Cristo, l'unico cibo che non perisce
Ecco un altro lunedì e ci accade come alla "folla" che aveva appena goduto della moltiplicazione dei pani e di Gesù: "abbiamo mangiato, ci siamo saziati" e ci è sembrato il Paradiso! E sì che lo era, lì, seduti finalmente, riposando da tanti inutili sforzi. Qualcuno ci aveva sfamato, di più, "saziato", ma ora sentiamo che anche quella sovrabbondanza non ci basta, tremiamo al pensiero della settimana che ci attende, le relazioni, gli impegni, la famiglia, il lavoro, la salute. Ma come è possibile digerire così in fretta i miracoli di Gesù? Sembra che non siano neanche passati al nostro cuore e alla nostra mente nutrendoli almeno per qualche giorno di autonomia...
E' possibile eccome, perché nel profondo siamo avidi e avari insaziabili, che, per San Paolo, è sinonimo di idolatria. Abbiamo fatto immediatamente un idolo di "quei pani" e di Colui che ce li aveva dati. E' successo che "non abbiamo seguito il Signore perché abbiamo visto i segni" ma per riempire la pancia, e siamo rimasti schiacciati nella folla anonima, confusi nei pensieri e nei desideri mondani, perdendo la nostra identità.
Sì, anche i doni di Dio possono corrompersi e corromperci; è Gesù che lo dice, riferendosi ai "pani" che Lui stesso aveva moltiplicato e distribuito. I segni non sono il senso della nostra vita, indicano il cammino per scoprirlo e accoglierlo. Fare del matrimonio, dei figli, dell'essere prete, della missione, degli amici, del fidanzato, dello studio, del lavoro, il fine e il centro della nostra vita, significa strumentalizzare e pervertire le opere di Dio. Significa idolatrare un segno a scapito del significato.
Infatti, come la "folla", anche noi chiediamo sempre "quando" e mai "perché?". Non ci interessa capire ma sapere, perché viviamo come in un immenso gossip, fermandoci sulla foto, la chiacchiera bisbigliata, il post sul "social". Approfondire, mai. Invece di chiedere "quando" per curiosità, avrebbero dovuto chiedere: "Signore perché te ne sei andato? Sapevi che avremmo avuto di nuovo fame, per caso ci stai dicendo qualcosa?". Gesù, infatti, non si ferma mai dopo un miracolo, ma parte, si nasconde perché non lo ""facciano re, sfugge all'idolatria, va in un altra città, perché tutta la sua vita è una profezia del cammino di ogni cristiano. I suoi gesti annunciano il più in là dove ci chiama a seguirlo. Anche la moltiplicazione dei pani e dei pesci, pur saziando la fame di quel momento, era un tiro di fionda puntato sul Cielo.
I "segni" che Dio depone nella nostra vita sono il suo profumo sparso per indicarci la via da seguire, un assaggio del banchetto che ci ha preparato. Ma, insipienti e stolti come siamo, vorremmo fermarci agli aperitivi e agli antipasti; ingordi ci abbuffiamo di tartine e non abbiamo più spazio per i primi, i secondi, i dessert. Ci fermiamo sulla soglia del Cielo confondendolo con qualche millimetro di terra. I miracoli con cui il Signore moltiplica la nostra vita sono solo la porta a qualcosa di infinitamente più grande che è l'incontro decisivo con Cristo. E' Lui il cibo che non perisce, è Lui il nostro desiderio più profondo. E' Lui la "via" alla "verità" che genera in noi la "vita".
Per questo oggi ci invita a "procurarci il cibo che non si corrompe". Ma se non è il miracolo che fa presente il suo potere soprannaturale, qual'è questo cibo incorruttibile? E' Lui, il pane che sazia la vita di ogni uomo. E come posso "procurarmelo"? Cercando Gesù con un cuore purificato. Accettando che Lui non è dove io credo debba stare, e quindi accettando di camminare dietro a Lui, uscendo ogni istante da me stesso, per trovarlo nella Pasqua, nel passaggio che strappa la nostra vita alla corruzione; in un cammino di ogni giorno sulle strade della conversione verso una fede adulta.
