10 agosto. San Lorenzo diacono e martire





αποφθεγμα Apoftegma

    
«Abisso chiama abisso» (Sal 41,8). È laggiù, in quelle profondità, che avverrà l’urto divino, 
che l’abisso del nostro nulla, della nostra miseria, 
urterà contro l’abisso della misericordia, dell’immensità, del tutto di Dio
È laggiù che troveremo la forza di morire a noi stessi 
e che, perdendo le nostre tracce, saremo cambiati in amore.

Beata Elisabetta della Trinità



Come San Lorenzo che celebriamo oggi, siamo chiamati a entrare nella terra dove il "Seminatore" ci ha seminato. Dove sei "caduto" oggi come un "chicco di grano"? Nella tua famiglia, nel tuo fidanzamento, nella tua comunità cristiana, in quell'ufficio. Ogni centimetro della tua storia, infatti, è la "terra" dove ogni giorno il Signore ti depone perché tu vi muoia. Hai pensato a questo quando ti sei svegliato? Forse no. Anzi, è più facile che abbia pensato il contrario, a come evitare di morire, perché la morte significa tomba, e tomba significa solitudine. Invece oggi il Signore ci dice che proprio chi non muore rimane solo! Proprio un fidanzato che non si sacrifica mortificando la sua libidine rimane solo, mentre invece è convinto che possedendo la fidanzata nell'unione sessuale sconfiggerà la solitudine... E così per una coppia sposata e per un prete. Sì fratelli, morire ci fa paura perché siamo ancora schiavi dell'inganno del demonio. Il serpente, infatti, non a caso striscia sulla "terra", pronto a morderci e a iniettarci il veleno dell'incredulità con la sua lingua di menzogna. E cos' accade che, pur seminati, non ci lasciamo seppellire nelle profondità della terra, e continuiamo a vivere infecondi. "Amiamo" la "nostra vita", i desideri, i criteri, i sentimenti, senza renderci conto di respingere così la "vita eterna". Per questo ci sentiamo così spesso soli, e le ingiustizie che subiamo hanno il potere di ucciderci, come i rifiuti, le incomprensioni, le umiliazioni. 

Ma no fratelli, anche Lorenzo era stato seminato a Roma a servizio del Papa Sisto II. Ma ciò significava che aveva fatto l'esperienza che Cristo aveva dato la sua vita per lui! Il Padre, infatti, non semina qualsiasi "chicco", ma solo "chicchi di grano", ovvero quelli che portano in sé la stessa natura di Cristo, il "Chicco" per eccellenza. Hai sperimentato o no che Lui si è lasciato seppellire nei tuoi peccati, e che proprio nella tua tomba ti ha preso per mano ed è risuscitato vittorioso dalla morte e dalla solitudine "portando" alla luce della vita che non muore il "molto frutto" che eri tu? Se lo hai dimenticato perché di nuovo il serpente ti ha morso non temere! Coraggio, il Signore ti aspetta ancora nella terra che hai davanti. Scendi nelle profondità del tuo matrimonio, del tuo fidanzamento, della relazione con i tuoi figli e con i fratelli, del tuo lavoro e della tua malattia. Scendi e "odia la tua vita in questo mondo", rinnega cioè il tuo "io" e fai posto a quello di Cristo. Lui è già sceso dove ora ti sta chiamando ad inoltrarti. Perché "morire" significa "seguirlo" e "servirlo", offrire te stesso senza riserve. Come Lorenzo, che nel buio e nell'umidità della cella ha scoperto la "terra" dove "morire" per "non restare solo". In essa, infatti, ha potuto annunciare il Vangelo e battezzare un altro carcerato che ha riacquistato la vista... E la sua testimonianza ha convertito addirittura il carceriere, che ha finito con il morire martire anche lui... Allora, entra nella terra, e muori; prendi su di te l'ingiustizia e il rifiuto, così salverai i tuoi figli. Scendi nella terra e mortifica la tua carne, così "porterai" come "frutto" la tua fidanzata o il tuo fidanzato, vi unirete cioè nella "vita" vera, quella eterna di Cristo che significa pace, verità, libertà, amore autentico nel "servizio" e nel dono reciproco. Coraggio, "seguiamo" il Signore dove la nostra carne non vorrebbe, e sperimenteremo in noi la sua "vita", perché dove Lui "è" anche noi "saremo"... E questo sarà il nostro martirio, la testimonianza che il mondo aspetta dai cristiani. 


QUI GLI APPROFONDIMENTI SU SAN LORENZO





L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Giovanni 12,24-26. 

In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. 
Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. 
Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà. 








Benedetto XVI Il Martirio

Dove si fonda il martirio? La risposta è semplice: sulla morte di Gesù, sul suo sacrificio supremo d’amore, consumato sulla Croce affinché noi potessimo avere la vita (cfr Gv 10,10). Cristo è il servo sofferente di cui parla il profeta Isaia (cfr Is 52,13-15), che ha donato se stesso in riscatto per molti (cfr Mt 20,28). Egli esorta i suoi discepoli, ciascuno di noi, a prendere ogni giorno la propria croce e seguirlo sulla via dell’amore totale a Dio Padre e all’umanità: “chi non prende la propria croce e non mi segue – ci dice, – non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 10,38-39). E’ la logica del chicco di grano che muore per germogliare e portare vita (cfr Gv 12,24). Gesù stesso “è il chicco di grano venuto da Dio, il chicco di grano divino, che si lascia cadere sulla terra, che si lascia spezzare, rompere nella morte e, proprio attraverso questo, si apre e può così portare frutto nella vastità del mondo” (Benedetto XVI, Visita alla Chiesa luterana di Roma [14 marzo 2010]). Il martire segue il Signore fino in fondo, accettando liberamente di morire per la salvezza del mondo, in una prova suprema di fede e di amore (cfr Lumen Gentium, 42).
Ancora una volta, da dove nasce la forza per affrontare il martirio? Dalla profonda e intima unione con Cristo, perché il martirio e la vocazione al martirio non sono il risultato di uno sforzo umano, ma sono la risposta ad un’iniziativa e ad una chiamata di Dio, sono un dono della Sua grazia, che rende capaci di offrire la propria vita per amore a Cristo e alla Chiesa, e così al mondo. Se leggiamo le vite dei martiri rimaniamo stupiti per la serenità e il coraggio nell’affrontare la sofferenza e la morte: la potenza di Dio si manifesta pienamente nella debolezza, nella povertà di chi si affida a Lui e ripone solo in Lui la propria speranza (cfr 2 Cor 12,9). Ma è importante sottolineare che la grazia di Dio non sopprime o soffoca la libertà di chi affronta il martirio, ma al contrario la arricchisce e la esalta: il martire è una persona sommamente libera, libera nei confronti del potere, del mondo; una persona libera, che in un unico atto definitivo dona a Dio tutta la sua vita, e in un supremo atto di fede, di speranza e di carità, si abbandona nelle mani del suo Creatore e Redentore; sacrifica la propria vita per essere associato in modo totale al Sacrificio di Cristo sulla Croce. In una parola, il martirio è un grande atto di amore in risposta all’immenso amore di Dio.


