Mercoledì della XX settimana del Tempo Ordinario






αποφθεγμα Apoftegma


Giusto per noi è “ciò che è all’altro dovuto”, 
mentre misericordioso è ciò che è donato per bontà. 
E una cosa sembra escludere l’altra. 
Ma per Dio non è così: in Lui giustizia e carità coincidono; 
non c’è un’azione giusta 
che non sia anche atto di misericordia e di perdono 
e, nello stesso tempo, non c’è un’azione misericordiosa 
che non sia perfettamente giusta.
Come è lontana la logica di Dio dalla nostra! 
E come è diverso dal nostro il suo modo di agire! 
Il Signore ci invita a cogliere e osservare il vero spirito della legge, 
per darle pieno compimento nell’amore verso chi è nel bisogno.

Benedetto XVI



Il giovane ricco, Pietro, gli apostoli, tutti cercano di "ottenere" qualcosa in cambio di ciò che "fanno"; tutti sindacalisti di se stessi... Anche tu vero? Stai seguendo il Signore, mica per niente no? Cioè, non seguiamo Gesù per conoscerlo, per stare con Lui. No, "facciamo cose" come il giovane ricco, "lasciamo tutto" come gli apostoli, ma non è per Gesù. E' per noi, per saziare il nostro uomo vecchio, le sue concupiscenze incipriate di cristianesimo, di messe, preghiere, elemosine, gruppi e comunità. Dici di no? Pensi che sia esagerato? Bene, vediamo: Sei felice della tua vita? La questione che Gesù pone con questa parabola è proprio questa, la nostra felicità, oggi. Per questa, ci dice, sono "uscito all'alba" della mattina di Pasqua, quando ho vinto la morte; ti sono venuto a cercare per "salvarti" e strapparti all'ozio e ai vizi, frutto della "disoccupazione" del cuore; ho dato senso alla tua vita perduta nell'egoismo "prendendoti a giornata" per "lavorare" nella mia "vigna"; ti ho promesso "quello che è giusto", perdonarti e giustificarti per fare di te una creatura nuova, felice nel compiere la volontà di Dio. E tu hai ascoltato l'annuncio del Vangelo e "hai convenuto" che il suo salario era proprio quello che il tuo cuore desiderava; e sei "andato" nella "vigna", a camminare nella comunità cristiana. Hai creduto che potevi essere felice perché finalmente "occupato", con il cuore libero di amare; felice perché, nella vigna, saresti stato a casa tua, cittadino del regno dei Cieli. E allora, oggi, sei felice o no? No che non lo sei, stai "mormorando" come il Popolo di Israele, inghiottito ancora nella stessa menzogna: preferisci l'Egitto della schiavitù al faraone alla libertà di camminare nel deserto, vivendo della Parola di Dio che colma e realizza la vita. Mormori perché pensi di aver fatto qualcosa, di aver lasciato tutto, e non di essere stato amato quando non lo meritavi e non ne avevi alcun diritto. Sei così ingannato che pensi di esserti sacrificato per seguire Gesù, di aver perduto molto per non aver ricevuto nulla di quanto speravi. Tua moglie continua ad essere identica a dieci anni fa, tuo marito è addirittura peggiorato, e tu, sì tu, ancora con gli stessi difetti, quelle debolezze che ti umiliano così tanto. Ebbene, non hai capito nulla, di Dio, del suo amore, della sua infinita "bontà". Sei "invidioso", ovvero, letteralmente, il tuo "occhio è cattivo"; guardi tutto di traverso, affetto di strabismo spirituale, guardi tutto di traverso, e non ti accorgi che "il denaro" che ti è stato promesso e che tu hai accettato, è Cristo in te, che fa di "ogni giornata" un evento irripetibile, traboccante di vita. Ma il demonio continua a sporcati lo sguardo rapendoti il cuore perché tu metta il tuo tesoro nel denaro, nel fare, nel produrre, nell'affetto, nella salute, in tutto meno che in Cristo. Ti sospinge ad essere "il primo", come Dio, convincendoti che non c'è altra strada per salvarsi la pelle. E così perdi la vita, gli istanti e le occasioni ti sfuggono dalle mani, lasciandoti una scia triste di rimpianti e malinconia. 

