αποφθεγμα Apoftegma
Sarai una magnifica corona nella mano del Signore,
un diadema regale nella palma del tuo Dio.
Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata,
ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata,
perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo.
Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposeranno i tuoi figli;
come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te
Is 62,3-5
Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata,
ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata,
perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo.
Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposeranno i tuoi figli;
come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te
Is 62,3-5
Coraggio fratelli, oggi è il giorno delle nozze con il Signore! Che cosa? Il Venerdì Santo, il giorno della Passione di Gesù, della sua Croce, del dolore e del pentimento? E tu parli di nozze? Sì, sì, hai capito bene, oggi è il giorno delle tue nozze con il Signore, perché oggi lo Sposo viene nel suo Giardino per cercare e trovare la sua sposa, tu ed io. Il racconto della Passione tratto dal Vangelo di Giovanni che ascolteremo questa sera termina con queste parole: "Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un “giardino” e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto". Non si tratta di parole di poco conto, anzi. Forse sono le più importanti, di sicuro lo sono oggi per ciascuno di noi. A prima vista sembrano solo un'appendice dopo tanto strazio, una nota di cronaca per testimoniare che davvero Gesù è stato deposto in una tomba, la stessa dalla quale sarebbe risorto.
Tante volte abbiamo ascoltato con devozione e partecipazione la Passione di Gesù. Il ritmo incalzante degli eventi, le voci e le parole schiumanti gelosia, invidia, rancore, come le parole vigliacche di chi tradisce; il silenzio di Lui e le risa, l'ironia beffarda, il pianto, le grida, le spinte, il flagello, le spine, le cadute, il Legno e i chiodi, l'aceto. Ci siamo genuflessi all'estremo sospiro di Gesù, abbiamo seguito la traiettoria della lancia vergare il suo fianco E ci siamo visti, protagonisti negativi, nel fluire esagitato di quegli eventi malvagi, come nella nostra storia di tutti i giorni, disseminata degli stessi frammenti raccolti nelle ore di Passione di Gesù. Abbiamo adorato la Croce, e ci siamo visti inchiodati con Cristo su quel Legno. Ma poi, beh poi abbiamo sempre avuto fretta che diventasse domenica, che fosse presto resurrezione, non è vero? Tanto lo sappiamo come va a finire la storia, Gesù risorge dalla morte! E con questo pensiero siamo tornati a casa tante volte, scivolando, distratti, sull’ultimo atto della Passione.
Ma, "dopo questi fatti", ne è accaduto uno fondamentale. Forse, è proprio il fatto di averlo sorvolato che ci ha impedito sino ad oggi di resuscitare davvero con Cristo. Risuscitare da quella morte che ti tiene prigioniero da una vita intendo. Da quel rancore sordo che ti trascini da trent’anni. Da quel giudizio che ti nasce ogni volta che tuo marito o tua moglie apre bocca. Da quel dolore per la morte di tuo figlio, che riga di una cupa tristezza anche gli eventi felici degli altri figli. Da quell’ingiustizia che hai patito e che vedi riflessa in ogni atteggiamento a te contrario, nel volto di chiunque non ti capisca o non ti ami come vorresti. Da quel peccato che sì, hai confessato, ma che in te, nel tuo ricordo, è rimasto ancora appiccicato nel fondo del tuo cuore, e del quale proprio non riesci a perdonarti. O a liberarti forse.
Ecco, tutto questo, e ogni dolore che ancora ti accompagna, è il nulla che non possiamo sopportare. Quello che oggi ti spegne la gioia, laggiù in fondo, dove nessuno può vedere, e che magari dissimuli abilmente, perché tanto, chi capirebbe? Quello che solo tu sai, e chissà, magari non riesci neanche a definire, quel senso di malinconia e paura che t’afferra anche al culmine di eventi di festa. Quel buco nero che hai dentro il cuore è il nulla, che ci inquieta, il silenzio vero che ci atterrisce, l'oscura notte che, soffocando lo sguardo, ci dilania. Proviamo un istante a chiudere gli occhi, e sprofondare nel silenzio di parole e sentimenti. E' la morte! Quella che è dietro il sepolcro...
Tutto il resto della Passione di Gesù ci è familiare, lo catturiamo con i sensi, possiamo gestirlo tra pensieri, sentimenti, risposte; anche il male, in fondo, si muove e ci muove, la Via Crucis è pur sempre un cammino e ci sembra d'essere vivi nonostante tutto, ma alla XIV stazione siamo stanchi di tanto dolore, e, mentre vi giungiamo, abbiamo già in mano le chiavi della macchina per tornare a casa. Perché abbiamo davvero paura di ciò che potrebbe essere o non essere dopo la morte, dentro il sepolcro. Ebbene oggi è proprio qui che ci attende il Signore, il luogo che, da sempre, ha pensato per sposarci. Nel suo sepolcro, che, come il nostro di oggi, si trovava “in un giardino”.
Nella Scrittura, il “giardino” ricorda il Paradiso e il passo del Cantico dei Cantici in cui lo sposo incontra la sposa. E Giovanni sottolinea che in quel giardino vi era “un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto”. Anche la Croce era stata piantata nello stesso giardino, e sin lì ci siamo arrivati tutti. Ma quel sepolcro era intatto, vergine, preparato solo per il Signore. Come il tuo e il mio. Ciò significa che dentro a quel sepolcro c’è proprio quel dolore irrisolto e quel peccato che ancora non ti senti perdonato. E’ un sepolcro “nuovo” perché ogni giorno è nuovo quel nulla che continua a farci tanta paura; è un sepolcro “nuovo” perché “nessuno vi è mai stato deposto”. Sì, c’è una parte della nostra vita che è ancora un “sepolcro nuovo” dove Cristo non è mai disceso. Ci sono zone del nostro intimo che abbiamo tenuto chiuse sino ad oggi, e che per questo continuano a farci soffrire.
