Mendicanti
"Gerico era
saldamente sbarrata dinanzi agli Israeliti; nessuno usciva e nessuno
entrava" (Gs. 5,13). Qui giaceva la vita del cieco, inchiodata come la
nostra dinanzi alle barriere che si ergono nelle relazioni e ci spingono a
“mendicare” un po’ di affetto, stima e considerazione; quelle mura, infatti, ci
impediscono di vedere nel fratello la Terra che ci è stata promessa, il “tu” a
cui donarci ed essere felici. Hai mai pensato a tua moglie o a tuo marito, ai
tuoi figli o ai tuoi genitori, alla tua fidanzata o fidanzato, ai tuoi amici e
colleghi come a Gerico? Cambierebbero radicalmente i rapporti. Gerico, infatti,
con le sue mura è immagine delle differenze di carattere, del modo di pensare e
di fare, dei difetti e anche e soprattutto dei peccati che impediscono la vera
comunione, il passare l'uno all'altro in un amore gratuito. Ma Gerico non è un
caso o un ghigno crudele del destino, un'ingiustizia o sfortuna. Come aveva
fatto con Israele, il Signore ha condotto anche noi dinanzi a questa città
fortificata: “Al popolo Giosuè aveva ordinato: «Non urlate, non fate neppur
sentire la voce e non una parola esca dalla vostra bocca finché vi dirò:
Lanciate il grido di guerra, allora griderete».
Come il popolo, così anche il cieco era rimasto silenzioso, sino al
passaggio di Gesù. Egli è l’immagine dell'uomo ferito dal peccato di orgoglio,
incapace di tutto eppure spinto a superare il limite imposto da quegli occhi
chiusi sul mondo. La sua mano è tesa come la nostra: proprio
“mendicando” e cedendo a compromessi grossolani, essa esprime balbettando il
desiderio della pienezza di vita per la quale siamo nati, quella che il suo
cuore "vedeva" prima del peccato, e che poi aveva smarrito. Non a
caso, infatti, prima di conquistarla, i sacerdoti e il popolo girano per sei
giorni intorno a Gerico portando con sé l’Arca dell’Alleanza, il segno della
presenza di Dio. Sei giorni, come la ferialità della nostra vita passata a
“mendicare”, senza però che il Signore abbia smesso un istante di alimentare e
sostenere in noi il desiderio del settimo giorno. Per questo il
fallimento e la meschinità dove è precipitata la nostra esistenza sono già
un'opera divina: ci umiliano, preparandoci a ricevere la stessa Grazia
donata al cieco, quella di trovarsi in quel luogo, in quel momento, dentro a
quell'appuntamento che lui non aveva fissato. E giunge oggi il settimo
giorno, “passa Gesù il Nazareno”, ce lo annunciano quelli che "camminano
avanti", il Popolo in procinto di entrare in Gerico. E’ arrivata la Pasqua
della Vita e del perdono, dove prorompere in grida altissime capaci di far
cadere le mura della città. Ma spesso, nella Chiesa come dentro di noi, i sensi
di colpa, il moralismo e il legalismo vorrebbero intimarci il silenzio. Invece
il cieco continua, prende forza dalla sua debolezza e dalla fede accolta
attraverso l'ascolto della predicazione, e grida "ancora più forte".
