla alla venerazione del popolo. Appena la notizia della scoperta si diffuse nella Città Santa, una vasta folla si radunò per venerare la Croce del Signore. Il Patriarca di Gerusalemme, san Macarios, la portò su di un pulpito: e quando il popolo la vide innalzata verso l’alto, tutti assieme gridarono, decine di volte “Kyrie eleison”, un evento questo ricordato nel servizio di oggi, con la frequente ripetizione dei “Kyrie eleison” alla cerimonia dell’Esaltazione. Da allora una parte del sacro legno venne conservata nella basilica dell’Anàstasis (detta Santo Sepolcro dai latini), altre parti del sacro legno furono portate a Roma dalla stessa sant’Elena, che le custodì nella cappella della sua abitazione romana, divenuta il monastero di Santa Croce in Gerusalemme.
Si commemora anche la seconda grande Esaltazione della Croce, a Costantinopoli nel 629. Il 4 maggio 614, durante il saccheggio di Gerusalemme, la Vera Croce era caduta nelle mani dei Persiani. Nel 628 l’imperatore Eraclio, sconfiggendo il re Persiano Cosroe, recuperò la preziosa reliquia. Lieto della vittoria, Eraclio a cavallo, vestito della porpora e con il diadema, volle riportare il santo Legno della Salvezza attraverso la porta principale di Gerusalemme. Ma il cavallo si fermò ed il patriarca Zaccaria, che era stato liberato dalla prigionia persiana, fece presente, all’imperatore che il Figlio di Dio non aveva portato in forma solenne la Croce per le vie di Gerusalemme. Eraclio, commosso, a piedi e scalzi, dopo aver deposto la porpora ed il diadema, portò sulle sue spalle il legno benedetto sino al Golgota. Perciò, a ricordo del primo e del secondo avvenimento, si cantano stichiri gioiosi e commoventi: “Oggi si esalta la Croce ed il mondo si santifica, giacché Tu che siedi sul trono con il Padre e il Santo Spirito, stendesti le Tue mani su di essa e tutto il mondo fu portato a conoscerti. Tu rendi degni dell’eterna gloria coloro che in Te sperano”“Ora giunge la Croce del Signore, ed i fedeli l’accolgono con amore e da essa ricevono la guarigione da tutte le malattie dell’anima e del corpo. Baciamola con gioia e timore; con timore, a causa dei nostri peccati, poiché siamo indegni; con gioia, per la salvezza che concede al mondo il Cristo che vi fu crocifisso, pieno di misericordia per noi”. Quindi Eraclio, temendo che la santa Croce non fosse più al sicuro a Gerusalemme la trasferì con sé nella capitale, Costantinopoli, dove fu trionfalmente esaltata nella Grande Chiesa di Agia Sofia. Da allora si celebra «la croce come strumento di salvezza e di vittoria sui nemici della Chiesa e dei cristiani».
Infine, i servizi liturgici per il giorno hanno anche costanti riferimenti alla visione della Croce vista dall’imperatore Costantino nell’anno 312, poco prima della vittoria su Massenzio, e ci sono allusioni ad un evento che è più specificatamente commemorato il 13 settembre: la Dedicazione della Chiesa della Anastasis, costruita da Costantino su luogo del Santo Sepolcro e completata nel 335.
Nei riti liturgici del Venerdì Santo la Chiesa guarda alla Crocifissione nel suo contesto originale, come un evento nella prima Santa Settimana a Gerusalemme. Nella festa dell’Esaltazione, per contrasto, la Croce è contemplata anche per i suoi effetti sulla storia seguente della Chiesa. Nel Venerdì Santo la nota predominante – anche se mai esclusiva – è di dolore e di pianto; il 14 settembre la Croce è commemorata in uno spirito di trionfo, come “arma di pace e inconquistabile insegna di vittoria” (Kontakion della festa). Per il diretto richiamo alla passione del Salvatore, in Oriente, la festa, anche se cade in domenica, è caratterizzata dal digiuno. Il digiuno è anche legato agli eventi del VII secolo, da cui trae l’origine storica. Nel titolo della festa, l’Esaltazione è definita “universale”. Questo è un elemento essenziale nel significato della ricorrenza: il potere della Croce si estende in ogni parte dell’universo, e la salvezza che porta abbraccia l’intera creazione. Ecco perché, nella cerimonia dell’Esaltazione, il sacerdote si volge per benedire verso ogni punto cardinale:“I quattro angoli della terra, o Cristo nostro Dio, sono oggi santificati” (Tropario alla cerimonia dell’Esaltazione).
Al termine della grande Dossologia, mentre il coro canta il trisaghion, il vescovo, indossati gli abiti pontificali, porta la Croce, adorna di fiori, fuori sull’Altare, tenendola sulla testa e la pone su un leggio posto sull’ambone. Prima di deporla, tenendola sempre sulla testa, si china con essa, quasi per indicare il peso delle persecuzioni, e poi si solleva a ricordo della vittoria del Cristianesimo, mentre il coro canta lentamente “Signore pietà”, abbassando il tono mentre il vescovo si china, alzandolo quando si solleva. Così come avvenne, dopo l’invenzione della Croce, quando il patriarca Macario sollevò il Santo Legno perché tutti lo vedessero, ma, a causa della debolezza delle sue braccia, era costretto ad abbassarlo. Ed anche allora il popolo invocava: “Kyrie, Eleison”.