APPROFONDIMENTI


Lorenzo nacque a Osca (Huesca), città della Spagna, nel 225. Venuto a Roma, centro della cristianità, si distinse per la sua pietà, carità verso i poveri e l’integrità di costumi.
S.Lorenzo
A 32 anni, Lorenzo, grazie alle sue doti, fu nominato da Papa Sisto II Diacono della Chiesa con la responsabilità delle opere di carità nella diocesi di Roma. Doveva sovrintendere all’amministrazione dei beni, accettare le offerte e custodirle, provvedere ai bisognosi, agli orfani e alle vedove. Per queste mansioni Lorenzo fu uno dei personaggi più noti della prima cristianità di Roma ed uno dei martiri più venerati, tanto che la sua memoria fu ricordata da molte chiese e cappelle costruite in suo onore nel corso dei secoli.
Già prima che Sisto ascenda al soglio pontificio, l’Imperatore Valeriano pubblica un primo editto di persecuzione contro i cristiani. Nonostante ciò, per almeno un anno, l’opera pastorale di Sisto e l’intensa attività di Lorenzo si svolgono senza eccessivi intoppi.
Ma nei primi giorni dell’agosto del 258, un nuovo più feroce editto di Valeriano ordina l’immediata messa a morte di tutti i vescovi, presbiteri e diaconi e la confisca dei beni in loro disponibilità a favore dell’erario imperiale.
Sisto fu il primo a cadere, decapitato, insieme con sei dei suoi diaconi, il 6 agosto.
Lorenzo fu subito catturato e dato in custodia al centurione Ippolito, che lo rinchiuse in un sotterraneo del suo palazzo; in questo luogo buio, umido e angusto si trovava imprigionato anche un certo Lucillo, privo di vista. Lorenzo confortò il compagno di prigionia, lo incoraggio, lo catechizzò alla dottrina di Cristo e, servendosi di una polla d’acqua che sgorgava dal suolo, lo battezzò. Dopo il Battesimo Lucillo riebbe la vista. Il centurione Ippolito visitava spesso i suoi carcerati; avendo constatato il fatto prodigioso, colpito dalla serenità e mansuetudine dei prigionieri, e illuminato dalla grazia di Dio, si fece Cristiano ricevendo il battesimo da Lorenzo. In seguito Ippolito, riconosciuto cristiano, fu legato alla coda di cavalli e fatto trascinare per sassi e rovi fino alla morte. A Lorenzo si offrì salva la vita purché consegnasse i tesori della Chiesa entro tre giorni.
Alla scadenza del 10 agosto, dunque, il santo si presenta seguito dalla turba dei diseredati cui presta assistenza ogni giorno: Ecco – egli dice – questi sono i nostri tesori. Sono tesori eterni, non vengono mai meno, che anzi aumentano sempre, alludendo al fatto che sempre vi saranno uomini e donne offesi dal bisogno e dalla miseria.
Lorenzo fu bruciato vivo sulla graticola, in luogo poco lontano dalla prigione; l suo corpo fu portato al Campo Verano, nelle catacombe di Santa Ciriaca.
La leggenda, diffusamente alimentata dal quell’Ambrogio vescovo di Milano nel suo De Officiis, narra dell’incontro di Lorenzo con il suo vescovo condotto al martirio. Dove vai, padre, senza il tuo figlio? Dove ti affretti, o santo vescovo, senza il tuo diacono?, esclama Lorenzo, rivendicando il diritto di morire con lui, se non prima di lui o addirittura in sua vece.
E ricorda l’esempio di Abramo che offrì a Dio il sacrificio del figlio Isacco o quello di san Pietro, che si fece precedere nella testimonianza di fede dal giovinetto protomartire Stefano.
Solo la risposta di Sisto, che gli assicura che a lui saranno riservate ben presto prove anche più aspre, acquieta l’ansia eroica del nostro santo.
Questa la tradizione, della quale non vi è, però, alcuna certezza; che anzi molti sono gli storici che sostengono che venisse invece decapitato. Ma tant’è. L’iconografia tradizionale e quella ufficiale ritraggono il Santo con la palma del martirio e la graticola che indica la tecnica del supplizio. E si racconta che il santo, con allegra spavalderia da giovane spaccone, si rivolgesse ai suoi aguzzini invitandoli a girarlo sulla graticola che “da questa parte son già cotto; giratemi e poi mangiatemi!”.
Ancora la memoria popolare, che sempre si nutre delle più sfrenate fantasie, testimonia che il corpo del santo, ben cotto, fu distribuito tra i poveri perché se ne cavassero la fame, quasi ultimo atto della sua quotidiana pratica di carità. Al momento che spirava, si dice poi che un soldato romano raccogliesse uno straccio intriso di alcune gocce di sangue e grasso, che colavano dalla graticola, recandolo poi al paese che allora da allora si chiamò Castrum Sancti Laurentii, oggi Amaseno, nel frusinate. Naturalmente il patrono di Amaseno è San Lorenzo e qui, ogni 10 agosto, si ripete il miracolo della liquefazione del sangue che intride la sacra reliquia, né più né meno di quel che accade con il sangue di San Gennaro.
Patrono di Grosseto, che gli dedica il Duomo d’impianto romanico; patrono di Roma, sia pure in compagnia di Pietro e Paolo e anche di Perugia, con san Costanzo e sant’Ercolano e patrono di Rotterdam, San Lorenzo è protettore dei lavori che si fanno col fuoco: è il santo dei pompieri, dei lavoratori del vetro, dei cuochi, dei rosticcieri. Ama la notte, Lorenzo, non ne vede la tenebra: La mia notte non ha oscurità, ma tutte le cose divengono chiare nella luce, afferma nella sua Liturgia delle Ore, Vespri, 10 agosto. Forse anche per questa lucida visione delle cose, che sconfigge anche l’oscurità della notte, Lorenzo è patrono di bibliotecari e librai, custodi del sapere racchiuso nei libri.
Se la notte è serena, ogni 10 agosto lo sguardo della gente fruga il cielo notturno e ciascuno cerca la stella cui affidare qualche modesto, riposto desiderio.



ATTI DEI SANTI MARTIRI
SISTO PAPA, FELICISSIMO, AGAPITO E LORENZO DIACONI




Sul finire del mese di agosto del 258, san Cipriano[1] scrisse al vescovo Successo per riferirgli quanto appreso sulla nuova persecuzione scatenata contro i cristiani: “Valeriano, ha inviato un suo rescritto al Senato, dando ordine che i vescovi, i sacerdoti e i diaconi siano giustiziati immediatamente”. Quindi aggiunge quanto appreso sulla comunità cristiana di Roma: “Vi comunico che Sisto ha subito il martirio con quattro diaconi otto giorni prima delle idi di agosto, mentre si trovava nella zona del cimitero[2]. Le autorità di Roma hanno come norma che quanti vengono denunciati quali cristiani, debbano essere giustiziati e subire la confisca dei beni a beneficio dell’erario imperiale”. Il 6 agosto, Sisto II vescovo di Roma antica, era stato catturato durante l’assemblea liturgica nel cimitero di Pretestato[3] e, in seguito, lì decapitato insieme con i diaconi Gennaro, Magno, Stefano e Vincenzo. Sempre a Pretestato compirono il martirio anche Agapito e Felicissimo, mentre l’arcidiacono Lorenzo soffrì la passione quattro giorni più tardi, dopo essere stato sottoposto ad atroce tortura. Ci troviamo di fronte ad una delle pagine più gloriose della storia della Chiesa durante le persecuzioni romane. Cipriano fonda su questa testimonianza il suo invito ai cristiani d’Africa e di tutto l’ecumene “affinché in ogni luogo l’animo dei fratelli possa esserne corroborato e preparato per la lotta spirituale, e ciascuno dei nostri pensi più che alla morte all’immortalità, e consacrato a Dio con tutta la forza della fede e lo slancio d’amore, gioisca piuttosto che avere paura, in questa confessione, in cui sanno che i soldati di Dio e di Cristo non ricevono la morte, ma piuttosto la corona”[4].
Agli odierni cristiani d’Europa, lontani nella mente, nel cuore e nei luoghi da dove centinaia e centinaia di seguaci di Cristo soffrono le persecuzioni del 2000, può essere utile l’esortazione che il beato Agostino di Ippona rivolse ai suoi fedeli, ricordando il martire Lorenzo: “San Lorenzo era diacono della chiesa di Roma. Ivi era ministro del sangue di Cristo e là, per il nome di Cristo, versò il suo sangue. Il beato apostolo Giovanni espose chiaramente il mistero della Cena del Signore, dicendo: «Come Cristo ha dato la sua vita per noi, così anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1 Gv 3, 16). Lorenzo ha compreso tutto questo. L’ha compreso e messo in pratica. E davvero contraccambiò quanto aveva ricevuto in tale mensa. Amò Cristo nella sua vita, lo imitò nella sua morte. Anche noi se davvero amiamo, imitiamo. Non potremmo, infatti, dare in cambio un frutto più squisito del nostro amore di quello consistente nell’imitazione del Cristo, che «patì per noi, lasciandoci un esempio, perché ne seguiamo le orme» (1 Pt 2, 21). Il bel giardino del Signore possiede non solo le rose dei martiri, ma anche i gigli dei vergini, l’edera di quelli che vivono nel matrimonio, le viole delle vedove. Nessuna categoria di persone deve dubitare della propria chiamata: Cristo ha sofferto per tutti. Dunque cerchiamo di capire in che modo, oltre all’effusione del sangue, oltre alla prova della passione, il cristiano debba seguire il Maestro. L’Apostolo, parlando di Cristo Signore, dice: «Egli, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio. Ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso» (Fil 2, 7-8). Cristo si è umiliato: eccoti l’esempio da imitare”. E possa finalmente, a sconfitta del principe di questo mondo, essere accolta la preghiera del martire Lorenzo, affinché questa nuova espressione della Roma pagana che è oggi l’Europa atea ed anticristiana, lavata dal sangue dei martiri si pieghi, ed innalzi il giogo soave ed il carico leggero della salvifica Croce di Cristo.
La Chiesa Ortodossa celebra la memoria dei santi Sisto, Lorenzo, Felicissimo e Agapito il 10 Agosto.


