Martedì della XIX settimana del Tempo Ordinario



"Piccoli" perché ritrovati, apostoli perché inviati a "ritrovare" ogni "piccolo" della terra





αποφθεγμα Apoftegma


L’uomo è irragionevole, egocentrico: 
non importa, amalo!
Se fai il bene ti attribuiranno secondi fini egoistici:
non importa, fa’ il bene!
Se realizzi i tuoi obiettivi troverai falsi amici e veri nemici: 
non importa, realizzali!
Il bene che fai verrà domani dimenticato:
non importa, fa’ il bene!
L’onestà e la sincerità ti rendono in qualche modo vulnerabile: 
non importa, sii sempre e comunque franco e onesto!
Quello che per anni hai costruito può essere distrutto in un attimo: 
non importa, costruisci!
Se aiuti la gente, se ne risentirà:
non importa, aiutala! 
Dai al mondo il meglio di te e ti prenderanno a calci:
non importa, continua! 

Madre Teresa di Calcutta



Il più grande dei comandamenti, il più grande nel Regno dei Cieli... Chi seguiva e si avvicinava al Signore non aveva molta fantasia. Come il cuore di ciascuno di noi, monotono e sempre in cerca di risultati, misure da esibire, cifre e numeri a stabilire il perimetro della propria presenza: più "conti" e più sei grande, e addio paura della fine... L’ambizione è sempre figlia dell’insoddisfazione, dell’esigenza insopprimibile di colmare il vuoto che sperimentiamo. Così si fa strada in noi l’illusione che in una certa grandezza vi sia la possibilità di dare consistenza e certezze alla nostra vita. Essere il più grande, la stessa tentazione che ha sedotto Adamo ed Eva, diventare come Dio, salire più in alto di tutti per decidere in tutta "libertà", dirigere e proteggere la propria vita senza nessuno che la contesti e frustri i nostri desideri. Gesù ci conosce e così, invece di rivelare "chi" sia il più grande, indica il "cammino" che Lui stesso ha percorso, la Via Crucis alla ricerca della "pecora perduta". La "conversione" alla quale ci chiama il Signore è "diventare piccoli" come un "bambino" perché in noi sia offerto Cristo a tutti. L'originale greco tradotto con "diventare piccoli" è "tapeinōsei", che significa "umiliarsi". Nel mondo greco l'umiliazione e l'inferiorità espresse da questo verbo erano una vergogna da evitare; essere impotente, insignificante, obbligato a obbedire e a servire contrastava con l'antropocentrismo della cultura greca. "Tapeinos" significa infatti fondamentalmente "ciò che sta in basso, è inferiore a ciò che sta in alto, che è superiore". Indica quindi una realtà che, applicata ad una persona, è assolutamente da evitare. La versione greca della Bibbia cosiddetta LXX (settanta) usa "tapeinos" prevalentemente per tradurre la radice "anah" che significa "piegato, abbassato", "shapal", ovvero "essere nel profondo, essere in basso", "dalal", cioè "essere piccolo, insignificante, senza voce". Comprendiamo allora che "umiliarsi" è entrare nella verità, accettare cioè la propria realtà, l'essere in basso, inferiore agli altri... Per questo convertirsi significa passare dal pensare secondo gli uomini al pensare secondo Dio; è un cambio di mentalità, che si dà solo quando si è scoperta e accettata la realtà. Altro che "grandi", siamo "piccoli" e spesso "perduti", abbiamo bisogno di un Pastore che ci ami senza giudicarci, che ci "cerchi" e ci "ritrovi". Di Cristo, il Buon Pastore per il quale "il più grande" nel Regno dei cieli è proprio "il più piccolo", un bambino capriccioso che si infila in un bosco e si perde. Come te e me. Si, quel bambino che Gesù ha "chiamato" e "posto in mezzo" a tutti sei tu, sono io. Non perché a prezzo di sforzi indicibili ci siamo rimpiccioliti e siamo diventati finalmente umili. Quel bambino sei tu e sono io perché la storia ci ha ridimensionato ai nostri stessi occhi; come panna montata credevamo di gonfiarci sempre più, studio, lavoro, soldi, soldi, soldi... Ma la panna è impazzita, e ora è acida, immangiabile... I peccati hanno svelato il nostro lato nascosto di morte e solitudine, per sfuggire il quale ci siamo gonfiati come pavoni. Come il figlio prodigo, abbiamo inseguito sogni di gloria, proprio come i bambini che, da grandi, sognano di diventare calciatori, cantanti, ricchi e famosi, preti meravigliosi ai quali ricorrono frotte di persone. E ci siamo fatti male, cadendo rovinosamente dalle nuvole, e ci siamo ritrovati