Ma no, coraggio! Il Signore viene anche oggi ad annunciarci il suo amore! Il "Padrone", ovvero il Padre, "fa delle sue cose quello che vuole": "fa" cioè, di te e di me la sua volontà: "fa" una creazione nuova di te e di me, poveri peccatori "oziosi". Ci "fa" suoi "amici", e per questo ci dona esattamente la stessa vita che ha dato al Primogenito, a Cristo! Ci dona la sua stessa vita! Allora, è un "torto" ricevere la natura di Dio, il suo potere sulla morte, l'amore nel quale offrirci agli altri e sperimentare la "ricompensa" che nessuno potrà toglierci? E' un "torto" ricevere in dono l'eredità che il Padre ha dato a suo Figlio? Pensa quanto ci inganna il demonio... Come fece nel Giardino, di fronte all'albero, insinuando ai progenitori che Dio era invidioso e li limitava, e che restare creature avrebbe significato non poter mangiare di nessun albero. Così satana rovescia la realtà anche nella nostra vita. Ma non ti rendi conto che sei "l"ultimo" di questo mondo? Che anche io, prete e missionario, dovrei stare all'inferno per i peccati che ho commesso, in pensieri, parole. opere e le omissioni? Solo così potremmo aprire gli occhi e vedere che proprio per te e per me, Gesù si è fatto l'ultimo, lo "strumento d'espiazione nel suo sangue", e viene a cercarci per farci diventare i "primi" tra i salvati. Ultimi perché deboli, incoerenti, nevrotici, peccatori, e "primi" perché più intensamente possiamo sperimentare il suo amore, gratuito, immeritato, insperato. Ora si comprende perché Gesù aveva detto al giovane ricco che Dio è "l'unico buono": è l'unico che ama così, sovvertendo ogni idea sindacale della misericordia. Lui ricompensa di più chi meno merita... Anche se la carne pensa che sia ingiusto, questa è l'unica giustizia possibile, perché abbraccia tutti senza distinzioni. Quello che non sa il mondo con le sue ideologie cieche che non prevedono il peccato originale nel cuore dell'uomo, è che nessuno merita nulla perché tutti sono stati "disoccupati" nell'incapacità di amare: "Non c'è distinzione: tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù. Dio lo ha prestabilito a servire come strumento di espiazione per mezzo della fede, nel suo sangue, al fine di manifestare la sua giustizia, dopo la tolleranza usata verso i peccati passati, nel tempo della divina pazienza. Egli manifesta la sua giustizia nel tempo presente, per essere giusto e giustificare chi ha fede in Gesù. Dove sta dunque il vanto? Esso è stato escluso! Da quale legge? Da quella delle opere? No, ma dalla legge della fede. Noi riteniamo infatti che l'uomo è giustificato per la fede indipendentemente dalle opere della legge. Forse Dio è Dio soltanto dei Giudei? Non lo è anche dei pagani? Certo, anche dei pagani! Poiché non c'è che un solo Dio, il quale giustificherà per la fede i circoncisi, e per mezzo della fede anche i non circoncisi" (Rm 3, 22-30).  Se, per Grazia, siamo stati chiamati alla salvezza prima dei pagani che ancora sono schiavi del mondo, è in vista della loro salvezza. Lo doveva capire anche Pietro, proprio come il giovane ricco. Ma, a differenza di questi, Pietro ha continuato a seguire Gesù, cadendo altre mille volte, scandalizzandosi della Croce e tradendo; ma così ha capito di essere stato chiamato ad essere il "primo" proprio perché era l"ultimo" tra tutti, il peggiore. Come aveva ben chiaro San Paolo: "Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono l'infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me" (1 Cor. 8,15-10). Anche noi abbiamo bisogno di camminare molto per scoprire e accettare di essere gli "ultimi", e così entrare nella libertà dei figli di Dio, felici del "denaro" che ricevono immeritatamente ogni giorno; saremo allora una primizia tra i risorti inviata agli ultimi della terra, per annunciare loro la "giustificazione" gratuita di Dio che li "fa primi nel Regno dei Cieli".   



