Il mondo capovolto dalla Trasfigurazione
αποφθεγμα Apoftegma
Proprio nello spaventoso incontro con la gloria di Dio in Gesù
i tre apostoli devono imparare
ciò che Paolo dice ai discepoli di tutti i tempi
nella Prima Lettera ai Corinzi:
«Noi predichiamo Cristo crocifisso,
scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani;
ma per coloro che sono chiamati,
sia Giudei che Greci,
predichiamo Cristo potenza di Dio [dinamis] e sapienza di Dio».
Questa «potenza» del regno futuro
appare loro nel Gesù trasfigurato
che parla con i testimoni dell' Antica Alleanza
della «necessità» della sua passione come via verso la gloria.
Joseph Ratzinger - Benedetto XVI
Immaginiamo, come scrisse Chesterton, di vedere il mondo
capovolto: "Se uno ha visto il mondo capovolto, con tutti gli alberi e le
torri appesi all’in giù come quando si specchiano in uno stagno, un possibile
risultato sarebbe di mettere l’accento sul concetto di dipendenza.
La correlazione è latina e letteraria; infatti il termine dipendente propriamente
significa appeso". Ecco, contemplando "Gesù
trasfigurato davanti a loro", Pietro, Giacomo e Giovanni devono
aver fatto un'esperienza simile. Essa è ben rappresentata in moltissima
iconografia della "trasfigurazione": Gesù appare "appeso",
mentre i tre apostoli lo guardano proprio dal basso, con la testa sul suolo:
"avvolti dalla nube luminosa", infatti, all'udire "la voce"
del Padre essi "caddero con la faccia a terra". In quei momenti,
non stavano guardando il "mondo capovolto"? Sul Tabor quell'uomo,
quell'amico e maestro, stava infatti capovolgendo ogni loro idea sull'uomo,
sull'amicizia, sulla vita. I loro occhi si erano aperti su un di più che
può esplodere nella carne; stavano contemplando una possibilità che appariva
loro "appesa" a un biancore e un'intensità che esistono solo in
Cielo. Nella sua "trasfigurazione", Gesù stava svelando loro che,
nascosta nella carne, esiste una vita che "dipende", che cioè nasce dal Cielo
e ad esso è legata, "appesa" appunto. Mai visto niente di simile:
nella debolezza che, come una "veste", ricopre le ore
dell'esistenza, può dunque risplendere una luce mai vista; da ogni colore,
anche dal grigio della routine, anche dal rosso della passione e del dolore,
anche dal nero della morte e del dolore, può scaturire il "candore" della
libertà, della gioia, della pace. Quel "volto" che avevano fissato
tante volte, rigato di sudore, corrugato per la fatica, disteso nella gioia,
ora "brillava come il sole", ed era un annuncio
sconvolgente: la realtà, anche quella più familiare, la realtà delle
persone con cui si parla, si cammina, si soffre e si gioisce, si mangia e si
beve, non è solo quello che si vede, si ascolta e si tocca. Anzi, essa cela un
segreto, pronto a rivelarsi in una "metamorfosi", un "cambio di
forma", che è l'originale greco tradotto con "trasfigurazione".
L'evento prodigioso al quale i tre apostoli più intimi di Gesù stavano
assistendo affermava che soggiace in ciascuno un'identità nascosta, una
"forma" diversa da quella che appare ogni giorno. Ma non basta! La
trasfigurazione di Gesù desta la storia, risveglia le profezie che sembravano
assopite nel ricordo: infatti, "ecco, apparvero Mosè ed Elia che
conversavano con Lui". Il destino di tutta la storia della salvezza, il
compimento di tutte le Scritture era quel volto radiante e quelle vesti
candide. Ciò significa che il destino di ogni evento della vita e il compimento
dell'annuncio della Chiesa è la nostra "trasfigurazione". Il
"cambio di forma" è la chiamata che ci ha raggiunto, e la nuova
forma di essere, ovvero di pensare, di vedere le cose, di parlare, di agire, è
l'opera che Dio vuol fare con ciascuno di noi. La
"trasfigurazione" è il passaggio dalle nostre opere alle opere di Dio.