Ma sapete qual è la notizia di oggi? Che neanche la nostra ostinazione è stata una casualità! No, per essere amati sino alla fine dovevamo essere liberi sino in fondo. Sino a chiuderci nell’orgoglio più duro, come quello della roccia di un sepolcro. Ma oggi può essere finalmente diverso. Oggi è diverso! Oggi c’è Giuseppe di Arimatèa che, con coraggio, va a chiedere il corpo di Gesù a Pilato. Oggi c’è la Chiesa, l’amica dello Sposo che lo viene a prendere per condurlo a te, al tuo sepolcro nuovo, posto nel suo giardino. E’ scritto, infatti, nel Cantico dei Cantici che lo Sposo scende nel suo giardino a cercare la sposa. E sapete che cosa dice di lei? Dice: “Giardino chiuso sei, o sorella mia, o sposa, giardino chiuso, fonte sigillata”. Solo lo Sposo può entrarvi perché è sua proprietà esclusiva.
Capite? Quel dolore che, come una fonte in mezzo a un giardino, continua a sgorgare e ad avvelenare la tua vita, è preparata per il Signore Gesù! L’hai sigillata con il tuo orgoglio, senza sapere però che la stavi riservando per questo giorno, per questo Venerdì Santo del 2015! Tenetevi forte, perché ora arriva il meglio: proprio la parte di te che niente e nessuno è riuscito a salvare, è quella che viene a cercare lo Sposo nel suo giardino. Si è offerto alla Croce per questo! E’ morto per questo, per poter scendere finalmente laddove nessuno è mai sceso! E sai che succede? Non scandalizzarti ti prego… Succede che proprio dove sei più lontano da Dio, dove ti senti più lontano da Lui; proprio nell’angolo del tuo cuore dove con più violenza e pervicacia si è annidato il peccato che ti ha reso impuro e contaminato, lì è nascosta la verginità che ti salva!
Mamma mia, ma che dici? Sono confuso, stordito, non è quello che ho sempre pensato di me… Certo, è normale, perché non hai mai pensato che Gesù ti amasse davvero sino alla fine, e che proprio alla fine del tuo sepolcro venisse a scovarti per farti “sua sposa per sempre, nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza, nell'amore e nella fedeltà”; e che proprio lì “tu avresti conosciuto il Signore” (cfr. Osea 2,21-22). Il verbo tradotto con “ti farò mia sposa” nella Bibbia è usato unicamente per una figlia vergine. Come spiega la nota al versetto della Bibbia di Gerusalemme, “Dio abolisce così totalmente il passato adultero di Israele, che diventa una creatura nuova”. Non solo, ma nel testo “ciò che segue la preposizione “nella” designa la dote che il fidanzato offre alla promessa sposa”.
Il nostro “sepolcro nuovo” è dunque la “fonte sigillata” che oggi possiamo aprire allo Sposo che vuole entrare a prenderci in sposa. E’ sua la nostra dote di peccati! E’ sua la nostra dote di angoscia, paura, morte. E’ sua quella che abbiamo nascosto sino ad oggi, per vergogna, paura o incredulità. Come è nostra la dote che Gesù viene a portarci, deponendo nel fondo del nostro cuore il suo corpo che ha compiuto la volontà del Padre “nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza, nell’amore e nella fedeltà”. Lui viene a sposarci nell’angolo più oscuro del nostro intimo per farsi proprio lì una carne con noi, come accadde ad Adamo quando si è addormentato e Dio ha preso parte della sua carne dalla costola per creare Eva; e così farci risorgere con Lui, carne della sua carne, ossa delle sue ossa, carne e ossa vittoriose su ogni morte! Anche questo era il Giardino che pensava Giovanni descrivendo la sepoltura di Gesù, il Giardino della Creazione...
Quel sepolcro che abbiamo rimosso è dunque il grembo della nuova ed eterna Alleanza! Non a caso è posto nel giardino dove, in Adamo, abbiamo peccato e perduto l'Alleanza con Dio. Ma è anche il giardino dove, in Cristo Nuovo Adamo potremo risuscitare in una nuova Alleanza, nelle nozze eterne. Ecco perché vi si reca anche Nicodemo: solo lì avrebbe capito che cosa significa “rinascere dall’alto, da acqua e da Spirito Santo”. Quel sepolcro fratelli, è anche immagine del fonte battesimale. Se oggi non vi entriamo con Cristo continueremo a soffrire, vivendo come orfani e vedove, senza conoscere né il Padre né il Figlio che è il nostro Sposo. Entriamoci dunque, e apriamolo al Signore. Nicodemo, che è immagine della Chiesa, viene anche oggi portando “circa trenta chili di una mistura di mirra e di áloe”, perché si compia in noi la Parola meravigliosa dello Sposo che leggiamo nel Cantico dei Cantici: “Sono venuto nel mio giardino, sorella mia, sposa, e raccolgo la mia mirra e il mio balsamo; mangio il mio favo e il mio miele, bevo il mio vino e il mio latte. Mangiate, amici, bevete; inebriatevi, o cari”.
Fratelli, quel sepolcro nel quale siamo stati deposti a causa dei nostri peccati, accogliendo lo Sposo diverrà come il suo sepolcro, un segno di speranza e gioia per tante persone. Meta di pellegrinaggi per il coniuge, per i figli, i nipoti, gli amici e i nemici, dove tutti potranno mangiare, bere e inebriarsi dell’amore di Dio che scende come una benedizione sulle nostre nozze con il suo Figlio. Il luogo del nostro dolore assunto e trasfigurato da Cristo, infatti, sarà l’annuncio del banchetto Pasquale preparato per ogni uomo. Nella nostra vita consegnata allo Sposo splenderà il suo amore capace di risuscitare dal peccato più grande e nascosto, dalla sofferenza più dura e incancrenita.
Perché la Pasqua che celebreremo tra tre giorni ha le sue radici nel sepolcro, grembo materno di ogni gioia autentica. La vita che oggi ci è data, quest'apnea priva d'aria e pace e felicità, questi tre giorni che ci hanno accompagnato sino ad oggi che sembravano non passare mai, sono già la Pasqua, indispensabile passaggio alla pienezza della vita. Santa solitudine, benedetta angoscia, beata sofferenza di quel tempo fecondo che ha preparato la risurrezione! Perché lì, in quel nulla che ci crolla addosso come una pietra, scopriremo il volto sconosciuto di Dio, quello sguardo che nessuno ha mai potuto vedere scolpito sul volto di quel suo Figlio crocifisso che si fa nostro Sposo: lo sguardo di Gesù rivolto al Padre nell'ultimo, decisivo abbandono, infatti, consegna ciascuno di noi uniti a Lui nelle nozze, al perdono che fa di ogni lontananza la prossimità più intima, come la luce della Pasqua che si fa strada nel duro spessore della roccia.