soli, come la pecora della parabola. Ma Gesù è venuto a "chiamare i bambini", i malati e i peccatori, i lontani e i perduti. Gesù ha la stessa "volontà del Padre", la rivela e la compie. Non a caso, per illuminare la parabola, conclude dicendo che questa volontà è "che neanche uno di questi piccoli si perda": non dice pecora, ma identifica questa con uno dei "piccoli", dal bambino che ha chiamato e messo "in mezzo a loro", a coloro che volevano sapere "chi fosse il più grande nel Regno dei Cieli". Un bambino tra i bambini, ecco il più grande: il più piccolo perché disprezzato a causa dei suoi peccati, ma il più grande perché, per amare uno che tutti hanno già sistemato nella casella del disprezzo, ci vuole un amore grande, quello di cui solo Dio è capace. Quanto disprezzo abbiamo sperimentato nel mondo; il demonio, infatti, fa sempre così: prima ci induce a "perderci" e poi ci dà in pasto al disprezzo del mondo e di noi stessi, sino a spingerci alla disperazione. E' questa l'autentica perdizione, disprezzare se stessi dimenticando che, anche nel fondo più buio, i nostri "angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre di Gesù che è nei cieli". E' questo il cuore del Vangelo di oggi: proprio laddove, a causa del peccato, più grande si è fatta la distanza tra l'uomo e Dio, il Cielo è divenuto più vicino: "dove è abbondato il peccato ha sovrabbondato la Grazia". Lo sguardo di Dio ha accorciato ogni distanza, perché vede nel più piccolo tra gli uomini, il suo più grande tesoro. Vede suo Figlio, che, per cercare la pecora perduta, è precipitato nello stesso smarrimento, quando, sulla Croce, ha gridato: "Padre, perché mi hai abbandonato?". La sua carne era lontana dal Cielo, inchiodata alla Croce da tutti i peccati di ogni pecora perduta, ma, proprio perché è "diventato come un bambino", il più "piccolo" e il più "disprezzato" tra gli uomini, attirava a sé lo sguardo misericordioso del Padre che, per questo, lo ha risuscitato facendolo "entrare nel Regno dei Cieli". Gesù era perduto in tutti i perduti, ma più vicino che mai al Padre che era misteriosamente accanto a Lui: "cercava" le sue lacrime, il suo sangue, goccia dopo goccia, e ha "ritrovato" in quella sua carne martoriata ogni carne ferita dal peccato per riportarla in salvo. Forse non ci abbiamo mai pensato, ma proprio mentre ci stavamo allontanando, cedendo miseramente al peccato, il Signore era già alla nostra ricerca. Così, proprio ora, in questa situazione dalla quale non sappiamo uscire, Gesù ci sta "cercando": nel suo sguardo risplende il cuore del Padre che non ha mai smesso di guardarci come i suoi figli carissimi, mentre il suo cuore freme di compassione nel vederci così "piccoli" e "disprezzati". In noi ha riconosciuto il suo Figlio diletto crocifisso, nelle nostre ferite ha visto quelle gloriose del suo Unigenito. Se ti senti "perduto", coraggio! Ora per te è come per gli apostoli la sera di Pasqua, "perduti" nella paura e nascosti nel cenacolo; come per i due discepoli di Emmaus "perduti" sulla strada del ritorno alla solita vita, all'immenso sconforto d'una speranza svanita. E lì, nello sconforto per il disprezzo che ti senti addosso, può vibrare il cuore di gioia purissima per l'incontro di due così diversi eppure fatti l'uno per l'altro: "Ossa delle mie ossa, carne della mia carne", sono queste le parole del Pastore al ritrovare la sua amata pecora smarrita, le stesse che, oggi, puoi ascoltare mentre Gesù ti "trova" e ti abbraccia. Perché si diventa cristiani scoprendo e accettando di essere "In basso", il più in basso di tutti: di tuo marito e di tua moglie, di tuo fratello e dei tuoi genitori, del tuo fidanzato e di ogni persona che incontri, anche del più grande peccatore. Di tutti quelli che hai disprezzato e continui a disprezzare... Un cristiano è, semplicemente, una pecora che si è perduta e, per pura grazia, è stata ritrovata e caricata sulle spalle dal Signore. Una pecora che Cristo ha ritrovato sulla Croce dove si è umiliato diventando il più piccolo di tutti per salvare te, il più "umiliato" di tutti a causa dei tuoi peccati. Sì fratelli, si "diventa" cristiani solo incontrando Cristo sulla Croce, nell'esperienza quotidiana del perdono dei peccati che ci fa nuove creature in Lui, che vivono crocifisse nella storia. 

