1 ottobre. Santa Teresa di Lisieux



Oggi si è adempiuta questa scrittura 
che voi avete udita con i vostri orecchi
το κήρυγμα Il Kèrygma




La felicità, la beatitudine, la pace sono regali preparati per i bambini; non importa se capricciosi o irritanti, perché un bambino è amato proprio per la sua piccolezza. Più è debole, goffo e insicuro, più è oggetto di tenerezze e attenzioni. Non si può non amarlo, anche quando sbaglia, cade, urla e strepita o si chiude nel silenzio dei sogni infranti. Santa Teresa di Lisieux lo aveva compreso: Dio cerca, predilige e ama la piccolezza, la nostra realtà senza ipocrisie. Per questo una porta “porta stretta” schiude il passo al Regno dei Cieli. Per entrarvi non sono necessari sforzi e fantasie, le dimensioni di quell’uscio coincidono esattamente con le nostre, quelle “originali” con le quali Dio ci ha creati. Convertirci è, semplicemente, ritornare a quelle misure, al pensiero di Dio su ciascuno di noi; quello che avanza non ci appartiene, è falso, fonte di sofferenza e frustrazione. Diventare come bambini, significa dunque aprire senza paura gli occhi su noi stessi e amare la nostra piccolezza, accogliere la storia che con la Croce pota il superfluo. Anche oggi infatti, Gesù ci “chiama a sé”, piccoli “in mezzo” ai tanti grandi secondo la carne, ma i “più grandi” nel suo cuore, il Regno dei cieli così vicino a noi.




L'ANNUNCIO
In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?». Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli.
 (Dal Vangelo secondo Matteo 18, 1-4)





L'ambizione è sempre figlia dell'insoddisfazione. Essa scaturisce dall'esigenza insopprimibile di colmare il vuoto di cui ogni uomo fa esperienza. Tutto appare sfuggevole e precario, incapace di saziarci: la malinconia per le esperienze scivolate via, la delusione per un affetto, e poi il lavoro, la salute, gli amici, la famiglia; così, prepotente, si fa strada nel cuore e nella mente il desiderio di grandezza, che non è necessariamente relazionato al prestigio. Grandezza significa sicurezza, pienezza, realizzazione. Anche chi sembra nascosto nella timidezza non è immune da questa ambizione. L'esperienza quotidiana che nulla riesce a colmare il nostro cuore ci spinge ad ambire, a desiderare qualcosa di grande capace di dar senso alle nostre vite. Grande in un affetto, sul lavoro, nello studio, tra fratelli. Grande, ovvero importante per qualcuno; grande, ovvero amato e ricordato. Anche chi si nasconde nella timidezza cerca la stessa grandezza; spesso ci si sottomette all’evidenza della realtà covando risentimento, e l’apparente umiltà è solo un soprabito indossato per vestire le frustrazioni.

  
Grande, come il serpente aveva illuso di diventare Adamo ed Eva, che, per averci creduto, hanno perduto il Paradiso. Pensavano di diventare come Dio, per salire più in alto di tutti e poter decidere in tutta "libertà", dirigere e proteggere la propria vita senza nessuno che la contesti e ne frustri i desideri. E si sono trovati fuori dal Regno dei Cieli. Per questo Gesù rispondendo alla domanda dei discepoli nei quali risuonava l’inganno di satana, li invita a “convertirsi” per “entrare” in quel “Regno” da dove ogni uomo è stato scacciato. E “chiama a sé un bambino”, l’esatto contrario di un “grande”. Chiama oggi a sé la nostra piccolezza, la debolezza, la realtà che ci definisce, perché solo se andiamo a Lui e ci consegniamo al suo amore così come siamo, potremo “convertirci”, “rientrare” cioè nel Regno che il Padre ha preparato per noi.

In esso non vi è qualcuno più grande; se per entrarci occorre “diventare come un bambino” significa che dentro non vi è nessuno che non sia “piccolo”. Nella Chiesa, infatti, presenza viva di Gesù nella storia e immagine del Regno di Dio che è in mezzo a noi, non vi sono gerarchie secondo i parametri mondani. Vi sono ministeri, e Grazie speciali accordate per compiere missioni speciali. Se dobbiamo andare a dissodare un terreno non prenderemo una Ferrari, ma un trattore. Allo stesso modo vi sono diversi carismi e ministeri per il bene della Chiesa e per la sua missione. Ma non si tratta che uno sia più “grande” di un altro. Perché l’unico carisma davvero grande è la “carità”, l’amore di Dio rivelato in Cristo. 