QUI UN'ALTRA MEDITAZIONE E MOLTI APPROFONDIMENTI
QUI "L'ISOLA"
UN FILM DA VEDERE IN QUESTI GIORNI.
UN MONACO CHE NEL MONASTERO HA VISSUTO COME NEL SUO SEPOLCRO, PER SCOPRIRE CHE ERA IL SEPOLCRO DI CRISTO CHE PROPRIO LI' ERA VENUTO A SPOSARLO PER L'ETERNITA' NEL PERDONO
L'ANNUNCIO |
(Dal Vangelo secondo Giovanni 19, 38 ss)
αποφθεγμα Apoftegma
Dopo la luce rossa delle torce su volti sudati
Dopo il silenzio gelido nei giardini
Dopo l'angoscia in luoghi petrosi
Le grida e i pianti
La prigione e il palazzo e il suono riecheggiato
Del tuono a primavera su monti lontani
Colui che era vivo ora è morto
Noi che eravamo vivi ora stiamo morendo.
T. S. Eliot, La Terra desolata
Immaginiamo per un
momento che cosa sia accaduto quel giorno. Un tumulto si impossessa di quel
mattino di festa, quel Galileo che parla bene da commuovere, che fa miracoli da
far pensare al Messia, ora è trascinato fuori della città come un impostore e
un provocatore, lì dove si giustiziano i delinquenti. Una morte atroce e poi un
rantolo della terra nel rantolo delle carni, segni sconvolgenti, e poi più
nulla, il silenzio, e un corpo deposto in una tomba.
E' qui che oggi
desideriamo fermarci, nell'ultimo atto della Passione di Gesù, che sembra solo un'appendice dopo tanto strazio, un'istantanea come quelle sulle mappe di Google che il mouse sfiora e ti appaiono quelle case e quelle strade, ed è quasi come se ci fossi stato; un soffio, un'immagine, e sai che com'è fatto quell'angolo di mondo lì, il tuo amico abita sopra quel negozio di scarpe, e tanto basta a situarlo, a immaginare i suoi luoghi quando ci parli, anche se vive dall'altra parte del mondo.
E forse, per molti di noi, la cronaca della deposizione nella tomba ci sembra proprio qualcosa di molto lontano. Ci siamo
genuflessi all'estremo sospiro di Gesù, abbiamo seguito la traiettoria della
lancia vergare il suo fianco, abbiamo desiderato quell'acqua e quel sangue,
abbiamo pianto con Maria abbracciando il suo corpo esanime, ed è stata l'ultima
emozione. La pietà di Maria, con Michelangelo e tanta arte, ci ha preso il cuore, ed è stata l'ultima emozione. Ci siamo alzati con gli occhi umidi e impauriti e siamo tornati a casa, insieme a tutti gli altri, battendoci il petto, mentre, come nei film che raccontano storie vere, scorrevano, sovrapposte alle ultime immagini, le notizie circa gli ulteriori sviluppi della vita dei protagonisti, quelle non registrate nelle immagini della pellicola.
Il ritmo incalzante degli eventi, le voci e le parole schiumanti gelosia, invidia, rancore, come le parole vigliacche di chi tradisce; il silenzio di Lui e le risa, l'ironia beffarda, il pianto, le grida, le spinte, il flagello, le spine, le cadute, il Legno e i chiodi; l'aceto, la lancia, l'acqua ed il sangue. Il terremoto e infine il buio sordo e gelido come un manto ad avvolgere tutto, come un sipario chiuso su un avventura che, almeno in apparenza, sembrava volgere verso un epilogo ben diverso.
Ora tutto tace.
Gesù è disteso sul marmo gelido del sepolcro, riposa nell'oscurità, non vede
nessuno, nessuno lo vede; una pietra lo separa dalla vita, da questa vita
nostra, dai sogni e dalle speranze, dai pensieri, dalle famiglie, dal lavoro,
anche dai nostri mal di denti. Sino a qualche istante prima si era appassionato
per le vicende della nostra storia, e tutti noi, come seguendo il filo di un
racconto incalzante, ci eravamo appassionati a Lui, afferrati da quell'amore
così sconvolgente; sino a un istante fa ci eravamo sentiti amati, avevamo
provato dolore per Lui e per i nostri peccati, la sua lancia aveva dilaniato
anche le nostre coscienze; abbiamo pianto, commossi da tanto dolore e tanto
male.
E ci eravamo visti,
protagonisti negativi, nel fluire esagitato di quegli eventi malvagi, come
nella nostra storia di tutti i giorni, disseminata degli stessi frammenti
raccolti nelle ore di Passione di Gesù. Abbiamo accettato la nostra dura realtà
di peccato, ci è sorto dentro il desiderio d'essere perdonati, una fitta nel
petto, era la compunzione, madre della conversione.
Però ora abbiamo
fretta che sia domenica, che sia resurrezione. Gli eroi vincono sempre, anche
quando perdono. E vogliamo che sia vittoria, vittoria subito. E scivoliamo,
veloci e distratti, sul sabato santo. In fondo sappiamo che dietro l'angolo di
quella passione c'è il lieto fine. E' un film che abbiamo visto migliaia di
volte, e ogni volta ci ha rapito, scuotendoci il cuore e rigandoci il volto di
lacrime e commozione; ma l'aver visto l'epilogo, ci priva di qualcosa, ci protegge dallo
scendere davvero in fondo al baratro del non essere.
Sembra paradossale,
ma sapere che tanto poi Lui risorgerà ci immunizza dal sabato
santo. Conoscere il risultato finale della partita, anche se in bilico sino
all'ultimo secondo, ci anestetizza inconsapevolmente, e fa della tomba una sala
d'aspetto d'aeroporto, tappa anonima e obbligata di ogni viaggio: sappiamo che
cosa abbiamo lasciato, conosciamo la meta, quella sala è nient'altro che un
istante da sfogliare riviste o da approfittare per dormire un pochino. Possiamo sopportare il dolore, perchè dietro sappiamo esserci la vittoria della vita. Ed è vero, ed è il fondamento di ogni speranza, ed è la fede che vede l'invisibile e fa vivere il visibile.
