Martedì della V settimana del Tempo di Quaresima. Commento completo e approfondimenti






Spesso e senza rendercene conto guardiamo a Cristo come ad un suicida. Di fronte al suo atteggiamento ne restiamo talmente sconvolti da ritenere che la sua morte in croce volontariamente accettata sia stata un vero e proprio suicidio. Forse non elaboriamo il concetto in maniera così cruda, ma, analizzandoci di fronte alle nostre croci, scopriamo che è esattamente quello che pensiamo. Si tratta della scelta imposta da Pilato alla folla tumultuante: "Volete che vi liberi Gesù o Barabba?". La giustizia umana fondata sulla violenza o l'agnello di Dio che si carica di ogni ingiustizia? Per noi la via intrapresa dal Servo di Yawhè, l'agnello muto che non apre bocca e si lascia umiliare sino ad offrire la propria vita è puro suicidio. "Il Dio in croce è una maledizione scagliata sulla vita, un dito levato a comandare di liberarsene" (F. Nietzsche, La volontà di potenza). Non siamo lontani dal filosofo, quando ci chiudiamo in un rancore sordo e lottiamo contro l'ingiustizia; quando la storia frappone ostacoli e trappole al compimento dei nostri desideri e alla realizzazione dei nostri progetti guardiamo al crocifisso come ad una maledizione e sentiamo, irrefrenabile, l'impulso a liberarci dalla sofferenza. Scegliamo Barabba e ci incamminiamo sul sentiero opposto a quello della Croce. Apparteniamo al mondo e non vi è in noi la vita celeste.

Per questo il Signore dice ai Farisei e a ciascuno di noi che non possiamo andare dove egli va. Non possiamo seguirlo sulla via della Croce, l'assurdo ci spaventa, il dolore ci annichilisce. Anche se frequentiamo la Chiesa e ascoltiamo assiduamente la Parola di Dio e ci accostiamo ai sacramenti, la nostra esistenza sembra basarsi sulle tragiche parole riportate nel libro della Sapienza: "La nostra vita è breve e triste; non c'è rimedio, quando l'uomo muore, e non si conosce nessuno che liberi dagli inferi. Siamo nati per caso e dopo saremo come se non fossimo stati" (Sap. 2, 1-2). Dietro al rifiuto della Croce vi è sempre l'incredulità cinica di chi non ha conosciuto Colui che libera dagli inferi. La tomba fa paura, è il luogo della fine. "Non c'è rimedio" e il "caso" governa la storia, dopo la morte "saremo come se non fossimo stati". Se la lapide decreta la fine dovremo lottare con tutte le forze per allontanare la morte il più possibile. Per questo non possiamo accettare un figlio che uccida i nostri progetti su di lui. Non possiamo accettare che la moglie o il marito entrino in crisi e distruggano affetto e dolcezza, l'immagine di matrimonio che abbiamo coltivato e per la quale abbiamo lottato illudendoci fosse amore. Non possiamo accettare la suocera che ci guarda di traverso obbligandoci sempre sulla difensiva. Non possiamo accettare un lavoro che ci umilia, l'ingiustizia di un collega che frustra le nostre iniziative. Non possiamo accettare una malattia che sconvolga i ritmi e inchiodi la vita alla precarietà.

Non possiamo seguire il Signore prendendo ogni giorno la nostra Croce e rinnegando noi stessi. Non possiamo perchè non crediamo. Ma l'esito della nostra fuga è il precipitare in un baratro sempre più oscuro. La vendetta non ci consola, il farci giustizia non ci placa, accaparrare tutto per non sentire i rantoli della morte incipiente non ci sazia, offrire ogni cosa alla nostra carne non ci colma di vita. Moriamo nei nostri peccati. La moglie si fa sempre più lontana sino a separarsi da noi, il figlio si dilegua nei suoi errori, il lavoro si trasforma in un inferno sempre più duro, la malattia non regredisce ma sottrae anche le ultime forze. Abbiamo lottato e ci ritroviamo morti più di prima. Scopriamo così che i veri suicidi siamo noi, che vivere la vita come una perenne lotta contro l'ingiustizia è un togliersi la vita a poco a poco. Sperimentiamo amaramente, come il figliol prodigo, e come Adamo ed Eva prima di lui, che fuggire dalla croce per alienarci con interessi e ideali, divertimenti e vizi, significa suicidarsi ogni giorno di più. Scappare dalla Croce si traduce sempre, inevitabilmente, nel peccare.