E questo amore cerca e “chiama a sé” i più piccoli, i “bambini”. Un bambino, infatti, è amato di più proprio per la sua piccolezza. Più è debole, goffo e insicuro, più è oggetto di tenerezze e attenzioni. Non si può non amarlo, anche quando sbaglia, cade, urla e strepita o si chiude nel silenzio dei sogni infranti. 

E' l'esperienza della Vergine Maria cantata nel Magnificat: "L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiliazione della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata". Dio ha guardato l'umiliazione di Maria, che nel Vangelo non significa il suo umiliarsi quanto sua realtà, la sua piccolezza. Dio ha guardato Maria così come era, piccola, indifesa, debole; l'ultima. Lo sguardo di Dio ha colmato il suo vuoto, ed era lo stesso suo Figlio, il tutto di Dio fatto carne a prendere dimora in lei. La beatitudine di Maria, la sua gioia, la sua pace, la benedizione, scaturiscono dal prodigioso incontro dello sguardo di Dio con il suo nulla. La grandezza di Dio con la piccolezza di Maria.

Santa Teresa di Lisieux aveva intuito esattamente questo: quello che Dio cerca, ciò di cui il Signore si innamora, il segno della sua predilezione è proprio la piccolezza. Che non è una virtù morale, il frutto di uno sforzo o di un'ascesi. Semplicemente è la verità, è accogliere e rimanere nella verità. Non ce la faremmo mai da soli, siamo troppo orgogliosi. Per questo abbiamo bisogno che il Signore “ci chiami a sé” attraverso la Chiesa. Solo in essa possiamo scoprire e accettare la nostra piccolezza, l'estrema indigenza, il fatto di essere peccatori senza aver bisogno che l’orgoglio si muova in nostra difesa. Nella Chiesa siamo tutti piccoli e con un  bisogno assoluto di Lui. La conversione che ci fa diventare come bambini non è altro che il cammino sul quale la Parola di Dio e i sacramenti uniti agli eventi e alle persone della nostra storia, ci aprono gli occhi su noi stessi, per accogliere la nostra piccolezza come il tesoro più grande e lasciarci amare così come siamo.

Un cammino angusto e una porta stretta schiudono il passo al Regno dei Cieli. Per entrarvi non sono necessari sforzi e fantasie, le dimensioni di quell’uscio coincidono esattamente con le nostre, quelle “originali” con le quali Dio ci ha creati. Convertirci è, semplicemente, ritornare a quelle misure, al pensiero di Dio su ciascuno di noi; quello che avanza non ci appartiene, è falso, fonte di sofferenza e frustrazione, avvelenata di peccati.

Diventare come bambini, significa dunque aprire senza paura gli occhi su noi stessi e amare come Teresa del Gesù Bambino la nostra piccolezza. Proprio quello che pensiamo ci renda inadeguati e indegni, proprio gli aspetti della storia che non mandiamo giù. No, non i peccati certo, ma i difetti sì, quelli che ci impediscono di diventare "grandi" agli occhi del mondo; perché Gesù ama di noi la povertà, non le qualità. Queste servono a Lui per la missione che ha pensato, e certo non è più importante una macchina di chi la usa; mettetene una di quella che si usano per le operazioni chirurgiche in mano a un vigile urbano... Ma sia un chirurgo che un vigile hanno debolezze e povertà che attirano la compassione di Cristo. 

Per amare quello che ama Lui, concretamente dobbiamo sperimentare che tutto concorre al nostro bene, per imparare ad accogliere la storia che con la Croce pota il superfluo. Obbedire, anche facendo i capricci, perché un bambino, il bambino di cui parla Gesù è così piccolo che non si mette a decidere e a opinare. Mamma mia, allora, dobbiamo perdere la nostra personalità, rinunciare alle nostre idee, buttare nel secchio sogni e progetti? Sì, se sono quelli dell’uomo vecchio. Perché siamo chiamati ad avere la personalità di Cristo, il suo pensiero e il suo cuore; a camminare seguendo le sue orme spesso invisibili e incomprensibili. 

