Morte di San Francesco Saverio |
SINTESI
«Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero se poi perde la sua anima?»: ripetendo con insistenza queste parole del Signore, Sant'Ignazio di Loyola fece di Francesco Saverio, un giovane studente ambizioso lanciato verso il successo, l'apostolo santo dell'Oriente. Astutamente, il demonio cancella sempre la data di scadenza sulla suadente e illusoria etichetta di «mammona», termine aramaico che designava il «patrimonio» ma anche un idolo cananeo cui andava l’adorazione dei pagani. Ma, attraverso la predicazione di Ignazio, come gocce d'acqua che lentamente riescono a corrodere anche il ferro, la Verità si insinuò nelle maglie fitte della menzogna, ed ebbe la meglio. Francesco non era nato per essere schiavo di un idolo, feticcio di qualunque «ricchezza» terrena che, per quanto si fosse sforzato, non gli sarebbe mai appartenuta. Dio, invece, lo chiamava ad accogliere quella che era «sua» da sempre, il Figlio diletto nel quale era stato amato e creato, e gli «affidava» il Vangelo, l'unica «ricchezza vera». Di certo, all'alba di quella fredda mattina di dicembre, i suoi innumerevoli «amici» erano tutti lì, ad «accoglierlo» sulla soglia delle «tende eterne». Non si era risparmiato, gli aveva dato tutto, perché tutto aveva vissuto in Cristo, senza cercare se stesso nelle relazioni, offrendo ogni suo bene. E ora moriva sulla spiaggia di un'isoletta alle porte della Cina, solo, dopo aver percorso instancabilmente l'Oriente intero per dieci anni. «Fedele nelle cose più piccole», rinnegandosi in ogni suo affetto, pensiero, desiderio, era stato per questo «fedele nella cosa più grande», Cristo e il suo Vangelo. Volti, storie, sofferenze, uomini e donne di ogni razza e condizione, ciascuno fu raggiunto dal fuoco d'amore che ardeva nel cuore di Francesco; in quel missionario avevano incontrato Cristo, la «ricchezza vera». La sua storia è l’esegesi più autentica del vangelo di oggi. In essa è profetizzata anche la nostra. Siamo chiamati come lui a farci tutto a tutti, spendendo la nostra vita per l'annuncio del Vangelo, e «procurarci» così una «lobby» di «amici» che, nell'anticamera del Paradiso, «faccia pressione» perché Dio ci «accolga». Marito, moglie, figli, amici, denaro, nel mondo sono «ricchezze inique», idoli come «mammona», che gli uomini amano divenendone schiavi. Per chi ha conosciuto Cristo tutto è vissuto nel fuoco della Croce, che arde purificando le idolatrie, dove i rapporti e i beni divengono occasioni per donarsi e non accaparrare, facendo così di ogni «ricchezza» un «tesoro celeste». Non importa se l’apparente successo dei farisei li spinge a «beffarsi» di Cristo e dei suoi discepoli; Lui «conosce i cuori»: se saranno colmi del suo amore, quando per il mondo tutto «verrà a mancare» per noi si schiuderanno le porte del Paradiso.
L'ANNUNCIO |
Ebbene, io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand'essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto. Se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona».
I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si beffavano di lui.
Egli disse: «Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio.
(Dal Vangelo secondo Luca 16,9-15)
In Cielo si entra per amicizia. Dalle parole di Gesù, a prima
vista, sembra trattarsi di un'amicizia interessata, conquistata a prezzo di
bustarelle e corruzione. Un'amicizia "comprata". Ebbene, lo scandalo
del Vangelo emerge in questo passo in tutta la sua "virulenza". Le
parole di Gesù, come un virus capace di attraversare i sistemi di difesa di un
organismo, attaccano il perbenismo e il moralismo dei farisei che si fanno
giusti davanti agli uomini, mentre hanno il cuore attaccato al denaro. Sono
esaltati tra gli uomini ma detestabili davanti a Dio perché appaiono per quello
che non sono: sembrano pii mentre sono idolatri.