Per questo Gesù dice di "non disprezzare i piccoli" che camminano sulle spalle del Buon Pastore. Non disprezzare chi è debole, incoerente; non disprezzare i "piccoli" per i quali Cristo ha dato la sua vita, e che la Chiesa e i suoi "angeli" (apostoli) cercano sino agli estremi confini della terra. Non disprezzare chi si è "perduto"! Attento, perché i martiri, i santi che già sono nel Cielo, un loro amico, parente o pastore ha offerto unito a Cristo le proprie sofferenze nel segreto per ciascuno di loro. Per questo, anche se ora sono lontani e schiavi dei peccati, c'è un "angelo", l'angelo di ciascun piccolo "perduto" che "guarda sempre la faccia del Padre che è nei Cieli", che cioè sta intercedendo per loro, riflettendo, come uno specchio, le sofferenze e le angosce perché il Padre abbia compassione di tutti. Perché compia sulla terra la sua volontà di "non perderne nessuno". Chi si scandalizza dei peccatori ha dimenticato la sua "umiliazione" e non ha sperimentato che ci si "rallegra per la pecora perduta più che per le novantanove che non si erano smarrite". Si sente tra le novantanove, e non tra quella perduta. Per questo non è mai uscito davvero per andarla a "cercare"...  Capita anche a noi, vero? Troppo impegnati a guardarci allo specchio, se siamo diventati un pochino più buoni, e a "disprezzare" sottilmente gli altri... Per questo oggi Gesù viene a scuotere le nostre comunità, i loro pastori e i loro fedeli; viene a scuotere te e me, che forse non "ci pare" proprio il caso di perdere tempo per chi si è perduto. Pensiamoci sinceramente: chi lascerebbe il guadagno sicuro di novantanove pecore per andare a cercare un'unica pecora dispersa, senza alcuna certezza di trovarla, senza sapere se sia viva o morta, o sbranata dai lupi e così inutilizzabile per lana e carne? Chi, facendo due lucidi calcoli, si sognerebbe di rischiare la vita per un'unica pecora, avendone messe al sicuro novantanove? Chi lascerebbe la parrocchia piena di fratelli avviati a un pascolo tranquillo per un fratello traviato, l'unico, scappato, perduto, ostinato nei suoi peccati, cieco nei suoi inganni? Chi, dinanzi all'evidenza di anni scivolati senza concludere nulla di quanto creduto, sperato, sofferto, sarebbe disposto a ricominciare tutto da capo, con moglie, marito, figli, parenti e colleghi? Chi è così libero da se stesso, dagli anni accumulati e dalle ragioni di prete, di padre, di madre, di fratello, di sorella, raccolte nella mente e nel cuore, da ripresentare, ogni giorno, dinanzi alle mille speranze frustrate, la propria vita come un foglio completamente bianco, nell'assoluta certezza che Dio può stupire e compiere l'impossibile? Chi? Solo Gesù Cristo! Gesù è l'unico che ha nel cuore cento pecore, sempre. Anche quando una scappa, si perde, lo rifiuta, lo bestemmia, spezza l'Alleanza, lo tradisce, e distrugge la propria vita e dilapida la primogenitura e le Grazie ad essa legate, per Lui sempre cento sono le sue pecore. Gesù non cancella nessuno, non considera nessuno spacciato, sino alla fine. Per Lui è sua pecora anche la peggiore, la più ribelle; anche quella che lo umilia, e lo calunnia, e lo uccide... cento ne ha ricevute, cento vuole portare all'ovile eterno del Cielo. Così vive anche chi ha sperimentato il suo amore, i "piccoli" che, "disprezzati" da tutti, hanno incontrato il suo apprezzamento senza condizioni. Solo chi ha sperimentato la gioia di essere stato "ritrovato" può lanciarsi a cercare chi ancora non è stato trovato. Per questo i "piccoli" sono anche gli apostoli del Regno, gli annunciatori del Vangelo: "chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome accoglie me". Chi accoglie i "piccoli" evangelizzatori che accettano la loro piccolezza e conservano nel cuore l'esperienza di essere stati "ritrovati", accoglie l'amore di Dio che si offre in loro; hanno, infatti, il pensiero di Dio su chi è vicino e si è fatto il più lontano, l'amico che mangiava insieme e ha tradito, vendendoli per trenta stupide monete. Anche noi siamo chiamati a camminare sulla Via Crucis che ci ha salvato, la strada di quell'unica pecora così strana da perdersi, da uscire dai nostri schemi. Se non è presente all'appello del branco, al sicuro dell'ovile, per quanto si brighi e si ragioni, ci lascia il cuore inquieto; ed è il segnale che siamo nati per amare davvero, al di là di ogni ragione, per sperare contro ogni speranza, e per accogliere tutti, senza distinzione, nel nostro cuore. Quell'unica pecora che ci è sfuggita, che non ha accolto il nostro amore, le nostre cure, parla al nostro cuore: è il Signore stesso che, in lei, ci chiama alla luce della verità. Forse gli sforzi che abbiamo profuso hanno dimenticato chi quella pecora fosse realmente, e abbiamo tentato di rinchiuderla nei nostri criteri. O forse no, forse è stata davvero così perversa da rigettare il nostro amore, da rifiutarci e tradirci. Il fatto è che ora manca all'appello. E fa parte di noi, dell'eredità che Dio ci ha dato nel momento stesso in cui ci ha pensato e chiamato all'esistenza. Non saremo noi stessi sino a che non l'avremo ritrovata, issata sulle spalle e ricondotta a Dio. Ma come? Per questo non esiste manuale di teologia o di pastorale; è un affare dello Spirito Santo, dell'amore di Dio che, riversato nei nostri cuori, li rende docili alla sua follia, allo zelo che rade al suolo ogni umana sapienza, per far posto ad una misericordia che spinge a cercare laddove nessuno si avventurerebbe. Lo Spirito che ci fa giungere a un centimetro dalla pecora perduta, ad accettare le sue fughe, ad aver pazienza, a ricominciare la ricerca, a rinunciare ad ogni piano e progetto di recupero, a lasciare che sia Dio a determinare tempi e modi. Lo Spirito di libertà che fa amare senza misura, senza sperare nulla donando tutto! Che il Signore ci conceda un desiderio ardente di ritrovare e amare quanti si sono allontanati, non importa per quale motivo. Che il nostro cuore sia dischiuso nella libertà senza limiti, nella speranza che supera ogni criterio, nell'amore struggente che, testardamente, non vuole che nessun piccolo sia perduto. Perché la gioia autentica, il destino per il quale siamo nati, ci è dato come primizia nel ritrovare chi era perduto! E' questa l'intimità con Dio, la partecipazione ai suoi sentimenti, il pensare con il suo pensiero. La sua gioia in noi, ed è, finalmente, gioia piena! La gioia di chi, al di là di ogni ragionamento, di ogni calcolo, di ogni speranza, ritrova il volto di chi aveva perduto! La gioia della misericordia! E' in essa che si fa presente il Paradiso. La soddisfazione professionale, pastorale, paterna, materna costituita da novantanove-pecore-novantanove che obbediscono, ascoltano, messe al sicuro, non è ancora la gioia che può saziarci; non è la gioia del Cielo. "In verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite": in queste parole è svelato il segreto più profondo di Dio. Testi e corsi di Cristologia, Ecclesiologia, saggi di pastorale, convegni, dibattiti, riunioni fiume di Conferenze Episcopali e Consigli pastorali, tutto potrebbe essere riassunto in queste semplici parole del Signore: C'è più gioia! E' questa, e solo questa, la gioia di Dio! La missione della Chiesa non sarà compiuta se non in questo surplus di gioia. Guardarsi e rimirarsi per i successi ottenuti, come per i fallimenti subiti, non è secondo il cuore di Dio, nella comunità come in famiglia e in ogni relazione. Caritas Christi urget nos! Lo zelo arde di gelosia per la carne della propria carne dispersa e perduta! Non è un vanto predicare il vangelo, è un dovere, un fuoco che Dio stesso ha acceso nel cuore della sua Chiesa. La gioia naturale del cuore di Dio: o si ha questo cuore o tutto è vano! 



