Giovedì della XXI settimana del Tempo Ordinario





αποφθεγμα Apoftegma


Poiché questa notte luminosa 
in cui lo splendore delle fiaccole si confonde coi raggi del sol levante, 
diventa un giorno continuo, 
non più frammezzato dalle tenebre, 
comprendiamo fratelli come si avveri in essa la profezia che dice: 
È questo il giorno fatto dal Signore”. 

Gregorio di Nissa





L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Matteo 24,42-51

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 
«Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.
Chi è dunque il servo fidato e prudente, che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così! Davvero io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni. 
Ma se quel servo malvagio dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda”, e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a mangiare e a bere con gli ubriaconi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti: là sarà pianto e stridore di denti».



Destati dall'amore


"Vegliare, stare pronti": con la parabola di oggi il Signore ci svela quale sia l"agire" dei cristiani, il loro atteggiamento fondamentale nella vita. Che significa? Non dormire? Non proprio, visto che nella parabola delle dieci vergini si addormentano tutte. E' qualcosa di più profondo, e dobbiamo andare al Cantico dei Cantici: "Quando dormivo ma il mio cuore vegliava". Ecco, la Chiesa è l'amata che attende l'Amato. "Vegliare" è attendere il Signore, istante dopo istante. Il "cuore" che "veglia", infatti, è un cuore innamorato. E' l'intimo di chi ha conosciuto l'amore di Cristo che guarda sempre la sua amata come "la sua perfetta", anche se è un cumulo di difetti e peccati. E lì, nel cuore, decide il bene, desidera compiere la volontà di Dio, per questo "veglia" in attesa dell'occasione per unirsi a Lui; è sempre "pronto" a salire sulla Croce che la storia gli presenta, perché vi riconosce il letto d'amore dove consumare le nozze con lo Sposo. Chi "agisce così" nel cuore è un "servo prudente e fidato" perché non ha altro pensiero che Cristo, il "suo Signore". Ma Gesù è davvero il mio Signore? E' il Signore "nostro", della nostra comunità, della nostra parrocchia? Oppure è un "ladro" che viene a prendere ciò che è mio? "Cerchiamo di capire questo": se qualcuno ti chiede un briciolo del tuo tempo così prezioso? Non diciamo se ti chiede un prestito di denaro, o la macchina... E se ti trovi investito da un'ingiustizia, se scopri di essere malato, se tuo figlio è aggredito dalla leucemia? Non è proprio questo che attendi oggi, vero? Non per questo "vegli" e ti "tieni pronto"... Chiedi a tua figlia che cosa o chi stia aspettando. Ammesso che riesca ad alzare lo sguardo dal cellulare, ti guarderà stralunata, come uscendo da un sogno, e i suoi occhi ti pianteranno in faccia un bel: "ma che stai a dì"? Non ci ha mai pensato, non è un problema suo. Lei vive questo attimo totalizzante, fatto di presenze, parole, immagini virtuali, fuori dal tempo e dallo spazio. Per questo non può soffrire, non può sacrificarsi; per questo non studia, non aiuta in casa, non si accorge e non si preoccupa di ciò che le accade a cinque centimetri. E' un'egoista totale, strangolata dall'io e dai suoi capricci, perché il demonio, attraverso il mondo che frequenta, le ha stretto le mani al collo, senza che se ne accorgesse, facendola precipitare in una "notte" senza luce. E' diventata una "figlia delle tenebre", cioè come un "padrone di casa" che "non sa a quale ora della notte viene il ladro" e per questo scivola superficialmente sui giorni. Il demonio, infatti, l'ha convinta che non c'è nessun "ladro" di cui aver paura, perché, essendo dio, ha la sua vita nelle mani e nessuno potrà strappargliela. Proprio come il Libro della Sapienza (cap. 17; leggilo qui) descrive gli egiziani nella notte della Pasqua. Tua figlia, come te e me, come questa generazione, siamo tutti idolatri e adulteri, "tutti legati dalla stessa catena di tenebre", e per questo "intorpiditi da un medesimo sonno"; "credendo di restar nascosti con i nostri peccati segreti, sotto il velo opaco dell'oblio, siamo stati "colpiti da spavento terribile e agitati da fantasmi mostruosi, paralizzati per l'abbattimento dell'anima". Così, "sorpresi" dagli eventi della storia, "cadiamo sotto la necessità ineluttabile". Sì, quando arriva il "ladro" non possiamo far nulla, solo imprecare e maledire, deprimerci e cercare di sfuggire spaventati, oppressi dall'ineluttabilità che ci perseguita ovunque. Per questo arriviamo anche a "percuotere i nostri compagni e a bere e a mangiare con gli ubriaconi". La paura genera sempre l'impazienza. Attento con tuo figlio, attento; senza accorgertene stai covando un mostro di egoismo: non lasciarlo in preda della "notte" con la sola luce del display del suo smartphone. Infilato nella rete virtuale alla fine crederà che tutto nella vita è a portata di touch... E quando scoprirà che non è così non farà altro che bastonare gli amici, esigere da loro che nutrano il suo orgoglio, e di drogherà, berrà, passerà da un letto all'altro, senza saziarsi mai. Come anche noi, che, frustrate le nostre concupiscenze mascherate da belle speranze, "pensiamo nel cuore che Egli stia ritardando", che non gli importa di noi, e per questo abbiamo smesso di "vegliare". 

