Giovedì della XXII settimana del Tempo Ordinario. Commento completo







Gesù entra nella storia e nella nostra vita, "levato in piedi": è risorto (secondo il verbo greco originale) e ha vinto la morte, ed è ora "presso" il lago, "presso" di noi. 

Ma ha bisogno di una "barca"... "La folla", infatti gli "fa ressa intorno per ascoltare la Parola di Dio", e gli impedisce di "ammaestrare" le persone come vorrebbe. La ressa e la folla lo spingono a cercare una barca: la Chiesa nasce dal bisogno di offrire agli uomini un luogo dove si possano sentire importanti, difesi, amati e condotti, e così ascoltare la Parola capace di salvarli. 

Gesù si leva in piedi dalla folla come da un sepolcro per accorgersi di me e di te, per "vedere" le nostre barche ormeggiate. Che significa? Che lo zelo e l'amore di Gesù esplodono in un lampo di vita e di amore più forte dell'anonimato della massa; questa è immagine della morte dell'unicità di ogni persona, perché in essa si tenta di diluire anche i dolori più grandi, impedendo che la salvezza trovi il destinatario, senza nome, casa e indirizzo. 

Il chiasso e il sentimentalismo emotivi e inautentici della folla, destano e dirigono lo sguardo di Gesù verso di te che stai confondendo le tue cicatrici con quelle degli altri, per paura di essere giudicato e rifiutato. Gesù però sa come incontrarti, perché cerca quanto di noi ormai è assicurato alla riva, dopo una notte di fallimenti. Lui cerca le barche "ormeggiate" e le reti ripiegate e inutili. Lei cerca noi che siamo "scesi" dalla barca e ci siamo arresi al fallimento. 

Per questo Gesù vede proprio quelle barche. Vuole quelle barche. Vi "sale" e si fa pescatore con quei pescatori che non hanno pescato nulla. Si fa "socio" di Simone, fa suo il non "aver preso nulla", per riempire con il Vangelo la sua barca vuota. Dopo esservi entrato chiede a Pietro di "scostarsi un pochino". E' il primo passo, scostarsi un pochino... 

Pietro e i suoi compagni erano lì, dentro la loro quotidiana fatica, infruttuosa e sterile, e non dicono nulla, non chiedono nulla. Avranno sicuramente desiderato un esito diverso per la loro pesca, ma non conoscevano ancora quel Maestro che "stava lì" e si era diretto proprio da loro, ed era salito proprio sulla barca di Pietro. L'iniziativa è sempre di Gesù che ci guarda, ci sceglie, e ci parla. Il primo incontro con Gesù è fissato da Lui, che non chiede permesso per entrare nella nostra vita. Una volta dentro, accanto a noi e alle nostre cose, allora chiede una cosa piccolina, di aprirci a Lui anche solo nella misura di una fessura impercettibile, come lo "scostarsi un pochino" da terra.

Ma quel "poco" è decisivo. Senza questo piccolo passo, senza essersi fidati un pochino e aver aperto il cuore, Pietro non avrebbe poi "preso il largo" dal quale era tornato a reti vuote... E' immagine del momento in cui si accoglie l'annuncio del Kerygma e si comincia a camminare nella Chiesa, ad ascoltare la Parola e la predicazione, ad essere nutriti dal suo seno materno, nel mondo ma a poco a poco sempre meno del mondo. In essa infatti si fa l'esperienza che la vera vita è al largo, scostati da terra, dalle sicurezze e dai criteri mondani, dai suoi valori che spengono l'anima.

Se Gesù non fosse salito sulla sua barca e non si fosse fatto pescatore con lui dentro il suo fallimento, non avrebbe potuto poi obbedire all'assurdo di andare a pescare dove aveva fallito. Anche per noi , in ogni situazione difficile, il primo passo è quello decisivo: con esso offriamo alla parola di Gesù la possibilità d'essere annunciata. Niente di più che prenderlo nella barca e lasciarlo parlare

Così il Signore ha sempre fatto con ogni uomo, attraverso gli apostoli e la Chiesa, seguendo una pedagogia paziente di amore e misericordia, personale e comunitaria nell'iniziazione cristiana. Un passo alla volta, per preparare ciascuno e sferrare l'affondo al momento opportuno. 

