Lunedì della II settimana del Tempo di Quaresima




Imparare a misurare senza misura

Il cammino quaresimale è il ritorno a casa, alla nostra origine. In noi sono impresse sin dall'eternità l'immagine e la somiglianza di Dio, che risplendono nell'attitudine descritta nel Discorso della Montagna: "siate misericordiosi, non giudicate, perdonate, non condannate, date". Non sono ordini e neanche consigli; non tratteggiano il codice etico dei cristiani. Sono, invece, una rivelazione: ci dicono chi siamo, da dove veniamo, e dove andiamo. A "casa nostra" si vive così perché il Padre è amore infinito e i figli assomigliano a Lui. Ma il demonio ci ha ingannato dicendoci che i frutti dei vari alberi del Giardino, ovvero le diverse coniugazioni dell'amore, non valgono per farci felici, anzi. Mentendoci, il serpente ci ha insinuato che, non potendo mangiare del frutto della conoscenza del bene e del male, anche tutto il resto sarebbe diventato impossibile. Il demonio ha sovvertito l'ordine e la qualità della vita, trasformando la Grazia e la gioia dell'amore nello sforzo dell'egoismo. Il perdono e la misericordia sono divenuti un'altra cosa, e devono essere mitigati dal giudizio e dalla condanna. Così, ci siamo convinti che sia impossibile "perdonare", se prima non diventiamo come Dio, ovvero i sovrani assoluti, secondo la sua caricatura offertaci dal demonio; solo allora potremo stabilire noi i casi in cui sia un bene perdonare. Pensiamo che sia assurdo "non giudicare", se prima non diventiamo i giudici supremi della famiglia e del parentado, così da poter discernere quando e chi è bene non condannare. Siamo ormai fuori di casa, nel Paese lontano dove è andato a perdersi il figlio prodigo. Uscendone abbiamo obbligato il Padre a "misurare" ciò che non ha "misura", la nostra parte di eredità. Come Adamo ed Eva siamo caduti nel tranello del demonio di "misurare" l'amore che, invece, è infinito; si può ricevere solo restando uniti al Padre che ci rende capaci di accoglierlo. Tagliando con Lui abbiamo cominciato a misurare anche il suo amore, e ne abbiamo fatto una cosa povera, piccola, invidiabile, oggetto di gelosie e concupiscenze. Guardiamoci bene dentro, e scopriremo che l'amore è scaduto in qualcosa di carnale, sentimenti e passioni a cui chiediamo la vita che non può darci. Un amore così non si può coniugare in perdono e misericordia. Sconfitti e delusi, ci siamo chiusi senza più poter "dare" nulla: prestiamo, non doniamo. Puoi perdere un pomeriggio per tua moglie? Puoi "dare" qualcosa di te stessa lasciando che sia tuo marito a dare l'ultima parola ai tuoi figli? No, perché in fondo non lo hai perdonato quando ti ha umiliata davanti a loro, lo hai giudicato come un egoista e vigliacco, e condannato a due mesi di astinenza; non ti concedi a lui neanche sotto tortura. Non puoi perché, come ciascuno di noi, non sei più a casa tua, non vivi più immersa nella misericordia, hai solo la "misura" meschina e limitata della tua povera carne incapace di soffrire. Impauriti di morire per l'altro misuriamo tutto con avarizia. Ma coraggio, questa Quaresima ci aiuta a scendere sin dentro le viscere materne della Chiesa nostra madre, per immergerci nella "misericordia" di Dio, in ebraico rahamin, ovvero le viscere materne, l'utero dove essere rigenerati. Allora, andiamo a confessarci di giudicare tutti. Anneghiamo nel perdono le condanne, la superbia, l'avarizia, la lussuria, le menzogne, tutti i peccati con cui abbiamo provato inutilmente a sopravvivere lontano da casa. Lasciamoci abbracciare da nostro Padre per sperimentare il suo perdono; allora ritroveremo la gioia di vivere ogni relazione come un banchetto di riconciliazione: "Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato" significa, infatti, che il frutto squisito della misericordia che ci ricrea ci sazia moltiplicandosi in noi e negli altri. Ogni situazione che siamo chiamati a vivere è eccezionale e necessita un amore "smisurato", che, come il Nilo, tracimi dal letto abituale, dalle "misure" ragionevoli dell'affetto in attesa di contraccambio, per fecondare e donare la vita. Una folla di persone ci cerca per essere sfamata: di fronte alla loro storia ferita dal peccato, possiamo davvero "misurare" quello che abbiamo tra le mani? Impossibile, ma proprio quello che siamo, accolto dall'amore del Padre è trasformato e moltiplicato in "una buona misura, pigiata, scossa e traboccante" che, attraverso i sacramenti e la Parola predicata, ci "sarà versata nel grembo". Coraggio, "in cambio" della generosità con la quale avremo consegnato tutto noi stessi a Gesù, compresi tutti i peccati, ci sarà data la sua pienezza, con cui amare chi ci è accanto. Per questo il Signore usa i verbi all'imperativo: è nascosto in essi tutto il suo potere di compiere quello che annunciano: mentre ci ri-crea nella misericordia ci dice: "non condannate", e non condanneremo; "non giudicate", e non giudicheremo; "date" e daremo; "perdonate", e perdoneremo. Basta solo ascoltare e accogliere la sua Parola perché dal nostro "grembo" possa nascere solo la misericordia in misura "traboccante", incalcolabile, la stessa nella quale rinasciamo ogni istante, gratuitamente.