Acta sancti Sixti papae et martyris

Il prefetto Volusiano avea fatto chiudere nel pubblico carcere il beato vecchio Sisto vescovo di Roma, con tutto il suo clero.
Gallieno Cesare chiamò a sé i prigionieri nel tempio di Tellure e disse a Sisto: “Sai tu perché sei qui?”.
Sisto: “Lo so”.
Gallieno: “Fa dunque che tutti lo sappiano, acciò tu viva e il tuo clero aumenti”.
Sisto: “Fo di tutto acciò il mio clero aumenti”.
Gallieno: “Dunque sagrifica agl’imperanti, e siedi tranquillamente principe de tuoi sacerdoti”[5].
Sisto: “Sagrificai, e, sinché sarò libero di farlo, sacrificherò una vittima pura[6] a Dio padre onnipotente, il mio signor Gesù Cristo”.
Gallieno lo fe’ tradurre a carcere privato co’ diaconi Felicissimo e Agapito.
Il beato Lorenzo arcidiacono diessi a seguirlo per via interpellandolo[7]: “Dove vai, o padre, senza del figlio? Dove, o sacerdote senza del diacono? Dove o celebrante senza l’acolito? Che cosa ti è spiaciuta in me? Ho io negato di versar teco il sangue, io che m’ebbi attribuzione di distribuire il sangue di Dio? Bada, ché la umiliazione del discepolo torna a disdoro del maestro. Abramo offerse il figlio; Pietro mandò innanzi Stefano; e tu o padre, rendi palese nel figlio la tua propria virtù; io ne conseguirò la corona, e tu ti sicurerai di non esserti ingannato nella scelta del tuo diacono”.
Sisto: “Non io ti abbandono, o Figlio, sibben ti lascio a combattimenti maggiori: a me annoso si addicono le pugne lievi; a te giovine sono serbati i trionfi gloriosi. Cessa dal piangere: soli tre giorni ti separeranno da me; un qualche intervallo sta bene che separi il vescovo dal diacono, e tu sei tale da non aver uopo di me sostenitore: il tuo martirio sarà più illustre del mio, perché non avrai compagni in subirlo: a che volermi presente? Elia rapito non trasmise ad Eliseo il proprio mantello? E tu profitta della dilazione per dividere tra’ poveri, secondo il tuo giudizio, il tesoro della nostra chiesa”.
Sisto, Felicissimo, e Agapito furono ricondotti al tempio di Tellure.
Gallieno: “Avemmo riguardo finora alla tua vecchiezza; arrenditi a’ nostri avvisi, e sagrifica”.
Sisto: “Provvedi a te stesso, infelice! Cessa di bestemmiare; e fa penitenza del sangue de’ santi che hai versato”.
Gallieno lo fece tradurre al tempio di Marte con ordine che, se non sacrificava, venisse spento. Ivi era precorso Lorenzo, che diessi a gridre: “Non abbandonarmi o padre, or che ho eseguita la tua commissione, e il denaro fu distribuito”.
I soldati udendo parlare di danaro poser le mani addosso a Lorenzo, e lo incatenarono.
Di Sisto, di Felicissimo, e d’Agapito[8] le teste furono troncate, e i corpi involati dai fedeli, e sepolti nel cemetero di Callisto.

Pensandosi il Prefetto di Roma che i Cristiani possedesser tesori, e stimandone depositario Lorenzo primo diacono della Chiesa Romana, lo interpellò dicendo: “Voi Galilei costumate lagnarvi di noi, e ci appellate crudeli; voglio chiarirvi bugiardi. Non si tratta di tormenti, ma di chiederti colle buone tal cosa che ti è agevole accordare. È noto, che, celebrando i vostri misteri, usate vasi di preziosi metalli, e candelabri gemmati; dovizie che vi provvengono da padri studiosi di lasciare i figli leggeri di censo, carichi di benedizioni. Trattasi di metter fuori questi tesori celati. So che avete per massima di dare a Cesare ciò ch’è di Cesare; or vedete combinazione propria! A Cesare occorrono precisamente oro ed argento; degnansi, pertanto, richiederne voi, a’ quali riescono superflui: il vostro Cristo si adoperò a spacciare parole, non a ragunar oro; su via dunque: datemi oro, e rimanetevi ricchi di parole”.
Lorenzo: “Confesso che la Chiesa Romana possiede tesori che avanzano di pregio i cesarei. Dammi agio di raccoglierli”.
Furongli accordati tre giorni, durante i quali perlustrò la città, e quanti infermi rinvennevi soccorsi dall’elemosine parochiali, altrettanti nel dì, e nell’ora fissata, raccolse nell’arci-diaconia. Venne, secondo il convenuto, il Prefetto, ed, a mirare quella moltitudine schifosa, diessi a furiosamente gestire, impedito per la rabbia dal parlare.
Lorenzo: “Perché sdegnato così? Mi domandasti i tesori della Chiesa Romana; eccoli”.
Il Prefetto fe’ distender Lorenzo su d’una graticola collocata sovr’accesi carboni. Il Martire, poiché vi stette alcun tempo, disse: “Da questa parte son cotto; voltatemi all’altra”; e poco dopo soggiunse: “Signor mio Gesù fa che Roma si pieghi al giogo della tua fede, acciò più facilmente il Vangelo si diffonda per tutta la Terra; cancella su queste mura la macchia della idolatria; compi sollecitamente l’opera che i Principi degli Apostoli intrapresero in nome tuo”; e spirò[9].