La pecora riscattata in Iraq


Guardate questo breve video, «Un salvataggio eroico, mai visto nulla del genere», come il giornalista della Cnn, Ivan Watson, ha commentato dal vivo l'intervento di un elicottero americano in Iraq. Dal mezzo i militari statunitensi stanno lanciando viveri e medicine sulle montagne intorno a Sinjar, nel nord del Paese, dove yazidi e cristiani sono stati spinti dai jihadisti dell'Isis. Il velivolo si avvicina al suolo e alcune persone si dirigono nella sua direzione per mettersi in salvo: donne, bambini e anziani scappano mentre da terra vengono sparati colpi dai miliziani. «L'equipaggio fa salire il maggior numero possibile di persone», racconta il giornalista descrivendo la drammatica scena. Guardatelo e  immaginate i soldati su questo elicottero come l'uomo che va in cerca della pecora perduta. Rischia molto in un territorio di guerra. Guardate poi come vengono messe in salvo le persone, e guardate il volto di una delle bambine salvate, quella con una maglietta viola, su cui indugia più volte la telecamera. E' lei la pecora smarrita e ritrovata. Guardate il bambino che è anche nella foto, nei loro occhi il dolore, lo stupore, l'angoscia, si fondono in uno sguardo che le parole non possono descrivere. Ecco, sono loro il bambino, il più piccolo, scampato alla furia del demonio, strappato a una morte certa. Loro come gli altri, che piangono, e si stringono alla madre, e fissano nel vuoto. E' stato quello che è stato, ma ora sono salvi. Ecco, fissate quella bambina, e ogni altro volto, e specchiatevi in loro. Poi leggete il Vangelo di oggi. Non c'è ammonizione migliore .








L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Matteo 18,1-5.10.12-14. 
In quel tempo, i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?». 
Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: 
«In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. 
Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli. 
E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me. 
Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli». 
Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e ne smarrisce una, non lascerà forse le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella perduta? 
Se gli riesce di trovarla, in verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. 
Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli». 







Il più grande dei comandamenti, il più grande nel Regno dei Cieli... Chi seguiva e si avvicinava al Signore non aveva molta fantasia. Come il cuore di ciascuno di noi, monotono e sempre in cerca di risultati, misure da esibire, cifre e numeri a stabilire il perimetro della propria presenza: più "conti" e più sei grande, e addio paura della fine... 