Ma fratelli, quella stessa "notte" che ha atterrito gli egiziani, è la "notte in cui Dio ha liberato i figli di Israele nostri padri, dalla schiavitù dell’Egitto e li ha fatti passare illesi attraverso il Mar Rosso. E' la notte che salva su tutta la terra i credenti in Cristo dall’oscurità del peccato e dalla corruzione del mondo, li consacra nell’amore del Padre e li unisce nella comunione dei santi. Questa è la notte in cui Cristo, spezzando i vincoli della morte risorge vincitore dal sepolcro" (Exultet di Pasqua). La "notte" nella quale ci siamo infilati sedotti dal principe delle tenebre è quella nella quale il nostro uomo vecchio schiavo in Egitto precipita nel mare del battesimo insieme ai cavalli e ai cavalieri del faraone. Questa "notte" è quella in cui Dio lo "punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti": coraggio, perché se davvero lo desideriamo, quel peccato che ci ha incatenato all'infedeltà e alla stoltezza sarò gettato dove "sarà pianto e stridore di denti", e, come gli egiziani affogati nel mare, "non lo rivedremo mai più". Questa "notte" che ci ha risucchiato nella paura della morte che abbiamo cercato di far tacere addormentandoci nei peccati è la "notte beata" che ha "meritato di conoscere il tempo e l’ora in cui Cristo è risorto dagli inferi". Oggi possiamo sperimentare "il santo mistero di questa notte" che "sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti". Tutto questo significa lasciare che il Mistero Pasquale del Signore giunga di nuovo a noi attraverso la Chiesa; ascoltare questa Parola come una Buona Notizia che mi riguarda, accogliendola nel cuore perché abbia il potere di compiere ciò che annuncia; accostarci ai sacramenti che realizzano in noi il Mistero che trasforma la "notte" di morte in un'alba di luce che non muore, che fa di un "figlio delle tenebre" oppresso dal sonno del cuore, un "figlio della luce" innamorato dello Sposo che attende con perseveranza. Fratelli, la "notte" nella quale stiamo vivendo è la "notte veramente gloriosa, che ricongiunge la terra al cielo e l’uomo al suo creatore" sulla Croce gloriosa del suo Figlio diletto. E' la "notte" che ci desta dal sonno della morte e ci fa "beati", perché il Vangelo oggi ci dice che la "beatitudine" consiste nel "vegliare", "agendo" con "prudenza e fedeltà", cioè con sapienza e amore, adempiendo l'"incarico" che è stato affidato. Allora, accogliamo oggi Cristo, lo Sposo che per noi si è fatto "servo fedele e prudente" "spogliando se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome... e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Kyrios, il Signore, a gloria di Dio Padre".  "Servo" e "Signore" sono proprio i due termini che appaiono nel Vangelo di oggi: chi ha sperimentato l'amore sino alla fine del "Servo" che, chinandosi sin dentro la propria "notte" lo ha innalzato con Lui nella sua Signoria, seguirà nella sua vita le sue orme. Sarà cioè un "servo" che "obbedirà" ed entrerà "umilmente" nella "morte di croce" che la storia gli presenterà. Così, e solo così, anche noi parteciperemo della Signoria di Cristo, saremo cioè "kyrios", "signori" che hanno in sè il potere di consegnare la propria vita come "cibo".  Fratelli, la vita ci è data come un "incarico" d'amore con il quale dare pienezza e compimento al tempo. Ci hai mai pensato? L'amore è un incarico che si realizza distendendo le braccia sulla Croce; solo così potremo unirci al "Servo", accogliere in noi la sua vita, e così, risorti, siamo "messi a capo dei domestici del Signore per dare loro il cibo a suo tempo", esattamente come è accaduto, guarda caso sul far della notte, quando Gesù ha moltiplicato i pani e i pesci. L'amore ci trasforma in "servi" che "moltiplicano" l'amore riversato in loro perché divenga "cibo" da dare ai "domestici", cioè alle persone affidate a ciascuno di noi. C'è un "tempo" favorevole per donare se stessi, un "kairos" che solo un cuore innamorato sa discernere, perché l'amore è riversato in esso per mezzo dello Spirito Santo che fiuta nelle persone e negli eventi il profumo di Cristo. Per questo Gesù dice che tornerà "quando meno ce lo aspettiamo": è tipico dello Sposo che vuole accendere, far crescere e tenere vivo in noi l'amore. Il "cuore" della sposa, infatti, "veglia" anche "mentre dorme". Per divenire "servi prudenti e fedeli" dobbiamo camminare dietro a Cristo come la Sposa del Cantico dei Cantici: imparare a udire il "Diletto che bussa", che "mette la mano nel chiavistello della porta" del nostro cuore; sentire "palpitare le viscere", la sede dell'angoscia e della compassione, e "alzarsi per aprire all'Amato" e sentire le "mani impregnarsi di mirra", quella di prima qualità con la quale fu unto il corpo di Gesù; sì, dobbiamo sperimentare il suo amore crocifisso per noi sino a che esso fluisca sulle nostre mani schiudendole ai chiodi che la storia ci prepara. Dobbiamo crescere nella fede fratelli, e si cresce solo camminando sulle orme dell'Amato, sino ad "incontrarlo e a non lasciarlo mai" più nelle nozze eterne con Lui. E' il destino che ci attende in Cielo e che cominciamo a pregustare sulla terra, ovvero la "beatitudine" celeste dell'"amministratore di tutti i suoi beni", partecipando cioè della sua vita immortale. 