Così siamo chiamati a fare, come pastori e genitori: accorgerci della barca dei figli e dei fratelli affidati; vederla ormeggiata con le reti tristemente vuote dopo lo studio che è andato male; o dopo essere stati lasciati dalla fidanzata o dopo averci litigato di brutto; dopo la delusione di un amico infedele; dopo una partita andata male. Poi avvicinarsi senza pregiudizi ed entrare nella sua barca, farsi tutto a tutti, non temere di sporcarsi con quello che è oggi tuo figlio. 

Se non si entra nella sua barca ogni altra parola e qualunque altro gesto saranno inutili.
 Solo dopo che "l'odore delle pecore" e dei figli, del marito e della moglie, dell'amico e del fidanzato, del collega e dell'alunno, si è impossessato di noi potremo chiedere di "scostarsi un poco da terra". Solo dopo essere entrati nel dolore dell'altro, partecipando alla sua delusione e alla sua preoccupazione, dando importanza alla sua vita anche dove sembra insignificante, solo dopo essersi incarnati come Gesù, potremo indicare di nuovo il mare a chi da esso ne ha tratto solo delusione. 

Il Signore non ha chiesto immediatamente di "prendere il largo", ma solo di allontanarsi "un poco" dalla riva. Non si va in Cielo di colpo, vi è un cammino da fare, e tanta pazienza... Come accade a un bambino che comincia a camminare, così è per ciascuno di noi. Per un ragazzo che è stato tutta la notte a gettare reti per pescare cose e persone per saziare se stesso, la stessa delusione per l'insuccesso lo prepara ad accogliere e ascoltare il Signore. 

Ma non bisogna esigere e caricare l'artiglieria di moralismi. Bisogna avere pazienza e vedremo quel ragazzo diventare un "pescatore di uomini", e "lasciare tutti" gli strumenti e le astuzie per catturare gli altri. Gesù sapeva che cosa avrebbe fatto, scorgendo le barche ormeggiate aveva già visto Pietro abbandonare tutto e seguirlo. Anzi, di più: Gesù si trovava su quel molo in quel giorno proprio per Pietro e i suoi amici. Gesù lo aveva amato e lo aveva già scelto, proprio perché ne conosceva il carattere con i pregi e i difetti, sapeva delle sue debolezze e dei tradimenti; ma Gesù sapeva anche che, dopo la Croce e la risurrezione, lo avrebbe incontrato di nuovo in quello stesso luogo, e allora, e solo allora, Pietro avrebbe potuto cominciare a seguirlo davvero, andando "dove non voleva" e la carne si ribella, per glorificare il suo Maestro. 

Così anche noi di fronte ai fratelli, i figli o chiunque sia: non ci troviamo accanto alle loro barche per caso, non si tratta di improvvisare nulla, ma di lasciare che lo sguardo di fede intinto nella misericordia di Dio guardi oltre quel peccato, quella caduta, quel fallimento. E in quel fratello vedremo di certo una persona trasformata, capace di offrire se stesso proprio dove invece aveva offerto tutto a se stesso. 

Ma bisogna avere pazienza e non temere di salire sulla barca dei perdenti, perché così ha fatto il Signore con noi, ogni giorno; perché così farà anche oggi, nel nostro matrimonio e nelle nostre attività. Allora, dopo essere saliti a bordo e aver strappato il fratello alla massa anonima, gli si può annunciare il Vangelo, la Buona Notizia dell'amore di Dio e della sua misericordia. "Finito di parlare", quando la Parola ha preparato il terreno, si potrà annunciare l'impossibile: come una buona notizia chiedere di "prendere il largo".