Ha scoperto che tutto è Grazia, perfino quel suo stare là come l’ultimo della
città... E' bastato il passaggio di Gesù ad accendere la fede e a
decodificarla in un grido, a professarla con semplici parole: "Figlio
di Davide, abbi pietà di me!". Abbi pietà “tu” di me: anche la nostra mano
può trovare oggi la “pietà” vera, non importa se cercata come può poveramente
un cieco, spesso nei peccati... E quel grido ferma Gesù. Occorre che
Egli "si accorga" di lui e si fermi, che la scintilla della fede lo
raggiunga e sciolga la sua “commozione”. Perché l'appuntamento cui siamo
destinati si traduca in un avvenimento reale, è necessario dare del
"tu" a Gesù, consegnandogli l'”autorità” per compiere la volontà del
Padre in noi. Cristo stesso, infatti,
“mendica” da noi l’amen che gli permetta di offrire la pietà mendicata. "Che vuoi che io faccia per te?": questa domanda è
oggi rivolta a ciascuno di noi. Possiamo riacquistare la vista per contemplare il volto di Cristo, e scoprire
che, da sempre, era impresso in noi e nella nostra storia. Da questo incontro
nasce un discepolo ebbro di “gioia” e di “lode”, che non smette però di
"mendicare": segue Cristo perché sa a Chi chiedere, in un cammino di
fede e di illuminazione che durerà per tutta la vita, per imparare ad entrare
ogni giorno nella Terra della libertà e donarsi ad ogni "tu" nel
quale vedrà il Signore.
ECCO LO SGUARDO DEL CIECO CHE, RIDIVENTATO BAMBINO,
GUARDA STUPITO IL VOLTO DI CRISTO PER LA PRIMA VOLTA,
VIVO DINANZI A LUI
L'ANNUNCIO |
(Dal Vangelo secondo Luca 18,35-43)
La presa di Gerico |
"Gerico era saldamente sbarrata
dinanzi agli Israeliti; nessuno usciva e nessuno entrava" (Gs. 5,13).
Gerico, "città della luna", è la porta di accesso alla Terra
Promessa. La sua conquista, narrata nel capitolo 6 del libro di Giosuè,
appare come una liturgia con suoni di tromba e il grido assordante del
popolo. Per comprendere il segno di Gesù descritto nel Vangelo, occorre
rileggere l'episodio della conquista di Gerico: "Disse il Signore a
Giosuè: «Vedi, io ti metto in mano Gerico e il suo re. Voi tutti prodi
guerrieri, tutti atti alla guerra, girerete intorno alla città, facendo il
circuito della città una volta. Così farete per sei giorni. Sette sacerdoti
porteranno sette trombe di corno d’ariete davanti all’arca; il settimo giorno
poi girerete intorno alla città per sette volte e i sacerdoti suoneranno le
trombe. Quando si suonerà il corno dell’ariete, appena voi sentirete il
suono della tromba, tutto il popolo proromperà in un grande grido
di guerra, allora le mura della città crolleranno e il popolo entrerà, ciascuno
diritto davanti a sé»... Al popolo Giosuè aveva ordinato: « Non
urlate, non fate neppur sentire la voce e non una parola esca dalla vostra
bocca finché vi dirò: Lanciate il grido di guerra, allora griderete ».
L’arca del Signore girò intorno alla città facendo il circuito una
volta... Così fecero per sei giorni. Al settimo giorno si alzarono al
sorgere dell’aurora e girarono intorno alla città in questo modo per sette
volte; soltanto in quel giorno fecero sette volte il giro intorno alla città.
Alla settima volta i sacerdoti diedero fiato alle trombe e Giosuè disse
al popolo: «Lanciate il grido di guerra perché il Signore vi dà in potere
la città...». Allora il popolo lanciò il grido di guerra e si suonarono le
trombe. Come il popolo udì il suono della tromba ed ebbe lanciato
un grande grido di guerra, le mura della città crollarono; il popolo allora
salì verso la città, ciascuno diritto davanti a sé, e occuparono la città".
Sino al momento in cui passa Gesù, il
cieco era rimasto a mendicare. Silenzioso, come intimato da Giosuè al Popolo.
Come ciascuno di noi, forse inconsapevolmente, si trova a mendicare silenzioso,
senza sussulti o grida, sulla strada dei giorni, dove scorrono le relazioni, le
cose da fare, e i pensieri e le decisioni. Chiediamo, semplicemente, vita,
felicità, affetto, dignità. Mendichiamo l'essere, chiediamo di
entrare a prendere possesso della Terra che ci è stata promessa; tutti abbiamo
dentro un desiderio inappagato che ci muove a mendicare: "L’uomo aspira ad
una gioia senza fine, vuole godere oltre ogni limite, anela all’infinito"
(J. Ratzinger, Luce del mondo, p. 95).