La festa dell'Esaltazione della S. Croce nella tradizione bizantina

di Manuel Nin

La festa dell'Esaltazione della Croce - Universale esaltazione della Croce preziosa e vivificante è il suo titolo nei libri liturgici di tradizione bizantina - ha un'origine gerosolimitana collegata alla dedicazione della basilica della Risurrezione, edificata sulla tomba del Signore nel 335, e anche alla celebrazione del ritrovamento della reliquia della Croce da parte dell'imperatrice Elena e del vescovo Macario, rappresentati nell'icona della festa. La Croce ha un posto rilevante nella liturgia bizantina: viene commemorata tutti i mercoledì e venerdì dell'anno col canto di un tropario, la terza domenica di Quaresima, il 7 maggio e il 1° agosto, sempre presentata come luogo di vittoria di Cristo sulla morte, della vita sulla morte, luogo di morte della morte. La celebrazione del 14 settembre è preceduta da una prefesta il 13, che celebra appunto la dedicazione della basilica della Risurrezione, e si prolunga con un'ottava fino al giorno 21. I testi dell'ufficiatura mettono ripetutamente in parallelo l'albero del paradiso e quello della Croce: "Croce venerabilissima che le schiere angeliche circondano gioiose, oggi, nella tua esaltazione, per divino volere risollevi tutti coloro che, per l'inganno di quel frutto, erano stati scacciati ed erano precipitati nella morte"; "nel paradiso un tempo un albero mi ha spogliato, perché facendomene gustare il frutto, il nemico ha introdotto la morte; ma l'albero della Croce, che porta agli uomini l'abito della vita, è stato piantato sulla terra, e tutto il mondo si è riempito di ogni gioia"; "la Croce che ha portato l'Altissimo, quale grappolo pieno di vita, si mostra oggi elevata da terra: per essa siamo stati tutti attratti a Dio, e la morte è stata del tutto inghiottita. O albero immacolato, per il quale gustiamo il cibo immortale dell'Eden, dando gloria a Cristo!". Uno dei tropari dell'ufficiatura vespertina, con delle immagini toccanti e profonde, riassume tutto il mistero della salvezza: "Venite, genti tutte, adoriamo il legno benedetto per il quale si è realizzata l'eterna giustizia: poiché colui che con l'albero ha ingannato il progenitore Adamo, viene adescato dalla Croce, e cade travolto in una funesta caduta. Col sangue di Dio viene lavato il veleno del serpente, ed è annullata la maledizione della giusta condanna per l'ingiusta condanna inflitta al giusto: poiché con un albero bisognava risanare l'albero, e con la passione dell'impassibile distruggere nell'albero le passioni del condannato". In un altro tropario, l'incarnazione di Cristo, Dio nella carne, è presentata come l'esca che nella Croce attira e vince il nemico: "Per te è caduto colui che con un albero aveva ingannato, è stato adescato da Dio che nella carne in te è stato confitto, e che dona la pace alle anime nostre". Diversi testi fanno una lettura cristologica dei tanti passi dell'Antico Testamento che la tradizione patristica e liturgica ha letto e interpretato come prefigurazioni del mistero della Croce del Signore: "Ciò che Mosè prefigurò un tempo nella sua persona, mettendo così in rotta Amalek e abbattendolo, ciò che Davide cantore ordinò di venerare come sgabello dei tuoi piedi, la tua Croce preziosa, o Cristo Dio"; "tracciando una croce, Mosè, col bastone verticale, divise il Mar Rosso per Israele che lo passò a piedi asciutti, poi lo riunì su se stesso volgendolo contro i carri del faraone, disegnando, orizzontalmente, l'arma invincibile"; "nelle viscere del mostro marino, Giona stendendo le palme a forma di croce, chiaramente prefigurava la salvifica passione: perciò uscendo il terzo giorno, rappresentò la risurrezione del Cristo Dio crocifisso nella carne che con la sua risurrezione il terzo giorno ha illuminato il mondo". Alla fine del mattutino si svolge il rito dell'esaltazione e della venerazione della santa Croce. Il sacerdote prende dall'altare il vassoio che contiene la Croce preziosa collocata in mezzo a foglie di basilico - l'erba profumata che, secondo la tradizione, era l'unica a crescere sul Calvario e che attorniava la Croce quando fu ritrovata - e in processione lo porta tenendo il vassoio sulla sua testa fino alla porta centrale dell'iconostasi e in mezzo alla chiesa. Lì depone il vassoio su un tavolino, fa tre prostrazioni fino a terra e, prendendo in mano la Croce con le foglie di basilico, guardando a oriente, la innalza sopra il proprio capo, poi l'abbassa fino a terra e infine traccia il segno di croce, mentre i fedeli cantano per cento volte "Kyrie eleison". Ripetendo questa grande benedizione verso i quattro punti cardinali e di nuovo verso oriente, il sacerdote invoca la misericordia e la benedizione del Signore sulla Chiesa e sul mondo intero. Al termine, il sacerdote innalza la Croce e con essa benedice il popolo che poi passa a venerarla e riceve delle foglie di basilico, per ricordare il buon profumo del Cristo risorto che tutti i cristiani sono chiamati a testimoniare nel mondo.




Custodia di Terra Santa 
PEREGRINAZIONE AL SANTO CALVARIO
Festa dell'Esaltazione della Santa Croce
14 Settembre 2012

La Vera Croce ha attratto sempre con forza ai cristiani, e il desiderio di vederla, di toccarla o di bacciarla è stato irresistibile. La Croce è il simbolo cristiano per eccelenza, la manifestazione visibile della nostra identità. La Roccia del Calvario e la Tomba Vuota di Cristo sono i punti di attrazione per tutti i cristiani. Anche per noi, oggi. 

Le feste della Croce

I cristiani celebriamo diverse feste della Croce: 1) Il “Ritrovamento della Croce” (“Inventio crucis”), il 7 maggio; 2) La festa della “ristituzione della Santa Croce” per Eraclio, il quale recupera il “Lignum Crucis” che era stato portato como botino il 20 maggio 614 da Cosroe. I cattolici non la celebriamo, ma sí gli ortodossi; 3) “L’adorazione della Santa Croce”, il Venerdì Santo al Calvario, mentre si canta: “Ecce Lignum crucis…” dove è stata inchiodata la salvezza del mondo. Venite ad adorarlo”. 4) La festa dell’Esaltazione della Santa Croce: E’ la Dedicazione della Basílica del Santo Sepolcro, costruita dall’Imperatore Costantino nei Luoghi Santi del Calvario e nel Sepolcro glorioso di Cristo, il 13 e 14 settembre del 335. 

