Lunedì della IX settimana del Tempo Ordinario


Amati e perdonati possiamo fondare la vita su Cristo, 
la pietra che avevamo scartato ed è divenuta testata d'angolo




αποφθεγμα Apoftegma


Dio, nell’incarnazione del Verbo, 
nell’incarnazione del suo Figlio, 
ha sperimentato il tempo dell’uomo, 
della sua crescita, del suo farsi nella storia. 
Quel Bambino è il segno della pazienza di Dio, 
che per primo è paziente, costante, 
fedele al suo amore verso di noi; 
Lui è il vero “agricoltore” della storia, che sa attendere. 

Benedetto XVI





Un altro lunedì apre una nuova settimana importantissima. Certo è dura, come ogni lunedì, e vorremmo che la domenica si estendesse ad ogni giorno della settimana, perché forse c'è, in fondo al cuore, il desiderio di essere già nel Cielo assaggiato nel riposo. Ma questo è il tempo di vivere sino in fondo, sulla terra, la missione che ci è affidata. Il demonio, infatti, non riposa, e continua a sedurre gli uomini come forse mai nella storia. Come Chesterton aveva visto profeticamente, i pagani sono tornati, "mettendo a posto ogni cosa con parole morte, mentre "l’Uomo è trasformato in uno sciocco che non sa chi è il suo signore". Si riconoscono "dalla rovina e dal buio che portano; da masse di uomini devoti al Nulla, diventati schiavi senza un padrone, da un cieco e remissivo mondo idiota; dalla vittoria dell’ignavia e della superstizione, dalla presenza di peccatori che negano l’esistenza del peccato; da questa rovina silenziosa, dalla vita considerata una pozza di fango, dall’onta scesa su Dio e sull’uomo, dalla morte e dalla vita rese un nulla". Fratelli, "gli antichi barbari sono tornati" e hanno bisogno dei cristiani nei quali "la pietra" continui ad "essere scartata" perché "divenga testata d'angolo" della loro vita che sta crollando miseramente. Questa settimana le persone che sono accanto a noi, i "barbari" che si stanno prendendo le scuole dei nostri figli, i giornali, la televisione, il cinema, lo sport e, soprattutto, le menti e i cuori dei giovani, avranno bisogno di vedere quello che "ha fatto e sta facendo il Signore" nella nostra vita perché sia "mirabile" anche "ai loro occhi". Non siamo diversi da loro, anzi. Ed è proprio questa la buona notizia che il mondo sta spettando, l’unica credibile che, accolta, può salvare i barbari. Vanno bene le manifestazioni pubbliche e tutte le iniziative con cui tentiamo di arginare lo tsunami ideologico che si sta avventando. Ma sappiamo bene che “i figli delle tenebre sono più scaltri dei figli della luce”, e per salvare questa generazione non vi è altro modo che offrirgli la “luce” della testimonianza, come accadde al tempo dei primi “barbari”. Scriveva San Paolo: “Anche voi eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati, nei quali un tempo viveste alla maniera di questo mondo, seguendo il principe delle potenze dell'aria, quello spirito che ora opera negli uomini ribelli. Nel numero di quei ribelli, del resto, siamo vissuti anche tutti noi, un tempo, con i desideri della nostra carne, seguendo le voglie della carne e i desideri cattivi; ed eravamo per natura meritevoli d'ira, come gli altri. Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati. Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù” (Ef 2). In queste parole è sintetizzata l'esperienza bimillenaria della Chiesa, e anche oggi è fondamentale che in essa sia offerta a tutti una seria iniziazione cristiana che li accompagni a scoprire e fondare la propria vita sulla "pietra angolare", della quale se ne può rintracciare la fisionomia anche nella parabola del Vangelo. Come Israele, un popolo diverso da ogni altro, scelto per "consegnare i frutti" di un amore che lo ha scelto, salvato, condotto e custodito, nonostante le innumerevoli infedeltà, anche noi siamo stati scelti e "piantati nella vigna", immagine della Chiesa. E anche noi, duri a convertirci come Israele, davanti all’albero che ci chiamava all’obbedienza, abbiamo creduto di poterci appropriare dell’eredità che invece Dio aveva preparato per noi come un dono. Siamo stati nella Chiesa come Israele nella vigna: il demonio ci ha ingannati presentandoci la falsa immagine di un Dio geloso e siamo così diventati ospiti, stranieri, e nemici in casa nostra. Abbiamo creduto che la famiglia nella quale siamo nati, e poi la scuola, il quartiere, e i fatti che abbiamo vissuto avessero dentro il veleno di un Dio ingiusto che non ci amava; e allora, per prenderci l’affetto e la giustizia che ritenevamo ci spettassero, ci siamo appropriati dei doni che Dio ci aveva fatto perché, accolti, potessero divenire il frutto colmo d'amore da consegnargli "a suo tempo". Così si spiega il parossismo della violenza che appare nel Vangelo, lo stesso che affligge tante relazioni, in famiglia, tra gli amici, in ogni ambito della società. Violenza che cresce sino ad uccidere Cristo, l'erede che viene a consegnare i frutti di una vita riscattata, riconciliata e per questo santa. 