QUI UN ALTRO COMMENTO



Con la parabola di oggi il Signore ci svela quale sia l"agire" dei cristiani, il loro atteggiamento fondamentale nella vita: "vegliare, stare pronti". Che significa? Non dormire? Non proprio, visto che nella parabola delle dieci vergini appare che tutte si addormentano. E' qualcosa di più profondo, e dobbiamo andare al Cantico dei Cantici: "Quando dormivo ma il mio cuore vegliava". 

Ecco, la Chiesa è l'amata che attende l'Amato. "Vegliare" è attendere il Signore, istante dopo istante. Il "cuore" che "veglia", infatti, è un cuore innamorato. E' l'intimo di chi ha conosciuto l'amore di Cristo che guarda sempre la sua amata come "la sua perfetta", anche se è un cumulo di difetti e peccati. E lì decide il bene, desidera compiere la volontà di Dio, è "prudente e fidato" perché non ha altro pensiero che Cristo, il "suo Signore".

Il cuore del Vangelo di oggi è proprio questo "Signore vostro". "Veglia" solo chi appartiene a Cristo e, nella Chiesa, ha fatto l'esperienza che Cristo si è fatto suo e dei suoi fratelli, è il "loro Signore", completamente. 

Ma Gesù è davvero il mio Signore? E' il Signore "nostro", della nostra comunità, della nostra parrocchia? Oppure è un "ladro" che viene a prendere ciò che è mio? Forse abbiamo accolto nel cuore l'inganno del serpente, e, come il servo malvagio della parabola dei talenti, viviamo pensando che il Signore sia come "un uomo duro, che miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha sparso". 

Per questo passiamo le giornate a difenderci; ma più difendiamo la vita più la perdiamo. E' come un'emorragia: non c'è verso di bloccare il flusso di vita che disperdiamo lungo le ore. I nostri figli, quante ore perse davanti a un display. Facebook, Twitter, Instagram, Youtube, magnetizzano occhi e cuore polverizzando ogni altro interesse.

Che tristezza vederli consegnati anima e corpo agli smartphone. Prova a toglierlo per un giorno... La vita finisce, non sanno più cosa fare, cosa dire, cosa pensare. I cellulari o i tablet sono delle estensioni delle loro mani, sembra che le dita sbuchino fuori dall'apparecchio come i rami di un albero.

Non si tratta però di lottare contro questa vera e propria depravazione; si tratta di tornare ad offrire ai giovani un contenuto pieno e gustoso al loro tempo. Di annunciargli l'amore e la "beatitudine" della vita perduta per amore, consegnata con Cristo a questa generazione.

Come ha fatto Gesù quando la gente lo seguiva e non aveva da mangiare. Era "sera", cioè era un momento preciso nel quale era rappresentato ogni tempo nel quale si scopre di essere affamati e non avere da mangiare. 

