Giuseppe si fa riconoscere dai suoi fratelli |
SINTESI
Il Signore “conosceva” la
volontà del Padre, sapeva che era
giunta la sua ora; nessun altro poteva entrarvi per curare le
“piaghe che non si lasciano toccare che con mani trafitte da chiodi” (François
Mauriac), per inginocchiarsi dinanzi ai piedi che non si lasciano lavare che
dal suo sangue. I piedi di Pietro e degli apostoli, i nostri piedi, che hanno
lasciato orme di dolore e peccati sino ad oggi, perdonati uno ad uno, sino a
quest’ultimo testardamente commesso, perché Gesù ci ama sino “alla fine”.
Nessuno di noi "conosceva la volontà di Dio", per questo abbiamo
fatto cose "meritevoli di percosse", come il mondo. Ma ne abbiamo
"ricevute poche", nulla in relazione al male commesso. abbiamo
gustato l'amara conseguenza dei peccati, ma siamo ancora qui, ad ascoltare la
Parola, a nutrirci dei sacramenti. Le "percosse" destinate a noi,
infatti, si sono abbattute su Gesù, carne crocifissa e sangue versato per
trasformarci “in una nuova forma di essere, nell'apertura per Dio e nella
comunione con Lui” (Benedetto XVI). Questo mistero si rinnova ogni giorno nella
Chiesa, dove il Signore parla “a noi” per salvare “tutti”. Ci chiede anche oggi
se abbiamo “capito” che cosa Egli ha fatto nella nostra vita. Ne va della
nostra “beatitudine”, del nostro compimento in terra e in cielo. “Sapendo”
che la “volontà del Padrone” è “darci molto” di sé, e "affidarci il
molto" del suo amore, “saremo beati” se lo accoglieremo, per
realizzare il “lavoro” nel quale essere “pronti” in attesa del suo ritorno.
Ogni “ora” può essere quella di Cristo che viene a compiersi in noi. Siamo
infatti “amministratori” dei beni di Dio, non conduciamo noi la storia e nulla
ci appartiene. Ci ha scelti per essere "servi fedeli" come Giuseppe,
il figlio di Giacobbe. E' lui la profezia del Servo di Yahwè,
che nella discesa - ingiusta - agli inferi del tradimento e della prigione, ha
imparato la "fedeltà" alla chiamata ben chiara sin da piccolo, e la "saggezza" nel discernere in ogni evento, anche i più tragici, l'opera
di Dio: "Non voi mi avete venduto, dirà ai fratelli, ma il Signore mi ha
inviato qui prima di voi proprio per sfamare voi, come oggi accade".
Giuseppe è figura del Servo di Dio, Gesù, che nella morte di
Croce è stato fedele e saggio nel discernere la "necessità" di
quell'angusto cammino per poter dare da mangiare la salvezza a
ogni uomo: "Nessuno mi toglie la vita, ma sono io che la dono", e
così è stato. E' vero che le mani degli empi, le nostre, lo hanno crocifisso,
ma Lui sapeva che su quel Legno benedetto lo aveva inviato il Padre, prima di
noi e per noi. Il Signore “conosceva” la volontà del Padre, sapeva che
era giunta la sua ora. “Fedeltà e saggezza”, allora, significa
"amministrare" con la giustizia della Croce, seguendo le orme di
Cristo; proprio per essersi offerto nell’umiliazione del Calvario, Gesù è stato
“costituito” Signore e “capo” per “distribuire” a ogni uomo la “razione”
d’amore di cui ha bisogno. Siamo chiamati a seguire il suo “esempio”, senza
temere che “il ladro scassini” la casa della nostra vita, perché il Padre ne ha
fatto cibo offerto gratuitamente a chi ci è “affidato”. Invece la croce ci
spaventa e sembra “ritardare” l’avvento del Signore. Le ore spesso
insignificanti, le frustrazioni, sono il luogo dove siamo chiamati a
"servire" il coniuge, i figli, i fedeli affidati. Ma spesso non lo
accettiamo, e cerchiamo di riempirle con le alienazioni, "mangiando e
bevendo" e "ubriacandoci" con il piacere per non soffrire. Così,
"quando non ce lo aspettiamo", arriva il Signore, attraverso una persona