Ma, tra il
dolore crocifisso e la gioia risorta, c'è il nulla del sabato santo. E'
vero che le chiese in questo giorno sono disadorne; è vero che è l'unico giorno
dell'anno in cui non si celebrano messe. E' vero che il tabernacolo è
desolatamente vuoto. E se Lui non c'è neanche la chiesa ha senso - dove pregare,
a chi pregare se tutto è spoglio e vuoto? - e infatti, al passare rapido delle
ore mattutine, preti, sacrestani e fedeli sono di nuovo indaffarati a farla
bella e splendente per accogliere il colpo di scena che ci ridia presto quello
che abbiamo perso, che ci rassicuri e ci tolga da questo impaccio da
sabato santo.
Il nulla ci
disturba, è ciò che più ci inquieta; il silenzio vero, l'oscura notte che
soffoca lo sguardo ci dilania. Proviamo un istante a chiudere gli occhi, e
sprofondare nel silenzio di parole e sentimenti. E' la morte! Tutto il resto
della Passione di Gesù ci è familiare, lo catturiamo con i sensi, possiamo
gestirlo tra pensieri, sentimenti, risposte; anche il male, in fondo, si muove
e ci muove, la Via Crucis è pur sempre un cammino e ci sembra d'essere vivi
nonostante tutto, ma alla XIV stazione siamo stanchi di tanto dolore, e, mentre
vi giungiamo, abbiamo già in mano le chiavi della macchina per tornare a casa.
Quel corpo esanime,
il freddo emaciato di quel volto, e quel buio senz'aria, è la claustrofobia del
cuore e dell'anima, ed è insopportabile. Eludere la tomba, sgusciarvi
frettolosamente per riemergere quanto prima alla luce di Pasqua sarebbe tradire
Cristo, e tradire irrimediabilmente noi stessi.
Questo giorno fatto
di sepolcro, questi tre giorni secondo il cuore della fede, sono essenziali,
decisivi quanto asfissianti, e non vi resistiamo, l'apnea della tomba ci spacca
i polmoni, cerchiamo la luce e l'aria per vedere e respirare: la morte non ci
può appartenere, sembra fatta solo per essere sfuggita. Ma la morte esiste.
Esiste oggi, perché è il capolinea di ogni cosa, relazione, giornata. Non può
essere diversamente, rigettarla significherebbe fare di Cristo e ella sua
vicenda una caricatura, peggio, un'impostura.
Nulla è stato
creato per la morte, nelle creature non c'è veleno di morte ci insegna la
Sapienza della Scrittura; ma a causa di satana il nemico, la morte
ha preso il suo posto nel mondo, e ne fanno esperienza coloro che gli
appartengono. E non appartengono a lui tante, tantissime cose di noi? Non
portiamo le sue tossine sin dal seno materno? Non le porta il mondo a lui
sottomesso, e la natura che geme in attesa di liberazione, e tutti noi soggiogati dalla paura di scomparire per sempre dietro una pietra sigillata?
Così, senza ipocrisie ed illusioni a buon mercato, la morte è molto di quello che viviamo, semplicemente. Anche se questi tempi vuoti e ciechi cercano di raggirarla, di far testamento perché la biologia dei nostri corpi vi si sottragga quando sembra arrivare; anche se ci impallinano con sofismi e menzogne per indurci a scegliere come, dove e quando morire dolcemente, sprofondandoci in un'eutanasia dell'anima prima che dei corpi; anche se tentiamo goffamente di esorcizzarla, essa è lì, in agguato, libera di bussare, senza scampo, quando vuole.
Viviamo come in un anticipo della morte, l'orologio biologico ce lo rammenta ad ogni giro di lancetta, lo struggimento per i ricordi, l'infrangersi dei progetti, il muro offertoci da chi amiamo; la malattia che scoppia fragorosa mentre ti fai la doccia, un nodulo e si accartoccia il cuore; l'incomprensione irrisolvibile di chi avrebbe tutte le carte per capirti; il volto della donna o dell'uomo che ami e ti sembrava di specchiarti in un altro te stesso, e invece ora ti imbatti in quelle espressioni nuove, impreviste, in quegli sguardi che per orientartici non trovi da nessuna parte la mappa di sentimenti che non conoscevi; e lei, e lui, atomi distanti, ci si intendeva con un sorriso e non ti bastano ora milioni di parole.
Il figlio che spicca il volo e non si accorge di non avere le ali, le sue ferite che ti feriscono fin dove neanche le lacrime bastano; le notti insonni ad aspettarlo, un radar nel cuore a tener desta la speranza di incontrarlo, nelle ore perdute tra balli e pasticche, inseguendo sogni giovani che sembrano querce e invece sono un mazzo di "tag" su uno schermo, sicurezze di sabbia e amicizie di fumo, la vita virtuale nella quale si è infilato salutandoti; tua figlia che ha spalancato il suo cuore ad un'illusione che le ha rapito dolcezza e speranze, e te la ritrovi lì, con un figlio senza padre e un futuro riavvolto ancor prima d'esser vissuto.
Le parole sconnesse di tuo padre al crepuscolo della vita, e più nessun contatto, il suo mondo è chiuso e non vi puoi entrare; vorresti dirgli che ci sei, spiegargli il tuo amore, donargli la gratitudine, ma la sua, per te come per chiunque altro, è ormai solo la gentilezza educata riservata ad un estraneo; il corpo di tua madre, un bicchiere di cristallo che se lo sfiori si spezza, come ti si spezza il cuore nel vederla e non puoi far nulla se non accarezzarle delicatamente la mano mentre scivola via dalla vita; questi anni che ti porti in tasca e ti ritrovi senza nulla tra le mani, neanche una medaglia al valor civile, nessuna traccia del tuo passare tra i viventi; l'insignificanza che sbianchetta l'identità, disperatamente cercata; la solitudine lancinante nel bel mezzo di un mondo che sembra festeggiare tutto mentre in te neanche l'ombra d'una ragione per abbozzare un sorriso; e sguardi intorno, e altre vite che ti sfiorano, un'emozione che ti unisce, ed è un battito di ciglia, sfila via la vita di chi più ami, richiusa nei suoi affari, nei suoi problemi, nelle sue angosce, nei suoi dolori.