Il Catechismo rintraccia il
fondamento del desiderio: “Mediante la creazione Dio chiama ogni essere dal
nulla all’esistenza… Anche dopo aver perduto la somiglianza con Dio a
causa del peccato, l’uomo rimane ad immagine del suo Creatore. Egli
conserva il desiderio di colui che lo chiama all’esistenza.” (n. 2566). Si
tratta del desiderio che muove il cieco, immagine dell'uomo ferito dal peccato,
incapace di tutto eppure spinto a superare la sua situazione, il limite imposto
da quegli occhi chiusi sul mondo. Il suo mendicare ogni giorno lungo la strada
definisce il suo desiderio. Malamente, accontentandosi forse, cedendo a
compromessi grossolani, eppure, in quella mano tesa, si fa presente il gemito
di un cuore che, custode del seme divino deposto dal Creatore, conserva
il desiderio, balbetta la nostalgia della perfezione e pienezza di Colui
che lo ha chiamato all'esistenza dal nulla.
Il nostro mendicare di ogni giorno è
la traccia di questa nostalgia fattasi desiderio. Per questo i sacerdoti ed il
popolo girano per sei giorni intorno a Gerico: è l'immagine della nostra vita
alle porte della Terra Promessa, della pienezza della vita, della corrispondenza
unica e autentica al nostro desiderio. Sei giorni, la ferialità della vita
trascorsa mendicando. Ma, conservata e custodita, al centro dei giorni, del
lavoro, della famiglia, delle amicizie che sembrano tirate via elemosinando lo
straccio di un senso, vi è l'Arca, la presenza di Dio. La
mendicanza è positiva, è già una liturgia! E' attesa, inconsapevole
eppure struggente, di Lui, del suo passaggio risanatore. Ogni nostro giorno,
anche se mendicante, è creativo, perché Dio, con amore, continua a
creare dal nulla la nostra storia per farci felici. Dio crea durante i primi
sei giorni "cose buone", in attesa della "cosa molto
buona", dell'uomo a sua immagine. Così noi mendichiamo nell'attesa dello
Shabbat, del giorno del Messia, di Cristo e della sua risurrezione, del
riposo di chi, affaticato e oppresso, può trovare solo nella sua umiltà e
mitezza. Mendichiamo, e in questo, Dio alimenta e sostiene il nostro desiderio,
accompagnandoci, perdonandoci e tirandoci su quando, deboli e feriti, ci
volgiamo a idoli e menzogne.
Ogni nostro giorno è già lanciato alla presa di
Gerico! Anche se ce ne stiamo seduti a mendicare, Dio sta preparando lo scrigno
dove depositare la fede. Per questo anche quanto, nella nostra vita, ci sembra
fallimentare, meschino e abietto ha un valore immenso. La stessa Grazia donata
al cieco: trovarsi in quel luogo, su quella strada alle porte di Gerico,
in quel momento, a quell'ora. Quel suo mendicare protrattosi da non si sa
quanto tempo, lo aveva condotto, misteriosamente, ad esser lì, dentro a
quell'appuntamento che, di certo, non aveva fissato lui. Così è per ciascuno di
noi. Desideriamo e mendichiamo, e non ci rendiamo conto che tutta la storia
spesa a stendere la mano, ci ha preparato e condotto ad essere puntuali ad un
appuntamento che Lui ha preso, da sempre, con noi.