Cosa significa per me oggi la Croce di Cristo?
L’assurdo e lo scandalo della Croce
Noi celebriamo la festa della croce di Cristo, cantiamo il “Vexilla Regis”; tutti i giorni orniamo la croce, la baciamo, la portiamo al collo… Noi cristiani, siamo matti? Lo aveva annunciato Paolo: la croce è “scandalo per i giudei e stoltezza per i greci”. Il “Vangelo della Croce” è “assurdo” per il mondo (cf. 1Cor 1,18-25). La fede nel Dio crocifisso "asso¬miglia straordinariamente ad un continuo suicidio della ragione" ( Nietz¬sche). E Giovanni Paolo II costatava che la vera sfida ad ogni filosofia “è la morte in croce di Gesù Cristo”. Come possiamo onorare la Croce se il Crocifisso era un maledetto (Dt 21.23), se Cristo morì qui, sul Calvario, disprezzato da tutti, senza compassione da nessuno, e con l’apparente abbandono da Dio, suo Padre: “Dio Mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46). La morte di Cristo sul Calvario è “il mysterium iniquitatis” (2Tes 2,7), il peccato più grande commesso dall’umanità. 
La Croce, centro della nostra fede
E tuttavia, per noi la Croce di Gesù è il centro e il fondamento della nostra fede. Dice Pietro: siamo stati liberati dal peccato “con il sangue prezioso di Cristo” (1Pt 1,19). E l’ha fatto affinché noi abbiamo la vita: la vita eterna" (GV 3,16). “Per riscattare lo schiavo – cantiamo nell’Exultet, nel Annuncio Pasquale, – hai consegnato il Figlio”. E’ quello che vogliono esprimere i due mosaici del Calvario: il sacrificio di Isacco e la Crocifissione di Cristo. 
E così Croce di Cristo diventa “il grande mistero della pietà” (Mysterium pietatis”) (1Tim 3,15s) ed è il segno della Vita. Per i cristiani la Croce non è stoltezza; è potenza e sa¬pienza di Dio: "poiché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini" (1Cor 1,25). San Francesco diceva a chi lo vedeva piangere: “Piango la Passione del mio Signore. Per amore di lui non dovrei vergognarmi di andare gemendo ad alta voce per tutto il mondo” (3Com V,14: FF 1413). 
Gli antiqui cristiani consideravano Gerusalemme e il Calvario come il centro, “l’ombelico” del mondo. Scriveva S. Cirillo di Gerusalemme: “Cristo estese le sue braccia sulla croce per abbracciare tutto il mondo, giacché il Golgota è il centro della terra”.
La croce: manifestazione dell’amore di Dio. Dio è Amore
Dice il Vangelo: "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito…, (Gv 3,16)). E Paolo aggiunge: “mi ha amato e ha consegnato se stesso per me" (Gal 2,20). Sul Calvario l’uomo può imparare che cosa è l’Amore e chi è Dio, perché “dove c’è Amore lì c’è Dio”. Diceva il Papa Benedetto XVI, alla fine della Via Crucis al Colisseo, il Venerdì Santo, 22 aprile 2011: “Guardiamo bene questo uomo crociffiso… scopriremo che la Croce è il segno luminoso dell’amore; ancora di più, dell’immensità dell’amore di Dio, di ciò che mai potevamo immaginare…”. Infatti: “Nessuno ha amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete i miei amici...” (Gv 15,13). Sul Golgota appare chiaramente che “Dio è Amore” (1Jn 4,16). L’amore dimentica il male, perdona tutto. Semplicemente ama. 
La croce di Cristo è la “buona notizia”
La croce è la “buona notizia” per il mondo, quella che illumina tutte le altre, quella che importa veramente. Lo scrive Paolo ai Corinzi: “Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso” (2Cor 2,2). San Francesco, diceva ad un frate: “Non ho bisogno di molte cose: conosco a Cristo povero e crocifisso” (2Cel 105). Dio muore per noi e per la nostra salvezza sul Calvario. Ecco la “buona notizia”. 
Sulla Croce del Calvario non c’è un malfattore, ma “Gesù il Nazareno, il Re dei giudei” (Gv 19,19). Pilato, senza volerlo, proclama la regalità di Cristo. Ripetiamo oggi le parole che San Cirillo di Gerusalemme diceva ai suoi ascoltatori, precisamente qui: “Non ci vergogniamo di confessare la nostra fede nel Crocifisso”. Oggi, continua San Cirillo, celebriamo “la vittoria che il Signore ha riportato qui, in questo Santo Golgota, che noi vediamo e tocchiamo con la mano… Non ti vergognare di confessare la Croce, perché … colui che è stato crocifisso è adesso sopra in cielo!”. Egli è il Re del mondo. “E’ giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo” (Gv 12,23), diceva Gesù.
Soltanto così cominceremo a capire che la Croce eretta sul Calvario non è l’annuncio di un fallimento, di una vita di sofferenza e di morte, ma essa è un messaggio trionfale di vita. E possiamo cantare con convinzione: “Salve, o Croce, unica nostra speranza!”. Dio “regna dal legno”. La croce è il suo trono di gloria. Nonostante le cattiverie degli uomini, Gesù il Nazareno continua ad essere “il Re dei Giudei” (Gv 19,19). E’ allora che scopriamo il senso delle parole di Gesù: “Quando sarò stato elevato da terra attirerò tutto a me”(Gv 12,32). E capiremo che Cristo è il punto centrale verso il quale tutta l’umanità deve guardare: “Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv 19,37). 
Gesù crocifisso, modello del discepolo
Lo aveva detto Gesù: “Chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me” (Mt 10,38). Non è facile essere cristiano! Per esserlo, è necessario imitare Gesù, seguirlo, prendere ogni giorno la propria croce, offrire anche la nostra vita in amore a Dio e ai fratelli, come fecce Gesù, il quale “patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme” (1Pt 2,21). 
Soltanto così il cristiano, come Gesù, diventa "un essere per gli altri e per il mondo". E' quello che appare nella parabola del chicco di grano, che porta frutto solo se cade nel terreno e muore (cf. Gv 12,24), giacché "chi perde la sua vita la guadagnerà" (cf. Mc 8,35). L'esse¬re per gli altri di Gesù, special¬mente per i poveri e i peccatori, deve pro¬lungarsi nei cristiani, solidali l'uno con l'altro, forti nella speranza che ci dà la risurre¬zione di Gesù.
Scendere dal Golgota al mondo
Oggi, qui, sul Golgota, abbiamo capito il valore della morte di Cristo in Croce: il suo amore crocifisso è stato la nostra salvezza. Oggi, qui, in ginocchio, ripetiamo le parole di San Francesco: “Ti adoriamo, Signore Gesù Cristo,… e ti benediciamo, perché per la tua Santa Croce hai redento il mondo”. Amen. 
Bisogna però ritornare al mondo partendo da questo Calvario. Francesco, nella Chiesetta di San Damiano, “pregando inginocchiato davanti all’immagine del Crocifisso, udì queste parole per tre volte: “Francesco, va e ripara la mia chiesa che, come vedi, è tutta in rovina!” (FF 1038). Si trattava della Chiesa che “Cristo acquistò col suo sangue”, dice il testo. E così Francesco, “munendosi col segno della croce”, incominciò la sua missione. Dice la Dichiarazione del Concilio sulle religioni non cristiane: “Il dovere della Chiesa, nella sua predicazione, è di annunciare la croce di Cristo come segno dell’amore universale di Dio e come fonte di ogni grazia” (NAe 4). 
Non bastano però le parole. Paolo afferma: “Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca i patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Col 1,24). E tutti siamo stati salvati dalla Croce di Cristo. Francesco d’Assisi va dal Sultano Maelk el-Kamel, rischiando la vita, anzi offrendo la propia vita per la salvezza di lui e di tutti i musulmani. Perché non servono “i crociati” ma “i crocifissi”, non si proclama il vangelo “con la spada”, ma con l’amore totale di Cristo. Diceva Francesco Suriano, un antico Custode di Terra Santa, che se i frati hanno la grazia di servire il Calvario è per merito di San Francesco per “essere stato tanto innamorato della Passione di Cristo perpetrata in questi santi luoghi” (Trattato…p. 65)
Maria, la Madonna Addolorata, la cui festa celebreremo domani, che ci fu data per Madre qui, quando stava presso la Croce, sarà sempre al nostro servizio!
Ecco, fratelli e sorelle, il significato della festa odier¬na ed è per questo che fu costruita la Basilica dove oggi noi celebriamo questa festa.