Si muore
soli, esattamente come si nasce, quando ti tagliano quel cordone e devi
vedertela da te. Non vi sono biberon per dissetare l'anima, non esistono flebo
per nutrire lo spirito: la porta della vita è identica a quella della morte,
stretta, un abito su misura, e chissà quando il sarto ha preso le tue misure,
quelle di oggi, e di ieri e di domani, e nessun altro che te può varcare quella
soglia. "Nel mio principio è la mia fine. Nel mezzo, non solo nel mezzo del cammino. Ma per tutto il cammino, in una selva oscura tra i rovi. Sull’orlo d’un pantano, dove il piede non è sicuro, Non voglio sentir parlare. Della saggezza dei vecchi, bensì della loro follìa, La loro paura della paura e della frenesia, la loro paura del possesso, Di appartenere ad un altro, o ad altri, o a Dio. La sola saggezza che possiamo sperare di ottenere, la saggezza dell’umiltà. L’umiltà è sconfinata" (T. S. Eliot, East Coker). La porta stretta, la porta sconfinata dell'umiltà, la terra umile che ci misura fragili e mortali, e per questo, proprio per questo, ci fa appartenere a Lui, e scoprire che ha le stesse nostre misure, e sono quelle del suo sepolcro.
Nel Mistero
Pasquale non c’è fretta. La morte scende realmente a prendere possesso di Gesù,
non si è trattato di una visita lampo, di un raid aereo. No, Gesù è stato tre
lunghi giorni in quell'anfratto di solitudine. Tre giorni, spazio ricorrente
nella Scrittura, anello misterioso che lega il tempo della sofferenza alla
manifestazione prodigiosa di Dio, preludio necessario al suo intervento
salvifico. Aveva parlato come nessuno. Aveva seminato miracoli sui suoi passi, e molti lo avevano seguito. Perseguitato come tutti i profeti è stato tradito, catturato, torturato, ucciso. Se fosse finita lì sul Golgota, qualcuno forse ne avrebbe tramandato le gesta, le parole, come di un eroe ingiustamente tolto di mezzo. Un esempio, sublime, unico, ma nulla di più. Tre giorni in compagnia della morte. I tre giorni più importanti.
Quei miracoli, quelle parole, quelle torture, quella Croce, senza il sepolcro
dal quale destarsi vittorioso, non ci avrebbero salvato. Sarebbe stato
un amore sino al limite, non un amore sino alla fine.
Invece Gesù, da sempre, dalla sua nascita, che l'iconografia orientale dipinge raccolta in una tomba nera, è stato come risucchiato da quella fenditura nella Roccia, dal sepolcro di Giuseppe. Lì doveva scendere, lì era la fine del suo amore sino alla fine. La tomba era il passaggio decisivo al compimento, l'abisso della morte che lo accoglieva nell'esalare quell'ultimo respiro che infondeva compimento al tutto. Sì, infondeva un alito di vita laddove tutto era preparato per accogliere la morte; un alito debole, impercettibile, e dentro tutta la vita di Dio, come una benedizione che scendeva, si adagiava umile, invisibile, in quella tomba. Quel sospiro - Tutto è compiuto! - apriva il cammino a quel corpo senza vita, pervadeva quella tomba preparandola ad accogliere quella morte unica e santa, quel Morto unico e santo.
Era il mistero di un seme che doveva cadere in terra, e morirvi. E che mistero è mai questo, un seme muore, scompare, e si stendono radici, e spunta lo stelo, verde di vita, e si fa fusto tosto, e corteccia dura, e rami intensi, e frutti a grappoli; che mistero è mai questo, donde la vita se il seme è morto? Un soffio che neanche un microscopio del 4010 potrà riscontrare, un refolo divino riservato al solo suo sguardo, interdetto all'occhio furbo dell'uomo; un mistero di vita che esplode nella morte, nessuna scienza potrà mai spingere quel bottone ad innescarlo. E' sceso lì, in quel sepolcro, il gamete di Dio, come nel seno di una donna, ed ogni tomba, da quell'istante, s'è fatta Sposa dell'Altissimo. Nozze che nessun fidanzato potrebbe immaginare, nozze folli di un Dio folle d'amore. Una tomba ed il suo Sposo, e quell'alito di vita come una benedizione, la Shekinà come un baldacchino regale a far santa quella morte, e santi quei giorni oscuri e freddi, e santa la sposa, e santa ogni morte adagiata in ogni tomba.
Il Figlio di Dio, uguale a Dio, Dio in Persona, doveva scendere in quel sepolcro per essere fecondo; doveva perché la fine di tutte le cose, il vuoto e l'assenza, l'angoscia e il dolore, il fallimento e la solitudine, la morte nostra di oggi e di sempre e di ogni uomo, diventasse il grembo fecondo della vita. Doveva fare sua Sposa la morte, e il suo abito di marmo, e pietra e lutto e lacrime; doveva donarsi senza riserve a colei che tutti ci imprigiona; doveva passare da lei, la morte, per giungere a noi, suoi schiavi. Sposava la morte, e si univa indissolubilmente a noi, a questi che siamo oggi, alla verità della nostra storia, alla debolezza che ci rende come biscotti inzuppati nel latte, alla morte livida che descrive questo nostro presente.
Doveva immergersi nel nostro vero perché ci accorgessimo di Lui accorgendoci della morte che portiamo dentro; doveva sposarci in quel sepolcro perché noi si smettesse di sfuggirgli, di sepolcro in sepolcro, per non guardare in faccia alla verità. Se non avesse vinto nel sepolcro, avrebbero vinto tutti i nostri sepolcri; avrebbe vinto il peccato, nel quale siamo generati, le cui ferite risucchiano la nostra debolezza sino a condurci, spesso nostro malgrado, nell'oscurità delle sue devastanti conseguenze. Avrebbe vinto il serpente antico, il seduttore di tutta la terra, e per tutti, alla morte che tutti gustiamo, volenti o nolenti, avrebbe fatto seguito, inesorabile, la morte seconda, quella eterna dalla quale non se ne esce più. Basta chiedere al ricco epulone, lui sì che se ne intende...