Da: Conte TULLIO DANDOLO, Roma Cristiana nei primi secoli, vol. II – Martiri, Assisi 1866, 122-125.
Introduzione e note a cura di © Tradizione Cristiana
[1] Cipriano sarà decapitato il 14 settembre dello stesso anno.
[2] Le catacombe di Roma sono state spesso ispirazione di storie avventurose. L’idea di un ritrovo segreto in cui primi cristiani si riunissero per evitare di essere scoperti dalle autorità ha acceso l’immaginazione di molti romanzieri. Ma è bene ricordare che le catacombe (o cimiteri, come venivano chiamati dai cristiani per distinguerli nella concezione teologica dalle necropoli pagane) furono utilizzate dai cristiani come luoghi di culto privato e principalmente per la sepoltura, non per la sinassi domenicale. D’altra parte le autorità Romane hanno sempre saputo dell’esistenza di questi luoghi di sepoltura e della loro ubicazione, poiché essendo previsti dalla legislazione in materia dovevano essere registrati. La comunità cristiana era solita celebrare la memoria dei defunti, in particolare dei martiri, sulle loro stesse tombe, un uso che è rimasto invariato ancora oggi nei cimiteri ortodossi, dove i parenti del defunto accompagnati da un sacerdote fanno celebrare sulla tomba del proprio caro il trisagion e benedire i colivi.
[3] Ubicato di fronte al cimitero di Callisto, sul lato sinistro della via Appia, dove sorse un oratorio in memoria di Sisto, Oratorium Xysti.
[4] San Cipriano, Epistola LXXX.
[5] Gallieno sembra non opporsi al culto di Cristo, purché esso divenga, come gli altri culti romani o a Roma tollerati, elemento portante, congruo ed organico al sistema dello Stato, e pertanto, come gli altri culti, anche quello a Cristo venga subordinato al culto dell’imperatore. Non a caso i cristiani di tutti tempi e di tutti i luoghi hanno sempre intravisto l’Anticristo nelle interscambiabili figure del cesaropapista e del papocesarista di turno, ovvero in tutti coloro ed in tutto ciò che, fuori e dentro la Chiesa, tende a sostituirsi o mettersi al di sopra di Cristo.
[6] Hostiam puram, hostiam sanctam, hostiam immaculatam, Panem sanctum vitae aeternae, et Calicem salutis perpetuae (Canone Romano).
[7] Il dialogo tra Lorenzo e Sisto fu ripreso da sant’Ambrogio nel De Officiis c. 41, nn. 205-206-207.
[8] Il corpo di Sisto fu traslato da Pasquale I dalla Cripta dei Papi, nel Cimitero di Callisto, alla cappella “iuxta ferrata”, dedicata a lui e a Papa Fabiano, in S. Pietro in Vaticano.
[9] Secondo la tradizione san Lorenzo fu sepolto da una matrona romana di nome Ciriaca in un terreno di sua proprietà, dove si sviluppò la catacomba omonima. San Costantino nel 330 fece edificare sulla cripta un oratorio. Sisto III (432-440) costruì una grande basilica con tre navate, con l’abside appoggiato all’antica chiesa, sulla sommità della collina dove Lorenzo fu seppellito. Accanto ad essa Pelagio II (579-590) fece costruire un’altra basilica. Nel XIII secolo Onorio III unificò i due edifici, che costituiscono l’odierna basilica di san Lorenzo fuori le mura.
Papa Damaso (366-384) fece affiggere sul sepolcro di san Lorenzo un’iscrizione marmorea, che recita





«Roma sarà una vera comunità cristiana, se Dio vi sarà onorato anche con l’amore ai poveri. Questi – diceva il diacono romano Lorenzo – sono i veri tesori della Chiesa». Così si esprimeva papa Luciani nel discorso del 23 settembre 1978, pronunciato in occasione della presa di possesso di San Giovanni in Laterano, Cattedrale di Roma. Anche Benedetto XVI nella sua enciclica Deus caritas est scrive: «L’attività assistenziale per i poveri e i sofferenti era parte essenziale della Chiesa di Roma. Questo compito trova una sua vivace espressione nella figura del diacono Lorenzo (Ö258). La descrizione drammatica del suo martirio era nota già a sant’Ambrogio (397) e ci mostra, nel suo nucleo, sicuramente l’autentica figura del Santo». 
Del diacono romano parliamo con padre Sergio Martina, cappuccino, che vive dal 1973 nel convento annesso alla Basilica di San Lorenzo fuori le Mura. 

Quali sono le fonti più antiche relative al martirio di Lorenzo? 
SERGIO MARTINA: San Lorenzo, insieme a sant’Agnese, è uno dei martiri più cari alla Chiesa di Roma, il terzo patrono della città insieme a Pietro e Paolo. Gli Atti del suo martirio non ci sono pervenuti, ma esiste una ricca tradizione che lega il suo ricordo a numerosi luoghi della città. La prima notizia che lo riguarda si trova nella Depositio Martyrum, datata al 354, che si limita a citare la festa del santo, il 10 di agosto («IIII id. aug., Laurenti in Tiburtina»), aggiungendo il riferimento al luogo della sepoltura, su cui la prima Basilica fu eretta, se non da Costantino, certamente già nel IV secolo. 

Siamo a un secolo di distanza dal martirio di Lorenzo… 
MARTINA: Lorenzo fu martirizzato durante la persecuzione di Valeriano, nel 258, tre giorni dopo il pontefice Sisto II, di cui era arcidiacono. Del ruolo da lui rivestito nella Chiesa di Roma fa cenno già il Martirologio geronimiano, redatto tra il 431 e il 450. La tradizione che lo riguarda, tutta incentrata sugli ultimi giorni della sua vita, è riportata più ampiamente da Ambrogio, sul finire del IV secolo, in un famoso passo del De officiis ministrorum. È Ambrogio a citare il dialogo tra Lorenzo e il papa Sisto II condotto al luogo del martirio, la previsione della sua imminente morte fattagli dal Pontefice e il motivo della sua condanna: l’imperatore intima al diacono di consegnargli i beni della Chiesa, Lorenzo distribuisce questi beni ai poveri e presenta al “tiranno” i poveri stessi, indicandoli così come il vero tesoro della Chiesa. Nel mondo cristiano furono molte migliaia le chiese erette in suo onore. Solo a Roma, nel Medioevo, se ne contavano circa quaranta. 

Possiamo citare le più significative? 

MARTINA: La più importante, ovviamente, è la Basilica di San Lorenzo fuori le Mura, che custodisce il corpo del martire. Alle sue reliquie papa Pelagio II, verso la fine del VI secolo, volle aggiungere quelle di santo Stefano protomartire per unire i due diaconi nella venerazione della Chiesa. Citerei poi San Lorenzo in Fonte, in via Urbana, nei pressi di Santa Maria Maggiore, costruita nel luogo in cui san Lorenzo, secondo una tradizione, fu tenuto prigioniero e convertì Ippolito, l’ufficiale che lo teneva sotto custodia. C’è poi la vicina San Lorenzo in Panisperna, eretta sul luogo del martirio. Quindi la chiesa di San Lorenzo in Lucina, dove è conservata la graticola che si vuole utilizzata per il martirio di Lorenzo. Non sappiamo se questa tradizione corrisponda al vero; stando al rescritto inviato dall’imperatore Valeriano al senato al principio dell’agosto 258, che ordinava l’immediata esecuzione capitale dei vescovi, dei presbiteri e dei diaconi, sembrerebbe da supporsi piuttosto la decapitazione. Ma non è da escludersi nemmeno che la decapitazione sia seguita alla tortura col fuoco, cosa non inusuale nelle esecuzioni. Quello che comunque è certo è che i cristiani di Roma furono fortemente colpiti dalla forza d’animo con cui il loro primo diacono aveva affrontato il martirio, tanto che Prudenzio attribuisce la conversione di Roma ai meriti di Lorenzo, presentandolo quasi come un novello fondatore della città. 
Vari altri luoghi sono poi connessi al culto delle reliquie del santo. 