Racconto della Leggenda della Croce di Agnolo Gaddi


http://www.santacrocefirenze.it/

testo scritto da Federico Bonetti Amendola, in collaborazione con P. Antonio Di Marcantonio (Rettore della Basilica) e di Ilaria Innocenti.

Primo affresco

«C’era una volta… – un Re! – diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno…»…  Mi avvicino alla Cappella Maggiore di Santa Croce. No, non mi sfiora l’idea che potesse essere irriguardoso… la favola più conosciuta al mondo inizia così, ed è la storia di un pezzo di legno; e qui gli otto affreschi del Ciclo ci parlano del pezzo di legno più caro a ogni cristiano,la Crocedi Gesù. Da dove veniva, come si perse e come si ritrovò…
Si racconta che un tempo lontano Adamo, il primo uomo, si ammalò. Il figlio Seth, dopo un lungo cammino, lo vediamo alle porte del Paradiso per chiedere la grazia della guarigione del padre. L’arcangelo Michele gli appare e dà a Seth un semplice ramoscello proveniente dall’albero del Paradiso Terrestre, quello del peccato originale, così dicendo: «Tuo padre guarirà quando questo ramo farà i suoi frutti ». Colpito dal mistero di quelle parole Seth riprende la strada del ritorno, ma trova il padre ormai morto.
Il primo affresco, la prima scena di questo film: La morte di Adamo, il primo uomo. Sapeva Adamo in che modo un giorno avrebbe dovuto affrontare l’oscuro viaggio? Nessuno sapeva cosa fosse la morte. Era stata annunciata, è vero, si sapeva che sarebbe arrivata, prima o poi, ma ora era lì. Un appuntamento che non poteva essere rimandato. …I volti attoniti dei figli, dei nipoti, dei discendenti cercano di intuire  qualunque piccola espressione del volto del patriarca…. qualcosa che li illumini… in fondo forse si aspettano che non muoia, che alla fine Dio Padre mandi un angelo con un messaggio di grazia. Nulla. E la morte giunge ad addormentare Adamo.Seth non aveva esitato, da buon  figlio, a compiere un lungo e tormentato cammino per ottenere un rimedio, un segno da potere validamente opporre alla morte. In alto si vedono le porte del Paradiso, negate ad Adamo dopo il peccato originale; all’opposto, in basso, c’è Adamo morto. In mezzo, la gente stupefatta e addolorata.
In mano a Seth un semplice ramoscello… La pietà del figlio pianta il ramoscello sulla tomba del padre. Un atto semplice, ma sacro, una devozione quotidiana e luminosa…
Un segno, un pezzo di legno, destinato a vivere. Ben presto il ramo diverrà un albero…

Scondo affresco: La Regina Elena in adorazione del legno


Il secondo affresco, la seconda scena… Gli anni, molti anni, sono passati e il ramoscello lo ritroviamo albero  vigoroso e fronzuto. Siamo sotto il regno di Re Salomone, intento alla costruzione del Tempio, a gloria di Dio, del popolo d’Israele, e sua propria.
            Salomone fa abbattere il nostro albero per usarlo nel suo cantiere. La leggenda ci tramanda che a quest’albero non si riusciva, in alcun modo, a trovargli un posto adatto: ora pareva troppo lungo ed ora troppo corto: infatti se gli operai ne tagliavano un pezzo per dargli la giusta misura era troppo lungo e, appena riprese le misure, ecco che diveniva troppo corto. Alla fine gli operai perdono la pazienza e lo gettano su di un lago per fare  da ponte.
Sullo sfondo c’è il Tempio, ci sono il  fasto voluti da Salomone.. Sul proscenio, in basso a destra, un pezzo di legno scomodo, mai della giusta misura.. La croce non è mai comoda: ognuno vorrebbe adattarla alle proprie esigenze, piegarla ai propri voleri, ma non riesce. Non può asservirla ai suoi fini. E’ piuttosto lei,la Croce, che si pone come problema, a volte scomodo e difficile. Il fasto e la magnificenza non si addicono alla Croce. E’ facile perdere la pazienza e lasciar cadere la croce. Ma Cristo non lascia cadere la sua croce..
Il “pezzo di legno”, buttato lì dall’impazienza degli operai, assume una funzione importante come passaggio per giungere a Gerusalemme:  la croce sa qual è il suo giusto posto. Un ponte, un passaggio. Il passaggio tra Antico e Nuovo testamento. Tra Antico e Nuovo mondo. Un ponte facilita il dialogo, l’unione tra persone altrimenti lontane. La vita stessa è un passaggio. Anche il fastidio degli operai di Salomone, ha un suo posto nel disegno di Dio. La regina di Saba si reca ad ascoltare la saggezza di Salomone; ma deve attraversare il  lago dove l’albero era stato gettato dagli operai. E lì ha una visione: su quel legno sarebbe stato appeso il Salvatore del mondo. Ed ella devotamente si prostra ad adorarlo.
la Reginadi Saba é una Regina “esotica”, diremmo oggi noi. Personaggio forse esistito nella storia, sicuramente nel mito e nella leggenda, e nei testi sacri. Raffigurata simile ad una Madonna…una Regina “bruna ma bella” secondo Il Cantico de’ Cantici.
Il “pezzo di legno”, il nostro protagonista, è in bella vista: una passerella sulla piscina di Siloe, luogo di miracoli … La profezia della Regina di Saba inquieta Salomone: Il Re, preso da inquietudine e paura, ordina allora che sia seppellito nelle viscere della terra
Questo pezzo di legno è scomodo, senza misura, non adattabile ai propri voleri, ma allo stesso tempo miracoloso, e intrecciato alla storia senza badare al bene e al male, a loro volta mischiati come il grano e il loglio. Quanta pazienza poi per separarli…

