Trafitti dall'amore nel cuore di Cristo
αποφθεγμα Apoftegma
Ha detto "aprì". Voleva indicare che lì si era aperta la porta della vita,
da dove fluirono i sacramenti della Chiesa,
senza dei quali non si entra nella vita che è la vita vera.
S. Agostino
Fratelli è arrivato per noi il “giorno solenne”, il giorno
del compimento di ogni Parola della Scrittura. Osserviamo la scena del brano
che la Chiesa ha scelto per celebrare la Solennità del Sacratissimo Cuore di
Gesù. Pochi momenti prima Gesù aveva detto “tutto è compiuto”, e “chinato il
capo” era “spirato”. Sotto la superficie delle normali operazioni per le
condanne a morte per crocifissione in uso presso i romani, è celato proprio l’“adempimento del mistero
nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore dell’universo”. E in che cosa
consiste il “compimento della Scrittura” di cui Giovanni ci “dà testimonianza
perché anche noi crediamo”? Che cosa “ha visto” di così decisivo al punto di mettersi
in gioco con una “testimonianza” che afferma perentoriamente di essere “vera”
perché suffragata dalla sua esperienza diretta e personale? Un cuore che ha smesso di battere trafitto
da una lancia. Come? Tutta la Scrittura si compie in un morto? Sì fratelli, e
proprio per questo oggi è il “giorno solenne”, il “grande sabato”, perché
“l’Agnello ha redento il gregge, Cristo l’innocente ha riconciliato noi
peccatori al Padre” (Inno “Alla Vittima Pasquale”). Quello indicato da
Giovanni, infatti, era “il giorno della preparazione” della Pasqua, e
quell’anno cadeva di “sabato”. Che strana coincidenza, proprio un “mistero”.
“Shabbat” è il ”settimo giorno” in cui “Dio portò a termine la sua opera, e
cessò ogni suo lavoro. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò” (Gen
2,2-3). In questa benedizione e consacrazione la tradizione di Israele ha visto
un’altra opera di Dio: “Dopo i sei giorni della creazione, che cosa mancava
ancora nell’universo? La “menuchà”. Venne il Sabato, venne la menuchà, e
l’universo fu completo” (da A. J Heshel, Il Sabato). Per Israele, dunque, il
compimento dell’opera di Dio ha relazione con la “menuchà”, che non è un
semplice riposo fisico: “che cosa è stato creato il settimo giorno? La
tranquillità, la serenità, la pace e il riposo” (Gen Rabbà, 10,9). Nel corso
del tempo la “menuchà” divenne un sinonimo della vita dopo la morte, la sorgente dell’eternità”. Ma quel “sabato”, di
certo la sera della sua vigilia perché gli ebrei contano i giorni iniziando dal
loro vespro, era “solenne” perché coincideva con il giorno della “preparazione”
della Pasqua, nel cui pomeriggio si sacrificavano gli agnelli pasquali.
Sappiamo che Giovanni Battista vedendo Gesù venire verso di lui per farsi
battezzare dice: “ecco l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”. Ed ecco
dove è celato il “mistero” che oggi la Chiesa ci svela: in “quel “giorno
solenne”, il sabato della “menuchà”, profezia e anticipo della vita eterna, è
coinciso con il sacrificio di Cristo, l’agnello mite a cui “non è stato
spezzato alcun osso”. Ciò significa che il “disegno eterno” di Dio era quello
di ricondurci presso di Lui nel riposo del “giardino di Eden”, da dove ci
“scacciò, perché lavorassimo il suolo da dove eravamo stato tratti” (Gen 3,23).
E lo ha “attuato in Cristo Gesù nostro Signore”, che, offrendosi in sacrificio, “ci dà coraggio di
avvicinarci a Dio per la fede in Lui”. Fratelli, non è oggi la nostra vita un
faticosissimo “lavoro” con la testa china sul “suolo”, obbligati a contemplare
la precarietà di cui siamo fatti? Possiamo oggi ripetere con Qoelet: “Ho visto
tutte le cose che si fanno sotto il sole ed ecco tutto è vanità e un inseguire
il vento. Sono giunto al punto di disperare in cuor mio per tutta la
fatica... Quale profitto c'è per l'uomo in tutta la sua fatica e in tutto
l'affanno del suo cuore? Tutti i suoi giorni
non sono che dolori e preoccupazioni penose; il suo cuore non riposa neppure di
notte”. Non riusciamo proprio a “riposare” perché il nostro cuore è gravemente
malato. Il demonio ci ha ingannato, e per questo oggi siamo fuori dal Paradiso.