Esattamente come ciascuno di
noi, ipocriti e illusi nel crederci giusti perché, come il giovane ricco, non
rubiamo, non uccidiamo, non adulteriamo, non corrompiamo, paghiamo le tasse e
il condominio, esigiamo le fatture e gestiamo il denaro con oculatezza. Ma
siamo tristi, sempre in lotta con il mondo e le sue ingiustizie,
torvi e sulla difensiva, e guai a chi viene a chiederci qualcosa che non gli
sia dovuto; guai a chi mette in crisi la nostra giustizia di farisei.
E ci beffiamo di Gesù. Magari con il rosario in mano, o lasciando
cadere un euro nella mano dello zingaro seduto alla porta della Chiesa o
adottando un bambino a distanza. E ci beffiamo di Gesù, proprio mentre ci
indigniamo e condanniamo i peccatori, i ladri, i corruttori, e li bolliamo come
il cancro della società, la causa delle nostre sciagure.
Ma Gesù conosce il nostro cuore, ci provoca e ci
spiazza: prima loda un amministratore fraudolento, poi ci invita a
"comprarci" gli amici, a formarci una "lobby" che
ci sostenga e faccia pressione perché possiamo salvarci, essere accolti nelle
dimore eterne. E' interessante notare al proposito quanto il termine lobby sia
appropriato: è una parola che deriva dal latino medievale, lobia,
loggia, portico. Secondo l'Oxford Dictionaries, lobby è
"un locale che offre uno spazio o un anche un corridoio all'esterno vicino
all'ingresso di un edificio pubblico". Il termine lobby designava la
zona del Parlamento inglese dove i rappresentanti dei gruppi di pressione
cercavano di contattare i parlamentari. La lobby sarebbe,
in senso traslato, una fase antecedente al mercato o alla politica dove
imprenditori e uomini di affari cercano di forgiare e modificare le regole del
gioco a loro vantaggio. Dunque Gesù ci invita oggi a crearci una lobby che,
nell'anticamera del Paradiso, "faccia pressione" per aggiustare il
giustizio, cambiare o indirizzare le regole per farci accogliere nelle dimore
eterne. Una cosa che, oggi, è oggetto di indignazione, come quella
sorta nel cuore dei farisei alle parole di Gesù: letteralmente essi
"arricciano il naso", disprezzano e dissentono.
Caino e Abele |
Ma le parole scandalose di Gesù smascherano l'ipocrisia e
svelano il nostro cuore e quello dei farisei: un cuore amico al
denaro, che si scandalizza e ride della libertà che Gesù mostra proprio nei
confronti dei soldi. Egli provoca l'indignazione per mostrare la giustizia
autentica, che supera quella mondana e farisaica. Come quando spiazza il
giovane ricco che si illude di compiere la Legge mentre ha il cuore saldamente
ancorato ai propri beni, non lasciando a Dio che piccole briciole; come Caino, invidioso,
etimologicamente con gli occhi incapaci di vedere o che vedono al
contrario, e che per questo offre parzialmente a Dio,
mentre Abele, secondo la tradizione rabbinica, offre se stesso insieme alle
primizie. Caino, immagine dei farisei, giusti solo in apparenza, ma
"irritati e con il volto abbattuto", con il peccato ormai
accovacciato alla porta. L'indignazione li porterà ad uccidere, esattamente
come Caino. E' l'invidia della bontà di Gesù che dà a tutti gli operai lo
stesso stipendio, senza apparente giustizia. Così Gesù svela il cuore malato di
chi non ha mai dato davvero a nessuno, perché chi non offre se stesso
non ha mai dato nulla.
Gesù, al contrario, ci ha dato tutto se stesso. E così ha fatto
di noi i suoi amici acquistati a prezzo del suo sangue, gli
amici che lo hanno accolto nelle dimore eterne. Siamo diventati i testimoni del
suo amore presso il Padre, la sua lobby che gli ha spalancato
le porte del regno del Padre: "Infatti, colui che santifica e coloro che
sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si
vergogna di chiamarli fratelli... dicendo: Eccomi, io e i figli che Dio
mi ha dato" (Eb. 2, 11). Allo stesso modo anche noi, donandoci, amando
oltre la giustizia dei farisei, acquistiamo amici che saranno i
testimoni a nostro favore e ci accoglieranno nelle dimore eterne. Così, il dono
quotidiano di noi stessi, l'offerta dei nostri beni e delle nostre sofferenze,
delle malattie, dei fallimenti, delle angosce, schiuderà le porte del Cielo ai
nostri nuovi amici, liberandoli, in Cristo, dalla schiavitù della
paura, perchè, una volta entrati nel Paradiso, ci accolgano con loro.