Prima di entrare in questa settimana, possiamo chiederci senza ipocrisia che cosa abbiamo fatto dei tanti profeti, delle tante parole, dei segni inviati alla nostra vita, e scopriremo che, proprio come accade oggi nel mondo, li abbiamo “afferrati, bastonati, coperti di insulti e mandati a mani vuote”, e spesso li “abbiamo uccisi” nei nostri cuori per non sentire la verità che ci chiamava a conversione. E, come Israele, tante volte non abbiamo compreso e riconosciuto l'estremo atto d'amore del Padre; non abbiamo accolto il Figlio offertoci come ultima chance, purissima misericordia di un Padre che non si rassegna nel vedere i suoi figli dilapidare la primogenitura. E' vero, siamo stati infedeli, abbiamo ucciso il Figlio che Dio ha mandato a noi “afferrandolo e gettandolo morto fuori della vigna”, ovvero dalla nostra vita, perché chiusi ostinatamente nei nostri giudizi, nel rancore, nell’orgogliosa difesa della nostra giustizia. Lo abbiamo ucciso rifiutando il perdono, ma se siamo qui oggi ad ascoltare questa parola significa che abbiamo sperimentato la ricchezza della misericordia di Dio, più ostinato nell’amore della nostra ostinazione nella superbia! Lo abbiamo “visto come una meraviglia ai nostri occhi”: Dio ha risuscitato suo Figlio in noi e con noi! Per questo, “ora, in Cristo Gesù, non siamo più stranieri né ospiti” nella Chiesa, “ma siamo concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come “pietra angolare” lo stesso Cristo Gesù” (Ef 2). Sì fratelli, nella Chiesa stiamo sperimentando ogni giorno che Dio sta “sterminando quei vignaioli” che sono immagine del nostro uomo vecchio e sta "consegnando" le grazie della “vigna” all’uomo nuovo che sta creando in noi a poco a poco in Cristo. Noi, che “eravamo pagani per nascita, senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d'Israele, estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio in questo mondo”, noi “che un tempo eravamo i lontani siamo diventati i vicini grazie al sangue di Cristo”. Lo annuncia la nostra vita salvata dall’idolatria, la nostra famiglia e i nostri figli nati in obbedienza alla volontà del Dio della vita. Lo dicono soprattutto le nostre cadute tra le braccia di Cristo, i nostri peccati affogati nelle acque della misericordia della Chiesa. Lo dice la nostra gioia piena che scaturisce dal sentirci amati così come siamo, perché Cristo risorto è “con noi ogni giorno” e stiamo sperimentando il suo “potere” su ogni demonio che attenta alla nostra vita, che ci perdona e ci rialza sempre. Coraggio allora, fratelli, entriamo in questa settimana per “ammaestrare” con l’annuncio e la testimonianza, “tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”, immergendo cioè ogni “nuovo barbaro” che incontreremo, nell’amore che ha salvato noi. Solo così potremo “insegnare loro ad osservare” tutte le parole di vita che Gesù ci ha annunciato e sta compiendo in noi. .   




QUI UN ALTRO COMMENTO



    






L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Marco 12,1-12. 