QUI IL COMMENTO ESTESO E GLI APPROFONDIMENTI

    








L'ANNUNCIO
«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. 
Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. 
Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. 
Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. 
Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? 
Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. 
Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. 
Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 
Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. 
Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: 
Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. 
Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? 
Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. 
Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? 
Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi».
 (Dal Vangelo secondo Matteo 20,1-16a)







Per annunciarci il Regno dei Cieli Gesù non usa immagini di luoghi ideali dove andare per riposare e sfuggire le ansie quotidiane, qualcosa tipo le Isole Seychelles; non dipinge neanche un ipotetico Paradiso perduto. Ma ci invita a guardare la nostra vita di ogni giorno, e lì dentro, a cercare un tipo d'uomo concreto con cui tutti abbiamo a fare. Il Regno di Dio è una Persona, non un ideale. Dio si è fatto carne e il suo Regno è tanto realmente vivo da "uscire" e cercare, chiamare, offrire lavoro e mettere a contratto lavoratori, parlare e spiegare. Il Regno di Dio non è studiato a tavolino, progettato nelle assemblee; è un evento dirompente che rompe la monotonia e il grigiore dei giorni. E' un Uomo che ci viene incontro e che possiamo incontrare e conoscere; con lui si può discutere e addirittura lo si può rifiutare. E' una persona "buona", così scandalosamente "buona" da far saltare ogni tavolo di concertazione sindacale. "Il Regno dei Cieli è simile a un padrone" che gestisce i suoi beni seguendo una "volontà" che non ha riscontri sulla terra. Il Regno dei Cieli coincide con Qualcuno che viene dal Cielo e parla e agisce come nessuno sulla terra. 

Il Regno dei Cieli si può certo desiderare, anche immaginare ovvio; ma Gesù ci annuncia oggi che non è più necessario perdere il tempo sperando e sognando qualcosa che risponda al nostro bisogno di pace e di pienezza, di riposo e di felicità. Basta lasciarsi chiamare da un Padrone "buono" che "esce" e ci viene a cercare. Primo scandalo per i moralisti e i legalisti di ogni risma: il Regno dei Cieli "esce" per "per prendere a giornata i lavoratori". Non importa che gli uomini lo stiano aspettando o desiderando, che siano in fila all'ufficio di collocamento, anzi.... Con il Regno di Dio non c'entrano nulla le buone intenzioni e le le disposizioni corrette, i preparativi e le passioni, basta chiedere a Pietro e Andrea, a Giacomo e Giovanni, a Matteo e Zaccheo; a Paolo che correva a distruggerlo il Regno degli eretici.... E forse, proprio chi più ha pensato e ragionato, immaginando il Regno dei Cieli e aspettando di trovarlo proprio così, resta impigliato nell'ideale e finisce per non accettare il reale

Nessuno ha parametri terreni e umani per conoscere a priori il Regno dei Cieli, e prevedere il suo arrivo. Tutt'al più la cultura e l'educazione ricevuta ci hanno balbettato qualcosa circa la giustizia, il bene e il male e le loro conseguenze. Così, gli occhi non possono che inquadrare la realtà nel perimetro angusto del già visto e acquisito; chi ha fatto il bene è premiato, chi ha fatto il male è punito: "Giusto per noi è “ciò che è all’altro dovuto”, mentre misericordioso è ciò che è donato per bontà. E una cosa sembra escludere l’altra" (Benedetto XVI). E quando ciò non accade scoppiano le rivoluzioni, perché quello che più incendia menti e cuori è proprio l'ingiustizia che si pensa aver subito; come i lavoratori assoldati per primi, che "pensavano che avrebbero ricevuto di più".

Così, nella parabola di oggi, assistiamo alla "mormorazione" di chi si aspetta giustizia dal Padrone che lo ha "preso a giornata" e si trova invece davanti a un evento inaudito, una misericordia così diversa e lontana dai suoi parametri da fargliela percepire come inumana. Di fronte all'irrompere di una "bontà" sconosciuta, l'unico atteggiamento del cuore e della mente è la "mormorazione", come una cortina fumogena eretta per difendere i propri criteri e la propria idea di giustizia: "in Dio giustizia e carità coincidono; non c’è un’azione giusta che non sia anche atto di misericordia e di perdono e, nello stesso tempo, non c’è un’azione misericordiosa che non sia perfettamente giusta" (Benedetto XVI). La Giustizia di Dio si è rivelata sulla Croce, la più grande ingiustizia. Nella mormorazione dei lavoratori della prima ora possiamo leggere la stessa di Pietro che si vuole frapporre tra Gesù e Gerusalemme; la "mormorazione" è proprio il pensiero del mondo che urta con il pensiero di Dio. Possiamo leggere anche l'incapacità dei giudei di riconoscere Dio in un uomo giustiziato sulla Croce e il rifiuto per una forma di amore così indegno dell'Altissimo.  