Il Dio della vita
ci ha creati per essere “fecondi e moltiplicarci” e invece che cos’è oggi la
nostra vita? No aspetta, non pensare che hai tanti figli e fai molte cose per
gli altri; rifletti se per caso non stai giudicando un fratello, se hai pensato
male di qualcuno, se hai parlato male di lui. Dai, che in questo, purtroppo, ci
siamo dentro tutti. E chi non ama è nella morte dice San Giovanni. Ma proprio
per questo egli “ha visto” in Gesù morto e trafitto dalla lancia il segno del
compimento della Scrittura.
“Era già morto”, era già entrato nella nostra
situazione; aveva cioè già oltrepassato la barriera che ci separava dalla vera
vita; e proprio in quel momento, “il colpo di lancia squarciò il suo cuore, e
dalla sacca del pericardio uscì sangue ed acqua. Da tale dettaglio si deduce
che Gesù era morto di crepacuore o di infarto, o più esattamente di
“emopericardio postinfartuale” come spiegano i medici esperti di sindonologia”
(S.A. Panimolle). Come il velo del Tempio nell’istante della sua morte, il suo
cuore si era squarciato per amore, per dischiuderci le porte del Santo dei Santi, l'unico luogo dove si poteva chiamare Dio per nome. Questo amore fratelli, è il “mistero” nascosto
agli intelligenti e ai sapienti di questo mondo che la Chiesa ci rivela oggi.
Un amore che ha spezzato il cuore di Cristo perché la morte lo potesse
afferrare per deporlo accanto a noi. E morto nella nostra morte ha lasciato che
la “lancia” affilata da tutti i nostri peccati “aprisse” lo scrigno dove
custodiva i suoi tesori di Grazia preparati per noi. Doveva essere “già morto”
per effondere su di noi il “sangue” della sua vita offerta per lavare i nostri
peccati, e “l’acqua”, immagine nel Vangelo di Giovanni dello Spirito Santo.
Sant’Ippolito scriveva: “per mezzo del sangue noi abbiamo l’acqua dello
Spirito”, perché solo dopo che il sangue di Gesù ha sradicato in noi la radice
del peccato che ci ha fatto morire, possiamo rinascere con Lui e ricevere la
vita nuova dello Spirito Santo: “Come il fianco di Adamo fu
toccato da Dio durante il sonno, così Cristo ci ha dato il sangue e l’acqua
durante il sonno della sua morte. Vedete in che modo Cristo unì a sé la sua
Sposa, vedete con quale cibo ci nutre. Per il suo sangue nasciamo, con il suo
sangue alimentiamo la nostra vita. Come la donna nutre il figlio col proprio
latte, così Cristo nutre costantemente col suo sangue coloro che ha rigenerato”
(San Giovanni Crisostomo). Allora coraggio fratelli, qualunque sia oggi la nostra
situazione, non dobbiamo far altro che “guardare a Colui che abbiamo trafitto”. Giovanni cita un
passo del Profeta Zaccaria che parla della contemplazione di un “trafitto” dal
quale si sarebbe “riversato su
Gerusalemme” e su tutti “uno
spirito di grazia e di consolazione” (cfr. Zc 12,10). Il profeta si riferisce
alla morte violenta del
re Giosia, che Dio ha lasciato giustiziare dagli egiziani, nonostante “prima e
dopo di lui non fosse esistito nessun re che come lui si era convertito al
Signore” (cfr. 2 Cr. 35,1ss). L’evangelista ha visto in lui la profezia
dell’Agnello di Dio che, innocente, si è lasciato trafiggere dalle nostre
iniquità. E l’ha vista compiuta in “quel sabato solenne” che oggi ci viene
incontro con questa Solennità. Ancora oggi gli
ebrei il venerdì sera pregano dicendo “accoglici sotto la tenda della tua
pace”. Gesù è ora accanto a ciascuno di noi, ha posto la sua “tenda” nel
nostro matrimonio, nella malattia e nei fallimenti; si è fatto peccato e
maledizione perché i nostri peccati e la morte non ci impedissero di essere
accolti “sotto la tenda della sua pace”. Lo abbiamo già trafitto, vero? Allora,
per entrare nel Sabato eterno che abbiamo perduto, basta solo inginocchiarsi come il soldato nel film di Mel Gibson, e
lasciarsi bagnare e pervadere sin dentro il nostro cuore dal “sangue” e
dall’“acqua” che, nei sacramenti, sgorgano dal suo cuore. Così, il suo stesso
cuore batterà in noi, la nostra carne sarà irrorata dal suo sangue, e Cristo
sarà vivo in ogni istante della nostra vita. Allora potremo compiere nell’amore
sino alla morte tutta la Scrittura, perché il prossimo possa contemplare in noi
Colui che ha trafitto, e conoscere così il disegno di salvezza che Dio ha per
lui.
QUI MOLTI APPROFONDIMENTI
L'ANNUNCIO |
Era il giorno della Preparazione e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via.
Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all'altro che era stato crocifisso insieme con lui.
Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua.
Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera e egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate.
Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso.
E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto.
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