Era "sera" come il tempo nel quale vive il mondo; è "sera" nella vita di tua figlia, per questo cerca luce, calore, cibo dentro il display di uno smartphone. E' "sera" per ogni uomo che non attende il suo Signore, ma solo briciole di felicità, pace, serenità, appagamento, che precipitino come meteoriti da un universo sconosciuto.

Sì, per il mondo il tempo è una lunga "sera" che prepara alla "notte" dove tutto finisce. Chiediglielo a tua figlia che cosa o chi sta aspettando. Ammesso che riesca ad alzare lo sguardo dal cellulare, ti guarderà stralunata, come uscendo da un sogno, e i suoi occhi ti pianteranno in faccia un bel: ma che stai a dì?

Non ci ha mai pensato, non è un problema suo. Lei vive questo attimo totalizzante, fatto di presenze, parole, immagini virtuali, fuori dal tempo e dallo spazio. Per questo non può soffrire, non può sacrificarsi; per questo non studia, non aiuta in casa, non si accorge e non si preoccupa di ciò che le accade a cinque centimetri. 

E' un'egoista totale, strangolata dall'io e dai suoi capricci, perché il demonio, attraverso il mondo che frequenta, le ha stretto le mani al collo, senza che se ne accorgesse. E non te ne sei accorta neanche tu, cara mamma. Anche tu presa da troppe preoccupazioni per riempire un tempo tiranno, che non fa sconti, scorre e ti lascia rughe a deturpare il viso, capelli bianchi a fare scempio della testa, e indifferenza di tuo marito sempre più vecchio e noioso. Anche tu perduta nella "sera" che ha imboccato l'esistenza.

Ma Gesù ha riempito di novità e di vita la "sera" degli uomini. Ha chiamato i suoi discepoli e li ha trasformati in cibo: "date voi stessi da mangiare". Date la vostra vita, il vostro tempo, date il vostro corpo, i criteri, i progetti, il denaro, le forze, la salute. Date tutto voi stessi in cibo a questa moltitudine di affamati che stanno per essere ingoiati dalla "sera" senza speranza.

Ed è lo stesso che vuol fare con noi, con te e con me, con tua figlia drogata di post, tag e "mi piace". Non importa quello che siamo: cinque pani e due pesci vanno benissimo. Essi sono immagine della formazione che stiamo ricevendo nella Chiesa. Non sono per noi, non ci sazierebbero! Siamo stati chiamati nella Chiesa per diventare cibo da dare al "tempo dovuto" a chi ci è accanto. 

Solo così saremo "beati", cioè felici, realizzati, sazi. La "beatitudine" consiste quindi nel "vegliare", "agendo" con "prudenza e fedeltà", cioè con sapienza, adempiendo l'"incarico" che è stato affidato. E' "beato" insomma che compie la volontà di Dio, istante per istante. Perché l'amore è obbedienza; i sentimenti se li porta via il vento. L'amore autentico appare solo nel crogiolo dell'obbedienza.

Chi non rinuncia a se stesso non ama; quindi non "veglia", e quindi resta sempre "insoddisfatto", infelice, adirato. Ecco perché può arrivare anche a "percuotere i suoi compagni e a bere e a mangiare con gli ubriaconi". E' un "ipocrita", vive cioè una vita che non gli si addice. E' un cristiano che ha perduto la primogenitura, come il sale che ha perduto il sapore. Non serve a nulla.

E' impaziente come tutti gli orgogliosi; lui è dio, e tutto deve servire ai bisogni di sua maestà... Non può aspettare, tutto e subito, come quando sfiori un display e ti compare una donna nuda in atteggiamenti abominevoli. Attento con tuo figlio, attento; senza accorgertene stai covando un mostro di egoismo: infilato nella rete virtuale alla fine crederà che tutto nella vita è a portata di touch... E quando scoprirà che non è così non farà altro che bastonare gli amici, esigere da loro che nutrano il suo orgoglio, e di drogherà, berrà, passerà da un letto all'altro, senza saziarsi mai.

E' quello che accade nel mondo, ma anche dentro di noi. Attento, perché se ti sembra che il tempo ti insegua per soffocarti; se hai paura del suo incedere e non sopporti di non avere nulla tra le mani, è il segno che sei ancora un grandissimo orgoglioso, ingannato a dovere dal demonio.  

Che cosa dovrebbe contenere il tempo, che cosa dovrebbe portarci in dote per non averne paura e affrontarlo in pace? Quello che la nostra carne desidera: successo, considerazione, stima, affetto, prestigio. Il tempo dovrebbe essere un autobus che fa scendere ininterrottamente alla fermata della nostra esistenza persone ed eventi capaci di saziare le nostre concupiscenze, incluse quelle spirituali, così subdole e nascoste. 