Il Vangelo di oggi ci annuncia dunque
una buona e inaspettata notizia: ogni giornata della nostra storia, ogni
evento, ogni persona, ci accompagnano ad entrare in possesso dell'oggetto
autentico del nostro desiderio. Anche attraverso la debolezza e le cadute
intrecciate al nostro povero mendicare. Anzi, proprio attraverso l'esperienza
dell'estrema indigenza, Dio scrive, lettera dopo lettera, la sua dichiarazione
d'amore, il suo invito all'appuntamento nel quale donarsi totalmente. Possiamo
guardare con fiducia a questa nostra vita mendicante. Il Signore è in cammino,
è vicino a noi, passa proprio accanto a quel metro quadro di strada che
definisce la nostra vita di oggi. Esattamente in questo momento. Giunge
il settimo giorno, la Pasqua della Vita e del perdono, nel quale prorompere in
grida altissime. L'Arca è, da sempre, con noi. Le trombe dei sacerdoti, la
preghiera incessante della Chiesa, lo zelo di chi ha a cuore la nostra sorte,
hanno custodito la presenza di Dio in noi. Passa Gesù, è arrivato il Messia. Ce
lo annunciano quelli che "camminano avanti", il Popolo in
procinto di entrare in Gerico, coloro che vanno "ciascuno diritto
davanti a sé".
Certo, lo stupore è grande, come la
tentazione di star zitto e non disturbare. Dentro e fuori di noi i pensieri, i
consigli, il buon senso, il "religiosamente corretto", ci vogliono
indurre a tacere. Un mendicante cieco è sempre, agli occhi legalistici e
moralistici, un indegno: reca impresso nella sua cecità il segno del disordine
del peccato; è un fallito, un pigro, preferisce starsene seduto aspettando da
fuori l'aiuto che dovrebbe procurarsi da sé. Non si impegna, non si
sforza, mendica.... E invece il cieco continua, "ancora più forte"
del moralismo, dei sensi di colpa, dei rimorsi. Prende forza dalla sua
debolezza e dalla fede accolta attraverso l'ascolto della predicazione -
"Passa Gesù Nazareno!" - che innesca la scintilla capace di
schiudergli la salvezza. Tutto è Grazia! Perfino quel suo stare là... E'
bastato il passaggio di Gesù ad accendere la fede donata dalla predicazione, a
decodificarla in un grido, a professarla con semplici parole, umili
perché vere: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!". Abbi
pietà tu di me: la mano tesa del mendicante, la nostra mano, ha
trovato la pietà vera, cercata come la può cercare un cieco,
nel matrimonio, nei figli, nel prestigio, nell'amicizia, nel lavoro; spesso nei
peccati...
E quel grido ferma il
passaggio di Gesù. E' il potere della fede fatta preghiera.
Attraverso di essa, cifra della libertà orientata alla Verità,
l'appuntamento diviene realtà. La preghiera ha il potere di far
compiere la volontà di Dio: il suo pensiero di bene circa quel cieco si
realizza grazie a quel grido. Occorre che Gesù si accorga di lui e si fermi.
Occorre che la scintilla della fede raggiunga Cristo, lo tocchi, scenda al suo
cuore e "liberi"la sua commozione, la sua pietà. Come hanno fatto
l'emoroissa, il centurione, il buon ladrone sulla croce. Perchè l'appuntamento
cui siamo destinati si traduca in un avvenimento reale, è necessario
dare del "tu" a Gesù: la mia preghiera mendicante lo
rende un "tu" per me, Qualcuno che ha relazione con me, con
la mia vita. La preghiera gli consegna l'autorità per
fare quello che ha pensato, per compiere la volontà del Padre in noi. "Si
trovano l’uno di fronte all’altro: Dio con la sua volontà di guarire e l’uomo
con il suo desiderio di essere guarito. Due libertà, due volontà convergenti:
"Che vuoi che io ti faccia?", gli chiede il Signore. "Che io
riabbia la vista!", risponde il cieco. "Va’, la tua fede ti ha
salvato". Con queste parole si compie il miracolo. Gioia
di Dio, gioia dell’uomo" (Benedetto XVI).
Così la preghiera, a partire
dall'umile riconoscimento della propria realtà di mendicante, divine la
professione di fede più genuina: Sì, il cieco, in una frase condensa la fede
della Chiesa. Il tu e l'io descritti nel suo grido, dicono tutto, professano la
fede e attirano la salvezza. Io, mendicante
bisognoso, Tu, Figlio di Davide, il Messia, l'unico Salvatore.