Terzo affresco: ritrovamento della Croce


E siamo al terzo affresco…Altro tempo è passato…il “pezzo di legno” a un certo punto torna ad essere protagonista. All’avvicinarsi della passione di Cristo il legno emerge dalle profondità della terra.
La terra si muove anche se sembra ferma, e sa serbare i suoi segreti fino al momento in cui è necessario svelarli… Quel pezzo di legno diventala Crocedi Cristo.La Passionenon è raffigurata nell’affresco,ma è l’anima stessa della leggenda della vera Croce.
Mi emoziona considerare il calvario dal punto di vista della Croce, di quel semplice “pezzo di legno”. La mia mente corre lontano, a quell’Uomo sulla croce, a quel sacrificio così scomodo e apparentemente assurdo: il Figlio di Dio che scende tra noi a patire il martirio per la salvezza di tutti.
Ancora una voltala Crocedi Cristo, il pezzo di legno viene seppellito.  Chi lo voleva custodire in segreto e chi voleva fuggire dal senso di colpa  per avere ucciso il Figlio di Dio…

Quarto affresco: riconoscimento della vera croce

 

Altri secoli passano e siamo al quarto affresco… Elena, regina e madre di Costantino, giunge a Gerusalemme per ricercare la croce di Cristo. Donna tanto energica e volitiva quanto dotata di una religiosità incrollabile, sapeva quel che voleva, diremmo noi oggi. Nel senso che, per quanto ne sappiamo, sapeva ottenere quel che voleva con le buone o con le cattive…
Nessuno vuole rivelare il luogo dov’era custodita la croce. Come spesso avviene c’era chi sapeva, chi faceva finta di non sapere, chi aveva dimenticato la ricerca della Croce. Elena non si ferma di fronte alla reticenza e, con le “buone maniere”, riesce a sapere dov’è seppellitala Croce: sotto un tempio di Venere.
Vediamo un paesaggio a noi familiare, come fosse appena fuori porta, un ruscello, sullo sfondo un cane e delle papere,e in primo piano una folla laboriosa che s’industria a tirar fuori dal terreno prima una, poi due, poi tre croci. La croce di Cristo e dei due ladroni crocifissi con lui..
Un lettino funebre ospita un novello Lazzaro, avvolto ancora dal sudario…. Nessuno sa distinguere la croce di Cristo da quella dei ladroni. Il cadavere viene adagiato sulla prima poi sulla seconda croce e infine sulla terza e vive….!.
La croce, il pezzo di legno, che si fa rivelatrice del miracolo divino. La gente intorno riconosce e ritrova il legno che aveva sopportato la crocifissione di Gesù. Di nuovo sepolta, di nuovo cercata, di nuovo scoperta…E’ questa la missione  della Croce? Di essere continuamente perduta e ritrovata?

Quinto affresco: Elena porta la croce in Gerusalemme

Infine Elena entra trionfalmente in Gerusalemme. La regina, con grande solennità e abbracciando la croce.
Nel quinto affresco  si vede adornata da un cappello come quello usato dagli studenti, e dai clerici vagantes, che viaggiavano su e giù  per l’Europa.
Si racconta che Elena divise la croce in due parti: ne portò al figlio una parte e l’altra parte la lasciò nel luogo dove l’aveva trovata, racchiusa in custodia di argento.
La Croce viene di nuovo nascosta, celata… E il  suo destino  in qualche modo si ripete

Sesto affresco: Cosroe, re dei Persiani, si impadronisce della croce

Passano anni, e secoli, e la croce, il nostro caro “pezzo di legno” sembra immergersi nella quiete statica del lungo fluire del tempo finché Cosroe, re dei Persiani giunge a Gerusalemme con le sue truppe. Siamo al sento episodio di questa meravigliosa storia dipinta…
Cosroe,  iI re dei persiani, è un uomo ambizioso, troppo forse; vuole restaurare i fasti degli Achemenidi, di Ciro, di Dario. Intraprende guerre di espansione ed eccolo dinanzi al sepolcro di Cristo. Conosce l’importanza della Croce e nel suo folle progetto di potere, tra violenze e saccheggi, la ruba, strappandola al sepolcro dov’era preziosamente custodita.

Settimo affresco: il sogno di Eraclio

Cosroe torna  in patria. Preso dal desiderio di essere adorato come un dio fa costruire una torre d’oro e d’argento, incastonata di gemme; vi sono anche le immagini del sole, della luna e delle stelle. In cima alla torre  un serbatoio per raccogliere l’acqua per mezzo di condotti segreti: sotto la torre invece una caverna dove un meccanismo trainato da cavalli produce il movimento delle sfere celesti. Cosroe è nella sua torre; seduto sul suo trono astrale, tiene vicino a sé la croce di Cristo. Un uomo che si crede Dio al centro dell’ Universo…
Eraclio, imperatore d’Oriente, avvertito in sogno dall’Arcangelo Michele, che gli indicala Croce, muove guerra a Cosroe e lo incalza fin nelle sue terre, fin nella sua torre.La Croceè ripresa. Tornerà a Gerusalemme.
La Croce, ancora una volta, si trova nell’ occhio del ciclone dello scontro tra bene e male, come al solito intrecciati strettamente in una guerra di eserciti tra due imperatori. Il pezzo di legno si nasconde e riemerge. Sta a ogni uomo cercarne continuamente i segni.

Ottavo affresco: il Re Eraclio riconquista la croce ed entra in Gerusalemme

Ottavo episodio della leggenda. Eraclio riporta a Gerusalemme la sacra reliquia della croce. Discende dal monte degli ulivi sopra il suo cavallo regale e insignito degli ornamenti imperiali, arriva alla porta per cui era entrato il Signore alla vigilia della Passione, ma le pietre della porta si uniscono tra loro a formare un muro; e al di sopra del muro appare un arcangelo con la croce in mano. Dice l’angelo: “Il re dei cieli è entrato in Gerusalemme da questa porta non con pompa regale, ma cavalcando un povero asinello per lasciare ai fedeli un esempio di umiltà”.
Così vediamo Eraclio senza calzari e senza manto regale, che prende la croce di Cristo e a piedi si dirige verso la porta: il muro si apre e il re entra in città.
“O croce più splendente di ogni stella, oggetto di amore per gli uomini, più santa di ogni santa reliquia, che sola fosti degna di portare l’anima del mondo, dolce legno, preziosi chiodi, salva questa città”.
Così detto rimettela Croceal suo posto, e gli antichi miracoli si rinnovano …..