o un fatto, e ci ritroviamo tra gli "infedeli"; ci scopriamo cioè senza
fede, pagani nel cuore e nella mente. E non possiamo "dare la razione
di cibo" - l'amore, la pazienza, il perdono, una parola di verità e
consolazione - perché non abbiamo saputo entrare in quel "a suo
tempo", il tempo del fratello affamato... La triste
conseguenza è la condanna a passare il tempo in quel "posto riservato agli
infedeli", che è il non senso e l'incapacità di amare, un anticipo
dell'inferno. Mentre quello che ci presenta la volontà di Dio, anche quando
sembra una stucchevole routine incartata nell'indifferenza dell'altro, è pieno
di luce e di pace, un antipasto del paradiso; solo entrandoci e restandoci si
può vivere autenticamente! Fare la volontà di Dio, purissima dove non
ci è consentito far nulla di ciò che vorremmo: questo è essere cristiani,
vivere nudi come Cristo sulla Croce, per offrire, semplicemente, noi
stessi. Nessuno può vivere così, se non è scelto per
essere servo nel Servo. Ma ti assicuro, anche se la
superbia ce la mette tutta per riprendersi quello che sta perdendo, e cadiamo
peccando infantilmente tra gelosie e invidie, servire è il segreto
della gioia vera, la beatitudine che ci sazia di Lui, l'amore che nessuno e
nulla può toglierci. La sofferenza ci purifica e “sala” i beni per impedirci di
vivere “infedelmente”, cioè servendo noi stessi. Chi vive per se, infatti,
“percuote” con parole e ricatti chi gli è donato, per saziare irragionevolmente
i suoi istinti. Ma coraggio, non siamo più grandi del Padrone che ci ama come
amici, il suo cammino è il nostro; passa per dove non vorremmo andare, ma
giunge alla beatitudine che la carne detesta, e lo Spirito desidera da
sempre: l'ultimo posto, quello più in basso di tutti, in ginocchio
davanti al fratello. Solo lì, dove oggi la storia ti metterà, "sarai beato
mettendo in pratica", lasciando cioè che Cristo realizzi in te l'amore che
si dona gratuitamente. Ogni volto che ci è accanto è il "molto che ci è
stato affidato"; ci sarà richiesto "molto di più", cioè il
prossimo raggiunto dalla riconciliazione, dal perdono, dalla speranza, dalla
pace, dalla gioia; da Cristo, che è il "di più" che realizza ogni
uomo. "Ci è stato dato molto" amore nella Chiesa, no? E' per gli
altri, perché sia moltiplicato in loro attraverso l'annuncio del Vangelo e il
dono della nostra vita, testimonianza credibile della "beatitudine"
preparata per tutti.
L'ANNUNCIO |
(Dal Vangelo secondo Luca 12,39-48)
La fedeltà e la saggezza ci aprono alla beatitudine. Vi sono,
nella Storia come nella vita di ciascuno di noi, momenti diversi, come ci
insegna Qoelet. Solo un servo sa riconoscere quelli favorevoli, i kairos nei
quali donarsi. Non a caso Gesù parla di un "servo", al quale sono
dati in "amministrazione" i beni di Dio: nella Chiesa l'unico titolo
che abbia valore è lo stesso di Gesù. Nei cristiani riscattati dal mondo scorre
lo stesso sangue: "tra di voi non sia" come nel mondo, dove tutto è
pretesto per sopraffare e primeggiare. L'opera di Dio compiuta dal Signore consiste
nel ricreare in ciascuno il "servo" che era stato pensato e plasmato
"in principio" e deturpato dall'orgoglio iniettato dal demonio.
La
domanda di Gesù su "quale sia il servo fedele e saggio" viene
oggi a cercare ciascuno di noi, come, nei secoli, ha cercato i cristiani di
ogni generazione. Con essa ci viene chiesto se abbiamo accolto davvero il
Signore nella nostra vita, se abbiamo creduto alla predicazione e se abbiamo
lasciato libertà allo Spirito Santo di ricrearci a immagine del Servo. Le parole
non bastano... Per rispondere occorrono fatti concreti, esperienze reali che
disegnino una storia di salvezza e conversione.