Quali sono i più importanti? 
MARTINA: In Vaticano è custodito il capo di san Lorenzo. Vi fu portato sotto il pontificato di Sisto V e ancora oggi viene esposto alla venerazione dei fedeli il 10 agosto nella chiesa di Sant’Anna. Ma per ritornare, infine, alla Basilica di San Lorenzo fuori le Mura, nella cripta è esposta una pietra sulla quale sarebbe stato appoggiato il corpo di Lorenzo dopo il martirio. La sua attuale collocazione, in grande evidenza, fu voluta dal beato Pio IX, che era devotissimo a san Lorenzo e in particolare a questa reliquia. Spesso veniva a raccogliersi in preghiera qui, appoggiandovi sopra il capo. E qui volle essere sepolto, accanto a Lorenzo, come i primi cristiani, che aspiravano a riposare, in attesa della resurrezione, vicino ai corpi dei santi martiri.




SAN LORENZO
PROTO DIACONO DELLA CHIESA ROMANA


Don Francesco Moraglia
Docente di teologia sistematica
Genova

La storia della Chiesa ci ha consegnato grandi figure di vescovi e presbiteri che hanno contribuito ad illustrare sul piano teologico e pastorale il significato profondo del ministero ordinato. Per l'episcopato spiccano, fra le altre, le figure di Ireneo, Agostino, Winfrìdo-Bonifacio, Bartolomeo Las Casas, Ildefonso Schuster; per il presbiterato assumono rilievo, in epoca moderna e contemporanea, Filippo Neri, Giovanni Maria Vianney, Giovarmi Bosco, Pietro Chanel, Massimiliano Kolbe. Anche il ministero diaconale prende contorni più chiari se lo si considera alla luce delle figure dei grandi diaconi; è il caso, ad esempio, del martire Lorenzo, proto diacono della chiesa romana che, con Stefano e Filippo, è certamente una dei più famosi dell'antichità.
Il diaconato considerato in se stesso, come ministero permanente, non finalizzato al presbiterato, viene meno in occidente dopo che, fino al V secolo, era stata un'istituzione fiorente; ad iniziare da tale epoca - sostanzialmente per il maggior coinvolgimento dei presbiteri nell'attività pastorale -, il primo grado del sacramento dell'ordine si riduce a semplice tappa d'accesso al grado successivo: il presbiterato. Si può allora facilmente comprendere come mai l'istituzione diaconale, sul piano della riflessione teologica e della prassi pastorale, sia rimasta inibita, quasi fossilizzata.
A tale situazione, già nel XVI secolo, tentò dì reagire il concilio di Trento ma senza successo; bisognerà attendere il concilio Vaticano II, nella seconda metà del XX secolo, per vedere ristabilito il diaconato "come un grado proprio e permanente della gerarchia ..."; il testo della costituzione dogmatica Lumen Gentium, ancora al n. 29, subito dopo l'affermazione, precedente specifica: "… col consenso del romano pontefice questo diaconato potrà essere conferito ad uomini di più matura età anche viventi nel matrimonio, e cosi pure a giovani idonei, per i quali, però, deve rimanere ferma la legge dei celibato" (EV. 1/360).
Paolo VI, nella Lettera apostolica. Sacrum diaconatus ordinem -18 giugno 1967-, ribadisce che l'ordine del diaconato "...non deve essere considerato come un puro e semplice grado di accesso a! sacerdozio; esso, insigne per l'indelebile carattere e la particolare sua grazia, di tanto si arricchisce che coloro i quali. vi sono chiamati possono in maniera stabile dedicarsi 'ai misteri di Cristo e della Chiesa' "(EV, 2/1369).
Già il solo fatto che nella Chiesa latina per un periodo cosi lungo - quindici secoli -, il diaconato non si sia attuato nella forma permanente, lascia intuire che sul piano della riflessione teologica e della prassi pastorale è necessario recuperare il tempo perduto attraverso una riflessione ampia da parte di tutta la comunità ecclesiale. Il diaconato permanente, infatti, costituisce un importante arricchimento per la missione della Chiesa.
Ovviamente il ripristino del diaconato permanente, autorevolmente richiesto dall'ultimo concilio, non può che avvenire in armonia e continuità con l'antica tradizione. Oltremodo significative le parole della Congregazione per l'Educazione Cattolica a della Congregazione per il Clero, nella recente dichiarazione congiunta - del 22 febbraio 1998 -, dichiarazione posta all'inizio delle: "Norme fondamentali per informazione dei diaconi permanenti" e del "Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri"; tali parole risultano chiarificatrici e in grado di orientare per il futuro; in esse si dice: "è l'intera realtà diaconale (visione dottrinale fondamentale, conseguente discernimento vocazionale e preparazione, vita, ministero, spiritualità e formazione permanente) che postula oggi una revisione del cammino dì formazione fin qui percorso, per giungere ad una chiarificazione globale, indispensabile per un nuovo impulso di questo grado dell'Ordine sacro, in corrispondenza con i voti e le intenzioni del Concilio Ecumenico Vaticano II" (Norme fondamentali per la formazione da diaconi permanenti, Direttorio per il ministero e la vita dei diaconi permanenti. Città del Vaticano l998, pag. 7).
Riprendendo quanto detto circa le grandi figure di vescovi, presbiteri e diaconi che hanno illustrato ed inciso sul ministero ordinato, determinandone una comprensione più vera ed approfondita, risulta del tutto coerente soffermarsi sulla figura del diacono Lorenzo che nella sua vicenda personale spinge a ripensare il pruno grado dei ministero ordinato che, per le vicende storiche sopramenzionate, attende ancora oggi d'essere pienamente colto e valorizzato. Si tratta di dare nuova linfa ad un ritrovato ministero diaconale inteso come ministero permanente in grado d'esprimersi con maggiore fecondità nella vita della Chiesa.
Le vicissitudini personali di san Lorenzo, arcidiacono della Chiesa di Roma, ci sono giunte attraverso un'antica tradizione già divulgata nel IV secolo; tale tradizione accolta dalla Chiesa è stata anche recepita dai testi liturgici.
Le vicende più note del martirio di Lorenzo sono descritte, con ricchezza di particolari, nella Passio Polychromì di cui abbiamo tre redazioni (V-V11 secolo); che in questo racconto siano contenuti elementi leggendari è un dato di fatto anche se talune notizie qui presentate sono note anche da testimonianze precedenti come quella di sant'Ambnogio nel De Officiis (Cfr. PL XVL 89-92).
Partiamo, con l'intento di ampliarla, dalle brevi note riportate per la festa del martire che - secondo la "Depositio martyrum" (anno 354) - cade il 10 agosto; ecco le espressioni del Messale Romano: "Lorenzo, famoso diacono della chiesa di Roma, confermò col martirio sotto Valeriano (258) il suo servizio di carità, quattro giorni dopo la decapitazione di papa Sisto II. Secondo una tradizione già divulgata nel IV secolo, sostenne intrepido un atroce martirio sulla graticola, dopo aver distribuito i beni della comunità ai poveri da lui qualificati come veri tesori della Chiesa...". Queste note si chiudono ricordando che il nome di Lorenzo è menzionato anche nel Canone Romano.
Così la Chiesa, nei suoi testi liturgici ufficiali, fa suo quanto riferisce l'antica tradizione che, pure, conosce al suo interno versioni diverse. Qui non intendiamo entrare in merito alle ipotesi recentemente avanzate dalla critica storiografica che inclinerebbe a spostare la data del martirio di Lorenzo all'inizio del IV secolo e a caratterizzarne la figura secondo linee diverse da quelle tradizionali; per esempio, Lorenzo non sarebbe spagnolo ma romano, a tale proposito il prefazio della mensa XII del Sacramniarìo leoniano lo presenta come civis romano. Ma, come annota Paolo Toschi, tutti questi nuovi studi: ''non tolgono a priori la possibilità che in Roma esistesse una vera e propria tradizione, esposta con evidenti abbellimenti retorici da sant'Ambrogio, circa la tragica cattura e la fine di san Lorenzo proprio per mezzo del fuoco, supplizio che si sa inflitto, sempre sotto Valeriano, a san Fruttuoso e ai diaconi Eulogio e Augurio a Tarragona. D'altronde il verbo animadvertere adoperato nel decreto dì persecuzione nella redazione ciprianea può riferirsi anche ad altre forme di esecuzioni capitali oltre la 'decollazione' "(Bibliotheca Sanctorum, vol. … 1539).