L’ambizione è sempre figlia dell’insoddisfazione, dell’esigenza insopprimibile di colmare il vuoto che sperimentiamo. Così si fa strada in noi l’illusione che in una certa grandezza vi sia la possibilità di dare consistenza e certezze alla nostra vita. Essere il più grande, la stessa tentazione che ha sedotto Adamo ed Eva, diventare come Dio, salire più in alto di tutti per decidere in tutta "libertà", dirigere e proteggere la propria vita senza nessuno che la contesti e frustri i nostri desideri. 

Gesù ci conosce e così, invece di rivelare chi sia il più grande, indica il cammino che Lui stesso ha percorso, la Via Crucis alla ricerca della "pecora perduta". La "conversione" alla quale ci chiama il Signore è passare dal pensare secondo gli uomini al pensare secondo Dio; è un cambio di mentalità, che si dà solo quando si è scoperta e accettata la realtà.

Altro che "grandi", siamo "piccoli" e spesso "perduti", abbiamo bisogno di un Pastore che ci ami senza giudicarci, che ci "cerchi" e ci "ritrovi". Un pastore secondo il cuore di Dio, per il quale, paradosso dei paradossi, "il più grande" nel Regno dei cieli è proprio "il più piccolo", un bambino capriccioso che si infila in un bosco e si perde. Come te e me. 

Si, quel bambino che Gesù ha "chiamato" e "posto in mezzo" a tutti sei tu, sono io. Non perché a prezzo di sforzi indicibili ci siamo rimpiccioliti e siamo diventati finalmente umili. Quel bambino sei tu e sono io perché la storia ci ha ridimensionato ai nostri stessi occhi; come panna montata credevamo di gonfiarci sempre più, studio, lavoro, soldi, soldi, soldi... Ma la panna è impazzita, e ora è acida, immangiabile... I peccati hanno svelato il nostro lato nascosto di morte e solitudine, per sfuggire il quale ci siamo gonfiati come pavoni. 

Come il figlio prodigo, abbiamo inseguito sogni di gloria, proprio come i bambini che, da grandi, sognano di diventare calciatori, cantanti, ricchi e famosi, preti meravigliosi ai quali ricorrono frotte di persone. E ci siamo fatti male, cadendo rovinosamente dalle nuvole, e ci siamo ritrovati soli, come la pecora della parabola. 

Ma Gesù è venuto a "chiamare i bambini", i malati e i peccatori, i lontani e i perduti. Gesù ha la stessa "volontà del Padre", la rivela e la compie. Non a caso, per illuminare la parabola, conclude dicendo che questa volontà è "che neanche uno di questi piccoli si perda": non dice pecora, ma identifica questa con uno dei "piccoli", dal bambino che ha chiamato e messo "in mezzo a loro", a coloro che volevano sapere "chi fosse il più grande nel Regno dei Cieli". Un bambino tra i bambini, ecco il più grande: il più piccolo perché disprezzato a causa dei suoi peccati, ma il più grande perché, per amare uno che tutti hanno già sistemato nella casella del disprezzo, ci vuole un amore grande, quello di cui solo Dio è capace. 

Quanto disprezzo abbiamo sperimentato nel mondo; il demonio, infatti, fa sempre così: prima ci induce a "perderci" e poi ci dà in pasto al disprezzo del mondo e di noi stessi, sino a spingerci alla disperazione. E' questa l'autentica perdizione, disprezzare se stessi dimenticando che, anche nel fondo più buio, i nostri "angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre di Gesù che è nei cieli". 

E' questo il cuore del Vangelo di oggi: proprio laddove, a causa del peccato, più grande si è fatta la distanza tra l'uomo e Dio, il Cielo è divenuto più vicino: "dove è abbondato il peccato ha sovrabbondato la Grazia". 

Lo sguardo di Dio ha accorciato ogni distanza, perché vede nel più piccolo tra gli uomini, il suo più grande tesoro. Vede suo Figlio, che, per cercare la pecora perduta, è precipitato nello stesso smarrimento, quando, sulla Croce, ha gridato: "Padre, perché mi hai abbandonato?". La sua carne era lontana dal Cielo, inchiodata alla Croce da tutti i peccati di ogni pecora perduta, ma, proprio perché è "diventato come un bambino", il più "piccolo" e il più "disprezzato" tra gli uomini, attirava a sé lo sguardo misericordioso del Padre che, per questo, lo ha risuscitato facendolo "entrare nel Regno dei Cieli".

Gesù era perduto in tutti i perduti, ma più vicino che mai al Padre che era misteriosamente accanto a Lui: "cercava" le sue lacrime, il suo sangue, goccia dopo goccia, e ha "ritrovato" in quella sua carne martoriata ogni carne ferita dal peccato per riportarla in salvo. 