La "fedeltà e la
saggezza" si riferiscono alla Parola ricevuta nella Chiesa. Chi l'ha
accolta obbedendo fedelmente ha sperimentato una sapienza nuova
condurre la propria vita. La Croce e l'amore rivelato su di essa ha cominciato
ad ispirare pensieri, criteri e parole sino a divenire gesti e attitudini. Il
"servo" ha preso il posto dell'uomo vecchio, arrogante, orgoglioso e
incapace di donarsi. Un "servo" che guarda tutto dal suo posto
di "lavoro". I suoi parametri, le sue categorie, la misura con
cui giudica la storia sono quelli di un "servo". Dunque, innanzitutto
non è viziato dalla cupidigia di un guadagno personale, tutto è per l'utile del
Padrone. Tradotto significa che il cristiano rinato nel battesimo, che ha
ascoltato l'annuncio e la Parola di Dio e questa ha prodotto frutto in lui,
pensa, parla e agisce cercando sempre la volontà di Dio, che è la salvezza di ogni
uomo. Per questo, un cristiano ha "discernimento", e
vede l'opera di Dio dentro e oltre la realtà, la sua misericordia
all'opera per raggiungere ogni uomo e vive al suo
"servizio".
Chagall. Giuseppe e i suoi fratelli |
Allora, chi è il "servo" al quale verrà
assegnato il compito di sfamare il popolo al tempo opportuno? Se apriamo la
Scrittura troviamo la figura che risponde a questa domanda: Giuseppe, il figlio
di Giacobbe. E' lui la profezia del Servo di Yahwè, che nella discesa -ingiusta
- agli inferi del tradimento e della prigione, si è mantenuto
"fedele" alla chiamata ben chiara sin da piccolo, e
"saggio" nel discernere in ogni evento, anche i più tragici, l'opera
di Dio: "Non voi mi avete venduto, dirà ai fratelli, ma il Signore mi ha
inviato qui prima di voi proprio per sfamare voi, come oggi accade".
Giuseppe è figura del Servo di Dio, Gesù, che nella morte di Croce è stato
fedele e saggio nel discernere la "necessità" di quell'angusto
cammino: "Nessuno mi toglie la vita, ma sono io che la dono", e così
è stato. E' vero che le mani degli empi, le nostre, lo hanno crocifisso, ma Lui
sapeva che su quel Legno benedetto lo aveva inviato il Padre, prima di noi e
per noi. Il Signore “conosceva” la volontà del Padre, sapeva che era giunta la sua ora; negli eventi e nelle persone, nella persecuzione
e nel rifiuto leggeva la "necessità e la convenienza" della sua
morte: non dubitava, soffriva ed era angosciato, ma non metteva in discussione
la missione del chicco di grano che doveva cadere nella terra della nostra vita
per divenire pane capace di sfamarci. Questa è la "fedeltà", la "hesed" del Figlio: non un centimetro del cuore lontano dal cuore del Padre. Ed è la stessa fedeltà di Dio con il Figlio e con ogni uomo: tutto di Lui è per noi, con noi, in noi. Così è stato con il suo Popolo, così anche con il cuore più indurito.
Nessun altro poteva entrare in quella Passione per curare le “piaghe che non si lasciano toccare che con mani trafitte da chiodi” (François Mauriac), per inginocchiarsi dinanzi ai piedi che non si lasciano lavare che dal suo sangue. I piedi di Pietro e degli apostoli, i nostri piedi, che hanno lasciato orme di dolore e peccati sino ad oggi, perdonati uno ad uno, sino a quest’ultimo testardamente commesso, perché Gesù ci ama sino “alla fine”. Nessuno di noi "conosceva la volontà di Dio", per questo abbiamo fatto cose "meritevoli di percosse", come il mondo. Ma ne abbiamo "ricevute poche", nulla in relazione al male commesso. abbiamo gustato l'amara conseguenza dei peccati, ma siamo ancora qui, ad ascoltare la Parola, a nutrirci dei sacramenti. Le "percosse" destinate a noi, infatti, si sono abbattute su Gesù, carne crocifissa e sangue versato per trasformarci “in una nuova forma di essere, nell'apertura per Dio e nella comunione con Lui” (Benedetto XVI).