Tutto questo è dentro di noi, se ancora uomini della carne: a questi è impossibile non "mormorare" di fronte alla giustizia che coincide con la carità che perdona l'imperdonabile e giustifica attraverso l'ingiustizia. Se Cristo risorto non appare sigillando nel cuore, nella mente e nei sensi che proprio quell'ingiustizia era l'unica giustizia, non si può far altro che mormorare e assaltare i supermercati... Mormora, infatti, chi non ha conosciuto la gratuità e non conosce se stesso, o ha dimenticato la propria origine e la propria storia. Fateci caso, la mormorazione scatta quasi sempre quando ci è donato qualcosa inaspettatamente, diverso da ciò che avremmo voluto e in un momento che ci scomoda. Non siamo preparati all'imprevisto della gratuità, e non sappiamo ricevere i regali senza impaccio e, paradossalmente, fastidio. Il dono infatti è come una lama che si infila nella corteccia della superbia, la ferisce e la fa sanguinare a gocce d'invidia.

Dio ha creato l'uomo, e lo ha chiamato a lavorare nella sua "vigna", immagine della creazione affidata perché sia coltivata e custodita. E' l'accordo "convenuto" che garantisce alla creatura il "giusto" salario: la pienezza di felicità e pace, la comunione con Dio, Padrone della vigna e degli operai. Sin dal principio, nel momento dell'incontro creativo che strappa l'uomo alla "disoccupazione", Dio "conviene" con ciascuno lo stesso salario, ovvero il suo amore infinito. Ciò significa che, all'origine della volontà di Dio, vi è lo stesso infinito amore con il quale ha creato ogni uomo, preservandone gelosamente la diversità e l'unicità. Per questo Dio ha, sempre, in qualunque situazione l'uomo sia precipitato, lo stesso sguardo "buono" che sgorga da un cuore pieno di amore. Purtroppo, spingendo il nostro "io" al centro del nostro povero e misero universo, il demonio riesce a farci "invidiare" la bontà di Dio, esattamente come ha fatto lui: "L'invidia è il tarlo dell'anima; distrugge il buon senso, brucia le viscere, turba lo spinto, rode come cancro il cuore, alimenta col pestilenziale suo fiato ogni sorta di beni. L’invidioso converte l’altrui bene in suo peccato. O tu che ti mostri geloso dell’altrui benessere, bada di non distruggere il tuo! perché se la morte spirituale è compagna indivisibile dell'invidia, certamente tu non puoi essere invidioso e vivere" (San Bernardo). 

Troppo spesso pensiamo che Dio, amando gli altri come ama noi, ci umilia e ci rimpicciolisce. Come i farisei, amiamo la gloria degli uomini più della Gloria di Dio e il
 salario pattuito ci appare ingiusto: il demonio ci convince che non corrisponda al nostro valore, ai nostri sacrifici e che non avremmo dovuto accettare quello che Dio ci ha proposto; e ci trasforma così in severi sindacalisti dell'anima, sempre adirati, esperti di mormorazione, schiavi dell'invidia che vede tutto sporco di ingiustizia: letteralmente il Vangelo dice: "oppure i tuoi occhi sono malati e cattivi perché io sono buono?" Il demonio trasforma la gratuità in esigenza, il dono in diritto: è lo sconvolgimento dell'anima frutto della menzogna primordiale che ha sedotto Adamo ed Eva. Accade così nel matrimonio, nel quale ci sentiamo sempre in credito con il coniuge; così con i figli, per i quali "abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo" e che devono capire cosa sia giusto e doveroso. Non abbiamo lo sguardo che Dio ha su chi, forse sfaticato, o forse semplicemente distratto e superficiale, continua a stare "sulla piazza", "disoccupato".... Il coniuge che non ha lavorato come noi, i figli che non si sono impegnati, i colleghi che sfuggono il lavoro, tutta questa gente che non ha "sopportato" lo stesso nostro "peso", è diversa da noi. E questo deve essere affermato e riconosciuto, perché è l'unica giustizia che la nostra carne conosce, e solo attraverso di essa sappiamo guardare chi ci è vicino. Dietro a molti nostri atteggiamenti, anche quando vorremmo legittimarli come educativi, vi è la superbia; siamo padri e madri, mariti e mogli, amici e fidanzati superbi, altro che sforzi e sacrifici per gli altri. Siamo gonfi e tronfi, incapaci di amare perché smemorati su quanto siamo stati amati