Forse non ci abbiamo mai pensato, ma proprio mentre ci stavamo allontanando, cedendo miseramente al peccato, il Signore era già alla nostra ricerca. Così, proprio ora, in questa situazione dalla quale non sappiamo uscire, Gesù ci sta "cercando": nel suo sguardo risplende il cuore del Padre che non ha mai smesso di guardarci come i suoi figli carissimi, mentre il suo cuore freme di compassione nel vederci così "piccoli" e "disprezzati". In noi ha riconosciuto il suo Figlio diletto crocifisso, nelle nostre ferite ha visto quelle gloriose del suo Unigenito. 

Se ti senti "perduto", coraggio! Ora per te è come per gli apostoli la sera di Pasqua, "perduti" nella paura e nascosti nel cenacolo; come per i due discepoli di Emmaus "perduti" sulla strada del ritorno alla solita vita, all'immenso sconforto d'una speranza svanita. E lì, nello sconforto per il disprezzo che ti senti addosso, può vibrare il cuore di gioia purissima per l'incontro di due così diversi eppure fatti l'uno per l'altro: "Ossa delle mie ossa, carne della mia carne", sono queste le parole del Pastore al ritrovare la sua amata pecora smarrita, le stesse che, oggi, puoi ascoltare mentre Gesù ti "trova" e ti abbraccia.

Ma questo amore non è scontato; nulla è imposto, nella Chiesa non si fanno lavaggi del cervello. "Che cosa vi pare?" ci chiede oggi il Signore. In questa domanda c'è tutto il cammino che siamo chiamati a percorrere nella Chiesa. Non si può rispondere in un momento, nell'impulso del sentimento. E' necessario aver fatto nella propria vita l'esperienza dell'essere stati perduti e ritrovati. Ciò non significa che dobbiamo peccare per sperimentare l'amore di Dio, come sosteneva Lutero. Basta la nostra vita, illuminata però dalla Parola di Dio e dalla predicazione, che smascherano anche i centimetri più nascosti sui quali ci siamo pervertiti.

Senza la luce che la Chiesa ci offre, continueremmo a considerare del tutto naturali e giusti pensieri e attitudini che, invece, sorgono da un cuore infettato dal demonio, e ci portano lontano dalla volontà di Dio. Abbiamo bisogno della Chiesa che, annunciandoci la Verità, ci sveli, poco a poco, quanto ci siamo allontanati dal progetto che Dio ha su di noi. 

Per questo, quando il Signore dice: "se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli" sta parlando del cammino di conversione che conduce l'uomo vecchio alla vita nuova. E' come se dicesse: "se non ascolterete la Parola di Dio e le catechesi di pastori e catechisti, se non vi lascerete accompagnare dalla correzione e dalla misericordia della Chiesa per scendere i gradini che conducono al fonte battesimale, non entrerete nella vita nuova".

Perché si diventa cristiani solo passando per la porta stretta della Verità: e può attraversarla solo chi è diventato "piccolo come i bambini", cioè solo chi ha conosciuto se stesso e non si aliena più cercando di cambiare la propria vita facendosi grande, chi non fonda più le proprie sicurezze sulle vanità e gli affetti del mondo, chi ha scoperto l'inconsistenza e la menzogna degli idoli.

Si diventa cristiani solo salendo sulla Croce con Cristo. Ma non è cosa di un giorno... Quante cadute sulla via del calvario, quanti errori, e pentimenti, e ancora errori, e ancora pentimenti, per giungere alla soglia della resurrezione, al fonte battesimale...

Per questo Gesù dice di "non disprezzare i piccoli": sta parlando dei catecumeni, di quelli che stavano muovendo i primi passi sul cammino di conversione. Attenzione dice, "guardatevi dal farlo", perché "i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli": gli "angeli" sono i "messaggeri", ovvero gli apostoli, coloro che hanno annunciato il Vangelo ai "piccoli" e li accompagnavano nel catecumenato.

Essi "vedono sempre la faccia del Padre", sono come Mosè che parlava faccia a faccia con Dio e poi, con il volto splendente, trasmetteva al Popolo le sue parole. Gli "angeli" hanno ricevuto il potere agire in nome di Dio; quello che sciolgono e legano in terra, infatti, sarà legato e sciolto in Cielo. Quelli che scioglieranno dai lacci del demonio e del mondo, saranno legati eternamente al Padre nel Cielo. Quelli che immergeranno nelle acque del battesimo sulla terra, saranno seduti con Cristo alla destra del Padre in Cielo.

Per questo Gesù dice ai pastori e a ogni cristiano che "accogliendo uno di questi piccoli nel suo nome", cioè quelli che bussano alle porte della Chiesa chiedendo di diventare cristiani e scrivere così il proprio nome sul libro della Vita, accoglieranno Cristo. In ogni persona che giace impigliato nei peccati, nei fallimenti, in ogni "piccolo" che, come Lazzaro, brama di sfamarsi alle ricchezze di Grazia della Chiesa, è nascosto il Servo di Yahwè; le sue ferite sono le piaghe di Cristo crocifisso. Ed era così anche il Vescovo, il prete, il diacono e il catechista. Eravamo, e siamo ogni giorno anche noi pecore perdute...