Il sepolcro di Gesù era in un giardino. La morte che ha spezzato il sogno paradisiaco della felicità, quella vera che si coniuga sempre e solo con amore, era lì, nel mezzo del giardino, divenuto pietre e sterpaglia secca, nessun frutto, nessuna gioia. Il sepolcro che oggi contempliamo è il riflesso della nostra vita, donata per essere giardino e vissuta come un deserto. E dentro, come un seme invisibile, vi è deposto Gesù, morto, immobile, inutile. Gesù senza vita, senza potere, preda della solitudine e del ghigno beffardo del nemico autentico. Sembra ghermirlo, come sembra aver afferrato la nostra esistenza non lasciandoci scampo, e son tre giorni, e sono mesi, anni, e non cambia nulla, forse tutto peggiora. Ma è proprio lì, nel segreto della tomba, come il chicco caduto in terra di cui nessuno si accorge, che è deposta la vita. La sterilità diviene fecondità, l'impotenza è trasformata in potere senza barriere, la morte si volge in seno benedetto di vita. Il sepolcro lo scrigno della letizia che non ha fine.
Quei tre giorni, lunghi, amari, oscuri e dolorosi, quei tre giorni nei quali la vita è sottratta e sembra non esservi più speranza, quei tre giorni, la parabola della nostra vita, sono i giorni fecondi, i più fecondi, gli unici fecondi. Nessuno sapeva quello che stava accadendo dietro quella pietra, nessuno, forse neanche noi stessi, sa quale mistero inaudito si stia compiendo in noi. Ora, esattamente in questa situazione concreta, che forse durerà ancora molto, tre giorni, il tempo necessario e perfetto, forse sino all'ultimo nostro respiro. Nessuno poteva immaginare che in quel sepolcro nella sperduta terra di Giudea, in un giorno come tutti gli altri, per il contadino egiziano, per la prostituta romana, per il navigatore fenicio di molti secoli prima, per il derelitto che vaga nella metropoli del terzo millennio, per ciascuno di noi, in quel sepolcro si giocava la salvezza, la felicità eterna.
L'evento decisivo della storia nel chiuso di un sepolcro, lontano anni luce dai riflettori dei media, dalla gloria mondana, come lontano dalla frenesia quotidiana in cui scorre la vita di tutti. L'unica rivoluzione riuscita è compiuta nel fallimento meschino del rivoluzionario, antitesi di ogni rivoluzione di rivoluzionari di successo, tra fiumi di sangue e ritorni fallimentari a regimi peggiori. Il granello di senapa, chi lo vede? ma in lui c'è già un albero immenso, albergo e rifugio per ogni precarietà. Ed è andata esattamente così, e mentre il mondo prima, durante e dopo quei tre giorni di sepolcro, ha continuato a fare le stesse identiche cose, in quella gola di morte, Lui vinceva proprio la morte, ed ogni peccato, e riscattava ogni schiavo, e accoglieva nella misericordia ogni disperato. Mentre gli occhi vedevano un sepolcro e una pietra a sigillarlo, Lui ci ridava la vita.
E' questo il cuore di questi giorni, è qui che è seminata la Pasqua. Nel suo sepolcro, che è il nostro. La Pasqua non è solo la vittoria dell'eroe, il lieto fine di un romanzo, il colpo di scena finale di un thriller. La Pasqua ha le radici nel sepolcro, grembo materno di ogni gioia autentica. La vita che oggi ci è data, quest'apnea priva d'aria e pace e felicità, questi tre giorni che sembrano non passare mai, sono già la Pasqua, indispensabile passaggio alla pienezza della vita. “Ho detto alla mia anima: taci e lascia che scenda su di te, il buio, Che sarà l’oscurità di Dio. Come in un teatro, si spengono le luci, per poter cambiare la scena” (T. S. Eliot, East Coker) Santa solitudine, benedetta angoscia, beata sofferenza di quel tempo fecondo che prepara la scena mai vista della vita eterna.
E' dove siamo ora, nel sepolcro che ci trattiene, che possiamo gustare, molto al di là dei sensi e dei sentimenti, nel nulla assoluto di gioie e consolazioni, l'autentica vita, la fecondità adulta del chicco frantumato per amore. Assorbiti oggi nel fallimento di Gesù, uniti alla sua morte, soli con Lui e invisibili per il mondo, si compie in noi pienamente la vita che ci è donata. Non manca nulla alla nostra Pasqua, a quest'oggi che è già Pasqua anche se è Sabato Santo, anche se stiamo in riva al mare o pigiati in un vagone di metropolitana, distesi su di un letto di ospedale o raccontandoci le ore in un pub, cambiando pannolini o in ginocchio nella penombra di una chiesa, ovunque e in ogni istante è Pasqua, nella fine è il nostro inizio: "L’amore si avvicina più a se stesso, Quando il luogo e l’ora non importano più. Noi dobbiamo muovere senza fine, Verso un’altra intensità, Per un’unione più completa, comunione più profonda, Attraverso il buio, il freddo e la vuota desolazione. Il grido dell’onda, il grido del vento, la distesa d’acqua, Delle procellarie e del delfino. Nella mia fine è il mio Principio" (T. S. Eliot, East Coker).
Occorre solo restare, pazienti, nel sepolcro. Abbandonati all'abbandono di Dio, il paradosso che ci ha redenti. Con Cristo consegnare tutto, senza riserve, lasciare che Il Padre si prenda tutto, ma proprio tutto, che ci faccia morire su di una Croce, che ci deponga in un sepolcro, che ci chiuda nel buio del suo abbandono, della sua assenza, alla solitudine totale. Che è anche quella dei cristiani in questa società che uccide le relazioni moltiplicandole, che erige muri di egoismo anche tra madre e figlio, tra figli e genitori. Che fa soli i nostri figli nelle scuole che non educano ma insegnano l'egoismo della masturbazione; e soli noi in ufficio, sulla metro e sulla spiaggia, soli con la Verità che vorrebbero imbavagliare. Soli come i martiri che versano ovunque il loro sangue per lavare, innocenti, le mani assassine che li trucidano perché "crociati" - che onore! - cioè segnati dalla Croce, crocifissi con Cristo ecco, perché da Lui riscattati a prezzo del suo sangue.