Moriamo nei nostri peccati perché è rimasta senza risposta la domanda cruciale: "Tu chi sei?". Solo chi ha conosciuto davvero il Signore non pecca, vive una vita santa crocifissa con Lui. Solo chi, dal buio della tomba, come Lazzaro, ha ascoltato la sua voce capace di dare la vita ai morti, e ha fatto l'esprienza di uscirne risuscitato, può credere e appoggiarsi a Lui per entrare ogni giorno nella sofferenza. Lui è Colui che Egli stesso ha detto di se stesso, il Figlio di Dio che compie l'opera del Padre, la misericordia nascosta nella sua carne che scandalizza per la debolezza. Lui è il Figlio che rinnega la propria volontà per obbedire alla volontà di suo Padre; Lui fa ciò che gli è gradito, amare sino alla fine. "Se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati". Solo chi crede che Lui è Dio, che è l'essere che vince la morte ed il peccato, può passare dalla morte alla vita; possiamo crederlo oggi, contemplando la Croce su cui è innalzato per la nostra salvezza. Crederlo fissando la nostra storia crocifissa ed accogliere la sua parola che ci attira nella sua comunione di vita e misericordia.

Ma anche oggi si rinnova per noi il prodigio; i peccati nei quali siamo morti, quelli che si ripetono giorno dopo giorno, come gocce che scendono da un rubinetto mal chiuso, proprio questi peccati innalzano per noi Cristo davanti ai nostri occhi . E' questo l'assurdo che può trasformare la nostra vita, il peccato stesso, nell'amore sconvolgente di Dio, diventa lo strumento perché appaia davanti a noi la sua misericordia. I nostri fallimenti, le nostre paure, la Croce che abbiamo preparato per Lui sono oggi il modo folle attraverso il quale Dio ci viene incontro perché possiamo credere. Morti nei peccati, nei peccati possiamo incontrare la vita.

Dio Crocifisso, la maledizione lanciata contro la vita, "Io sono" consegnato al patibolo e al sepolcro: è questa e nessun'altra la nostra salvezza, la porta sulla pienezza e la gioia. E' l'unico segno, l'opera di Dio, la Sua volontà compiuta: l'amore senza limiti, Lui consegnato a noi senza riserve. Lì, sulla Croce, la Sua che è la nostra. La Sua carne crocifissa in una carne sola con la nostra, ferita, moribonda, distrutta. Lui innalzato al centro della nostra vita, quella di oggi, è il Suo Golgota. La nostra storia, tutta, diventa così il centro della Storia, dove il Suo cuore squarciato ha effuso sangue ed acqua a guarire le nostre ferite. Proprio dove più dura è la sofferenza e più forte è il desiderio di sfuggirla, sperimentare che Lui è, che Lui è Dio, che la sua vita ed il suo amore sono più forti di ogni dolore, di ogni peccato, di ogni morte. La Sua Vita ora a distruggere la nostra morte. Amati, amati, amati. Una porta stretta, la nostra croce. La Via, la Verità, la Vita. Lui, crocifisso per noi. E noi crocifissi con Lui. La Sua Croce ad aprirci il cammino per andare dove Lui ci ha preparato un posto. La nostra vita, assunta nella fede nel suo amore, è il cammino al cielo. Lui torna anche oggi a prenderci e a portarci con Lui. Tutto ciò che in noi non è Lui e appartiene alla terra, tutto quello che ci separa da Lui, è ormai crocifisso nei suoi chiodi e distrutto. E, finalmente liberi, abbandonati al Suo amore possiamo entrare, oggi, con Lui nel Regno di pace, di gioia e di amore. Con Lui scoprire di non essere mai soli, anche nel buio della sofferenza, godere della letizia di chi fa sempre quello che è gradito al Padre.