Attenzione allora a "disprezzare" i peccatori, i lontani, anche quelli più testardi. Attenzione a chiudere loro le porte del Regno con atteggiamenti polemici, difese a oltranza delle proprie posizioni, scambiando questo con la missione della Chiesa. Attenzione a chi smette di evangelizzare per chiudersi nelle proprie sacrestie. A che serve farsi paladini della vita se non ci si rende conto che il mondo è già morto? Che va bene non sbiadire il Vangelo nel relativismo, ma non dimentichiamo che esso è la Buona Notizia dell'amore infinito di Dio alla pecora perduta. Non è un'arma ideologica da usare contro chi ha smarrito la vita.

E attenzione anche a esigere dalle pecore deboli e ferite dalla storia e dai peccati, che si impegnino, legando pesanti fardelli moralistici. Attenzione perché un modo di disprezzare i piccoli è dare per scontata in loro la fede. Come se un padre si convincesse che il suo figlio di tre anni sia adulto, e cominciasse a fargli spaccare legna in giardino; sarebbe un folle no? Ebbene, quanti folli ci sono tra i preti e i laici delle nostre parrocchie, che non hanno compreso quale sia la vera "gioia" di un pastore e di un cristiano... 

Probabilmente, non hanno capito che cosa significhi "rallegrarsi per la pecora perduta più che per le novantanove che non si erano smarrite". Si sentono tra le novantanove, e non sono mai andati "in cerca" della smarrita... Troppo impegnati a guardarsi allo specchio, a fare riunioni e stilare piani pastorali per progettare come e quando e dove andare a cercarla... Hanno forse perduto la speranza, le chiese si svuotano, i giovani non ci sono più, e la frustrazione si trasforma in duro cinismo.

E i pochi rimasti magari litigano, si giudicano, si "perdono" in gelosie, invidie e rancori, nelle "chiacchiere" di cui para spesso Papa Francesco; e così restano intrappolati nel tempio, e non hanno tempo di mettere naso fuori... Non si rendono conto che le parole di Gesù sono un paradosso, perché tutti, preti compresi, sono stati quella pecora perduta; e forse lo sono ancora, perché non sono stati iniziati alla fede, la danno per scontata in se stessi e negli altri. Si sveglieranno all'improvviso e che sorpresa: ormai sono novantanove le pecore perdute lontane dalla Chiesa, mentre dentro ne è rimasta una sola...

Per questo oggi Gesù viene a scuotere le nostre comunità, i loro pastori e i loro fedeli; viene a scuotere te e me, che forse non "ci pare" proprio il caso di perdere tempo per chi si è perduto. Pensiamoci sinceramente: chi lascerebbe il guadagno sicuro di novantanove pecore per andare a cercare un'unica pecora dispersa, senza alcuna certezza di trovarla, senza sapere se sia viva o morta, o sbranata dai lupi e così inutilizzabile per lana e carne? Chi, facendo due lucidi calcoli, si sognerebbe di rischiare la vita per un'unica pecora, avendone messe al sicuro novantanove? 

Chi lascerebbe la parrocchia piena di fratelli avviati a un pascolo tranquillo per un fratello traviato, l'unico, scappato, perduto, ostinato nei suoi peccati, cieco nei suoi inganni? Chi, dinanzi all'evidenza di anni scivolati senza concludere nulla di quanto creduto, sperato, sofferto, sarebbe disposto a ricominciare tutto da capo, con moglie, marito, figli, parenti e colleghi? 

Chi è così libero da se stesso, dagli anni accumulati e dalle ragioni di prete, di padre, di madre, di fratello, di sorella, raccolte nella mente e nel cuore, da ripresentare, ogni giorno, dinanzi alle mille speranze frustrate, la propria vita come un foglio completamente bianco, nell'assoluta certezza che Dio può stupire e compiere l'impossibile? Chi? Solo Gesù Cristo! 

Gesù è l'unico che ha nel cuore cento pecore, sempre. Anche quando una scappa, si perde, lo rifiuta, lo bestemmia, spezza l'Alleanza, lo tradisce, e distrugge la propria vita e dilapida la primogenitura e le Grazie ad essa legate, per Lui sempre cento sono le sue pecore. Gesù non cancella nessuno, non considera nessuno spacciato, sino alla fine. Per Lui è sua pecora anche la peggiore, la più ribelle; anche quella che lo umilia, e lo calunnia, e lo uccide... cento ne ha ricevute, cento vuole portare all'ovile eterno del Cielo. 

Così vive anche chi ha sperimentato il suo amore, i "piccoli" che, "disprezzati" da tutti, hanno incontrato il suo apprezzamento senza condizioni. Ecco, con questo Vangelo il Signore ci invita seriamente a convertirici, a camminare nella Chiesa, e ad aprire le sue porte, per uscire e andare a cercare i "perduti" di questa generazione, per "accoglierli" nel nome di Cristo! Per fare delle parrocchie un seno di misericordia che accolga i "piccoli".