Come accaduto ai lavoratori della prima ora, spesso dimentichiamo che avevamo vissuto anche noi  da "disoccupati" sino allora; nessuno si era curato di noi, e l'insignificanza dei giorni si era così incancrenita che non ci facevamo più caso: eravamo incapaci di amare, l' "occupazione" alla quale si riferiscono le parole della parabola, ma ci andava bene così. Quel rancore nei confronti del genero era più che giustificato; l'ira che si scatenava al solo parlare con i figli era normale, vista la loro arroganza; e così via, senza neanche più il desiderio di perdere se stessi, di offrire la vita e di amare al di là della morte. Ma, se si dimentica l'amore, non si può comprendere il modo con cui Dio distribuisce la ricompensa. Se nel contratto è previsto l'amore, allora ogni suo aspetto è gratuità. Un'ora d'amore vale esattamente come otto ore, perché in entrambi i casi è un dono di Dio, non è opera dell'uomo. Non importa la quantità, perché un solo gesto d'amore puro ha un valore infinito. Non importa la qualità, perché se è amore autentico, è divino, e quindi in ogni caso di qualità eccellente. Importa solo ascoltare la voce del Padrone e accogliere la chiamata: è questa l'unica condizione per stipulare un contratto con Dio e divenire suoi lavoratori degni della ricompensa. Nessun diritto da rivendicare, solo la misericordia gratuita da esibire come contratto. I tempi li sceglie Lui, perché conosce ciascuno e a tutti offre la totale libertà.

Per questo il Signore viene anche oggi a liberarci dalla menzogna. Viene il Regno di Dio a cercarci nelle "piazze" dove ci "occupiamo" di tutto meno che dell'essenziale, per farci suoi cittadini; Cristo risorto "esce" dal sepolcro all' "alba" della nuova "giornata" che non conoscerà tramonto. Viene Gesù dentro la nostra storia e la trasforma in un frammento di vita eterna. E' questo ciò che conta, la gratuità della sua misericordia capace di fare dell'esistenza più grigia e ripiegata su stessa, in un prodigio proteso verso il Cielo. Viene Gesù a sconvolgere i nostri criteri e a donarci il suo stesso pensiero, secondo il quale "gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi". La sua chiamata illumina l'orologio della nostra storia, e ci fa scoprire di essere operai che hanno lavorato molto meno di quelli assunti delle "cinque" del pomeriggio. Non abbiamo fatto nulla nella gratuità, ma tutto nello sforzo e nel moralismo che si risolve nella mormorazione, nel giudizio e nell'invidia. "Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro?": sono queste le parole che oggi ci consegnano di nuovo l'amore di Dio: siamo suoi amici, nonostante il marcio che abbiamo nel cuore e i pensieri malvagi che lo riguardano; non ci ha fatto torto, anzi, ha compiuto la sua volontà, amandoci come ci ha promesso quando ci ha chiamato. E, soprattutto, il Signore ci desta alla verità, quando il nostro cuore si è consegnato a Lui: "abbiamo convenuto con Lui" il suo amore, possiamo oggi tornare alla purezza originaria del figlio abbandonato alla fedeltà di suo Padre. Lui e noi, in un amore che colma e sazia, e purifica lo sguardo sino a renderlo simile a quello di Cristo, desiderando per tutti lo stesso amore che ci ha salvati.







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