Il senso della Croce

 “Ma chi l’ha detto che ognuno deve portare la sua croce? Possibile che non esista un mezzo per evitarla? Sono veramente stanco  dei miei pesi quotidiani. La vita è fin troppo piena di problemi….. ” E così .
Una notte Dio gli rispose con un sogno. Vide che la vita degli uomini sulla terra era una sterminata processione. Ognuno camminava con la sua croce sulle spalle. Lentamente, ma inesorabilmente, un passo dopo l’altro. Anche lui era nell’interminabile corteo e avanzava a fatica con la sua croce personale. Dopo un po’ si accorse che la sua croce era troppo lunga: per questo faceva tanta fatica ad avanzare. “Sarebbe sufficiente accorciarla un po’ e tribolerei molto meno”, si disse. Si sedette su un paracarro e, con un taglio deciso, accorciò d’un bel pezzo la sua croce. Quando ripartì si accorse che ora poteva camminare molto più spedito e leggero. E senza tanta fatica giunse a quella che sembrava la meta della processione degli uomini. Era un burrone: una larga ferita nel terreno, oltre la quale però incominciava la “terra della vita riuscita e della felicità eterna”. Era una visione incantevole quella che si vedeva dall’altra parte del burrone.
Ma non c’erano ponti, né passerelle per attraversare. Eppure gli uomini passavano con facilità. Ognuno si toglieva la croce dalle spalle, l’appoggiava sui bordi del burrone e poi ci passava sopra. Le croci sembravano fatte su misura: congiungevano esattamente i due margini del precipizio. Passavano tutti. Ma non lui. Aveva accorciato la sua croce e ora essa era troppo corta e non arrivava dall’altra parte del baratro.
Si mise a piangere e a disperarsi: “Ah, se l’avessi saputo…” Ma, ormai, era troppo tardi e lamentarsi non serviva a niente…
 “Chi non prende la sua croce e non viene dietro a me, non è degno di me. Chi cercherà di conservare la sua vita la perderà; chi avrà perduto la propria vita per me, la ritroverà”.




Commento di P. Cantalamessa


Oggi la croce non è presentata ai fedeli nel suo aspetto di sofferenza, di dura necessità della vita, o anche di via per cui seguire Cristo, ma nel suo aspetto glorioso, come motivo di vanto, non di pianto. Diciamo anzitutto qualcosa sull’origine della festa. Essa ricorda due avvenimenti distanti tra loro nel tempo. Il primo è l’inaugurazione, da parte dell’imperatore Costantino, di due basiliche, una sul Golgota e una sul sepolcro di Cristo, nel 325. L’altro avvenimento, del secolo VII, è la vittoria cristiana sui persiani che portò al recupero delle reliquie della croce e al loro ritorno trionfale a Gerusalemme. Con il passar del tempo, la festa però ha acquistato un significato autonomo. E’ diventata celebrazione gioiosa del mistero della croce che, da strumento di ignominia e di supplizio, Cristo ha trasformato in strumento di salvezza.

Le letture riflettono questo taglio. La seconda lettura ripropone il celebre inno della Lettera ai Filippesi, dove la croce è vista come il motivo della grande “esaltazione” di Cristo: “Umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre”. Anche il Vangelo parla della croce come del momento in cui “il Figlio dell’uomo è stato innalzato perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”.

Ci sono stati, nella storia, due modi fondamentali di rappresentare la croce e il crocifisso. Li chiamiamo, per comodità, il modo antico e il modo moderno. Il modo antico, che si può ammirare nei mosaici delle antiche basiliche e nei crocifissi dell’arte romanica, è un modo glorioso, festoso, pieno di maestà. La croce, spesso da sola, senza il crocifisso sopra, appare punteggiata di gemme, proiettata contro un cielo stellato, con sotto la scritta: “Salvezza del mondo, salus mundi”, come in un celebre mosaico di Ravenna.

Nei crocifissi lignei dell’arte romanica, questo stesso tipo di rappresentazione si esprime nel Cristo che troneggia in vestimenti regali e sacerdotali dalla croce, con gli occhi aperti, lo sguardo frontale, senza ombra di sofferenza, ma irraggiante maestà e vittoria, non più coronato di spine, ma di gemme. E’ la traduzione in pittura del versetto del salmo “Dio ha regnato dal legno” (regnavit a ligno Deus). Gesù parlava della sua croce in questi stessi termini: come del momento della sua “esaltazione”: “Io, quando sarò esaltato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12, 32).

Il modo moderno comincia con l’arte gotica e si accentua sempre di più, fino a diventare il modo ordinario di rappresentare il crocifisso, in epoca moderna. Un esempio estremo è la crocifissione di Matthias Grünewald nell’Altare di Isenheim. Le mani e i piedi si contorcono come sterpi intorno ai chiodi, il capo agonizza sotto un fascio di spine, il corpo tutto piagato. Anche i crocifissi di Velasquez e di Salvador Dalì e di tanti altri appartengono a questo tipo.
Tutti e due questi modi mettono in luce un aspetto vero del mistero. Il modo moderno -drammatico, realistico, straziante- rappresenta la croce vista, per così dire, “davanti”, “in faccia”, nella sua cruda realtà, nel momento in cui vi si muore sopra. La croce come simbolo del male, della sofferenza del mondo e della tremenda realtà della morte. La croce è rappresentata qui “nelle sue cause”, cioè in quello che, di solito, la produce: l’odio, la cattiveria, l’ingiustizia, il peccato.

Il modo antico metteva in luce, non le cause, ma gli effetti della croce; non quello che produce la croce, ma quello che è prodotto dalla croce: riconciliazione, pace, gloria, sicurezza, vita eterna. La croce che Paolo definisce “gloria” o “vanto” del credente. La festa del 14 Settembre si chiama “esaltazione” della croce, perché celebra proprio questo aspetto “esaltante”, della croce.
Bisogna unire, al modo moderno di considerare la croce, quello antico: riscoprire la croce gloriosa. Se al momento in cui la prova era in atto, poteva esserci utile pensare a Gesù sulla croce tra dolori e spasimi, perché questo ce lo faceva sentire vicino al nostro dolore, ora bisogna pensare alla croce in altro modo. Mi spiego con un esempio. Abbiamo di recente perso una persona cara, forse dopo mesi di grandi sofferenze. Ebbene, non continuare a pensare a lei come era sul suo letto; in quella circostanza, in quell’altra, come era ridotta alla fine, cosa faceva, cosa diceva, torturandosi magari il cuore e la mente, alimentando inutili sensi di colpa. Tutto questo è finito, non esiste più, è irrealtà; così facendo non facciamo che prolungare la sofferenza e conservarla artificialmente in vita.