Per questo, come ha fatto con i discepoli lasciandoli entrare da soli nella notte e delle difficoltà, non si lascia afferrare dal nostro cuore idolatrico, e, lasciandoci sempre di nuovo affamati del cibo che sazia il ventre, ci obbliga a scoprire che la nostra fame autentica è quella di essere in Lui come Lui, l'ardente bisogno di donarsi e non di offrire a noi stessi la vita, le persone e le cose.
Lui va oltre per introdurci nell'al di là che ci attende nella storia e nelle persone, nel compimento vero della nostra vita, che è trascenderci, donarci a chi ci è accanto uscendo da noi stessi. Di questo sono stati "segno" i pani che ci ha donato moltiplicati. Noi trasformati in pane che sazia, nello stesso alimento incorruttibile di cui ci nutriamo, Cristo, e del suo amore più forte della morte e della paura. Amare come siamo amati è l'unico cibo capace di sfamarci e realizzarci. Come Lui e con Lui sempre più in là, a Cafarnao, e poi ovunque e per chiunque abbia fame di Lui.
Il "cibo che non perisce", dunque, è quello che reca il sigillo del Padre, la denominazione di origine controllata e garantita di un'opera destinata all'eternità. Il suo amore, che offre se stesso in tutto e nulla offre a se stesso. Il "cibo che non perisce" è lo stesso alimento di Cristo, fare la volontà di Colui che lo ha inviato e compiere la sua opera: offrire la propria vita, passare attraverso la grande tribolazione della Croce, perché anche al nemico siano spalancate le porte del Cielo. Sulla volontà di Dio, infatti, non c'è data di scadenza, punta diritta alla vita eterna.
Siamo dunque chiamati a rispettare la dignità e l'unicità di tutti, la libertà e la santità di cui sono "segno"; a saper fermarsi e lasciare che gli altri "si ritirino", sfuggano alla nostra concupiscenza, impedendoci di "farli re" della nostra vita, che poi è un modo per appropriarci degli altri, ingannati da pseudo-sentimenti che sono solo egoismo infantile con conseguenze devastanti, tra sessualità perversa e degradante, gelosie, compromessi.
Ma attenzione, nelle parole di Gesù non vi è traccia di moralismo, non esigono alcuno sforzo, anzi. Continua a dirci di aprirgli il nostro cuore e "sederci" a mensa nella comunità cristiana, lasciando che sia Lui a servirci, giorno per giorno, istante per istante, attraverso i suoi apostoli; solo così potremo accogliere il dono della sua carne e del suo sangue perché sia Lui a vivere in noi e non più il nostro uomo vecchio che si "corrompe" dietro alle passioni ingannatrici.
Coraggio allora, perché il Signore vuole "donarci" questo cibo, una vita libera, autentica, bella, santa, che non subisce corruzione, pur crocifissa nella precarietà e nel dolore. Donandoci Egli stesso come alimento, Gesù ci consegna, compiuta, la vita celeste, capace di consegnarsi con Lui nel Getsemani. E' questo il luogo, il "dove" è possibile incontrarlo, la soglia che si schiude ogni giorno per passare alla Croce, alla morte e alla resurrezione; il Getsemani dove "vedere i segni" della volontà di Dio incastonati negli eventi e nelle persone; solo su di essa, infatti, scende lo Spirito Santo, il "sigillo di Dio", il soffio di vita eterna che rivela il "marchio di fabbrica", sulle "opere" fatte in Cristo.
Per questo, dopo esserci consegnati al Padre in Cristo, ogni pensiero, parola, gesto e sofferenza offerti per amore sono immediatamente trascritti in Cielo: il "cibo che non si corrompe" è dunque ogni aspetto della nostra vita crocifissa in Cristo, destinata a risplendere per l'eternità. Anche le cose ripetute, anche quelle alla carne insignificanti e dolorose divengono il "segno" dell'incorruttibile che ha assorbito il corruttibile, perché può donare se stesso solo chi non teme di esaurire le scorte, solo chi ha vita sovrabbondante dentro.