Gesù si mise a parlare loro in parabole: «Un uomo piantò una vigna, vi pose attorno una siepe, scavò un torchio, costruì una torre, poi la diede in affitto a dei vignaioli e se ne andò lontano.
A suo tempo inviò un servo a ritirare da quei vignaioli i frutti della vigna.
Ma essi, afferratolo, lo bastonarono e lo rimandarono a mani vuote.
Inviò loro di nuovo un altro servo: anche quello lo picchiarono sulla testa e lo coprirono di insulti.
Ne inviò ancora un altro, e questo lo uccisero; e di molti altri, che egli ancora mandò, alcuni li bastonarono, altri li uccisero.
Aveva ancora uno, il figlio prediletto: lo inviò loro per ultimo, dicendo: Avranno rispetto per mio figlio!
Ma quei vignaioli dissero tra di loro: Questi è l'erede; su, uccidiamolo e l'eredità sarà nostra.
E afferratolo, lo uccisero e lo gettarono fuori della vigna.
Che cosa farà dunque il padrone della vigna? Verrà e sterminerà quei vignaioli e darà la vigna ad altri.
Non avete forse letto questa Scrittura: La pietra che i costruttori hanno scartata è diventata testata d'angolo;
dal Signore è stato fatto questo ed è mirabile agli occhi nostri»?
Allora cercarono di catturarlo, ma ebbero paura della folla; avevano capito infatti che aveva detto quella parabola contro di loro. E, lasciatolo, se ne andarono.