Con Gesù potremo dire al fratello di inoltrarsi nel mare che, sino a quel momento, aveva riservato solo amarezza. Solo dopo il Kerygma, e appoggiati alla sua forza, potremo invitarlo a "non temere" e ad entrare proprio dove ha sofferto, "gettandovi" la propria vita. Nello studio, con la fidanzata, con chi sia e in qualsiasi situazione, "calare le reti" nel mare; di nuovo, buttare in mare criteri e stratagemmi, furbizie e ipocrisie, inganni e sforzi, ogni peccato, perché "sulla Parola di Gesù" quello che aveva prodotto morte ora genererà vita! 

La Parola predicata, infatti, rafforza e dà credibilità a quella successiva, perché essa dona e porta a maturità la fede per credere che Dio può compiere l'impossibile: "Quando il Signore, seduto nella  barca, dice a Pietro: “Prendi il largo e calate le reti per la pesca”, gli consiglia non tanto di calare gli strumenti da pesca nelle profondità delle acque, quanto di spargere in fondo ai cuori le parole della predicazione. Come la rete porta nelle sue pieghe verso la nave i pesci che ha presi, così la fede conduce nel suo seno, verso il riposo, tutti gli uomini che ha radunati" (San Massimo il Confessore).

Che meraviglia incontrare il Signore! La vita cambia radicalmente, e senza alcuno sforzo. Con Lui tutto di noi è trasfigurato. Quando siamo chiamati a gettare via tutto, è per sperimentare che tutto di noi è importante, anche i difetti e addirittura i peccati, perché proprio attraverso di essi possiamo conoscere l'amore di Dio e che solo la sua Parola sa tirare fuori la vita dalla morte. 

Oggi Gesù ci invita a non aver paura, a non sperare chissà quali cambi repentini; non dobbiamo liberarci con le nostre forze delle reti di peccati e degli intrecci di carne e concupiscenze. Anche se riuscissimo a fare qualcosa, non servirebbe a nulla. No, è diverso quello che ci chiede il Signore. E' un rapporto diverso con gli altri quello a Egli cui ci chiama. 

Lui entra nella nostra vita, ci insegna ad aver fiducia in Lui e a scostarci un poco dalle nostre sicurezze, ma poco alla volta. 
E ci parla, ci annuncia il Vangelo una, due, cento mille volte, dentro il nostro cuore, nella nostra anima, in un dialogo intimo e fecondo che ridona la vita, parola dopo parola. 

E poi ci chiama a fidarci della sua Parola sperimentata vera e piena di vita, e a "gettare" in mare le reti, come e dove lo abbiamo sempre fatto. Qui e solo qui si può dare il miracolo decisivo, che farà poi lasciare tutto e seguire il Signore: l'obbedienza alla sua Parola. Sino ad ora abbiamo seguito le nostre parole, i nostri usi e costumi, e non abbiamo preso nulla. Ma, "gettando le reti sulla sua Parola", saremo fecondi proprio dove abbiamo fallito. In famiglia, ovunque e con chiunque.

Perché laddove è abbondato il peccato occorre fare esperienza che sovrabbonda la Grazia. Dove non sono stato sincero sperimentare di poter dire la verità senza paura; dove ho peccato nella sessualità, sperimentare la castità; dove ho giudicato, sperimentare il perdono. E tutto in virtù della Parola di Cristo che ci annuncia la Chiesa attraverso i Pastori e i catechisti, i superiori e chi ci conduce nella fede e nel ministero, qualunque esso sia.

Se non si dà questa esperienza non si potrà essere discepoli di Gesù e seguirlo ovunque. Senza obbedienza non c'è libertà, e quindi non vi è amore autentico, ma solo caricature, relazioni e gesti impregnati del nostro "io". Perché quello che fonda la Chiesa e la comunione è un legame nuovo che supera e compie quello della carne, come è quello dell'essere soci di pesca ad esempio. 

E lo trascende nell'esperienza della misericordia che salva e dona sovrabbondantemente quello che la sola carne, i soli interessi e gli ideali comuni non possono dare. Pietro e i suoi soci seguiranno insieme il Signore perché, insieme, hanno sperimentato con "stupore" il suo amore che non è di questo mondo, ma del Cielo che si era fatto giorno nella loro notte. 