I pagani saranno accolti e benedetti dal Padre
proprio per aver accolto i discepoli, ed in loro Gesù stesso,
anche senza rendersene conto. Perché la vita dell'apostolo, il suo essere
all'ultimo posto, completamente consegnato al Vangelo e agli uomini, tutto
a tutti, in carcere, malati, piccoli e poveri, costituisce l'offerta
dell'unico necessario, Cristo vivo in loro. Offrire Cristo dunque è l'unico
modo di farsi amici, una lobby che accolga in Cielo, perché si
rallegrino insieme chi semina e chi miete. Il Vangelo di oggi è un'istantanea
sulla missione della Chiesa, sulla figura degli apostoli, e, soprattutto, di
Colui che li invia.
In questa cornice si comprende l'insistenza di Gesù sulla
fedeltà. Un apostolo è colui che si fa amici per il regno dei Cieli, che dona
se stesso ad ogni uomo nell'amore di Cristo; la vita nella carne, i beni, gli
affetti sono strumenti affidai per compiere la missione. Essere fedeli nella cosa
più piccola, secondo l'originale greco tradotto con nel poco,
genera la fedeltà nella cosa vera, originale greco tradotto con nel
molto. Ma la cosa più piccola è sempre contenuta in quella più
grande, più vera. Mammona, termine aramaico che evocava il
“patrimonio” di una persona, è contenuto nel bene vero, in Cristo! Così le
cose più piccole, affetti, denaro, tutto ciò che si riferisce alla carne,
quando non sono vissute dentro la Verità che è Cristo divengono inique; ogni
relazione, nel matrimonio come nel fidanzamento, nell'amicizia, nel lavoro,
nella comunità, sono autentiche, giuste e sante solo se vissute in Cristo.
Mammona infatti designava anche un idolo cananeo cui
andava l’adorazione dei pagani. La moglie, il marito, i figli, il lavoro,
il denaro possono divenire idoli muti cui chiedere la vita. Nel cuore
incominciano le piccole infedeltà per assicurare la
nostra vita, che si trasformano a poco a poco in grandi infedeltà, adulteri
generati dall'idolatria. Nel cuore decidiamo a chi prostrarci e chi
servire.
La ricchezza iniqua che rende schiavi esige una continua
purificazione, una sua conversione, una trasfigurazione: occorre
salire ogni giorno al Tabor per vedere la nostra carne risplendere di una luce
che non è di questo mondo, così che essa ritorni al suo posto, quale veicolo
dell'amore celeste. Il Tabor della Trasfigurazione si fa presente nelle
occasioni che Dio ci dona per farci amici con la ricchezza più piccola, con
quella iniqua che reca la ferita della corruzione: donare tutto attraverso la
carne; essere fedeli, affidabili nelle relazioni, nel lavoro, negli affetti,
nei beni.
E la fedeltà ha una sola coniugazione: donare, sempre e senza
riserve. Il dono è la trasfigurazione della carne, rende celesti i beni
deponendoli nella Verità, fa tesori e amici per il Cielo amando in Cristo. E'
questa la missione alla quale la Chiesa e ciascuno di noi è chiamato:
sovvertire l'ordine della carne, il criterio che si fa beffe di Dio, la
schiavitù di mammona; e annunciare e rendere credibile il Cielo, relazioni
nuove nel dono totale di se stessi, una lobby di amici che donano e
ricevono la Verità, l'amore infinito di Dio. Sì, qui sulla terra, la Chiesa
è un'anticipo del Cielo dove ci si fa amici attraverso la vita nella carne
donata senza riserve, amici che si accolgono mutuamente nelle dimore eterne, in
un amore che supera ogni pretesa giustizia carnale.