Voler diventare eredi senza esserlo, appropriandosi con la violenza di quanto è offerto gratuitamente: è quanto emerge nella parabola odierna. Gesù parla di "loro", del popolo eletto per ereditare la benedizione di Abramo suo padre; parla "contro" di loro, rivelando l'inganno nel quale sono caduti. Israele è un popolo diverso da ogni altro, ad esso Dio ha affidato la missione di custodire la benedizione perché giunga a tutte le Nazioni, ad ogni uomo. L'elezione di Israele costituisce l'eredità del figlio primogenito: l'elezione unica e fondamentale di consegnare i frutti di un amore che lo ha scelto, salvato, condotto e custodito, nonostante le innumerevoli infedeltà. Ma Israele non comprende, è duro a convertirsi, e, nella pienezza dei tempi, non riconosce l'estremo atto d'amore del Padre; non accoglie il Figlio, Colui nel quale e per il quale avrebbe potuto essere riscattato e dare i frutti per i quali era stato eletto. Israele frustra il disegno d'amore del Padre, chiudendosi nella durezza del proprio cuore. Non comprende che quell'eredità agognata è già lì, carne della sua carne, e cammina nella sua storia. Israele sa bene che l'eredità è la benedizione con la quale e per la quale è stato scelto tra tutti, piantato come una vigna, curato con amore e tenerezza; che l'eredità è la pace di chi compie la volontà di Dio, la realizzazione del suo piano di salvezza. Ma, chiuso nella superbia di chi si ritiene diverso per meriti propri, non comprende che l'eredità è proprio quel Figlio offerto come ultima chance, purissima misericordia di un Padre che non si rassegna nel vedere i suoi figli dilapidare la primogenitura. Israele, immagine di ciascuno di noi, era ormai preda della cupidigia velenosa che aveva già ingannato i progenitori: la stessa menzogna, quella che ghermisce anche il nostro cuore. Scelti, eletti, amati infinitamente, ci ritroviamo sempre davanti all'albero riservato a Dio, intenti ad appropriarci dei frutti riservati a Lui, e ci ritroviamo usurpatori e ladri, incapaci di consegnare a Lui quello che gli spetta. La moglie, il marito, i figli, il lavoro, gli amici, lo studio, ogni circostanza e ogni persona che incontriamo nella nostra vita ci sono dati perché siano trasformati, nell'amore, in frutti da consegnare al Padre. E' Lui che ci ha eletto e condotto misteriosamente per dare compimento alla sua elezione: la famiglia nella quale siamo nati, con quel padre e quella madre concreti, quei fratelli, quella casa, quei parenti; e poi la scuola, il quartiere, e i fatti che abbiamo vissuto, dolorosi e gioiosi; e poi via via sino ad oggi, attraverso la storia personale il Padre ci ha curato e amato, donandoci la Chiesa nostra Madre, dove ci ha nutrito con la Parola, i sacramenti e la comunione dei fratelli. Nulla è stato casuale; forse crediamo che l'esserci fidanzati in quel momento con quella persona sia stata opera nostra, una scelta del nostro cuore, così come la scuola e l'università, il lavoro, le amicizie, i figli. Oppure, al contrario, abbiamo subito le vicende della storia, come qualcosa che non avremmo voluto ma che, purtroppo e nostro malgrado, ci è capitato. I entrambi i casi siamo fuori strada, esattamente come i vignaioli della parabola. Non abbiamo ancora sperimentato la gratuità dell'amore, siamo incapaci di leggere la storia come un'opera di Dio che prepara, giorno dopo giorno, il nostro compimento nell'amore, la fecondità piena della nostra vita. La menzogna primordiale del demonio ci ha iniettato un veleno che ha distorto la realtà, che ci ha ingannato circa la libertà facendo di essa  un'orgogliosa rivendicazione di autonomia, nell'intento di trasformarci in creatori del proprio destino spogliandoci dell'autentica nostra natura di creature e figli bisognosi e dipendenti dall'amore dell'unico Creatore e Padre. E così ci ha gettato nella solitudine degli orfani e dei diseredati, di chi non ha più un'identità che dia senso, sostanza e valore alla vita, condannandoci a vivere come dei barboni a cercare tra i rifiuti brandelli di senso e dignità, come ladri che nella notte si introducono nelle case degli altri per rubare ciò che non gli appartiene, nell'inganno che siano cose e persone che, invece, gli siano state ingiustamente sottratte. Avendo perso la consapevolezza della gratuità dell'elezione e rifiutato l'obbedienza fiduciosa dei figli, dobbiamo, giorno dopo giorno, proprio come i vignaioli, macchinare e sudare per appropriarci di tutto quello che, invece, ci sarebbe dato gratuitamente perché, accolto, possa moltiplicarsi in noi e divenire il frutto colmo del sapore della vita e dell'amore da consegnare a Dio "a suo tempo"; ingannati, abbiamo confuso il mezzo con l'obiettivo, i doni di Dio con il frutto impossibile dei nostri sforzi. Per questo, vorremmo creare e stabilire le regole della vita, decidere che cosa sia bene e cosa sia male, illudendoci così di abbrancare la libertà. E scappiamo dall'obbedienza, dall'ascolto umile della creatura attraverso il quale accogliere la linfa capace di far sbocciare in noi i frutti che, soli, danno senso e sostanza alla nostra vita. Così si spiega il parossismo della violenza che appare nel Vangelo, lo stesso che affligge tante relazioni, in famiglia, tra gli amici, in ogni ambito della società. Violenza che cresce sino ad uccidere Cristo, l'erede che viene a consegnare, per noi e con noi, i frutti di una vita riscattata, riconciliata e per questo santa. Uccidiamo l'erede che viene a farci eredi, gratuitamente. Lo uccidiamo in chi bussa alla nostra vita; proprio attraverso il prossimo e gli eventi Dio viene a raccogliere il suo frutto, ma, misteriosamente, con loro viene a donarci anche la Grazia per amare e obbedire, accogliere e donarsi; è come quando ci viene presentato il corpo di Cristo perché sia accolto dal nostro amen, il sigillo di fede che riconosce in quel corpo la nostra stessa vita compiuta nell'amore e nel dono di se stessi, allo stesso modo quando la moglie o il figlio, il collega o la fidanzata, la malattia o l'imprevisto bussano alla nostra porta, Dio viene con ogni persona e ogni evento a far fruttificare il seme deposto nel tempo; la storia ci è data perché apra il nostro cuore, la nostra mente e il nostro cuore perché accolgano la Grazia e dicano l'amen, confessino la fede nella fedeltà e nel potere di Dio, e consegnino a Dio il frutto da Lui curato e compiuto. Invece, al colmo dell'inganno, stravolgiamo il disegno di Dio, e, alla gratuità, rispondiamo con la durezza dell'esigenza che si fa violenza e morte. 