Come un bambino che i genitori mettono sul sedile della macchina per andare dove hanno deciso. Come un bambino che la madre prende tra le braccia per allattarlo, e lui, appena divezzato, appena finito di poppare, si addormenta sazio e felice stretto in quell’amore. Così si entra nel Regno dei Cieli, nella felicità che Teresina ha sempre custodito, molto al di là dei sentimenti. Viveva in Cristo e per Lui si offriva come vittima del suo amore, per la Chiesa e per i peccatori. Anche tra dolori lancinanti e incomprensioni, nella notte oscura in cui le pareva di sperimentare l’aridità dei peccatori e degli atei, mentre tra lei e Gesù era issata una parete sino alle stelle, ella viveva radicata nella fede, e non desiderava consolazioni umane; lei che era stata così affettiva da piccola, aveva capito quanto effimero fosse ciò che si sente ma non è autentico. Voleva solo la Verità! Anche se dura, perché solo in essa poteva incontrare Cristo. Sapeva di avere una missione, da continuare anche in Cielo. La stessa di ogni cristiano: portare in Paradiso i peccatori. Per questo la sua vita era offerta sulla Croce per la Chiesa e per gli schiavi del demonio. Ma soprattutto per i missionari. Ah, ecco il cuore della Chiesa, il motore della sua missione. Non sono i preti, neanche i missionari. E’ l’amore che consumava Teresina nel segreto del Carmelo, invisibile al mondo come Gesù lo fu nel Getsemani, sulla Croce e nel sepolcro.

Oggi Gesù ci “chiama” di nuovo “a sé”, piccoli “in mezzo” ai tanti grandi secondo la carne, per fare giustizia del nostro orgoglio. Ci chiama così come siamo, proprio perché peccatori, scacciati dal Regno. Coraggio, la nostra realtà, i nostri luoghi nascosti, insignificanti, senza alcun prestigio agli occhi del mondo sono quelli dove diventare i “più grandi” nel cuore di Cristo. Lui ci chiama a sé per amore dei lontani, dei pagani; è il grande mistero della missione della Chiesa, della tua e della mia. Più siamo uniti a Lui e nascosti al mondo, più scendiamo all'ultimo posto, più siamo fecondi. Se oggi ti senti solo, piccolo, inutile, se pensi che potresti fare di più, che dovresti stare in un altro posto, che è tutto troppo piccolo, significa che stai nel posto giusto, nella volontà di Dio. Teresina è patrona delle missioni senza mai essere uscita dal Carmelo. Anche noi possiamo giungere sino agli estremi confini della terra, offrendo nel segreto la nostra vita, un'umiliazione, una malattia, una preoccupazione; la nostra piccolezza. Per salvare il mondo Dio ha scelto ciò che nel mondo non vale, che è stolto e ignobile: la nostra inutilità, fragilità, povertà; anche i nostri capricci, anche i peccati. La tua vita di oggi, così com'è.

Lui prende tutto di noi per esaltarvi il suo potere sul peccato e sulla morte. Lui esplode in tutto il suo amore proprio negli ultimi della terra, perché nessuno tra i peccatori si senta escluso. Perché il nostro ego sbriciolato si confonde con il suoCorpo crocifisso e il Padre lo accoglie come pegno di salvezza per chi sembra non avere speranza. Come fece in Teresa di Lisieux, nevrotica e capricciosa da piccola, identica a te e a me; quando lo ha accettato è diventata un panetto di burro sul fuoco dell'amore di Dio. Si è liquefatta per dare sostanza alla missione; come il sale si è sciolta per dare sapore al mondo. Affrettiamoci allora, andiamo a Lui, per lasciarci sciogliere dalle fiamme del suo amore; così disciolti nel suo cuore offriremo noi stessi, in ogni nostro istante, per la salvezza di questa generazione.



αποφθεγμα Apoftegma



Appena do un’occhiata al Santo Vangelo,
subito respiro i profumi della vita di Gesù
e so da che parte correre… Non è al primo
posto, ma all’ultimo che mi slancio…
Sì lo sento, anche se avessi sulla coscienza
tutti i peccati che si possono commettere,
andrei, con il cuore spezzato dal pentimento,
a gettarmi tra le braccia di Gesù,
perché so quanto ami il figliol prodigo che ritorna a Lui.
Teresa di Lisieux

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