Oggi possiamo sperimentare tutto questo! Perché "la notte è passata e il giorno è arrivato" recita il Cantico dei cantici. Oggi è di nuovo Pasqua, perché ogni chiamata è avvolta nella nuova luce della resurrezione: "Sì, Pietro aveva proprio faticato tutta la notte...; quando è sorta la luce del Salvatore, le tenebre si sono disperse e la sua fede gli ha permesso di distinguere, nel più profondo delle acque, ciò che i suoi occhi non potevano vedere. Pietro ha effettivamente sofferto a causa della notte, finché il giorno che è Cristo non è venuto in suo soccorso. Questo fa dire all’apostolo Paolo: La notte è avanzata, il giorno è vicino" (San Massimo il Confessore).

Di notte non abbiamo pescato nulla, ma nel giorno che non conosce tramonto pescheremo "una quantità enorme di pesci" che "le reti si romperanno". Laddove sino ad ora vi è stato il nulla vi sarà la sovrabbondanza! Perché durante la notte dei peccati Gesù scendeva nel sepolcro per distruggere quel buio infecondo, così che nel nuovo giorno della sua risurrezione potessimo sperimentare la sua vittoria e la vita eterna. 

Con tutta quella sovrabbondanza tra le mani, scopriremo, come Pietro, la nostra realtà. E' vero, "abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla" e ora sappiamo perché. La Grazia insperata, la pienezza di vita e di gioia illuminano la verità: non abbiamo preso nulla perché "siamo peccatori!". Allora, un po' per orgoglio, un po' per sacro timore, riconoscendo in Gesù il Signore, vorremmo nasconderci e allontanare da noi tanto amore immeritato. Eppure è proprio qui che l'incontro tra Gesù e Pietro, tra Lui e ciascuno di noi, diviene un santo e fecondo amplesso. 

Questa è l'umiltà autentica che, in ginocchio, ci fa consegnare a Cristo tutto noi stessi. E' in questa scoperta della propria realtà che si conosce quella di Gesù: un peccatore e Dio, un morto e un vivo, carne ferita e mendicante d'amore e l'amore fatto carne che si offre. Nessun giudizio, nessuna esigenza, nessun moralismo, solo un amore infinito che neanche risponde alla paura, allo sgomento, allo scandalo di Pietro. Ma lo guarda e lo fa una nuova creatura, il segno che dove è abbondato il peccato del pescatore di pesci per saziare se stesso, ha sovrabbondato la Grazia del pescatore di uomini da ricondurre a Dio

L'espressione “pescatore di uomini” nasce al tempo dell’esilio in Babilonia, quando il Signore annuncia il ritorno a casa del suo Popolo. Gli Israeliti erano dispersi, come ciascuno di noi, come i nostri figli, ingannati dalle menzogne del mondo. Dio era andato a cercarli e pescarli: "Ecco, io invierò numerosi pescatori che li pescheranno" (Ger. 16,16). 

Ecco, siamo chiamati con Pietro e la Chiesa ad entrare in ogni giorno come nella diaspora dei figli di Dio. Sappiamo che tanti sono in esilio lontani dal Padre, e soffrono terribilmente. La nostra vita è per loro, gettata da Dio come una rete di misericordia per riportarli a casa.

Siamo stati "pescati" mentre ci dibattevamo nei fallimenti ai quali ci avevano consegnato i nostri peccati. Abbiamo cercato di "pescare" uomini considerandoli come dei pesci, un nutrimento per la nostra carne. Ora sarà diverso: pescheremo persone da consegnare a Cristo, non per noi ma per la loro salvezza. 

Sarà una pesca meravigliosa: obbedendo in tutto alla volontà di Dio, accogliendo la sua Parola, potremo gettare la nostra vita donandola nel mare della morte di questa generazione, per trarre sulla riva della Terra Promessa chiunque vi giace incapace di nulla, schiavo del demonio e del peccato.






αποφθεγμα Apoftegma







Duc in altum! 
Questa parola risuona oggi per noi, 
e ci invita a fare memoria grata del passato,
 a vivere con passione il presente, 
ad aprirci con fiducia al futuro: 
«Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e sempre!».

Giovanni Paolo II


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