    






L'ANNUNCIO
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro. Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio».
 (Dal Vangelo secondo Luca 6, 36-38)







Non esiste unità di misura per l'amore di Dio. Mentre noi, invece, quante volte misuriamo il tempo speso per gli altri, il perdono offerto, la quantità di vita consegnata? Sì, perchè in fondo, quel che facciamo è prestare e mai donare. Per chi dona, infatti, le misure non contano. Il dono non conosce calcoli. Quando nel cuore si comincia a tenere una segreta contabilità, una partita di dare e avere, è segno che il Cielo è ormai chiuso, e la vita dei figli è divenuta vita di orfani. Come nella parabola del figliol prodigo, che esige dal padre di conteggiare la parte che gli spetta per spendersela in libertà e autonomia. E' proprio questo il primo passo verso la rovina: aver obbligato suo padre a misurare ciò che non ha misura; ed è esattamente quello che, malmostosamente, ha fatto anche il figlio maggiore, quando, preda della gelosia, si è messo a calcolare l'incalcolabile amore del padre. Entrambi non avevano compreso che il tranello antico, quello posto dal demonio ad Adamo ed Eva, era proprio quello di misurare l'eredità, che, da infinita, si trasforma così in qualcosa di finito, esauribile, invidiabile, oggetto di gelosie, avarizia e concupiscenza, di difesa strenua a costo di uccidere l'altro con giudizi e condanne: misurare l'amore del Padre conduce sempre a rinchiuderlo nello spazio angusto della carne, dell'umano, e farlo decadere dall'agape all'eros. E' questo, in definitiva, il frutto mortale del peccato, voler accaparrarsi della Grazia, del dono, e ritrovarsi così padroni del nulla, schiavi delle passioni, sempre a corto di pazienza e misericordia, privati di quell'eccedenza d'amore, di quell'amore smisurato che, solo, può dare compimento alla vita. Senza l'agape, i matrimoni restano senza vino, e fanno acqua, incapaci di sopportare l'urto della carne. Senza l'eccedere della carità, le amicizie evaporano, i fidanzamenti si piegano ai compromessi, le relazioni tra genitori e figli divengono campi di battaglia. Nell'episodio della moltiplicazione dei pani, di fronte alla folla affamata e stanca, chiedendo "quanti pani avessero", il Signore metteva alla prova il cuore dei discepoli, come oggi quello di ciascuno di noi. Una folla di persone che ci cercano per essere sfamate, la moglie o il marito al bordo della depressione, un figlio ribelle, una suocera che ha smarrito la pazienza, un collega geloso, un fidanzato in crisi, di fronte a quello che ci presenta la storia ferita dal peccato, possiamo davvero misurare quello che abbiamo tra le mani? "Che cos'è questo nulla per sfamare tanta gente, per vivere in pienezza e secondo la volontà d'amore del Padre?". Misuriamo, come i discepoli, e ci ritroviamo con cinque pani e due pesci, nulla di fronte all'eccezionalità della necessità. Perchè ogni situazione che siamo chiamati a vivere è eccezionale e necessita un amore smisurato, che, come il Nilo, tracimi dal letto abituale, quello dell'ordinaria amministrazione dei compromessi ipocriti e impauriti, per fecondare e donare la vita. Il peccato ha ferito la storia, per viverla da figli di Dio è necessario un amore che lo abbia vinto. Occorre un amore senza misura per custodire la castità nel fidanzamento, che superi la passione e il sentimento, per rispettare e custodire l'altro nella purezza di un figlio di Dio, attendendo con pazienza di vedere confermata la volontà di Dio nel matrimonio; è necessario un amore che trascenda ogni calcolo per aprirsi alla vita e vivere la sessualità coniugale abbandonati alla volontà di Dio; un amore più forte della vanità femminile e le nevrosi sulla linea del corpo, delle angosce per la precarietà economica, un amore che abbracci la vita consegnandola al suo Autore, affidandola a Colui che la rende eterna, superando i confini della carne; occorre un amore infinito per donarlo ai nemici che ci fanno mobbing sul lavoro, che ci imbrogliano al condomino, che sparlano di noi tra gli amici.