Vi sono mamme (non lo dico per giudicarle, ma per aiutarle) che dopo aver accompagnato per anni un figlio nel suo calvario, una volta che il Signore l’ha chiamato a sé, si rifiutano di vivere altrimenti. In casa tutto deve restare com’era al momento della morte del figlio; tutto deve parlare di lui; visite continue al cimitero. Se vi sono altri bambini in famiglia, devono adattarsi a vivere anch’essi in questo clima ovattato di morte, con grave danno psicologico. Ogni manifestazione di gioia in casa sembra loro una profanazione. Queste persone sono quelle che hanno più bisogno di scoprire il senso della festa di domani: l’esaltazione della croce. Non più tu che porti la croce, ma la croce che ormai porta te; la croce che non ti schiaccia, ma ti innalza.

Bisogna pensare la persona cara come è ora che “tutto è finito”. Così facevano con Gesù quegli antichi artisti. Lo contemplavano come è ora: risorto, glorioso, felice, sereno, seduto sullo stesso trono di Dio, con il Padre che ha “asciugato ogni lacrima dai suoi occhi” e gli ha dato “ogni potere nei cieli e sulla terra”. Non più tra gli spasimi dell’agonia e della morte. Non dico che si possa sempre comandare al proprio cuore e impedirgli sanguinare al ricordo di quello che è stato, ma bisogna cercare di far prevalere la considerazione di fede. Se no, a che serve la fede?



La croce è gloria ed esaltazione di Cristo

Dai «Discorsi» di sant'Andrea di Creta, vescovo
(Disc. 10 sull'Esaltazione della santa croce; PG 97, 1018-1019. 1022-1023).


Noi celebriamo la festa della santa croce, per mezzo della quale sono state cacciate le tenebre ed è ritornata la luce. Celebriamo la festa della santa croce, e così, insieme al Crocifisso, veniamo innalzati e sublimati anche noi. Infatti ci distacchiamo dalla terra del peccato e saliamo verso le altezze. E' tale e tanta la ricchezza della croce che chi la possiede ha un vero tesoro. E la chiamo giustamente così, perché di nome e di fatto è il più prezioso di tutti i beni. E' in essa che risiede tutta la nostra salvezza. Essa è il mezzo e la via per il ritorno allo stato originale.
Se infatti non ci fosse la croce, non ci sarebbe nemmeno Cristo crocifisso. Se non ci fosse la croce, la Vita non sarebbe stata affissa al legno. Se poi la Vita non fosse stata inchiodata al legno, dal suo fianco non sarebbero sgorgate quelle sorgenti di immortalità, sangue e acqua, che purificano il mondo. La sentenza di condanna scritta per il nostro peccato non sarebbe stata lacerata, noi non avremmo avuto la libertà, non potremmo godere dell'albero della vita, il paradiso non sarebbe stato aperto per noi. Se non ci fosse la croce, la morte non sarebbe stata vinta, l'inferno non sarebbe stato spogliato.
E' dunque la croce una risorsa veramente stupenda e impareggiabile, perché, per suo mezzo, abbiamo conseguito molti beni, tanto più numerosi quanto più grande ne è il merito, dovuto però in massima parte ai miracoli e alla passione del Cristo. E' preziosa poi la croce perché è insieme patibolo e trofeo di Dio. Patibolo per la sua volontaria morte su di essa. Trofeo perché con essa fu vinto il diavolo e col diavolo fu sconfitta la morte. Inoltre la potenza dell'inferno venne fiaccata, e così la croce è diventata la salvezza comune di tutto l'universo.
La croce è gloria di Cristo, esaltazione di Cristo. La croce è il calice prezioso e inestimabile che raccoglie tutte le sofferenze di Cristo, è la sintesi completa della sua passione. Per convincerti che la croce è la gloria di Cristo, senti quello che egli dice: «Ora il figlio dell'uomo è stato glorificato e anche Dio è stato glorificato in lui, e lo glorificherà subito» (Gv 13, 31-32).
E di nuovo: «Glorificami, Padre, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse» (Gv 17, 5). E ancor: «Padre glorifica il tuo nome. Venne dunque una voce dal cielo: L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò» (Gv 12, 28), per indicare quella glorificazione che fu conseguita allora sulla croce. Che poi la croce sia anche esaltazione di Cristo.



Dai "Discorsi sul Vangelo di Giovanni", di sant'Agostino, vescovo
Per guarire dal peccato, guardiamo Cristo crocifisso