Chi è amico del denaro non può essere amico di Dio. Per questo Gesù dice di farsi
amici con il denaro e tutto il patrimonio, usando lo stesso termine
con il quale denuncia il cuore dei farisei. Non si può essere schiavi
di due padroni: "o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà
all'uno e disprezzerà l'altro". Non ci sono alternative. Odiare o
amare. Guarda il portafoglio, saresti capace di tirare fuori tutto il
denaro e darlo al primo povero che incontri per strada? In questo stesso
momento? E' pura pazzia, qualcosa di irrazionale non è vero? Sicuro
che lo è, agli occhi del mondo e per la sapienza della carne. Ma agli
occhi di Dio è quanto di più semplice e naturale vi sia, perché Lui
ha donato tutto, e nulla ha anteposto alla nostra vita e salvezza;
per amore nostro ha perso tutto. Questo è il criterio di Dio,
così Egli stima il denaro ed i beni. Cristo ha amato il Padre e ha odiato
il denaro, il potere, la sua stessa divinità, e tutto per amore nostro
amore. Ha odiato la sua stessa vita perchè ha amato la nostra.
Per questo motivo amare il denaro è odiare a Dio, il suo amore, la sua
tenerezza, la sua misericordia.
L'apostolo è stato eletto e chiamato ad essere schiavo di Dio, e
proprio per questo, suo amico. Gesù infatti non chiama più servi i
suoi discepoli, ma amici, perché confida loro tutto, sino al dono
estremo della sua vita. Non vi è amore più grande di questo. La radicalità
dell'amore genera altrettanta radicalità. La primogenitura di
questa amicizia, la vocazione ad essere astri nel mondo corrotto, è la cosa
vera che contiene quella più piccola, il granello di
senapa destinato a divenire un albero sui cui rami riposeranno le Nazioni. La
nostra vita, come e unita a quella di Cristo, ci è data per essere seminata.
Essa non ci appartiene, è ricchezza altrui; la nostra ricchezza invece è
Cristo, la Verità che dà senso e sapore a tutto.
Per questo il Signore dice
che, se saremo fedeli nel dono, ci sarà data la ricchezza che è
già nostra: il Destino celeste ci appartiene già, e questa è la chiave
del Vangelo di oggi. Possiamo essere fedeli, possiamo compiere la missione
facendoci amici per il Cielo, possiamo affezionarci a Cristo, perché Lui è già oggi in noi, siamo suoi, ed Egli ci appartiene.
"«Il mio amato è mio e io sono sua. Io sono del mio amato e il mio amato è
mio» (Ct. 2,16; 6,3). Come l'amministratore disonesto possiamo allora disporre
dei suoi beni, della vita che ci è affidata, per donarla e ritrovarla per
l'eternità. Le sue viscere ci rinnovano e
ci fanno figli fedeli in ogni istante, in ogni pensiero e parola; Egli ci fa
fedeli fino al martirio di una consegna totale, amore a Dio ed odio, sincero,
al mondo.
APPROFONDIMENTI
San Francesco dona il mantello a un povero |
Gesù, lo so bene, l'amore si paga soltanto con l'amore, perciò
ho cercato, ho trovato sollievo rendendoti amore per amore. «Usate le ricchezze
che rendono ingiusti, per farvi degli amici i quali vi ricevano nei tabernacoli
eterni». Ecco, Signore, il consiglio che tu dai ai tuoi discepoli dopo aver
detto loro che «i figli delle tenebre sono più abili nelle loro faccende che i
figli della luce». Figlia della luce, ho capito che i miei desideri di esser
tutto, di far mie tutte le vocazioni, sono ricchezze che potrebbero rendermi
ingiusta, allora le ho usate per farmi degli amici.
Santa Teresina di Lisieux, Storia di un'anima.
αποφθεγμα Apoftegma
Osservo come tutti i beni e i doni discendono dall'alto:
per esempio, la mia limitata potenza
discende da quella somma e infinita di lassù,
e così la giustizia, la bontà, la pietà,
la misericordia, e via dicendo,
come i raggi discendono dal sole,
le acque dalla sorgente, e così via.
S. Ignazio di Loyola, Esercizi Spirituali
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