Un mondo rovesciato, dunque, proprio come scriveva Chesterton a proposito di
San Francesco, il santo nel quale si è compiuta al meglio la
"trasfigurazione": "Se in uno dei suoi strani sogni san
Francesco avesse visto la città di Assisi capovolta, sarebbe stata
perfettamente uguale a se stessa, tranne che per il fatto di essere capovolta... San
Francesco avrebbe potuto amare la sua cittadina quanto l’amava prima, o forse
anche di più; ma pur amandola di più, l’essenza del suo amore sarebbe stata
diversa. Avrebbe potuto vedere e amare ogni tegola dei tetti
spioventi e ogni uccello posato sui bastioni, ma li
avrebbe visti in una prospettiva nuova e soprannaturale di costante pericolo e
dipendenza. Invece di essere semplicemente fiero della sua città
perché forte e salda, avrebbe ringraziato Dio onnipotente perché non l’aveva
lasciata cadere, avrebbe ringraziato Dio perché non lasciava cadere l’intero
cosmo come un vaso di cristallo che si infrangesse in una miriade di stelle
cadenti". Così anche i tre apostoli avevano visto la realtà da una
"nuova prospettiva soprannaturale e di grande pericolo": erano ebrei,
e per questo portavano dentro l'esperienza della precarietà vissuta nel
deserto, dove "Dio onnipotente non aveva lasciato cadere" il Popolo.
Per questo, di fronte a quel rovesciamento di prospettiva, è risuonata in loro
la Pasqua, e il "cambiamento di forma" di cui Israele aveva
esperienza: dalla schiavitù alla libertà, dalla sottomissione al giogo
del faraone al cammino nel deserto sino alla libertà della Terra promessa.
E, al centro di quell'esperienza, il Sinai e il dono della Legge, perché fosse
osservata da un popolo diverso da tutti gli altri.
Per un ebreo, quel cammino di libertà abbracciato alla Torah era la "bellezza". Per questo Pietro dice a Gesù: "Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia". Non era semplicemente un voler catturare quel momento estatico. Pietro intuiva che ciò che stava accadendo aveva relazione con l'esperienza del suo popolo, per questo vorrebbe costruire tre "capanne", come ogni ebreo fa durante la festa di Succot. Le tende, o capanne, infatti sono il segno della permanenza del popolo nel deserto. E proprio in quel momento, quando cioè Pietro ha intuito cosa stava accadendo, mentre "stava ancora parlando, una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo»". Dalla stessa "nube" che aveva guidato gli israeliti durante i quarant'anni dell'Esodo, la voce del Padre ripete agli Apostoli quello che aveva annunciato nel deserto: "Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!". Tra una mormorazione e l'altra, tra le maglie di una debolezza infinita, ogni ebreo aveva fatto l'incomparabile esperienza di poter (e dover) vivere del solo cibo della Parola di Dio, capace di trasformare la roccia in acqua. Pietro, attento ai segni come ogni buon ebreo, aveva saputo riconoscere in quell'evento il compimento dell'Esodo del suo Popolo; su quel Monte Dio aveva di nuovo parlato, ed era di una "bellezza" mai contemplata. Era "bello" quel momento, era "bello" starci dentro, ma che schianto... L'urto di quell'epifania non poteva non stordire le povere carni degli apostoli. In un momento era apparsa dinanzi a loro la visione della Verità, di ciò che di autentico,glorioso, ovvero di peso, consistente, si cela nella realtà. Ma ciò significava anche "precarietà", la stessa vissuta dal popolo nel deserto, identica a quella di Assisi rovesciata, "in costante pericolo e dipendenza". Vivere una vita trasfigurata contempla anche accettare la propria debolezza, e la "dipendenza" da Dio. Essere cristiani significa essere istante dopo istante "appesi" al Cielo, perché i "pericoli" sono "costanti". E il filo che ci lega al Padre, quello al quale siamo "appesi" per vivere in pienezza ogni frammento della nostra vita, è l"ascolto" del Figlio amato di Dio. Non c'è altro cammino sul quale trasfigurare la nostra realtà in un0identità celeste, in un amore oltre la morte, che "ascoltare" Cristo. Sul Tabor iniziava per gli apostoli, come per ciascuno di noi, un cammino nuovo, che li avrebbe condotti con Gesù al Calvario. Un altro Monte, dove si sarebbe compiuto il rovesciamento di ogni realtà, la trasfigurazione della morte in un'esplosione di luce. E' il cammino che Dio ha preparato anche per noi nella Chiesa. Essa è la Madre di ogni trasfigurazione, perché nel suo seno si compie il mistero accaduto sul Tabor. In essa possiamo "ascoltare" le Parole del Figlio che "cambiano forma" al nostro essere, sino a farci "brillare come il sole", rivestiti delle vesti battesimali "candide" di misericordia. Coraggio, il Signore si "avvicina" a noi anche oggi, e ci "tocca", attraverso i sacramenti. E ci dice di "alzarci, di risuscitare e di non temere". E' questa la "trasfigurazione" che ci attende: risorgere dalla morte dei nostri peccati, dalla schiavitù alla menzogna, alla concupiscenza, all'egoismo, per essere trasformati in puro amore. Siamo chiamati a vivere come uomini trasformati dalla Grazia, che camminano nel mondo a testa in giù, indicando a tutti dove guardare: al Cielo, dove ogni uomo è appeso pur non sapendolo. Basta mostrarglielo, come ha fatto Gesù ai suoi apostoli.