Ma anche oggi il Vangelo è una buona notizia. E' vero, siamo infedeli, abbiamo ucciso il Figlio. Ma Dio lo ha risuscitato! Sì, proprio quando sembrava essere accaduto l'ineluttabile, Dio ha cambiato ancora una volta la nostra sorte, facendo della Pietra scartata il cardine della storia, della nostra, come di quella del mondo. Guai a chi oggi ride beffardo, guai a chi banchetta lautamente offrendo tutto a se stesso, guai a chi pone a fondamento una pietra diversa da Cristo, friabile sabbia incapace di resistere alle tempeste! Guai a ciascuno di noi! Ma è un guai pieno di misericordia, è un guai rivolto "contro" il nostro uomo vecchio, testardo e duro di cuore. Sarà ucciso nella misericordia che ancora oggi ci viene a cercare, come quando il Signore ha cercato Adamo nel giardino, come quando Gesù ha cercato Pietro sulle rive del Mare di Galilea. E' mirabile il suo amore per noi: è infinito e viene donarci la sua eredità tra i santi, la vita che non muore, quella che da frutto a suo tempo, dove ogni tempo è il suo tempo. E' mirabile il suo amore, accogliamolo oggi, così come siamo, senza porre condizioni, nella semplicità e nell'umiltà di chi riconosce la propria indegnità. Possiamo allora chiederci che cosa abbiamo fatto dei tanti profeti, delle tante parole, dei segni inviati alla nostra vita. Possiamo guardare con sincerità alla nostra vita e scoprire forse come spesso l'invidia ci ha impedito di accogliere la Parola di Verità che Dio ci ha annunciato in diversi modi. Una Parola che anche oggi, attraverso eventi e persone ci cerca per condurci alla conversione. La stiamo rifiutando? Stiamo forse scartando la pietra che Dio ha pensato quale testata d'angolo della nostra vita? Il matrimonio concreto che siamo chiamati a vivere, con il concretissimo marito, con la concretissima moglie, con questi figli, con questi parenti. Con i loro difetti, con il loro carattere. Non sarà che stiamo rigettando quello che, credendoci sapienti costruttori dei nostri destini, ci infastidisce, ci limita, ci umilia e che invece l'unico Autore della Vita e della storia ha stabilito per noi come il fondamento dell'esistenza? Le situazioni che non digeriamo, il lavoro, lo studio, il nostro aspetto fisico, la missione, i fratelli con i quali siamo chiamati a vivere.... E scoprire che tutto questo è proprio il dono che Dio ci ha fatto perché, fondando la nostra vita su Gesù, con la caparra dell'eredità che il nostro cuore desidera tanto, possiamo dar frutto. In ogni evento che ci crocifigge infatti, è scolpita la Croce di Cristo, il luogo eletto da Dio perché possiamo sperimentare la sua vittoria sulla morte e il peccato. In ogni persona, in ogni evento è nascosto Cristo. Rifiutarlo è la vera radice delle nostre sofferenze. Chiediamo allora al Padre la Grazia di non rifiutare e disprezzare nulla della nostra vita, di stringerci invece a Cristo e con Lui, già vittorioso su morte e peccato, entrare nella vita quotidiana quali cristiani, cioè appartenenti a Cristo, uomini nuovi capaci di essere crocifissi in ogni evento, e lì, sulla Croce, amare, donare la vita, mostrare al mondo il Cielo a cui siamo destinati, e compiere la missione della nostra primogenitura, annunciare a tutti "la benedizione di Abramo", il frutto che Dio, con ogni uomo, aspetta da noi. Così potremo comprendere anche quello che sta accadendo nella storia che siamo chiamati a vivere, il rifiuto che patisce la Chiesa. Accogliendo Cristo e la sua Croce nella nostra vita saremo automaticamente partecipi del suo destino, completando in questa generazione ciò che manca alla sua passione, per la Chiesa e per il mondo. La nostra vita acquista così un senso nuovo, nelle persecuzioni, le incomprensioni e i rifiuti. Non si tratterà di crociate, ma di amare ello stesso amore con il quale siamo amati. Offrire la nostra vita, la vita di Cristo in noi, per la salvezza di ogni uomo, rifiutati e scartati come e con Lui. E' questa l'opera di Dio, il miracolo di Pentecoste, la meraviglia unica ed irripetibile agli occhi del mondo. Un amore più forte della morte, capace di trascinare con sé i brandelli perduti di questa generazione. Rifiutati perchè corpo di Gesù siamo invece, di più, ogni istante della nostra vita è già un frammento della Pietra angolare che salva il mondo.



APPROFONDIMENTI



Nessun commento: