Chagall. Giacobbe lotta con l'angelo |
SINTESI
La santità è una speranza invincibile incastonata nella forza infinita d'una chiamata. Ancora prima di vedere la luce Dio ci ha chiamati alla santità «mettendoci da parte» nel mondo per «ereditare la Terra del suo Regno» e mostrarne a tutti le primizie. «Forza e coraggio, perché Io sono con te ovunque tu vada»: sono le parole del Signore rivolte a Giosuè fermo dinanzi al Giordano; le ripete anche a noi ogni giorno, chiamandoci a passare il guado. Sulla riva opposta vi è la Terra Promessa, la santità compiuta nell’eterno e pieno appartenere al Signore. In mezzo è il torrente di oggi e domani, persone e fatti che Dio ha preparato per noi. Davanti ad esso vi siamo noi con la paura della santità, che è quasi certezza di non farcela. La stessa di Giacobbe dinanzi al guado dello Jabbok, solo e in trappola, e quel fiume oscuro che lo aspettava, come un presagio di morte. Giacobbe era un peccatore, ha mormorato e giudicato, ha ingannato e rubato, ma portava sigillata nel fuoco la sua primogenitura; ha lottato con Dio, non ci stava a «perdere la vita». Poi un colpo secco all’anca e non era più quello di prima. Umiliandolo a zoppicare Dio ne aveva fatto un santo. Ora Giacobbe conosceva la propria debolezza benedetta con un nome nuovo, «Israele», che significa «Forte con Dio». Ecco dunque un santo, il più debole con il Più forte. Tu ed io che trasciniamo i piedi, incapaci di tutto ma aggrappati alla sua misericordia. Lo abbiamo visto anche un istante fa, quando per nulla abbiamo sbranato il fratello, per poi chiedergli balbettanti perdono. Se Dio non ci avesse creato friabili come fette biscottate non avrebbe potuto mostrare al mondo la sua santità. Per questo la debolezza è la nostra «beatitudine», anticipo di quella che sazia la moltitudine dei Santi che ci hanno preceduto nel Cielo. Celebrandoli oggi riviviamo il cammino della Chiesa nei secoli, colmi di gratitudine perché è anche la nostra storia. «Santi subito», perché no? «Consolati» quando il mondo è «afflitto». «Sazi» e riconciliati in mezzo agli «affamati di giustizia». «Miti» come agnelli in una società di lupi. «Operatori di pace» mentre il mondo prepara la guerra. «Puri» dove tutto è sporco. «Misericordiosi» con chi ci è nemico e ci «perseguita». «Santi per causa di Cristo», «esultanti e felici» del suo amore che abbraccia la nostra «povertà» per far risplendere negli «insulti e nelle menzogne» il volto santo di Dio.
L'ANNUNCIO |
In quel tempo, Gesù, vedendo le folle, salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti, perché erediteranno la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».
(Dal Vangelo secondo Matteo 5,1-12a)
Giosuè e il Popolo passano il Giordano |
Una speranza
invincibile e la forza infinita d'una chiamata: la santità è un'elezione, un
esser messi a parte per qualcosa di speciale, per abitare la Terra. I santi
sono gli eredi della Terra dove scorre latte e miele. Il Cielo. Tra le pieghe
della festa di oggi, dietro la santità si scorge la storia di un Popolo. Ad
ogni beatitudine si odono le eco dei passi degli umili, dei piccoli, di un
resto. I riscattati che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno
lavato le loro vesti e le hanno rese candide nel sangue dell'Agnello.
E' Lui che,
vittorioso sul peccato e sulla morte, precede i suoi nella Galilea che è il
mondo in attesa del Regno. E' Lui il Santo che ci fa santi. Oggi siamo tutti
dinanzi alla Terra, come Giosuè. Le parole del Signore ci invitano a non aver
paura, ad essere coraggiosi e forti, a non scoraggiarci dinanzi alle
difficoltà, ai popoli che abitano la nostra eredità.
A non aver paura di
noi stessi, dei nostri peccati, dei nostri limiti, delle nostre debolezze, dei
nostri difetti. Sono tanti e numerosi come i Popoli che abitavano la Terra che
si dischiudeva dinanzi agli occhi di Giosuè. "Forza e coraggio" gli
ripeteva il Signore sull'erta di quel monte, "perché il Signore è con te
ovunque tu vada". Forza e coraggio sono l'altra metà della povertà.
Come Giacobbe
dinanzi al guado dello Jabbok, solo e in trappola, e quel fiume oscuro che lo
aspettava, come un presagio di morte. Giacobbe era un peccatore, ha
mormorato e giudicato, ha ingannato e rubato, ma portava sigillata nel fuoco la
sua primogenitura; ha lottato con Dio, non ci stava a «perdere la vita». Poi un
colpo secco all’anca e non era più quello di prima. Umiliandolo a zoppicare Dio
ne aveva fatto un santo. Ora Giacobbe conosceva la propria debolezza benedetta
con un nome nuovo, «Israele», che significa «Forte con Dio». Ecco dunque un
santo, il più debole con il Più forte.
Tu ed io che
trasciniamo i piedi, incapaci di tutto ma aggrappati alla sua misericordia. Lo
abbiamo visto anche un istante fa, quando per nulla abbiamo sbranato il
fratello, per poi chiedergli balbettanti perdono. Ma solo chi ha conosciuto
davvero, come Giacobbe, la propria debolezza, può abbandonarsi con una
sconfinata fiducia in Colui che lo chiama.
E' la fede che
coniuga nei santi la forza e il coraggio. Essi vivono aggrappati a Colui che ha legato il demonio, ha sconfitto uno ad
uno i Popoli che usurpavano l'eredità, e con Lui entrano a prenderne possesso. Un
Popolo santo, separato, consacrato in Colui che lo ha amato di un amore unico,
gratuito, infinito.
Il Signore ci
annuncia oggi la beatitudine di chi abita, felice, nella sua Terra. Che ci è
data, come primizia, nella Chiesa, il mistero d'amore e comunione che supera
ogni nostro limite carnale. Anche oggi, come ad ogni mattino che si apre
dinanzi a noi, ci troviamo sul monte con il Signore. E su quel monte ammantato
dalla rugiada d'ogni alba della nostra vita, Lui ci chiama ad entrare nella Sua
eredità. Ogni aurora che ci accoglie ci dona il Suo Spirito Santo che ci fa
figli, coeredi di un Destino meraviglioso.
Lo Spirito di
fortezza perché non cediamo al timore dinanzi alla Croce che ci attende. Ecco
la nostra vita santa che ci fa santi. Ogni evento
in cui ci imbattiamo, ogni persona che incontriamo è la Terra preparata per
noi, la nostra eredità. Nostra moglie oggi, così come si sveglierà;
nostro marito è la terra che ci farà sante quando tornerà nervoso e
intrattabile dal lavoro; nostro figlio che si è appena messo un orecchino;
nostra figlia che ha sbattuto la porta e se ne è andata in discoteca; nostra
suocera che non ce ne fa passare una, con quel sorrisetto ironico che dice
tutto; il collega che ci ha infilzato calunniandoci con il capo reparto. E il
cancro che ci ha visitato, la cassa integrazione, lo sfratto.
Ogni fatto della
nostra vita ci fa santi, perché in ciascuna ora che segna le nostre esistenze
Lui ci precede, combatte per noi come già ha fatto innumerevoli volte nel
passato; anche quando eravamo schiavi del peccato in Egitto dove ci ha salvati,
redenti, amati d'un amore eterno. Lui ci precede nella camera operatoria e nel
dialogo serrato con i figli; allora, perché temiamo di vivere e chiamare gli
altri a vivere una vita santa, piena, compiuta nell’amore? Perché ci
accontentiamo di galleggiare mentre possiamo essere santi?
La sola possibilità
per essere felici, noi e la nostra famiglia, i fratelli, gli amici è lasciare
che Dio ci faccia santi, conducendoci nella Terra dove consegnarci per amore,
nel compimento della promessa che ci ha chiamati alla vita. Desideri la santità
per tuo figlio? O piuttosto un lavoro, la salute e altre cosette così? Non
desideri che conosca l’amore che lo perdona e lo trasforma in figlio di Dio, in
un santo offerto al mondo?
Chi di noi, oggi,
non sta vivendo almeno una delle situazioni descritte dalle “beatitudini”? Ma
forse non pensiamo d’essere “beati”. Sfortunati, vittime di un’ingiustizia, ma
“beati” perché “piangiamo, abbiamo fame, siamo perseguitati, ci insultano e
calunniano”? Per favore, chi pensa che tutto questo sia la felicità è da
rinchiudere in un manicomio criminale.
Ma Gesù ci annuncia
proprio questo. Non solo, ma ci svela che siamo “noi” questi “beati”. Sei beato e non te ne stai rendendo conto.
Guarda bene tuo marito, tua moglie; fissa tuo figlio. Guarda te stesso, ma
guardati bene. E lascia che le parole di
Gesù illuminino i volti, e raggiungano le storie di ciascuno, scovando anche
nella tua i momenti in cui hai visto Lui operare in te. L’hai sperimentata la
beatitudine, ma forse non ci hai fatto caso o il demonio te l’ha cancellata
dalla memoria. La stai sperimentando, ma forse ti sembra la cosa più naturale
del mondo.
Quando? Ora, che
sei ancora sposato, ed è in virtù della sola Grazia di Dio che ha reso “vita”
possibile, e anche felice, quello che il mondo, la carne e il demonio dicono
essere un assurdo. Hai gustato la beatitudine quando hai perdonato chi ti aveva
tolto l’onore. Di certo la tua beatitudine si specchia nel sorriso di tuo
figlio, che è la vittoria di Cristo sui tuoi peccati, sull’egoismo, l’avarizia
e la concupiscenza.
Ciò significa che
la “beatitudine” per la quale siamo nati sgorga dalla gratitudine. Chi oggi non
è grato a Dio, sta perdendo la propria felicità, quella che gli spetta. E’
frustrato, vive contro se stesso. Ma la gratitudine non si compra al mercato.
E’ il frutto di un lungo cammino di “purificazione” dello sguardo “del cuore”;
è la meta di un serio percorso di conversione alla verità per diventare “poveri
in spirito”.
E’ il figlio di Dio
gestato nel seno della Madre Chiesa, che, illuminato dalla Parola spalmata sui
fatti della propria storia, ha sperimentato l’amore di Dio e per questo lo vede
in tutto. E per tutto è grato, rende grazie, vive in pienezza l’eucarestia, che
non a caso era l’ultimo evento vissuto da un catecumeno la notte di Pasqua,
dopo aver ricevuto il battesimo e la cresima.
Era entrato nella
terra della gratitudine, immagine del Paradiso. Gustava le delizie dello
Shabbat, del riposo che è la contemplazione dell’opera di Dio nella propria
vita. Poteva cantare e far festa, “rallegrarsi ed esultare” perché sapeva che
proprio la persecuzione certificava la sua appartenenza a Cristo, che stava
vivendo la sua morte e la sua resurrezione.
Come non essere
grati, ed esplodere in una liturgia di ringraziamento per essere stati
“separati” dal mondo per vivere la vita di Cristo! Come non essere felici per
essere stati strappati dal peccato e dall’infelicità per gustare il perdono che
ricrea! Come non desiderare questa “beatitudine” per chi ci è accanto, per il
mondo intero? Come non perdere la vita per annunciarla sino agli estremi
confini della terra perché nessun uomo ne resti escluso?
Il Signore ha
pensato a te e a me, ai nostri figli per condurci per mano al possesso della
nostra eredità, la sua stessa santità. Lui, il Santo, ci ha scelti. Lui nella
Chiesa illumina gli occhi della nostra mente per comprendere a quale speranza
siamo chiamati, "quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità tra i
santi" . La speranza di esserne partecipi purifica i nostri cuori e le nostre menti e ci fa ogni giorno santi
come Lui: poveri con Lui, afflitti con Lui, miti con Lui, affamati e assetati
con Lui, puri, operatori di pace, perseguitati con Lui. Piccoli, deboli, pieni
di difetti e di contraddizioni. Eppure santi.
Sino al giorno in
cui saremo “eletti” a far parte del “Paradiso”. Nel tempo e nello spazio, sulla
terra, ci prepariamo a vedere trasformata
la chiamata in elezione attraverso il cammino che ci offre la Chiesa.
Perché è pur vero che molti sono i chiamati e pochi gli eletti. La santità è
una cosa seria, è soprattutto una missione per salvare i peccatori.
Per passare
all’altra riva, alla “terra celeste”,
abbiamo bisogno di fratelli maggiori che ci confortino, ci mostrino le tracce
disseminate sulla strada della santità. Di testimoni della fedeltà di Dio, come
lo fu Elisabetta per la Vergine Maria. Per questo celebriamo oggi la santità di
tutti coloro che ci hanno preceduto in questo cammino, che hanno gustato le
primizie della Terra promessa nelle pieghe dell'esistenza quotidiana.
Celebriamo la comunione con i santi, nella quale possiamo, in un certo senso,
“approfittare” della loro santità per imparare a viverla nella nostra storia.
Come accade in una
famiglia dove i genitori e i fratelli maggiori mettono a disposizione i loro
beni per i fratelli più piccoli, che non possono sostenersi da soli. Così
“funziona” anche la comunione nella Chiesa terrestre, nelle nostre comunità
concrete: nessuno dice “sua” la Grazia che riceve, ma la mette a disposizione
per il bene di tutti. Così siamo uniti ai santi che sono passati attraverso la
grande tribolazione e hanno lavato la veste con il sangue dell’Agnello, e
vivono nel Cielo. Ci donano le primizie, per darci forza e coraggio nel viaggio
e nella battaglia per raggiungerli.
Affrettiamoci
dunque ad entrare oggi nella Terra santa che ha allargato i confini sino ad
includere anche la città della nostra vita. L’ha conquistata Cristo con la sua
Croce e la sua risurrezione! La nostra vita, il nostro corpo, tutto di noi è
preparato per divenire il tempio santo per la sua santità. Consegniamoci oggi e
ogni giorno a Cristo, così come siamo, perché faccia di noi un’immagine fedele
del Santo che ci ha chiamato.
1 Novembre. Solennità di tutti i santi. Approfondimenti
αποφθεγμα Apoftegma
Ma come possiamo divenire santi, amici di Dio?
Per essere santi non occorre compiere azioni e opere straordinarie,
né possedere carismi eccezionali.
E' necessario innanzitutto ascoltare Gesù
e poi seguirlo senza perdersi d'animo di fronte alle difficoltà.
L'esperienza della Chiesa dimostra che ogni forma di santità,
pur seguendo tracciati differenti, passa sempre per la via della croce,
la via della rinuncia a se stesso.
L'esempio dei santi è per noi un incoraggiamento
a seguire le stesse orme,
a sperimentare la gioia di chi si fida di Dio,
perché l'unica vera causa di tristezza
e di infelicità per l'uomo è vivere lontano da Lui.
Per essere santi non occorre compiere azioni e opere straordinarie,
né possedere carismi eccezionali.
E' necessario innanzitutto ascoltare Gesù
e poi seguirlo senza perdersi d'animo di fronte alle difficoltà.
L'esperienza della Chiesa dimostra che ogni forma di santità,
pur seguendo tracciati differenti, passa sempre per la via della croce,
la via della rinuncia a se stesso.
L'esempio dei santi è per noi un incoraggiamento
a seguire le stesse orme,
a sperimentare la gioia di chi si fida di Dio,
perché l'unica vera causa di tristezza
e di infelicità per l'uomo è vivere lontano da Lui.
Benedetto XVI, 1 Novembre 2006
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