Allora stirare quella camicia è un cibo incorruttibile! In Cielo vedrai segnato con caratteri indelebili quell'istante agli occhi della carne così banale: quando prendi il ferro e hai messo la camicia sul tavolo da stiro. Ecco "quando" Cristo è passato a Cafarnao! Nell'istante in cui si è offerto per ogni uomo. Ecco questa settimana che ci attende, e quelle che verranno; ecco i milioni di "quando" che ci aspettano per andare, in segreto, a Cafarnao, attirando dietro a noi una folla disorientata e ancora schiacciata sulla carne.
Stira le camice allora, studia quella materia insopportabile, sbriga quella pratica frustrante, accetta la solitudine e i limiti della vecchiaia, abbraccia i dolori della malattia, sono il "cibo che non perisce" perché proprio su questi fatti, sulle relazioni difficili, su questa settimana che ti aspetta sicuramente segnata dalla Croce, il Padre ha messo il "sigillo" del suo Spirito, il soffio del suo respiro eterno, la vita che non muore. Perché proprio lì, c'è Cristo che ti ha preceduto alla tua Cafarnao di oggi e di domani, sino all'ultima preparata per te in Cielo.
Non si tratta dunque di "dover fare" qualcosa di straordinario "per compiere chissà quali opere", perché l'unica "opera di Dio" è la fede, cioè accogliere in noi "l'opera" divina che strappa alla corruzione le nostre relazioni e attività di ogni giorno; "appoggiarci" cioè a Cristo, per seguirlo a Cafarnao, dove compiere con Lui la volontà del Padre. Abbandonare la nostra vita all'amore di Dio rivelato in Cristo Gesù, consegnandoci così come siamo a Lui che si consegna a noi, perché l'unica vita che non perisce è proprio quella perduta per amore.
L'ANNUNCIO |
(Dal Vangelo secondo Giovanni 6, 22-29)
E' lunedì, inizia una settimana fitta di impegni e difficoltà, e già immaginiamo le sofferenze che ci attendono. Martedì sera riunione di condomino, mercoledì la verifica di latino, oddio il consiglio d'amministrazione, mamma alla riabilitazione, il giovedì poi, non parlarne neanche: i piccoli a scuola, poi di corsa al lavoro, neanche un panino e via a riprendere i piccoli e portarli al catechismo, nel frattempo un po' di spesa perché poi vengono i parenti di mio marito a cena e guai a non far bella figura, venerdì di passione dal commercialista, e sabato, beh il sabato è sempre una battaglia campale. Oppure ci aspetta una settimana identica alle altre, vuota di solitudine e ricordi, o distesa sul letto d'ospedale.
Insomma, un altro lunedì e ci accade come alla "folla" che aveva appena goduto della moltiplicazione dei pani e di Gesù: "abbiamo mangiato, ci siamo saziati" e ci è sembrato il Paradiso! E sì che lo era, lì, seduti finalmente, riposando da tanti inutili sforzi. Qualcuno ci aveva sfamato, di più, "saziato", ma ora sentiamo che anche quella sovrabbondanza non ci basta, tremiamo al pensiero della settimana che ci attende, le relazioni, gli impegni, la famiglia, il lavoro, la salute. Ma come è possibile digerire così in fretta i miracoli di Gesù? Sembra che non siano neanche passati al nostro cuore e alla nostra mente nutrendoli almeno per qualche giorno di autonomia...
E' possibile eccome, perché nel profondo siamo avidi e avari insaziabili, che, per San Paolo, è sinonimo di idolatria. Abbiamo fatto immediatamente un idolo di "quei pani" e di Colui che ce li aveva dati. E' successo che "non abbiamo seguito il Signore perché abbiamo visto i segni" ma per riempire la pancia, e siamo rimasti schiacciati nella folla anonima, confusi nei pensieri e nei desideri mondani, perdendo la nostra identità.