In questo Venerdì Santo che ci consegna al silenzio del sabato Santo, siamo dunque invitati a lasciare che il padre faccia con noi come ha fatto con suo Figlio, per mano di empi certo, ma era pur sempre Lui, suo Padre, a consegnarlo per ciascuno di noi. E lì, in quel nulla che ti crolla addosso come una pietra, dentro al vuoto, scoprire che proprio quel nulla e quel vuoto, dipingono il volto sconosciuto di Dio, quello sguardo che nessuno ha mai potuto vedere; in quel sepolcro la risposta sconvolgente alla domanda di Filippo, quella che davvero ci basterebbe per trovar pace in qualunque situazione: "mostraci il Padre e ci basta".
Il Padre è scolpito sul volto di quel suo Figlio crocifisso, piagato, morto; è Gesù, il capo reclinato sulla Croce ed ora, come sul Legno, come tra le braccia della Madre, inclinato nel riposo di quel giaciglio gelido, lo sguardo esausto, lo sguardo esanime colmo di ogni dolore, di ogni fatica, di ogni morte, lo sguardo vuoto di un cadavere è ora rivolto verso il seno del Padre, e quelle palpebre stese sugli occhi più belli del più bello tra i figli di Adamo, quel velo sottile che spegne espressioni e incanto nasconde l'opera bella, l'opera unica; l'opera compiuta sino alla fine è tutta in quello sguardo che nemmeno è più sguardo, senza apparenza né bellezza, sguardo dell'uomo dei dolori che ha conosciuto sino in fondo il patire, sguardo disprezzato e schiacciato dall'iniquità, sguardo a cui è stata tolta ogni dignità, a cui è stata strappata la vita; quello sguardo di Gesù, sguardo morto, rivolto al Padre nell'ultimo, decisivo abbandono, quello sguardo che consegna ciascuno di noi al perdono del Padre, quello sguardo ci mostra il Padre.
Il Padre invisibile, parola muta in quel corpo avvolto in un sudario, nel silenzio assoluto della morte; è lì il Padre, è lì piangente nell'assenza dovuta per per perdonare l'ultimo e più lontano peccatore; il Padre, che è padre proprio in quell'abbandono straziante che si lascia prendere dalle mani ogni sostanza liberando alla libertà ogni suo figlio, sino alla fine, a dilapidare la vita, a scendere nella tomba dove neanche le bacche dei porci sono cibo, nel sepolcro dove rientrare in se stessi e, per la fitta lancinante proprio di quell'assenza di Padre e casa, riscoprirsi figlio nell'indegnità con cui la morte inferta dal peccato ha sfregiato la bellezza. Il Padre assente e perciò più presente che mai, lontano, eppure presente sin dentro le viscere della morte.
Il Padre che abbandonando si abbandona alla libertà di ciascuno, per riscattarne gli esiti mortali, per fare dell'abbandono dei figli l'accoglienza misericordiosa del Padre. Un abbandono che è viscere commosse, rahamin, seno fremente di madre, compassione purissima, amore vergine e perciò gratuito; amore unico che si rivela nello struggimento di chi abbandona suo Figlio perché ogni figlio disperso possa tornare a casa; amore di Padre, autentico perché partecipe e appassionato sino alla fine delle sorti dei suoi figli; amore vero che scende, nella carne di suo Figlio, al fondo della dissipazione e del peccato, nel chiuso di un sepolcro, e lì, ogni suo figlio, con la libertà piena e insanguinata tra le mani e nel cuore, possa ridestarsi alla nostalgia di quanto ha perduto e, confuso con la morte, possa incontrare il volto del Padre impresso nel volto del Figlio, sceso nello stesso sepolcro, morto della stessa morte. Un abbandono che è l'amore più grande, che fa di ogni lontananza la prossimità più intima, che trasfigura ogni perversa volontà che rende bastardi, in obbedienza umile e fiduciosa di figli.
Amore dunque, e un luogo dove ritrovare nostro Padre, dove essere felici davvero. Un sepolcro, la cavità nella rupe dove possiamo, dove dobbiamo nasconderci, il luogo vicino al Padre, vicino perché luogo dell'obbedienza del Figlio; il luogo dove ci pone il Padre, dove la sua mano, come la pietra che ci atterrisce, ci copre e protegge mentre passa il suo zelo geloso, la sua Gloria che fa giustizia del peccato e della morte; il sepolcro, dove la sua tenerezza fatta paradossalmente assenza, ci custodisce come il suo tesoro più prezioso, nell'attesa feconda del terzo giorno, l'alba luminosa della sua Gloria, il perdono che ci fa sua eredità. Tre giorni, inutili, sprecati, anonimi, calpestati, tre giorni di morte, e per questo fecondi, realizzati, compiuti, perfetti, felici di un embrione di quella felicità che nessuna carne potrà mai dare.
Lasciamoci condurre oggi in
questo buio che avvolge la terra, non è la fine, ma l’inizio. Le leggi che ci
vogliono imporre, la dittatura ideologica che soffoca la Verità, non sono la
fine dell’uomo, ma il sepolcro dove è sepolto Cristo, anche oggi. Ma dobbiamo
andarci con Lui, sciogliendo la nostra solitudine e quella del mondo nella sua. Addormentiamoci con Cristo nel nostro sepolcro, accettiamolo anche in nome di chi ci è accanto e non sa nulla della Pasqua. Abbandoniamoci al
perdono di Dio fatto parola definitiva su ogni peccato: nessuno di noi sapeva, molti continuano a non sapere che cosa fanno. Ma proprio per questo Ges è entrato nel sepolcro dell'umanità gridando al Padre: "Perdonali, perché non sanno quello che fanno!". E perdono è stato, lì dentro, nel buio e nella morte, il perdono che è l'amore più grande, e che fa di ogni lontananza da Dio la più intima prossimità a Lui, come la luce della Pasqua che si fa strada nel duro spessore della
roccia.
Sieda costui solitario e resti in silenzio,
poiché egli glielo ha imposto;
cacci nella polvere la bocca,
forse c'è ancora speranza;
porga a chi lo percuote la sua guancia,
si sazi di umiliazioni.