APPROFONDIMENTI




Sant'Atanasio (295-373), vescovo d'Alessandria, dottore della Chiesa
Discorso sull'incarnazione del Verbo, 21-22

« Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono »

Qualcuno potrebbe domandare : se era necessario che Cristo abbandonasse il suo corpo alla morte per il bene di tutti, perché non l'ha abbandonato semplicemente come qualsiasi uomo, ma si è lasciato crocifiggere ? Era più conveniente per lui deporre il suo corpo dignitosamente, piuttosto che subire una morte ignominiosa. Ma costui si domandi se la sua obiezione non sia troppo umana. Quello che ha fatto il Salvatore è veramente divino e degno della sua divinità per più ragioni.
Anzitutto la morte per cui muoiono gli uomini accade per la debolezza della loro natura : non possono durare a lungo e col tempo deperiscono, si ammalano, perdono le forze e muoiono. Ma il Signore non è debole, è la potenza di Dio, il Verbo di Dio : è la stessa vita. Se avesse deposto il suo corpo in forma privata, su di un letto, al modo comune degli uomini, si sarebbe pensato... che egli non aveva nulla di più degli altri uomini... E poi non sarebbe stato conveniente che soccombesse a una malattia, lui che guariva le malattie degli altri...
Perché allora non ha evitato la morte come ha evitato le malattie ? Egli possedeva un corpo appunto per poter morire, e non conveniva che si sottraesse alla morte impedendo così la risurrezione... Qualcuno dirà : Egli avrebbe dovuto schivare il complotto dei suoi nemici, per conservare il suo corpo del tutto immortale. Costui impari dunque che neppure questo conveniva al Signore. Come non era degno del Verbo di Dio, che è la vita, mettere a morte il suo corpo per sua iniziativa, così non era conveniente che egli sfuggisse la morte che gli veniva dagli altri... Tale atteggiamento non mostrava affatto la debolezza del Verbo, ma lo faceva conoscere come Salvatore e Vita... Il Salvatore non veniva a consumare la propria morte, ma quella degli uomini.


Sant'Agostino (354-430), vescovo d'Ippona (Africa del Nord) e dottore della Chiesa
Commento al vangelo di Giovanni, 12, 11

« Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono »

Cristo prese sopra di sé la morte, e la inchiodò alla croce, e così i mortali vengono liberati dalla morte. Il Signore ricorda ciò che in figura avvenne presso gli antichi: « E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così deve essere innalzato il Figlio dell'uomo, affinché ognuno che crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna » (Gv 3, 14-15). Gesù allude ad un famoso fatto misterioso, ben noto a quanti hanno letto la Bibbia... Il Signore, infatti, ordinò a Mosè di fare un serpente di bronzo, e di innalzarlo su un legno nel deserto, per richiamare l'attenzione del popolo d'Israele, affinché chiunque fosse morsicato, volgesse lo sguardo verso quel serpente innalzato sul legno. Così avvenne; e tutti quelli che venivano morsicati, guardavano ed erano guariti (Nm 21, 6-9).
Che cosa sono i serpenti che morsicano? Sono i peccati che provengono dalla carne mortale. E il serpente innalzato? la morte del Signore in croce. E' stata raffigurata nel serpente, appunto perché la morte proveniva dal serpente (Gen 3). Il morso del serpente è letale, la morte del Signore è vitale. Si volge lo sguardo al serpente per immunizzarsi contro il serpente. Che significa ciò? Che si volge lo sguardo alla morte per debellare la morte. Ma alla morte di chi si volge lo sguardo? alla morte della vita, se così si può dire. E poiché si può dire, è meraviglioso dirlo. Esiterò a dire ciò che il Signore si degnò di fare per me? Forse che Cristo non è la vita? Tuttavia Cristo è stato crocifisso. Cristo non è forse la vita? E tuttavia Cristo è morto. Ma nella morte di Cristo morì la morte... ; la pienezza della vita inghiottì la morte. La morte fu assorbita nel corpo di Cristo. Così diremo anche noi quando risorgeremo, quando ormai trionfanti canteremo: « O morte, dov'è la tua vittoria? O morte, dov'è il tuo pungiglione? » (1 Cor 15, 55).



αποφθεγμα Apoftegma





“L’innalzare” mediante la Croce
costituisce in un certo qual senso la chiave 
per conoscere tutta la verità, che Cristo proclamava.
La Croce è la soglia, attraverso la quale
sarà concesso all’uomo di avvicinarsi 
a questa realtà che Cristo rivela.
Giovanni Paolo II



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