Sì, anche i doni di Dio possono corrompersi e corromperci; è Gesù che lo dice, riferendosi ai "pani" che Lui stesso aveva moltiplicato e distribuito. I segni non sono il senso della nostra vita, indicano il cammino per scoprirlo e accoglierlo. Fare del matrimonio, dei figli, dell'essere prete, della missione, degli amici, del fidanzato, dello studio, del lavoro, il fine e il centro della nostra vita, significa strumentalizzare e pervertire le opere di Dio. Significa idolatrare un segno a scapito del significato.
Ammettiamolo, anche se adulti o anziani, siamo degli eterni capricciosi, stringiamo tra le mani il giocattolo nuovo che ci hanno regalato e guai a chi ce lo vuol togliere. Salvo, dopo qualche ora, stufarci e cercarne un altro che soddisfi i nostri nuovi bisogni. Proviamo ad analizzare i nostri rapporti, chiusi, assoluti, segnati dall'esigenza. Spesso sono "corrotti" e ci lasciano in eredità un'insoddisfazione inguaribile, e nostalgia perché ci muoiono tra le mani. Vorremmo sempre di più, dal fidanzato che assediamo con migliaia di messaggini; dalla moglie che non è mai come vorremmo; dagli amici che dovrebbero dare sempre prova di una fedeltà incondizionata; ci aggrappiamo alle persone che Dio ci ha donato come a una fonte incontrata nel deserto. E, stoltamente, non ci rendiamo conto che sono "fontane screpolate", incapaci di saziare l'autentico bisogno del nostro cuore.
Le cose belle e sante che ci sono donate si imputridiscono tra le mani, e scopriamo che quello che sino ad oggi sembrava averci saziati non ha più nulla da darci, non ci consola, non ci rende felici, anzi, è fonte di insoddisfazione, frustrazione, tristezza, perché non si è innescata in noi una relazione personale con Gesù; è stato bello ieri all'eucarestia, è stata bella la Pasqua, ma come quando si va a una partita e si gioisce per la vittoria della propria squadra, la folla di qua, sugli spalti, e i giocatori di là, sul campo. E poi tutti a dire "abbiamo vinto!". Ma, in fondo, nessuna relazione personale tra giocatori e pubblico, capace di cambiare davvero la vita. Cambia il rapporto con il tuo collega perché ha vinto la tua squadra? La prossima domenica un'altra giornata, loro in campo e noi in tribuna...
E' come accade sempre nei cosiddetti fenomeni di massa, e il cristianesimo mai riguarda le masse; anche se il Papa convoca e rispondono milioni di persone, al centro c'è sempre un rapporto personale con Cristo che si dilata nella comunione tra i fratelli. "Altre barche erano giunte nel frattempo da Tiberìade, presso il luogo dove avevano mangiato il pane dopo che il Signore aveva reso grazie": avendo saputo che c'era uno che fa i miracoli, si muove il fiume di gente, senza testa né cuore, spinto dalla carne che esige di saziarsi ancora, sempre di più; e "cerca" quell'uomo che nessuno ha visto andar via coi suoi discepoli, perché Lui resta sempre un enigma per chi non si è lasciato afferrare sino ad appartenergli.
Come noi, che chiediamo sempre "quando" e mai "perché?". A noi non interessa capire ma sapere, perché viviamo come in un immenso gossip, fermandoci sulla foto, la chiacchiera bisbigliata, il post sul "social". Approfondire, mai. Invece di chiedere "quando" per curiosità, avrebbero dovuto chiedere: "Signore perché te ne sei andato? Sapevi che avremmo avuto di nuovo fame, per caso ci stai dicendo qualcosa?". Gesù, infatti, non si ferma mai dopo un miracolo, ma parte, si nasconde perché non lo ""facciano re, sfugge all'idolatria, va in un altra città, perché tutta la sua vita è una profezia del cammino di ogni cristiano. I suoi gesti annunciano il più in là dove ci chiama a seguirlo. Anche la moltiplicazione dei pani e dei pesci, pur saziando la fame di quel momento, era un tiro di fionda puntato sul Cielo.