E la pietà, la misericordia, la salvezza, Gerico, la Terra Promessa, il riposo,
la vita piena ed eterna. Si comprende allora perché tutta la tradizione
orientale abbia come fondamento la preghiera di questo cieco, la
"preghiera di Gesù". Benedetto XVI sintetizza magistralmente tutto
questo: "Nell’esperienza della preghiera la creatura umana esprime
tutta la consapevolezza di sé, tutto ciò che riesce a cogliere della propria
esistenza e, contemporaneamente, rivolge tutta se stessa verso l’Essere di
fronte al quale sta, orienta la propria anima a quel Mistero da cui si attende
il compimento dei desideri più profondi e l’aiuto per superare l’indigenza
della propria vita. In questo guardare ad un Altro, in questo dirigersi
“oltre” sta l’essenza della preghiera, come esperienza di una realtà che supera
il sensibile e il contingente" (Benedetto XVI, Catechesi
nell'Udienza Generale dell' 11 maggio 2011).
Il grido del cieco lo orienta
verso quell'oltre al quale è chiamato da Gesù e condotto dai
discepoli. Ora è "vicino" a Lui e si accorge che, come nella
bellissima scena del film "Marcellino pane e vino", pur senza vederlo
ancora, quell'Uomo era un mendicante come lui. Marcellino vede
Cristo nudo, e pensa che abbia fame. Nella sua innocenza gli porta del pane. E
quel pane gli aprirà il cuore di Cristo, che lo accoglierà nella sua intimità.
E' Cristo che mendica la fede del cieco, il suo bisogno, come il nostro; come
sulla Croce, ha sete del nostro abbandono, ha sete di donarci l'acqua
viva; mendica il poter offrire la pietà mendicata. Diceva Mons.
Giussani che "L’esistenza si esprime, come ultimo ideale, nella
mendicanza. Il vero protagonista della storia è il mendicante: Cristo
mendicante del cuore dell’uomo e il cuore dell’uomo mendicante di Cristo". "Che
vuoi che io faccia per te?".
Questa domanda è oggi rivolta a ciascuno di
noi. Possiamo riacquistare la vista per vedere Lui, il "tu"
che dà compimento ad ogni nostro desiderio. Crollano le mura di Gerico
che impediscono l'ingresso alla Terra, si aprono gli occhi e si può, finalmente
contemplare il volto di Cristo, e scoprire che, da sempre, era impresso in noi
e nella nostra storia. E da questo incontro nasce un discepolo ebbro di
gioia e di lode. Il cieco lascia quel lembo di terra sul quale ha
passato la vita mendicando. Ma non smette di mendicare. E'
afferrato in una relazione nuova e sorprendente, che lo attrae e lo seduce. Ora
il cieco segue Cristo, con il cuore rivolto a Lui, origine e compimento di
tutto: famiglia, lavoro, amicizie. Ora egli sa a Chi mendicare; lo seguirà in
un cammino di fede e di illuminazione che durerà per tutta la vita, per
imparare ad andare "diritto davanti a sè".
αποφθεγμα Apoftegma
Si trovano l’uno di fronte all’altro:
Dio con la sua volontà di guarire
e l’uomo con il suo desiderio di essere guarito.
Due libertà, due volontà convergenti:
"Che vuoi che io ti faccia?", gli chiede il Signore.
"Che io riabbia la vista!", risponde il cieco.
"Va’, la tua fede ti ha salvato".
Con queste parole si compie il miracolo. Gioia di Dio, gioia dell’uomo.
Dio con la sua volontà di guarire
e l’uomo con il suo desiderio di essere guarito.
Due libertà, due volontà convergenti:
"Che vuoi che io ti faccia?", gli chiede il Signore.
"Che io riabbia la vista!", risponde il cieco.
"Va’, la tua fede ti ha salvato".
Con queste parole si compie il miracolo. Gioia di Dio, gioia dell’uomo.
Benedetto XVI
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