Recepiamo, qui, il dato tradizionale così come viene riportato dai testi liturgica, limitandoci a proporlo in modo più articolato.
Così Lorenzo sarebbe nato in Spagna, ad Osca cittadina dell'Aragona che sorge alle falde dei Pirenei. Ancora giovane, per completare gli studi umanistici e teologici fu mandato nella città di Saragozza, dove conobbe il futuro papa Sisto II. Questi - originario della Grecia -, svolgeva il suo ufficio d'insegnante in quello che era, all'epoca, uno dei più noti centri di studi e, tra quei maestri, il futuro papa era uno dei più conosciuti ed apprezzati.
Da parte sua Lorenzo, che un giorno sarebbe diventato il capo dei diaconi della Chiesa di Roma, si imponeva per le sue doti umane, per la delicatezza d'animo e l'ingegno. Tra il maestro e l'allievo iniziò, cosi, una comunione e una dimestichezza di vita che, col passare del tempo, crebbe e si cementò; intanto, l'amore per Roma, centro della cristianità e città sede del Vicario di Cristo si faceva, per entrambi, più forte, fino a quando, seguendo un flusso migratorio allora molto vivace, essi lasciarono la Spagna per la città dove l'apostolo Pietro aveva posto la sua cattedra e reso la suprema testimonianza. Così maestro e allievo proprio a Roma, nel cuore della cattolicità, potevano realizzare il loro ideale di evangelizzazione e missionarietà ... fino all'effusione del sangue. Quando il 30 agosto dell'anno 257, Sisto II salì il soglio di Pietro - per un pontificato che sarebbe duralo meno di un anno -, subito, senza esitare, volle accanto a sé, affidandogli il delicato incarico di proto diacono, l'antico discepolo e amico Lorenzo.
I due, infine, suggellarono la loro vita di comunione e amicizia morendo per mano dello stesso persecutore, separati solamente da pochi giorni.
Della fine di papa Sisto II abbiamo notizie in una lettera di san Cipriano, vescovo di Cartagine. Cipriano, parlando della situazione di grande incertezza e disagio in cui versavano le Chiese a causa della crescente ostilità verso i cristiani, annota: "L'imperatore Valeriano ha spedito al senato il suo rescritto col quale ha deciso che vescovi, sacerdoti e diaconi siano subito messi a morte ... - poi la testimonianza di Cipriano continua - ... vi comunico che Sisto ha subito il martirio con quattro diaconi il 6 agosto, mentre si trovava nella zona del cimitero. Le autorità di Roma hanno come norma che quanti vengono denunciati quali cristiani, debbano essere giustiziati e subire la confisca dei beni a beneficio dell'erario imperiale" (Lettera 80; CSEL 3,839-840).
Il cimitero a. cui allude il santo vescovo di Cartagine è quello di Callisto, dove Sisto fu catturato mentre celebrava la sacra liturgia e dove fu sepolto dopo il martirio.
Invece, per il martirio del diacono Lorenzo, abbiamo la testimonianza particolarmente eloquente di sant'Ambrogio nel De Officiis (1 41,205-207), ripresa, in seguito, da Prudenzio e da sant'Agostino, poi ancora da san Massimo di Torino, san Pier Crisologo, san Leone Magno, infine da alcune formule liturgiche contenute nei Sacramentali romani, nel Missale Gothicum e nell'Ormionale Visigotico (Bibliotheca Sanctorum, vol. ..., 1538-1539).
Ambrogio si dilunga, dapprima, sull'incontro e sul dialogo fra Lorenzo e il Papa, poi allude alla distribuzione dei beni della Chiesa ai poveri, infine menziona la graticola, strumento del supplizio, rimarcando la frase con cui il proto diacono della Chiesa di Roma rivolgendosi ai suoi aguzzini dice: assum est, ... versa et manduca (Cfr. Bibfiotheca Sanctorum, vol. ..., col.1538-1539).
Ed è proprio il testo ambrosiano del De Officiis (cap. 41, nn.205-206-207), commovente nella sua intensità e forza espressiva, che prendiamo come riferimento; sant'Ambrogio così si esprime:
205. "... san Lorenzo, ... vedendo il suo vescovo Sisto condotto al martirio, cominciò a piangere non perché quello era condotto a morire, ma. perché egli doveva sopravvivergli. Comincia dunque a dirgli a gran voce: ''Dove vai, padre, senza il tuo figlio? Dove ti affretti, o santo vescovo, senza il tuo diacono? Non offrivi mai il sacrificio senza ministro. Che ti è spiaciuto dunque in me, o padre? Forse mi hai trovato indegno? Verifica almeno se hai scelto un ministro idoneo. Non vuoi che versi il sangue insieme con te colui al quale hai affidato il sangue dei Signore, colui che hai fatto partecipe della celebrazione dei sacri misteri? Sta' attento che, mentre viene lodata la tua fortezza, il tuo discernimento non vacilli. Il disprezzo per il discepolo è danno per il maestro. È necessario ricordare che gli uomini grandi e famosi vincono con le prove vittoriose dei loro discepoli più che con le proprie? Infine Abramo offrì suo figlio, Pietro mandò innanzi Stefano. Anche tu, o padre, mostra in tuo figlio la tua virtù; offri chi hai educato, per giungere al premio eterno in gloriosa compagnia, sicuro del tuo giudizio".
206. Allora Sisto gli rispose: "Non ti lascio, non ti abbandono, o figlio; ma ti sono riservate prove più difficili. A noi, perché vecchi, è stato assegnato il percorso d'una gara più facile; a te, perché giovane, è destinato un più glorioso trionfo sul tiranno. Presto verrai, cessa di piangere: fra tre giorni mi seguirai. Tra un vescovo e un levita è conveniente ci sia questo intervallo. Non sarebbe stato degno di te vincere sotto la guida del maestro, come se cercassi un aiuto. Perché chiedi di condividere il mio martirio? Te ne lascio l'intera ereditò. Perché esigi la mia presenza? I discepoli ancor deboli precedano il maestro, quelli già forti, che non hanno più bisogno d'insegnamenti, lo seguano per vincere senza di lui. Cosi anche Elia lasciò Eliseo. Ti affido la successione della mia virtù".
207. Cera fra loro una gara, veramente degna d'essere combattuta da un vescovo e da un diacono: chi per primo dovesse soffrire per Cristo. (Dicono che nelle rappresentazioni tragiche gli spettatori scoppiassero in grandi applausi, quando Pilade diceva dì essere Oreste e Oreste, com'era di fatto, affermava d'essere Oreste, quello per essere ucciso al posto di Oreste, Oreste per impedire che Pilade fosse ucciso al suo posto. Ma essi non avrebbero dovuto vivere, perché entrambi erano rei di parricidio: l'uno perché l'aveva commesso, l'altro perché era stato suo complice. Nel nostro caso) nessun desiderio spingeva san Lorenzo se non quello d'immolarsi p«r il Signore. E anch'egli, tre giorni dopo, mentre, beffato il tiranno, veniva bruciato su una graticola: 'Questa parte è cotta, disse, volta e mangia'. Così con la sua forza d'animo vinceva l'ardore del fuoco'" (Sant'Anabrogio, De Officiis, libri tres, Milano, Biblioteca Ambrosiana, Roma Città Nuova Editrice 1977, pp, 148-151).
Stando alla testimonianza di sant'Ambrogio, il diacono risulta caratterizzato:
1) come colui che, costituito sacramentalmente nel servizio della offerta (diaconia), vive il suo ministero diaconale esprimendo nella martyria suprema testimonianza per Cristo -, il senso teologico del servizio della carità, attraverso l'accoglienza di quell'amore-carità più grande che è il martirio.
2) come colui che, in forza del vincolo strutturale che lo lega sacramentalmente al vescovo, (primo grado dell'ordine), vive la "comunione ecclesiale", attraverso un servizio specifico all'episcopo, proprio a partire dall'eucaristia e in riferimento ad esso.
3) come colui che, in forza del sacramento (cioè in quanto radicato nel primo grado dell'ordine), si dedica al servizio di una carità integrale a 360 gradi - quindi non solo solidarietà umana e sociale -, e così manifesta il carattere più tipico della diaconia.
Esaminiamo di seguito queste caratteristiche, incominciando dalla:
1) I1 diacono sì presenta come colui che, costituito sacramentalmente nel servizio della offerta (diaconia), vive il suo ministero diaconale esprimendo nella martyria suprema testimonianza per Cristo -, il senso teologico del servizio della carità, attraverso l'accoglienza di quell'amore-carità più grande che è il martirio.
Se la caratteristica principale che identifica il diacono, in sé, e nel suo ministero è: essere ordinato per il servizio della carità, allora la martyria - testimonianza fino all'effusione del sangue -, va considerata come espressione di un amore-carità più grande, ossia il servizio di una carità che non conosce limiti. Il ministero della carità a cui il diacono viene deputato attraverso l'ordinazione non si ferma, quindi, al servizio delle mense o, come si usava dire una volta con linguaggio catechistico» alle opere di misericordia corporali ma, neppure a quelle spirituali, piuttosto il servizio diaconale della carità deve pervenire, nell'incondizionata consegna di sé, fino all'imitazione di Cristo, il testimone fedele per antonomasia (Cfr, Ap 1,5; 3,14).
Nel caso di san Lorenzo - spiega Ambrogio "nessun desiderio lo spingeva se non quello d'immolarsi per il Signore (Cfr. Sant'Ambrogio, De Officiis, I, 41, n. 207); così, attraverso la testimonianza data innanzi ai suoi persecutori, si fa evidente che l'esercizio del ministero diaconale qui non si identifica col servizio del prossimo, ridotto alle sole necessità materiali; poiché proprio in quel gesto che esprime un amore più grande per Cristo e che porta a donare la vita, Lorenzo fa in modo che anche i suoi carnefici possano, in senso reale, fare "una qual certa" esperienza del Verbo incarnato che, alla fine, è il destino personale e comune di ogni uomo, questo è il servizio teologico della carità a cui ogni diacono deve tendere o, almeno, rimanere disponibile.
Ciò non significa che il diacono nel suo ministero esaurisca la testimonianza della carità che è, e rimane sempre, vocazione e missione di tutta la Chiesa; piuttosto si intende affermare che, in forza dell'ordinazione, il diacono porta in sé, in modo sacramentale-specifico, la "forma Christi'" per il servizio della carità; vale a dire un "esercizio ministeriale" della carità che si attua nei confronti di Cristo e dei fratelli e che può giungere a richiedere anche il dono di sé ... fino al sacrificio della vita. Chiare risuonano, allora, le parole che Lorenzo rivolge al vescovo Sisto: "infine Abramo offrì suo figlio, Pietro mandò innanzi Stefano. Anche tu, o padre, mostra in tuo figlio la virtù; orni chi hai educato, per giungere al premio eterno in gloriosa compagnia, sicuro del tuo giudizio" (Sant'Ambrogio, De Officiis, I, 41, n.205).
Giova ribadire, comunque, che la testimonianza di un "amore-carità" più grande, da parte di chi è ordinato proprio per il servizio della carità, non esimerà mai la Chiesa-Sposa dall'offrirsi a Cristo-Sposo, nel dono della "martyria" in cui, al di là di ogni reticenza e ambiguità, si manifesta il valore assoluto e l'unione inscindibile che "verità" e "carità" assumono nella vita del discepolo del Signore (Cfr. l Cor l3,4-5; Fil 4,15).
A tale proposito è utile rileggere il testo di Lumen Gentium 42, in cui si afferma: "... il martirio, col quale il discepolo è reso simile al maestro che liberamente accetta la morte per la salvezza del mondo, e a lui si conforma nell'effusione del sangue, è stimato dalla Chiesa come il dono eccezionale e la suprema prova di carità ... se a pochi il martirio è concesso, devono però tutti essere pronti a confessare Cristo davanti agli uomini, e a seguirlo sulla via della croce attraverso le persecuzioni, che non mancano mai alla Chiesa" (EV, 1/398).
Ora - nonostante la chiamata universale alla carità anche eroica -, un fatto rimane incontrovertibile: nella Chiesa esiste uno specifico "ministero ordinato", quindi degli uomini sacramentalmente costituiti per il servizio della carità;
2) Il diacono si presenta come colui che, in forza del vincolo strutturale che lo lega sacramentalmente al vescovo, (primo grado dell'ordine), vive la "comunione ecclesiale", attraverso un servizio specifico all'episcopo, proprio a partire dall'eucaristia e in riferimento ad essa:
Questa è l'altra caratteristica che si evince dal colloquio tra Sisto e Lorenzo presso il cimitero di Callisto; il dialogo pone in evidenza come proprio nel legame sacramentale che unisce il diacono all'episcopo, il diacono appaia "uomo della comunione" esattamente attraverso il servizio specifico a! vescovo; tale servizio, poi, si realizza, concretamente, nel fedele adempimento di ciò che l'episcopo, in virtù della pienezza del sacerdozio e del governo che ha sulla sua Chiesa - sempre nella comunione con il vescovo di Roma -, richiede al suo diacono secondo le necessità e le urgenze ecclesiali.
Nel ministero del diacono, infine, tutto ha come riferimento l'altare, in quanto nella Chiesa ogni cosa, ad iniziare dalla carità, ha la sua origine dalla SS. Eucaristia. Ecco il punto in cui la testimonianza di Ambrogio, a riguardo, si fa particolarmente significativa: "… Lorenzo ... vedendo il suo vescovo Sisto condotto al martirio, cominciò ... a dirgli a gran voce: 'Dove vai, padre, senza il tuo figlio? Dove ti affretti o santo vescovo, senza il tuo diacono? Non offrivi mai il sacrificio senza ministro? ... Non vuoi che versi il sangue insieme con te colui al quale hai affidato il sangue del Signore, colui che hai fatto partecipe della celebrazione dei sacri misteri? "(Sant'Ambrogio, De Officiis, 1.41, n. 205 ....).
La comunione e l'affetto tra il vescovo e il diacono, che qui si manifestano nella comune dipendenza e nel comune legame all'Eucaristia, esprimono una visione ecclesiale profondamente teologica che va oltre le concezioni che abbassano e riducono la Chiesa-Sposa, alla mera dimensione politica e sociologica, equiparandola, di fatto, ad una tra le tante istituzioni umane; cosi è necessario liberarsi da ogni prospettiva secolarizzala e secolarizzante che ineluttabilmente porta a smarrire o a compromettere il senso e la forza rigeneratrice del Mistero; il rischio è quello di vedere tanto nel papa, quanto nei vescovi, nei presbiteri e nei diaconi, altrettanti gradini di una infinita burocrazia del tutto simile a quella della pubblica amministrazione e deputata, come questa, a vigilare su un non meglio precisato buon ordine dell'insieme.
L'incontro tra papa Sisto e il diacono Lorenzo ci invita, se mai fosse il caso, a ribaltare una tale visione e a riscoprire nel cuore della Istituzione-Chiesa, sempre indispensabile, e delle strutture ecclesiali, parimenti necessarie, la realtà viva e vivificante della grazia che le anima e, insieme, ci invita a riscoprire il legame teologico che le vincola a Cristo, unico, vero Episcopo, Presbitero e Diacono. D'altra parte già nel Nuovo testamento - nella lettera ai Filippesi (Cfr. Fil 1,1) e nella prima lettera a Timoteo (Cfr. 1 Tim 3,1-13) -, troviamo associati il vescovo e il diacono; in seguito è attestato il loro stretto legame nella "Traditio Apostolica" - inizio III secolo (Ippolito di Roma?) -, dove la grazia conferita al diacono col rito di ordinazione è definita dì "semplice servizio del vescovo", senza alcun sacerdozio; pochi anni dopo - a metà del III secolo, in Siria -, la "Didascalia degli Apostoli" presenta il diacono come il "servitore del vescovo e dei poveri".
Infine, il rapporto che lega strutturalmente il diacono al vescovo oggi viene espresso in maniera trasparente attraverso la liturgia dell'ordinazione; in questo cerimoniale, infatti, a differenza di quello dell'ordinazione dei vescovi e dei presbiteri, il gesto dell'imposizione delle mani viene compiuto unicamente dal vescovo ordinante per indicane appunto, il vincolo caratteristico e singolare che lega il diacono al vescovo.