Questo mistero si rinnova ogni giorno nella Chiesa dove il Signore parla “a
noi” per salvare “tutti”. Ci chiede anche oggi se abbiamo “capito” che cosa
Egli ha fatto nella nostra vita. Ne va della nostra “beatitudine”, del
compimento della nostra vita in terra e in cielo. “Sapendo” che la
“volontà del Padrone” è “darci molto” di sé, e "affidarci il
molto" del suo amore, “saremo beati” se lo accoglieremo lasciando che
il suo Spirito dia morte all'uomo vecchio per far nascere e crescere il nuovo,
capace di realizzare il “lavoro” con il quale essere “pronti” in attesa del suo
ritorno. Ogni “ora” può essere quella di Cristo che viene a compiersi in noi.
Forse tra un momento, forse nella persona più cara, non possiamo saperlo. Siamo
infatti “amministratori” dei beni di Dio, non li creiamo noi, nulla ci
appartiene; non conduciamo noi la storia.
“Fedeltà e saggezza” è
amministrare ogni evento e relazione con la giustizia della Croce, seguendo le
orme di Cristo; proprio per essersi offerto nell’umiliazione del Calvario, Gesù
è stato “costituito” Signore e “capo” per “distribuire” a ogni uomo la
“razione” d’amore di cui ha bisogno. Siamo chiamati a seguire il suo “esempio”,
senza temere che “il ladro scassini” la casa della nostra vita, perché il Padre
ne ha fatto cibo offerto gratuitamente a chi ci è “affidato”. Le sue porte sono
sempre spalancate, nella certezza che con il coniuge, i figli, i colleghi e i
compagni di scuola, nella missione e nell'evangelizzazione, ovunque il Padre ha
preparato momenti favorevoli dove "servire" chi non ha conosciuto o
ha dimenticato la misericordia.
La paura non si addice ai cristiani, è il
sentimento degli "infedeli"; il "loro posto" è nell'ombra,
un inferno anticipato, oscuro di menzogna e dissimulazione, sempre angosciati
nel terrore di essere smascherati. Il "giorno" e l' "ora"
sono inaspettati solo per chi non sa riconoscere il momento favorevole, per chi
disprezza superficialmente le occasioni offerte dal Padre. Sono celati solo a
chi ha voluto, ostinatamente, chiudere occhi, orecchie e cuore: è ovvio che non
veda e non senta nulla; è naturale che non possa amare... Ma noi siamo
nati per essere, oggi, il chicco di grano che gli altri aspettano da sempre. Un
piccolo e invisibile chicco che, morendo alla propria volontà, è trasformato
nel pane fragrante che è il corpo di Cristo risorto, perdono da mangiare
gratuitamente. Certo, la croce ci spaventa e sembra “ritardare” l’avvento del
Signore. Magari il figlio mangia e se ne va, non ci degna di un grazie e
continua la sua vita di sempre. Esattamente come abbiamo fatto noi tante volte;
appena usciti dalla messa abbiamo continuato come prima, accidiosi e rancorosi.
E, infedeli, abbiamo ricevuto "molte percosse", sapendo che la volontà del
padrone era ben altra... Benedette percosse, che ci hanno e ci
stanno educando, e preparando a consegnare, moltiplicato in frutti squisiti, il
"molto" che ci è stato dato.
