Mercoledì della XXIII settimana del Tempo Ordinario







L'ANNUNCIO
Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva: «Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete.
Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v'insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell'uomo.
Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione.
Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete.
Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti. 

 (Dal Vangelo secondo Luca 6,20-26)





Dove siamo? La nostra vita è nascosta nel Cielo con Cristo, oppure siamo prigionieri della terra? Abbiamo sperimentato davvero che esiste la vita eterna e che nel Cielo ci attende una "ricompensa" che i ladri non scassinano e la ruggine non consuma, oppure viviamo nella speranza che ci venga qui sulla terra? Siamo uomini celesti o carnali? Siamo creature nuove oppure vecchie? Siamo cristiani o pagani?  

Si fa presto a discernerlo: le parole delle beatitudini stanno parlando di te? Ti senti "beato"? Nella totale "povertà" stai sperimentando la pienezza della vita che non muore? Per un cristiano, infatti, tutto, eccetto il peccato, è "a causa del Figlio dell'uomo", tutto viene da Lui perché il suo amore sia annunciato in ogni angolo della terra. I discepoli di Gesù sono poveri, affamati, piangono ogni giorno lacrime abbondanti tra insulti e rifiuti, perché in loro vive Cristo. Sono scelti per inoltrarsi negli abissi di dolore di ogni generazione, dove il demonio ha fatto una carneficina. 

Un pagano vive della "ricompensa" carnale, destinata ad esaurirsi. Non conosce il Cielo e la "beatitudine" in esso preparata per chi crede alla predicazione, si incammina nella Chiesa, e diviene un cristiano, un discepolo di Cristo. Per questo i "guai" di Gesù sono oggi rivolti a noi, chiamati ad essere suoi. "Guai" se perdessimo il sapore tornando ad essere mondani! 

Le parole di Gesù ci svelano chi siamo davvero. Illuminano quello che abbiamo voluto nascondere e contro cui abbiamo lottato: siamo "beati"! Allora, basta cercare di convincere noi stessi e gli altri che non siamo "poveri", che non abbiamo nulla da "piangere", e che grazie, davvero, ma non abbiamo bisogno di nulla, non "abbiamo fame".... Basta far finta che nessuno "ci odi" e ci "metta al bando", che, per carità, noi amici di tutti, nessuno "ci insulta". 

E basta combattere per farci "ricchi", per "non avere fame e non piangere"; basta brigare e sforzarci al limite delle possibilità perché "tutti parlino bene di noi", ci accettino e così ci nascondano la morte che, ineluttabile, si avvicina. Basta, non ne abbiamo abbastanza dei "guai" che invadono le nostre giornate? Della "ricchezza" effimera che ci fa egoisti e diffidenti, delle "risate" superficiali e beffarde che ci lasciano più tristi e soli, della "sazietà" che ci affama sempre di più, della stima falsa che abbiamo conquistato a forza di ipocrisie?

Basta allora, perché Gesù si è fatto povero, ha avuto fame, ha pianto, il suo Nome è stato insultato per strapparci alla maledizione del peccato e farci "beati" della sua beatitudine. Lo abbiamo sperimentato il suo amore gratuito, no?  Oggi la Chiesa ce lo annuncia di nuovo, per ridestare la nostra vocazione alla felicità vera.

La nostra fame, la nostra povertà, le nostre lacrime, invece, sono il candelabro sul quale Dio ha voluto accendere la luce della sua Pasqua. Esse sono quelle di ogni uomo schiavo del peccato e della menzogna. La nostra vita con quello che Dio ci dà ogni giorno sono la carne che Lui ha scelto per tornare ad incarnarsi ed entrare in rapporto con gli uomini di questo tempo. 

Così, per un discepolo non c'è altro cammino che quello percorso da Gesù. Dio ama tutti di un amore infinito e freme di compassione vedendoli perduti nel peccato. Chi potrà loro annunciare che la morte è vinta se non chi della loro stessa morte porta le stigmate gloriose perché passate dalla morte alla resurrezione? Per salvare le persone occorre parlare la loro stessa lingua di "povertà, fame e lacrime", altrimenti sarebbe tutto un teatro. 

"Beati" noi, allora, perché nella Chiesa Gesù si è fatto ricchezza, pane e letizia per noi: oggi è nostro il Regno di Dio, capite? Il Regno, il Cielo, ogni ricchezza! Non un sogno o un ideale, ma un regno reale che possiamo sperimentare nella comunità e in famiglia. Che ti manca se hai Cristo e con Lui puoi vivere ogni circostanza nella pienezza del suo amore, che provvede al corpo e all'anima, per essere perfetti, cioè senza mancare di nulla? 