Ma questo è possibile solo se anche i preti e i cristiani che "frequentano" sono iniziati alla fede. Solo la fede adulta dilata il cuore nello zelo. Solo chi ha sperimentato la gioia di essere stato "ritrovato" può lanciarsi a cercare chi ancora non è stato trovato. Solo chi ha dentro fede adulta e vita traboccante. Solo chi ha il cuore di Cristo....

Per questo i "piccoli" sono anche gli apostoli del Regno, gli annunciatori del Vangelo: "chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome accoglie me". Chi accoglie i "piccoli" evangelizzatori accoglie l'amore di Dio che si offre in loro; hanno, infatti, il pensiero di Dio su chi è vicino e si è fatto il più lontano, l'amico che mangiava insieme e ha tradito, vendendoli per trenta stupide monete. 

Anche noi siamo chiamati a camminare sulla Via Crucis che ci ha salvato, la strada di quell'unica pecora così strana da perdersi, da uscire dai nostri schemi. Se non è presente all'appello del branco, al sicuro dell'ovile, per quanto si brighi e si ragioni, ci lascia il cuore inquieto; ed è il segnale che siamo nati per amare davvero, al di là di ogni ragione, per sperare contro ogni speranza, e per accogliere tutti, senza distinzione, nel nostro cuore. 

Quell'unica pecora che ci è sfuggita, che non ha accolto il nostro amore, le nostre cure, parla al nostro cuore: è il Signore stesso che, in lei, ci chiama alla luce della verità. Forse gli sforzi che abbiamo profuso hanno dimenticato chi quella pecora fosse realmente, e abbiamo tentato di rinchiuderla nei nostri criteri. O forse no, forse è stata davvero così perversa da rigettare il nostro amore, da rifiutarci e tradirci. Il fatto è che ora manca all'appello. E fa parte di noi, dell'eredità che Dio ci ha dato nel momento stesso in cui ci ha pensato e chiamato all'esistenza. Non saremo noi stessi sino a che non l'avremo ritrovata, issata sulle spalle e ricondotta a Dio

Ma come? Per questo non esiste manuale di teologia o di pastorale; è un affare dello Spirito Santo, dell'amore di Dio che, riversato nei nostri cuori, li rende docili alla sua follia, allo zelo che rade al suolo ogni umana sapienza, per far posto ad una misericordia che spinge a cercare laddove nessuno si avventurerebbe. Lo Spirito che ci fa giungere a un centimetro dalla pecora perduta, ad accettare le sue fughe, ad aver pazienza, a ricominciare la ricerca, a rinunciare ad ogni piano e progetto di recupero, a lasciare che sia Dio a determinare tempi e modi. Lo Spirito di libertà che fa amare senza misura, senza sperare nulla donando tutto! 

Che il Signore ci conceda un desiderio ardente di ritrovare e amare quanti si sono allontanati, non importa per quale motivo. Che il nostro cuore sia dischiuso nella libertà senza limiti, nella speranza che supera ogni criterio, nell'amore struggente che, testardamente, non vuole che nessun piccolo sia perduto. Perché la gioia autentica, il destino per il quale siamo nati, ci è dato come primizia nel ritrovare chi era perduto! 

E' questa l'intimità con Dio, la partecipazione ai suoi sentimenti, il pensare con il suo pensiero. La sua gioia in noi, ed è, finalmente, gioia piena! La gioia di chi, al di là di ogni ragionamento, di ogni calcolo, di ogni speranza, ritrova il volto di chi aveva perduto! La gioia della misericordia! E' in essa che si fa presente il Paradiso. 

La soddisfazione professionale, pastorale, paterna, materna costituita da novantanove-pecore-novantanove che obbediscono, ascoltano, messe al sicuro, non è ancora la gioia che può saziarci; non è la gioia del Cielo. "In verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite". In queste parole è svelato il segreto più profondo di Dio. Testi e corsi di Cristologia, Ecclesiologia, saggi di pastorale, convegni, dibattiti, riunioni fiume di Conferenze Episcopali e Consigli pastorali, tutto potrebbe essere riassunto in queste semplici parole del Signore: C'è più gioia! E' questa, e solo questa, la gioia di Dio! 

La missione della Chiesa non sarà compiuta se non in questo surplus di gioia. Guardarsi e rimirarsi per i successi ottenuti, come per i fallimenti subiti, non è secondo il cuore di Dio. Caritas Christi urget nos! Lo zelo arde di gelosia per la carne della propria carne dispersa e perduta! Non è un vanto predicare il vangelo, è un dovere, un fuoco che Dio stesso ha acceso nel cuore della sua Chiesa. La gioia naturale del cuore di Dio: o si ha questo cuore o tutto è vano! 



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