Quante volte abbiamo sperimentato
l'amarezza di non poter dare quanto ci era stato richiesto. Perdonati laddove
neanche lo speravamo, non siamo stati capaci di perdonare a nostra volta. Ma
proprio le "percosse" ricevute, le umiliazioni e i rifiuti, il
broncio della moglie e la sfrontatezza dei figli, hanno ammorbidito il nostro
cuore e potato i rami secchi di malvagità. E così, con la forza del piccolo
seme caduto nella nostra carne, poco a poco, abbiamo imparato a
"servire", per pura Grazia. Così accadrà a chi oggi sembra che ci
rifiuti, che si approfitti della nostra magnanimità. Dovremo vedere il figlio
essere "percosso" dagli eventi, non ci turbiamo e non cominciamo a
fremere come genitori schiavi del sentimentalismo. E' necessario, come lo è
stato per noi. Tranquilli, il Signore non ritarda, è in perfetto
orario, perché le sofferenze e i rifiuti arrivano nel momento stabilito alla
stazione prevista. Invece la croce ci spaventa e sembra “ritardare” l’avvento del Signore. Le ore spesso insignificanti, le frustrazioni, sono il luogo dove siamo chiamati a "servire" il coniuge, i figli, i fedeli affidati. Il tempo che ci presenta la volontà di Dio, anche quando sembra una stucchevole routine incartata nell'indifferenza dell'altro, è pieno di luce e di pace, un antipasto del paradiso; solo entrandoci e restandoci si può vivere autenticamente! Fare la volontà di Dio, purissima dove non ci è consentito far nulla di ciò che vorremmo: questo è essere cristiani, vivere nudi come Cristo sulla Croce, per offrire, semplicemente, noi stessi. Nessuno può vivere così, se non è scelto per essere servo nel Servo. Ma ti assicuro, anche se la superbia ce la mette tutta per riprendersi quello che sta perdendo, e cadiamo peccando infantilmente tra gelosie e invidie, servire è il segreto della gioia vera, la beatitudine che ci sazia di Lui, l'amore che nessuno e nulla può toglierci. Per noi e per il nostro prossimo, per purificarci e
“salare” i beni e così impedirci di vivere “infedelmente”, senza fede come i pagani; come accade quando il demonio riesce a demoralizzarci e ci spinge ad alienarci, "mangiando e bevendo" e "ubriacandoci" con il piacere per non soffrire,“percuotendo” con parole e ricatti chi ci è donato per saziare irragionevolmente i nostri istinti. E sperimentando l'angoscia del "posto riservato agli infedeli", che è il non senso. Ma coraggio, non siamo più grandi del Padrone che ci ama come amici, siamo "servi" che seguono le sue orme sulla via del Calvario, il suo cammino è il nostro; passa per dove non vorremmo andare, ma giunge alla beatitudine che la carne detesta, e lo Spirito desidera da sempre: l'ultimo posto, quello più in basso di tutti, in ginocchio davanti al fratello. Solo lì, dove oggi la storia ti metterà, "sarai beato mettendo in pratica", lasciando cioè che Cristo realizzi in te l'amore che si dona gratuitamente. Ogni volto che ci è accanto è il "molto che ci è stato affidato"; ci sarà richiesto "molto di più", cioè il prossimo raggiunto dalla riconciliazione, dal perdono, dalla speranza, dalla pace, dalla gioia; da Cristo, che è il "di più" che realizza ogni uomo. "Ci è stato dato molto" amore nella Chiesa, no? E' per gli altri, perché sia moltiplicato in loro attraverso l'annuncio del Vangelo e il dono della nostra vita, testimonianza credibile della "beatitudine" preparata per tutti.
APPROFONDIMENTI
Così, col tempo, si può scoprire che Dio, nella sua Provvidenza onnipotente, può trarre un bene dalle conseguenze di un male, anche morale, causato dalle sue creature: “Non siete stati voi”, dice Giuseppe ai suoi fratelli, “a mandarmi qui, ma Dio; se voi avete pensato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene per far vivere un popolo numeroso”. Dal più grande male morale che mai sia stato commesso, il rifiuto e l'uccisione del Figlio di Dio, causata dal peccato di tutti gli uomini, Dio, con la sovrabbondanza della sua grazia, ha tratto i più grandi beni: la glorificazione di Cristo e la nostra Redenzione. Con ciò, però, il male non diventa un bene.
Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 312
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