Poiché il Signore non rigetta mai...
Ma, se affligge, avrà anche pietà
secondo la sua grande misericordia.
(Lam. 3,28-32)
A Elberti. E' la Pasqua del Signore. Venerdì Santo
A.M. Sicari. VIA CRUCIS IN COMPAGNIA DEI SANTI
Meditazione di Chiara Lubich per il Venerdì Santo
Meditazioni di monsignor Ravasi per la “Via Crucis” al Colosseo
H. U. Von Balthasar. Mysterium Paschale. La Consegna
Don Divo Barsotti. Meditazioni per il Venerdì SantoVanhoye. La Croce
Accadde al Getsemani. Fare memoria del suo dolore
V. Messori. In coda lungo le autostrade nel giorno della Via Crucis
Venerdì Santo. Romano Guardini, Il Signore
Lo sconosciuto del Getsemani
LA CROCE E IL CROCIFISSO. Uno studio da meditare
IL GIARDINO DEGLI OLIVI
Mons. Caffarra. LA CROCE E LA VERITA’ SULL’UOMO
Il Mistero nella dipinta croce
P. R. Cantalamessa: OMELIE SULLA PASSIONE DEL SIGNORE
P. R. Cantalamessa. UNO SGUARDO DA STORICI SULLA PASSIONE DI CRISTO
P. R. Cantalamessa. “Giuseppe d''Arimatea” per i crocifissi di oggi
P. Cantalamessa: “Cristo Imparò l’obbedienza dalle cose che patì”
Venerdì Santo. Hamon-Borla, Meditazioni
In Passione Domini. Dal "Libro delle Rivelazioni" di Giuliana di Norwich
Esegesi del Nuovo Testamento: Gv 13-17: i discorsi d''addio
Inos Biffi. Cristo ascende la Croce. Inizia il tempo nuovo. L''inno "All''ora terza" di sant''Ambrogio
S. Fausti. Commento esegetico alla Passione di Matteo
Sabourin. La Passione
M.J. Lagrange. La Passione
LA PASSIONE DI CRISTO di MEL GIBSON. VIDEO E LETTURA TEOLOGICO-SPIRITUALE DEL FILM
La passione di Gesu’ alla luce degli scritti di Santa Veronica Giuliani
La Passione secondo A.K. Emmerick
La Passione secondo Suor Maria d''Agreda. Dalla "Mistica Città di Dio"
Vittorio Messori. La sfida: la cronaca della passione e morte
LETTURE SULLA PASSIONE DI GESU'' CRISTO
Chi è costui? La Passione nella letteratura
Gli ultimi giorni di Gesù
Dalla via dolorosa al Golgota
Così è morto Gesù: check up della Passione
La Passione secondo Matteo di J.S.Bach. Lettura e Mp3
Tallo e l''oscuramento del sole
J. Jeremias. La Passione
La morte di Gesù come espiazione nella concezione paolina. Pino Pulcinelli
J. Ratzinger. Gesù tra la bellezza e il dolore
Giuda Iscariota. Ratzinger - Benedetto XVI, Tradizione, i Padri, esegesi
Santa Caterina da Siena. « Sapendo che era giunta la sua ora... Gesù li amò sino alla fine »
A.M. Sicari. VIA CRUCIS IN COMPAGNIA DEI SANTI
Meditazione di Chiara Lubich per il Venerdì Santo
Meditazioni di monsignor Ravasi per la “Via Crucis” al Colosseo
H. U. Von Balthasar. Mysterium Paschale. La Consegna
Don Divo Barsotti. Meditazioni per il Venerdì SantoVanhoye. La Croce
Accadde al Getsemani. Fare memoria del suo dolore
V. Messori. In coda lungo le autostrade nel giorno della Via Crucis
Venerdì Santo. Romano Guardini, Il Signore
Lo sconosciuto del Getsemani
LA CROCE E IL CROCIFISSO. Uno studio da meditare
IL GIARDINO DEGLI OLIVI
Mons. Caffarra. LA CROCE E LA VERITA’ SULL’UOMO
Il Mistero nella dipinta croce
P. R. Cantalamessa: OMELIE SULLA PASSIONE DEL SIGNORE
P. R. Cantalamessa. UNO SGUARDO DA STORICI SULLA PASSIONE DI CRISTO
P. R. Cantalamessa. “Giuseppe d''Arimatea” per i crocifissi di oggi
P. Cantalamessa: “Cristo Imparò l’obbedienza dalle cose che patì”
Venerdì Santo. Hamon-Borla, Meditazioni
In Passione Domini. Dal "Libro delle Rivelazioni" di Giuliana di Norwich
Esegesi del Nuovo Testamento: Gv 13-17: i discorsi d''addio
Inos Biffi. Cristo ascende la Croce. Inizia il tempo nuovo. L''inno "All''ora terza" di sant''Ambrogio
S. Fausti. Commento esegetico alla Passione di Matteo
Sabourin. La Passione
M.J. Lagrange. La Passione
LA PASSIONE DI CRISTO di MEL GIBSON. VIDEO E LETTURA TEOLOGICO-SPIRITUALE DEL FILM
La passione di Gesu’ alla luce degli scritti di Santa Veronica Giuliani
La Passione secondo A.K. Emmerick
La Passione secondo Suor Maria d''Agreda. Dalla "Mistica Città di Dio"
Vittorio Messori. La sfida: la cronaca della passione e morte
LETTURE SULLA PASSIONE DI GESU'' CRISTO
Chi è costui? La Passione nella letteratura
Gli ultimi giorni di Gesù
Dalla via dolorosa al Golgota
Così è morto Gesù: check up della Passione
La Passione secondo Matteo di J.S.Bach. Lettura e Mp3
Tallo e l''oscuramento del sole
J. Jeremias. La Passione
La morte di Gesù come espiazione nella concezione paolina. Pino Pulcinelli
J. Ratzinger. Gesù tra la bellezza e il dolore
Giuda Iscariota. Ratzinger - Benedetto XVI, Tradizione, i Padri, esegesi
Santa Caterina da Siena. « Sapendo che era giunta la sua ora... Gesù li amò sino alla fine »
Nessun commento:
Posta un commento