Il Vangelo di oggi ci chiama ad abbandonare ogni tentazione di misurare l'amore di Dio, a convertirci, a tornare nella casa del Padre per vivere delle sue cose, il suo "tutto" che è anche il nostro, attingendo senza timore alla fonte inesauribile del suo amore. Il Signore ci chiama a stringerci a Lui, che non ha contato i nostri peccati, e che, senza misura, ci ha amato di un amore incorruttibile. Gesù ci guarda oggi e ci chiede il nulla che abbiamo per trasformarlo in un folle e smisurato amore; il 
"Manikos eros", come diceva Casabilas, capace di eccedere e condurci in una vita nuova, quella dei figli, somiglianti al Padre, allevati nella sua misericordia per essere pura misericordia per ogni nostro prossimo. Chi vive nascosto nel seno del Padre e si nutre, istante dopo istante, del suo perdono, chi sperimenta, quotidianamente, il suo amore incalcolabile, ha smarrito il giudizio, il suo cuore è ormai intento a succhiare il latte della misericordia e non può preoccuparsi di condannare e pensar male degli altri; la sua vita scorre come quella di un bambino nel seno di sua madre (misericordia traduce il greco oiktirmon che a sua volta traduce l'ebraico rahamin, che indica il ventre, l'utero), immerso nel liquido amiotico senza il quale non si può essere gestati alla vita celeste, perché la misericordia di Dio è l'acqua della vita. I suoi occhi sono intrisi nello sguardo del Signore, non sanno guardare nessuno se non attraverso gli occhi di Dio. E non può amare che con il cuore di Dio, senza timore, perchè il proprio cuore è già nel Cielo e nessuno potrà mai trafugare ciò che non si si può misurare e non si esaurisce. Un amore donato nella carne delle proprie ore, spese gratuitamente, senza difendere nulla, senza invidia e gelosia perchè Dio è lo stesso e ama tutti con lo stesso cuore. Israele conosceva l'attenzione al forestiero perchè ne aveva fatta l'amara esperienza in Egitto e aveva visto e assaporato la vittoria del braccio di Yahwè disteso a liberarlo. Così l'uomo creato per amare e perdonare, straniero in una terra d'odio e rancore, liberato gratuitamente dalla tirannide dell'oppressore, conoscerà per esperienza l'angustia di chi è ancora straniero in una terra non sua, lontano dal Paradiso promesso. Saprà perdonare chi non sa perdonare. Non si tratta di sforzarsi di non giudicare, di non condannare, di allargare la misura del proprio cuore. E' opera impossibile all'uomo. Si tratta, invece, di conoscersi, di avere chiaro l'abisso del proprio cuore, e in esso incontrare l'infinita misericordia del Padre. Chi vive ai piedi dell'amore è trasformato a poco a poco in amore misericordioso, capace di giustificare, senza misura. Dal suo grembo, dalle sue viscere, nascerà solo misericordia, in misura traboccante, incalcolabile, la stessa nella quale è rinato, gratuitamente.




APPROFONDIMENTI




αποφθεγμα Apoftegma

Un Cristianesimo di carità senza verità 
può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, 
utili per la convivenza sociale, ma marginali. 
In questo modo non ci sarebbe più 
un vero e proprio posto per Dio nel mondo.  
La carità eccede la giustizia, perché amare è donare
offrire del “mio” all'altro; 
la carità supera la giustizia e la completa nella logica del dono e del perdono. 


Benedetto XVI, Caritas in veritate

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