Se, come la "folla", non lo abbiamo visto significa che lo cerchiamo e ne seguiamo le tracce solo perché compia i nostri desideri e realizzi la nostra volontà. Ma Gesù è sempre un passo più in là, sfugge alla nostra vista come ai discepoli di Emmaus, come l'Amato del Cantico dei Cantici, per spingerci sul cammino dell'autenticità. I suoi doni, infatti, non sono altro che il suo biglietto da visita con su scritto l'invito a un appuntamento con Lui senza però né data né luogo. Ricordate la chiamata di Abramo: "Abramo, esci dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò". E Abramo obbedisce, e sbaglierà, e interpreterà male i "segni", ma sempre perché cercava in essi la volontà di Dio. Anche Lui avrebbe dovuto offrire il figlio frutto del miracolo alla prova della purificazione, ma perché fosse fortificata la fede che lo aveva fatto sperare contro ogni speranza.
Così anche per noi, i "segni" che Dio depone nella nostra vita sono il suo profumo sparso per indicarci la via da seguire, un assaggio del banchetto che ci ha preparato. Ma, insipienti e stolti come siamo, vorremmo fermarci agli aperitivi e agli antipasti; ingordi ci abbuffiamo di tartine e non abbiamo più spazio per i primi, i secondi, i dessert. Ci fermiamo sulla soglia del Cielo confondendolo con qualche millimetro di terra. I miracoli con cui il Signore moltiplica la nostra vita sono solo la porta a qualcosa di infinitamente più grande che è l'incontro decisivo con Cristo. E' Lui il cibo che non perisce, è Lui il nostro desiderio più profondo. E' Lui la "via" alla "verità" che genera in noi la "vita".
Così anche per noi, i "segni" che Dio depone nella nostra vita sono il suo profumo sparso per indicarci la via da seguire, un assaggio del banchetto che ci ha preparato. Ma, insipienti e stolti come siamo, vorremmo fermarci agli aperitivi e agli antipasti; ingordi ci abbuffiamo di tartine e non abbiamo più spazio per i primi, i secondi, i dessert. Ci fermiamo sulla soglia del Cielo confondendolo con qualche millimetro di terra. I miracoli con cui il Signore moltiplica la nostra vita sono solo la porta a qualcosa di infinitamente più grande che è l'incontro decisivo con Cristo. E' Lui il cibo che non perisce, è Lui il nostro desiderio più profondo. E' Lui la "via" alla "verità" che genera in noi la "vita".
Comprendiamo allora che "cercare" Gesù per saziarsi di un cibo che si corrompe è la sventura più grande. Come non accorgersi di aver ricevuto un buono per acquistare senza limiti di spesa in un grande magazzino e comprare solo un chilo di pasta. Gesù è molto più di quanto immaginiamo. Gesù è molto più anche di quanto speriamo. Le sue parole di oggi sono molto serie, proteggono da ogni possibile idolatria gli stessi miracoli che Lui compie nella nostra vita; proteggono anche Lui dal diventare un idolo.
Per questo oggi ci invita a "procurarci il cibo che non si corrompe". Ma se non è il miracolo che fa presente il suo potere soprannaturale, qual'è questo cibo incorruttibile? E' Lui, il pane che sazia la vita di ogni uomo. E come posso "procurarmelo"? Cercando Gesù con un cuore purificato. Accettando che Lui non è dove io credo debba stare, e quindi accettando di camminare dietro a Lui, uscendo ogni istante da me stesso, per trovarlo nella Pasqua, nel passaggio che strappa la nostra vita alla corruzione; in un cammino di ogni giorno sulle strade della conversione verso una fede adulta. Gesù, infatti, non si lascia afferrare dalla carne perché si dona sui passi della storia, non nella corruzione dell'installazione e della soddisfazione degli appetiti.