Per un ebreo, quel cammino di libertà abbracciato alla Torah era la "bellezza". Per questo Pietro dice a Gesù: "Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia". Non era semplicemente un voler catturare quel momento estatico. Pietro intuiva che ciò che stava accadendo aveva relazione con l'esperienza del suo popolo, per questo vorrebbe costruire tre "capanne", come ogni ebreo fa durante la festa di Succot. Le tende, o capanne, infatti sono il segno della permanenza del popolo nel deserto. E proprio in quel momento, quando cioè Pietro ha intuito cosa stava accadendo, mentre "stava ancora parlando, una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo»". Dalla stessa "nube" che aveva guidato gli israeliti durante i quarant'anni dell'Esodo, la voce del Padre ripete agli Apostoli quello che aveva annunciato nel deserto: "Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!". Tra una mormorazione e l'altra, tra le maglie di una debolezza infinita, ogni ebreo aveva fatto l'incomparabile esperienza di poter (e dover) vivere del solo cibo della Parola di Dio, capace di trasformare la roccia in acqua. Pietro, attento ai segni come ogni buon ebreo, aveva saputo riconoscere in quell'evento il compimento dell'Esodo del suo Popolo; su quel Monte Dio aveva di nuovo parlato, ed era di una "bellezza" mai contemplata. Era "bello" quel momento, era "bello" starci dentro, ma che schianto... L'urto di quell'epifania non poteva non stordire le povere carni degli apostoli. In un momento era apparsa dinanzi a loro la visione della Verità, di ciò che di autentico,glorioso, ovvero di peso, consistente, si cela nella realtà. Ma ciò significava anche "precarietà", la stessa vissuta dal popolo nel deserto, identica a quella di Assisi rovesciata, "in costante pericolo e dipendenza". Vivere una vita trasfigurata contempla anche accettare la propria debolezza, e la "dipendenza" da Dio. Essere cristiani significa essere istante dopo istante "appesi" al Cielo, perché i "pericoli" sono "costanti". E il filo che ci lega al Padre, quello al quale siamo "appesi" per vivere in pienezza ogni frammento della nostra vita, è l"ascolto" del Figlio amato di Dio. Non c'è altro cammino sul quale trasfigurare la nostra realtà in un0identità celeste, in un amore oltre la morte, che "ascoltare" Cristo. Sul Tabor iniziava per gli apostoli, come per ciascuno di noi, un cammino nuovo, che li avrebbe condotti con Gesù al Calvario. Un altro Monte, dove si sarebbe compiuto il rovesciamento di ogni realtà, la trasfigurazione della morte in un'esplosione di luce. E' il cammino che Dio ha preparato anche per noi nella Chiesa. Essa è la Madre di ogni trasfigurazione, perché nel suo seno si compie il mistero accaduto sul Tabor. In essa possiamo "ascoltare" le Parole del Figlio che "cambiano forma" al nostro essere, sino a farci "brillare come il sole", rivestiti delle vesti battesimali "candide" di misericordia. Coraggio, il Signore si "avvicina" a noi anche oggi, e ci "tocca", attraverso i sacramenti. E ci dice di "alzarci, di risuscitare e di non temere". E' questa la "trasfigurazione" che ci attende: risorgere dalla morte dei nostri peccati, dalla schiavitù alla menzogna, alla concupiscenza, all'egoismo, per essere trasformati in puro amore. Siamo chiamati a vivere come uomini trasformati dalla Grazia, che camminano nel mondo a testa in giù, indicando a tutti dove guardare: al Cielo, dove ogni uomo è appeso pur non sapendolo. Basta mostrarglielo, come ha fatto Gesù ai suoi apostoli.
L'ANNUNCIO |
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro
e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche.
E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù.
Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!».
Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento.
Poi si formò una nube che li avvolse nell'ombra e uscì una voce dalla nube: «Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!».
E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti.
Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti.
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