Invece il tempo è qualcosa di completamente diverso: ci reca frustrazione e nostalgia, paura e angoscia perché il demonio ne ha fatto uno strumento per ucciderci, rivestendolo di false e illusorie aspettative. Per questo siamo infelici e sempre scuri in volto. Non perché le cose non vanno come vorremmo, ma perché siamo morti dentro, senza amore. 

Siamo stati chiamati alla Chiesa, abbiamo ascoltato la parola di Dio, ci siamo nutriti dei sacramenti, ma non ci siamo innamorati di Cristo. "Pensiamo nel cuore che Egli stia ritardando", che non gli importa di noi, e per questo abbiamo smesso di "vegliare". E spendiamo la vita tra una malvagità e l'altra.

Ma non è ancora troppo tardi. Possiamo convertirci, pastori, catechisti o comuni fratelli che siamo. Possiamo accogliere oggi Cristo il "servo fedele e prudente" che non ha sprecato un istante della sua vita, ma ha approfittato di ogni occasione per donarsi a noi e darci da mangiare nei momenti in cui, morti per i nostri peccati, non avremmo potuto procurarci il pane. Lui è venuto dal paradiso per perdonarci, salvarci e sfamarci, noi che eravamo sfiniti dalla fatica...  

Risuscitati e nutriti dal suo amore, scopriremo che la vita ci è data come un "incarico" d'amore con il quale dare pienezza e compimento al tempo. Per questo la Chiesa ci invita a destarci dal sonno dell'orgoglio e umiliarci dinanzi a Dio: a chiedere perdono e ricominciare a camminare nelle ore semplici e concrete che ci sono date. 

Per questo abbiamo bisogno di un cuore nuovo, innamorato. Abbiamo bisogno che Cristo ci doni il suo cuore, capace di discernere in ogni evento il "momento che non sappiamo" nel quale Lui viene per farci una cosa con sé; la carne è incapace di riconoscerlo, ha altri parametri, quelli dell'orgoglio, secondo i quali Cristo non può venire come l'Amato del cuore attraverso l'insulto di mio marito, l'indifferenza dei parrocchiani, una malattia e un fallimento.

Per questo Gesù dice che tornerà "quando meno ce lo aspettiamo": per spogliarci dell'uomo vecchio e carnale che non vede e non capisce nulla, per rivestire il nuovo, guidato dallo Spirito Santo che fiuta nelle persone e negli eventi il profumo di Cristo.

Così, quando giunge la "sera" per noi e per chi ci è accanto, sapremo discernere il momento favorevole, e aprire allo sposo che bussa al nostro cuore. Questo significa essere "pronti": accettare la nostra debolezza per consegnarci così come siamo a Cristo che farà di noi il cibo di cui il mondo ha bisogno.

Il Vangelo innanzi tutto! Sempre pronti ad annunciare la Buona Notizia, il solo cibo capace di salvare e saziare. E poi noi pronti a dare noi stessi da mangiare. Forse oggi tuo figlio ha bisogno di due ore per parlarti; forse il collega ha bisogno di un agnello che non lo giudichi ma prenda su di sé i suoi insulti; forse qualche nemico ha fame, è sera e non sa dove andare a comprare da mangiare... 

Coraggio allora, non c'è situazione difficile, non c'è umiliazione che impedisca tutto questo! La Parola di Dio non è incatenata: San Paolo sapeva approfittare anche del carcere per annunciare il Vangelo; anzi, proprio grazie al carcere ha potuto predicare ai pagani. 

Così ogni situazione, ogni evento, ogni momento, anche i più noiosi e routinari sono quel "a suo tempo" in cui "dare da mangiare" al prossimo. Proprio quando sembra che Cristo ritardi a consolarci, a darci quello che desideriamo, Egli è più vicino, si sta donando a noi perché, attraverso di noi, vuole farsi "cibo" per il mondo. 

Accogliendo la storia così come si presenta, accoglieremo Cristo, e ci doneremo a Lui e in Lui a chi ci è accanto, e sperimenteremo, proprio nei momenti più aridi, più difficili, più incomprensibili, la "beatitudine" celeste dell' "amministratore di tutti i suoi beni". Potremo cioè disporre delle Grazie necessarie per perdonare, pazientare, essere casti e aprirci alla vita, essere generosi e liberi da mammona, annunciare il Vangelo, accogliere la persecuzione e il martirio, pregare e offrire la vita per i nemici. 

Potremo vivere beati gustando e amministrando tutti i beni di Cristo, la vita che non muore e che si moltiplica saziando coloro ai quali siamo inviati.



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