Nessuno è salito in cielo, fuorché colui che dal cielo discese, il Figlio dell'uomo che è in cielo (Gv 3, 13). Egli dunque era qui ed era anche in cielo: era qui con la carne, era in cielo con la divinità; o meglio, con la divinità era dappertutto. Egli è nato dalla madre, senza allontanarsi dal Padre. Sappiamo che in Cristo vi sono due nascite, una divina, l'altra umana; una per mezzo della quale siamo stati creati, l'altra per mezzo della quale veniamo redenti. Ambedue mirabili: la prima senza madre, la seconda senza padre. Ma poiché aveva preso il corpo da Adamo, dato che Maria proviene da Adamo, e questo medesimo corpo avrebbe risuscitato, ecco la realtà terrena alla quale si riferiva, quando disse: Distruggete questo tempio, e in tre giorni io lo risusciterò (Gv 2, 19). Si riferiva invece a cose celesti, quando disse: Nessuno può vedere il regno di Dio, se non rinasce dall'acqua e dallo Spirito (Gv 3, 5)Sì, o fratelli, Dio ha voluto essere figlio dell'uomo, ed ha voluto che gli uomini siano figli di Dio. Egli è disceso per noi e noi ascendiamo per mezzo di lui. Solo infatti discende e ascende colui che ha detto: Nessuno ascende in cielo, se non colui che dal cielo discende. Non ascenderanno dunque in cielo coloro che egli fa figli di Dio? Certo che ascenderanno; ci è stato promesso in modo solenne:Saranno come gli angeli di Dio in cielo (Mt 22, 30)In che senso, allora, nessuno ascende al cielo se non chi ne è disceso? Infatti uno solo è disceso, e uno solo è asceso. E gli altri? Che cosa pensare, se non che saranno membra di lui, così che sarà uno solo ad ascendere in cielo? Per questo il Signore dice: Nessuno ascende in cielo, se non colui che dal cielo discende, il Figlio dell'uomo che è in cielo. Ti meraviglia perché era qui e anche in cielo? Fece altrettanto per i suoi discepoli. Ascolta l'apostolo Paolo che dice: La nostra patria è in cielo (Fil 3, 20). Se un uomo com'era l'apostolo Paolo camminava in terra col corpo mentre spiritualmente abitava in cielo, non era possibile al Dio del cielo e della terra, essere contemporaneamente in cielo e in terra?
Con la sua morte Cristo ci liberò dalla morte: morendo, ha distrutto la morte. E voi, fratelli, sapete che la morte entrò nel mondo per l'invidia del diavolo. La Scrittura afferma che Dio non ha fatto la morte, né gode che periscano i viventi. Egli creò ogni cosa perché esistesse (Sap 1, 13-14). Ma per l'invidia del diavolo - aggiunge - la morte entrò nel mondo (Sap 2, 24)L'uomo non sarebbe giunto alla morte propinatagli dal diavolo, se si fosse trattato di costringervelo con la forza; perché il diavolo non aveva la potenza di costringerlo, ma solo l'astuzia per sedurlo. Senza il tuo consenso il diavolo sarebbe rimasto impotente: è stato il tuo consenso, o uomo, che ti ha condotto alla morte. Nati mortali da un mortale, divenuti mortali da immortali che eravamo. Per la loro origine da Adamo tutti gli uomini sono mortali; ma Gesù, figlio di Dio, Verbo di Dio per mezzo del quale tutte le cose furono fatte, Figlio unigenito uguale al Padre, si è fatto mortale: il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi (Gv 1, 3 14).
Egli dunque prese sopra di sé la morte, e la inchiodò alla croce, e così i mortali vengono liberati dalla morte. Il Signore ricorda ciò che in figura avvenne presso gli antichi: Ecome Mosè innalzò il serpente nel deserto, così deve essere innalzato il Figlio dell'uomo, affinché ognuno che crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna (Gv 3, 14-15)Gesù allude ad un famoso fatto misterioso, ben noto a quanti hanno letto la Bibbia. Ma ascoltino anche quelli che non hanno letto l'episodio, e quanti che, pur avendolo letto o ascoltato, lo hanno dimenticato. Il popolo d'Israele cadeva nel deserto morsicato dai serpenti, e l'ecatombe cresceva paurosamente. Era un flagello con cui Dio li colpiva per correggerli e ammaestrarli. Ma proprio in quella circostanza apparve un grande segno della realtà futura. Lo afferma il Signore stesso in questo passo, sicché non è possibile dare di questo fatto un'interpretazione diversa da quello che ci indica la Verità riferendolo a sé. Il Signore, infatti, ordinò a Mosè di fare un serpente di bronzo, e di innalzarlo su un legno nel deserto, per richiamare l'attenzione del popolo d'Israele, affinché chiunque fosse morsicato, volgesse lo sguardo verso quel serpente innalzato sul legno. Così avvenne; e tutti quelli che venivano morsicati, guardavano ed erano guariti (Nm 21, 6-9). Che cosa sono i serpenti che morsicano? Sono i peccati che provengono dalla carne mortale. E il serpente innalzato? la morte del Signore in croce. E' stata raffigurata nel serpente, appunto perché la morte proveniva dal serpente. Il morso del serpente è letale, la morte del Signore è vitale. Si volge lo sguardo al serpente per immunizzarsi contro il serpente. Che significa ciò? Che si volge lo sguardo alla morte per debellare la morte. Ma alla morte di chi si volge lo sguardo? alla morte della vita, se così si può dire. E poiché si può dire, è meraviglioso dirlo. O non si dovrà dire ciò che si dovette fare? Esiterò a dire ciò che il Signore si degnò di fare per me? Forse che Cristo non è la vita? Tuttavia Cristo è stato crocifisso. Cristo non è forse la vita? E tuttavia Cristo è morto. Ma nella morte di Cristo morì la morte, perché la vita, morta in lui, uccise la morte e la pienezza della vita inghiottì la morte. La morte fu assorbita nel corpo di Cristo. Così diremo anche noi quando risorgeremo, quando ormai trionfanti canteremo: O morte, dov'è la tua vittoria? O morte, dov'è il tuo pungiglione? (1 Cor 15, 55). Frattanto, o fratelli, per essere guariti dal peccato volgiamo lo sguardo verso Cristo crocifisso; poiché come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così deve essere innalzato il Figlio dell'uomo, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna. Come coloro che volgevano lo sguardo verso quel serpente, non perivano per i morsi dei serpenti, così quanti volgono lo sguardo con fede alla morte di Cristo, vengono guariti dai morsi dei peccati. E mentre quelli venivano guariti dalla morte per la vita temporale, qui invece è detto: affinché abbia la vita eterna. Esiste infatti questa differenza, tra il segno prefigurativo e la realtà stessa: che la figura procurava la vita temporale, mentre la realtà prefigurata procura la vita eterna.



Dalle "Omelie" di san Giovanni Crisostomo, vescovo

Un tempo la croce era un segno di condanna, ora invece è principio di salvezza. Essa è diventata per noi causa di innumerevoli benefici, ci ha liberato dall'errore, ha illuminato quelli che giacevano nelle tenebre, ha liberato noi che ci eravamo ribellati a Dio, ha fatto degli estranei dei familiari, ha reso vicini quanti erano lontani. Essa è la distruzione della inimicizia, la protezione della pace, il tesoro di beni innumerevoli. Grazie ad essa non andiamo più errando nel deserto, abbiamo conosciuto la vera via, non avanziamo al di fuori della via regale. Abbiamo trovato la porta, non temiamo le frecce infuocate del diavolo perchè abbiamo visto la fonte. Per questo non siamo più in stato di vedovanza, abbiamo accolto lo sposo; grazie alla croce non temiamo più il lupo rapace, perchè il buon pastore è in mezzo a noi. Perciò non temiamo il tiranno, siamo in attesa del Signore. Perciò facciamo festa celebrando la memoria della croce. Anche Paolo ci ordina di celebrare la festa della croce. Dice: Facciamo festa non con lievito vecchio, ma con azzimi di sincerità e di verità (1Cor., 5,8). In seguito ne spiega il motivo: Cristo nostra pasqua è stato immolato! Vedi come Paolo ordina di celebrare la festa della croce? E Cristo è stato immolato sulla croce. Dove vi è il sacrificio, là vengono annullati i peccati, là vi è la riconciliazione con il Signore, là vi sono festa e gioia. Cristo nostra Pasqua è stato immolato per noi. Dimmi: dove è stato immolato? Su un albero elevato. Nuovo è l'altare del sacrificio, poichè nuova ed eccezionale è anche la vittima. Vittima e sacerdote sono una cosa sola... Perchè viene immolato fuori dalla città e fuori dalle mura? Perchè tu sappia che il sacrificio è universale, perchè tu sappia che l'offerta è fatta per tutta la terra, perchè tu sappia che la purificazione non riguarda solo una parte ma concerne tutti".

Giovanni Crisostomo, Omelia sulla croce e sul ladrone 1,1








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