Il mondo, i nostri figli, chi ci è accanto ogni giorno o un solo istante, tutti hanno bisogno di vederci "beati", con il cuore nel Cielo, e la carne sulla terra, per avere, attraverso di noi, Qualcuno in cui sperare: non possono fare a meno di vederci gustare delle primizie della "grande ricompensa" che ci attende "nei cieli", reale, concreta, che potrebbero assaporare anche loro se solo accogliessero la predicazione. 

Per questo ogni rifiuto, insulto o persecuzione è una benedizione! Significa che la nostra vita è così autenticamente celeste da scatenare l'ira del nemico di Dio; attraverso di noi, come già fu con Gesù, i demoni sono stanati e "rovinati prima del tempo"! Chiaro che si soffre; a chi piace essere insultati, rifiutati e derisi? A nessuno, nemmeno a Gesù. 

Eppure, a volte il demonio si può vincere solo così. Si mimetizza tanto bene che, per scoprirlo e cacciarlo via, è necessaria la presenza di Cristo in noi, il suo profumo di Cielo spandersi dai suoi discepoli crocifissi. Solo un "beato" sulla Croce può testimoniare che "guai" a chi invece scappa dalla storia alienandosi, e scuotere così il torpore di chi ha creduto che Dio non esiste.

In ebraico la parola "Ashrei", felice, che traduce “beato” non richiama sentimenti, sensazioni o stati d’animo. E neanche quiete, tranquillità e appagamento. Ma dinamismo, relazioni dinamiche, in un senso un po’ più esteso, la parola beato, felice, significa “cammino rinnovato in ogni momento” (M. Vidal). "Beato" è l’uomo che cammina nella volontà di Dio, che è una storia impregnata di GraziaC’è un’altra vita e brilla vittoriosa nella carne perseguitata e ferita dei cristiani. Essi sono beati, cioè veri. Beati, cioè ben dentro la storia.

Questa vita in questa storia, infatti, è l'unica autenticamente "beata", come fu per San Paolo che scriveva: "Sono lieto delle sofferenze che sopporto per la Chiesa, e completo nella mia carne quello che manca alla Passione di Gesù". E che cosa manca alla Passione di Gesù? Nulla, solo di essere vista e contemplata come una buona notizia in ogni generazione. Alla Passione di Gesù mancavano Paolo, e Pietro, e i martiri; mancano oggi i cristiani, manchi tu, i tuoi figli, il tuo matrimonio. 

"Beato" tuo figlio, povero e affamato, deriso e rifiutato in una classe che non conosce l'amore di Dio, e tutti i suoi compagni sono figli di genitori divorziati: per loro brillerà in lui la luce di Cristo; "beata" tua figlia, affamata e povera, perseguitata dalla carne e vincitrice in Cristo nel martirio quotidiano per difendere un fidanzamento casto: sarà un segno del Cielo per il fidanzato e gli amici; "beata" tua madre che soffre ormai da anni con un'artrosi che l'ha crocifissa su quel letto: dirà a tutti che basta poco per perdere l'effimero su cui fondano l'esistenza; "beato" te, povero e senza risorse umane per aiutare nessuno, ma con le chiavi del Regno di Dio per aprirlo a tutti. "Beati" noi, perché Cristo è vivo, è risorto e ci colma di pace e di speranza, di amore e gioia anche in queste situazioni, come un segno, il più bello e autentico, del Signore che ci ha fatti suoi per sempre.






αποφθεγμα Apoftegma







Il missionario è l'uomo delle Beatitudini.
Gesù istruisce i Dodici prima di mandarli ad evangelizzare,
indicando loro le vie della missione:
povertà, mitezza, accettazione delle sofferenze e persecuzioni,
desiderio di giustizia e di pace, carità,
cioè proprio le Beatitudini, attuate nella vita apostolica.
Vivendo le Beatitudini, il missionario sperimenta e dimostra concretamente
che il Regno di Dio è già venuto ed egli lo ha accolto.
La caratteristica di ogni vita missionaria autentica
è la gioia interiore che viene dalla fede.
In un mondo angosciato e oppresso da tanti problemi,
che tende al pessimismo,
l'annunciatore della buona novella
deve essere una persona che ha trovato in Cristo la vera speranza.


Giovanni Paolo II, Redemptoris Missio, n. 91

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