3) II diacono si presenta come colui che, in forza del sacramento (cioè in quanto radicato nel primo grado dell'ordine), si dedica al servizio di una carità integrale a 360 gradi - quindi non solo solidarietà umana e sociale -, e così manifesta il carattere più tipico della diaconia.

Nella sua testimonianza, Ambrogio ci presenta ancora Lorenzo come colui che, m forza del sacramento ricevuto, è pienamente dedito al servizio della carità in una situazione concreta: la Roma imperiale del terzo secolo, mentre infuria la persecuzione; e in tale congiuntura, Lorenzo è chiamato a porre, dinanzi alla comunità ecclesiale e al mondo, gesti concreti destinati a trasformarsi in altrettanti segni dell'Amore-Carità di Dio, ossia di quella Carità da cui ogni cosa proviene e verso cui è incamminata; e proprio in tale servizio, il diacono esprime il ministero più tipico della sua diaconia che consiste, appunto, nel servizio della carità compiuto in forza del mandato sacramentale; insomma un'animazione che riguarda la Chiesa o settori della vita ecclesiale e che si presenta secondo i caratteri della cattolicità (kat'olon = secondo la totalità, senza escludere nulla); l'aspirazione di tale servizio è la totalità degli uomini senza eccezioni; il contenuto, un bene che risponda a tutte le attese dell'uomo - spirito, anima e corpo (Cfr. 1 Ts 5,23) - escludendo ogni parzialità e unilateralità.
Inoltre, nel testo ambrosiano si coglie un'allusione che aiuta la riflessione: Sisto, ormai prigioniero, affida a Lorenzo, il primo dei suoi diaconi, l'intera Chiesa e (gliela lascia per lo spazio di tre giorni: "… A noi, perché vecchi, è stato assegnato il percorso d'una gara più facile; a te, perché giovane, è destinato un più glorioso trionfo sul tiranno. Presto verrai, cessa di piangere: fra tre giorni mi seguirai. Tra un vescovo e un levita è conveniente ci sia questo intervallo..." (Sant'Ambrogio, De Officiis, n. 206). Lorenzo, in quei tre giorni, e come diacono, in spirito di servizio e obbedienza al suo vescovo - ormai strappato definitivamente al suo popolo -, dovrà avere cura della Chiesa, così per l'ultima volta amministrerà i beni della Sposa di Cristo e lo farà con un gesto che ha in sé la forza dì una definizione e che dice come nella Chiesa tutto sia finalizzato e assuma, valore a partire dal servizio della carità, realtà destinata a rimanere anche quando tutto sarà venuto meno e la scena di questo mondo sarà passata (Cfr. l Cor l3,8).
A chi guarda da lontano, in modo approssimativo - e, tutto sommato, superficiale -, questo gesto può sembrare legato esclusivamente alle necessità materiali e al tempo presente; si tratta, infatti, solamente della distribuzione di beni materiali a dei poveri; in realtà, l'atto che Lorenzo compie, m spirito di fedeltà alla consegna ricevuta dal vescovo e al ministero ecclesiale in cui è costituito, è un atto che lo proietta e con lui proietta tutta la Chiesa - affidatagli fino al momento del martirio -, oltre la storia, nell'escatologìa, ossia, nel "tempo" e nello "spazio" in cui Dio manifesta la pienezza della sua carità e del suo amore.
Così il diacono Lorenzo, ministro ordinato della carità, porta a termine il compito che aveva ricevuto, non solo in quanto segue il suo vescovo nel martirio ma perché attraverso il gesto col quale dona ai poveri tutte le risorse della comunità - qui espresse dai beni materiali -, manifesta come nella Chiesa, ogni cosa abbia valore se è orienta alla carità, se diventa servizio alla carità, se può trasformarsi in carità.
E tale servizio - come ricorda la prima lettera ai Tessalonicesi (Cfr. 1 Ts 5,23) -, si estende non solo al "corpo"' ma anche allo "spirito" e all'"anima'', cosa che sì palesa in tutta chiarezza in quella preghiera che - secondo la Passio Polychronii (gli atti del martirio di Lorenzo) -, il santo diacono volle recitare per la città di Roma prima di stendersi sulla graticola.
E la città, che gli attribuiva la definitiva vittoria sul paganesimo, lo ricambiò eleggendolo suo terzo patrono e celebrando la sua festa fin dal IV secolo, come seconda, per importanza, dopo quella dei beati apostoli Pietro e Paolo e innalzando, in onore del santo diacono, nell'antichità e nel medio evo, ben trentaquattro chiese e cappelle, segno tangibile di gratitudine verso colui che, fedele al suo ministero, era stato, in mezzo a lei, vero ministro e servitore della carità.
Ora, al termine di queste riflessioni sul ministero del "diaconato" inteso soprattutto nella sua forma "permanente", possiamo dire:
1) bisogna saper guardare con spirito critico a tutte quelle prospettive - ormai superate, in verità - che, di fatto, interpretano e presentano il diaconato come un ministero che conduce alla clericalizzazione dei laici e alla laicizzazione dei chierici, giungendo così ad indebolire l'identità d'entrambi.
2) il diacono, che si distingue dai vescovo e dal presbitero in quanto non è ordinato "ad sacerdotium, sed ad ministerium", è costituito in un grado autentico della gerarchia e non può essere compreso come puro accesso al sacerdozio.
3) il diacono è abilitato al servizio della carità in stretta dipendenza con l'Eucaristia e alla cura privilegiata dei poveri, tanto nel servizio delle mense (opere di misericordia corporali), quanto nel servizio della parola (opere di misericordia spirituali) e rimanendo aperto al servizio di un amore-carità più grande, il martirio.
Infine, l'istituto del "diaconato permanente", rappresenta e segna un importante arricchimento per la Chiesa e la sua missione anche in vista della nuova evangelizzazione che il Santo Padre continuamente richiama all'inizio del terzo millennio dell'era cristiana; ed è proprio la bellezza, la forza e l'eroicità dì figure di diaconi come san Lorenzo che aiutano a scoprire e a comprendere meglio la peculiarità del ministero diaconale.











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