Per questo, come ha fatto con i discepoli lasciandoli entrare da soli nella notte e delle difficoltà, non si lascia afferrare dal nostro cuore idolatrico, e, lasciandoci sempre di nuovo affamati del cibo che sazia il ventre, ci obbliga a scoprire che la nostra fame autentica è quella di essere in Lui come Lui, l'ardente bisogno di donarsi e non di offrire a noi stessi la vita, le persone e le cose.
Lui va oltre per introdurci nell'al di là che ci attende nella storia e nelle persone, nel compimento vero della nostra vita, che è trascenderci, donarci a chi ci è accanto uscendo da noi stessi. Di questo sono stati "segno" i pani che ci ha donato moltiplicati. Noi trasformati in pane che sazia, nello stesso alimento incorruttibile di cui ci nutriamo, Cristo, e del suo amore più forte della morte e della paura. Amare come siamo amati è l'unico cibo capace di sfamarci e realizzarci. Come Lui e con Lui sempre più in là, a Cafarnao, e poi ovunque e per chiunque abbia fame di Lui.
Il "cibo che non perisce", dunque, è quello che reca il sigillo del Padre, la denominazione di origine controllata e garantita di un'opera destinata all'eternità. Il suo amore, che offre se stesso in tutto e nulla offre a se stesso. Il "cibo che non perisce" è lo stesso alimento di Cristo, fare la volontà di Colui che lo ha inviato e compiere la sua opera: offrire la propria vita, passare attraverso la grande tribolazione della Croce, perché anche al nemico siano spalancate le porte del Cielo. Sulla volontà di Dio, infatti, non c'è data di scadenza, punta diritta alla vita eterna.
Il "cibo che non perisce" è un amore casto che guarda all'altro come a un santuario dove dimora Cristo vivo; è una relazione fondata sul pudore, che non attenta all'intimità inviolabile dell'altro, che non esige di sapere tutto, di scoprire i segreti, che non brama di spogliare e spogliarsi per usare e farsi usare saziando appetiti che corrompono e gettano nel disprezzo di se stessi e nella disperazione; è un amore paziente, mansueto, conscio della propria debolezza, che fugge ogni occasione di inciampo nell'egoismo e nell'istinto sempre accovacciato alla porta del cuore; è un amore che ha crocifisso le proprie voglie e concupiscenze perché guarda oltre la carne, e intercetta in ogni persona la luce dell'eterno volto del Padre. Il "cibo che non perisce" è il dono di Dio in Cristo.
Quando invece viviamo con avarizia, difendendo e bramando sempre di più dalle cose e dagli altri, sperimentiamo dolorosamente la vanità di ogni cosa, viviamo contro natura, e così nulla e nessuno ci sazia, e ci troviamo incapaci di affrontare la storia con responsabilità e maturità. Siamo invece chiamati a rispettare la dignità e l'unicità di tutti, la libertà e la santità di cui sono "segno"; saper fermarsi e lasciare che gli altri si ritirino impedendoci di "farli re" della nostra vita, che poi è un modo per appropriarci degli altri, ingannati da pseudo-sentimenti che sono solo egoismo infantile con conseguenze devastanti, tra sessualità perversa e degradante, gelosie, compromessi.
Ma attenzione, nelle parole di Gesù non vi è traccia di moralismo, non esigono alcuno sforzo, anzi. Continua a dirci di aprirgli il nostro cuore e "sederci" a mensa nella comunità cristiana, lasciando che sia Lui a servirci, giorno per giorno, istante per istante, attraverso i suoi apostoli; solo così potremo accogliere il dono della sua carne e del suo sangue perché sia Lui a vivere in noi e non più il nostro uomo vecchio che si "corrompe" dietro alle passioni ingannatrici.
Per questo, la catechesi di Gesù nella Sinagoga di Cafarnao che inizia con il brano di oggi, ci introduce nel mistero dell'Eucarestia, la carne eterna di Cristo che incontra, assume e divinizza la nostra carne mortale. L'incorruttibilità che accoglie ciò che è destinato a corrompersi, il Cielo che attira a sé la terra.
Coraggio allora, perché il Signore vuole "donarci" questo cibo, una vita libera, autentica, bella, santa, che non subisce corruzione, pur crocifissa nella precarietà e nel dolore. Donandoci Egli stesso come alimento, Gesù ci consegna, compiuta, la vita celeste, capace di consegnarsi con Lui nel Getsemani. E' questo il luogo, il "dove" è possibile incontrarlo, la soglia che si schiude ogni giorno per passare alla Croce, alla morte e alla resurrezione; il Getsemani dove "vedere i segni" della volontà di Dio incastonati negli eventi e nelle persone; solo su di essa, infatti, scende lo Spirito Santo, il "sigillo di Dio", il soffio di vita eterna che rivela il "marchio di fabbrica", sulle "opere" fatte in Cristo.
Per questo, dopo esserci consegnati al Padre in Cristo, ogni pensiero, parola, gesto e sofferenza offerti per amore sono immediatamente trascritti in Cielo: il "cibo che non si corrompe" è dunque ogni aspetto della nostra vita crocifissa in Cristo, destinata a risplendere per l'eternità. Anche le cose ripetute, anche quelle alla carne insignificanti e dolorose divengono il "segno" dell'incorruttibile che ha assorbito il corruttibile, perché può donare se stesso solo chi non teme di esaurire le scorte, solo chi ha vita sovrabbondante dentro.
Allora stirare quella camicia è un cibo incorruttibile! In Cielo vedrai segnato con caratteri indelebili quell'istante agli occhi della carne così banale: quando prendi il ferro e hai messo la camicia sul tavolo da stiro. Ecco "quando" Cristo è passato a Cafarnao! Nell'istante in cui si è offerto per ogni uomo. Ecco questa settimana che ci attende, e quelle che verranno; ecco i milioni di "quando" che ci aspettano per andare, in segreto, a Cafarnao, attirando dietro a noi una folla disorientata e ancora schiacciata sulla carne.
Stira le camice allora, studia quella materia insopportabile, sbriga quella pratica frustrante, accetta la solitudine e i limiti della vecchiaia, abbraccia i dolori della malattia, sono il "cibo che non perisce" perché proprio su questi fatti, sulle relazioni difficili, su questa settimana che ti aspetta sicuramente segnata dalla Croce, il Padre ha messo il "sigillo" del suo Spirito, il soffio del suo respiro eterno, la vita che non muore. Perché proprio lì, c'è Cristo che ti ha preceduto alla tua Cafarnao di oggi e di domani, sino all'ultima preparata per te in Cielo.
Coraggio fratelli, perché le parole del Vangelo di oggi in fondo ci dicono una cosa sola: che è felice e ama solo chi ha incontrato davvero Cristo e vive tutto in Lui, alla sua presenza, per Lui e con Lui. Come termina la Preghiera Eucaristica: "per Cristo, con Cristo e in Cristo, a te Dio Padre onnipotente, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli": tutto vissuto uniti sulla Croce con Cristo per innalzare con la nostra vita l'inno di lode e benedizione che risuonerà per l'eternità; iniziare cioè già qui, in mezzo alla corruzione del mondo che mormora, giudica e uccide perché senza speranza di un Cielo che non vede e non conosce, la lode a Dio che si canta in Cielo da sempre e per sempre.
Non si tratta dunque di "dover fare" qualcosa di straordinario "per compiere chissà quali opere", perché l'unica "opera" è la fede, cioè accogliere in noi "l'opera" divina che strappa alla corruzione le nostre relazioni e attività di ogni giorno; "appoggiarci" cioè a Cristo, per seguirlo a Cafarnao, dove compiere con Lui la volontà del Padre. Abbandonare la nostra vita all'amore di Dio rivelato in Cristo Gesù, consegnandoci così come siamo a Lui che si consegna a noi, perché l'unica vita che non perisce è proprio quella perduta per amore.
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