Venerdì della XXV settimana del Tempo Ordinario





αποφθεγμα Apoftegma

Cari giovani, anche oggi Cristo si rivolge a voi 
con la stessa domanda che fece agli apostoli: 
«Ma voi, chi dite che io sia?». 
Rispondetegli con generosità e audacia, 
come corrisponde a un cuore giovane qual è il vostro. 
Ditegli: Gesù, io so che Tu sei il Figlio di Dio, 
che hai dato la tua vita per me. 
Voglio seguirti con fedeltà e lasciarmi guidare dalla tua parola. 
Tu mi conosci e mi ami. 
Io mi fido di te e metto la mia intera vita nelle tue mani
Voglio che Tu sia la forza che mi sostiene, 
la gioia che mai mi abbandona.

Benedetto XVI






L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Luca 9,18-22.

Un giorno, mentre Gesù si trovava in un luogo appartato a pregare e i discepoli erano con lui, pose loro questa domanda: «Chi sono io secondo la gente?». Essi risposero: «Per alcuni Giovanni il Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto». Allora domandò: «Ma voi chi dite che io sia?». Pietro, prendendo la parola, rispose: «Il Cristo di Dio». Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno. «Il Figlio dell'uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno».



La fede della comunità cristiana




Per parlarci delle cose serie e decisive per la nostra vita, il Signore ci conduce oggi ad aprire gli occhi sulla Chiesa, sulla comunità cristiana concreta nella quale siamo chiamati, il luogo solitario senza il quale non esiste relazione con Lui. Per ascoltare la sua voce e non indurire il cuore, abbiamo bisogno di un luogo separato dal mondo ateo e pagano (anche nel senso di una certa religiosità fai da te, orientaleggiante, gnostica e del tutto irrilevante per l’anima; come lo è quella dell’impegno sociale e civile, che, tra il plauso mondano, sposta di un millimetro le sorti dell’umanità ma incastra l’anima nel risentimento e nel giudizio). In esso, infatti, è l’uomo che fa domande a Dio, mentre nella Chiesa è Gesù che fa domande all’uomo. A cominciare dalla prima, fondamentale: “Dove sei?”, per passare a quella del brano di oggi: “voi, chi dite che io sia?”, sino all’ultima, decisiva: “mi ami tu più di costoro?”.  La preghiera, che significa liturgia, ascolto e sacramenti uniti alla vita cristiana, celebra Dio, e non l’uomo. E’ Cristo al centro, non il nostro io. Per questo non si può avere una relazione con Dio e con il suo Figlio senza una comunità nella quale l’io è continuamente chiamato a decentrarsi, a lasciare la cattedra riservata a Dio per sedersi al suo posti, l’ultimo. Anche quando preghiamo nella nostra stanza, lo facciamo insieme alla comunità cristiana; le fughe intimistiche alienano e spingono verso l’eresia, che è l’assolutizzazione soggettiva di un aspetto della fede, quello più consono alla propria sensibilità e più legato alla propria storia, sempre a scapito dell’insieme e della comunione. E’ quando, illudendomi di indossare il vestito della fede, mi chiudo per chiedere a Dio di compiere la mia volontà, senza tenere conto della sua, che, proprio perché abbraccia tutti nella stessa salvezza, è l’unica buona anche per me. Per questo oggi il Signore, ci chiede: “Ma voi, chi dite che io sia?”, e quel “ma“ è una sforbiciata che taglia di netto ogni compromesso tra il pensiero mondano e quello di Dio. “Ma voi”, che ho convocato e chiamato per nome per ascoltare la mia Parola in un’assemblea dove vi ho unito a me; “ma voi” che nella comunità cristiana vi nutrite del compimento della mia Parola che sono i sacramenti; “ma voi” che siete una comunione di “tu” che si amano, si perdonano, portano i pesi e i peccati degli altri; “ma voi” che non pensate secondo il mondo, che cosa pensate e testimoniate di me? Attenzione fratelli, perché non ci sono risposte soggettive; esiste solo una risposta esatta, quella detta da Pietro a nome della comunità: “Tu sei il Cristo di Dio”. Tranquilli, non vi scandalizzate, non si tratta di omologazione; questa è tipica del mondo nel quale proprio la presunta autodeterminazione è la cifra tragica dell’omologazione: chi ha tagliato con Dio, infatti, può pensare, dire e fare solo una cosa, peccare, come tutti gli altri. Nella Chiesa, invece, i peccati che omologano i fratelli sono perdonati, e ciascuno è riconsegnato alla sua identità autentica e irriducibile, libero per amare; e quando si ama, nessuna parola e nessun gesto è uguale all’altro, perché l’amore è creativo per raggiungere e donarsi all’altro nella sua originalità, proprio come Cristo ha fatto con ciascuno di noi, amandoci così come siamo, peccatori e traditori. 

Nella comunità cristiana infatti, come Adamo, possiamo scoprire “dove siamo” ogni giorno, in famiglia, al lavoro, con gli amici; forse lontani da Cristo perché lo abbiamo tradito nei fratelli. E contemporaneamente, sperimentare che Dio non ci ha condannato, ma ha inviato il suo Cristo (unto) per salvarci. Sperimentare cioè quello che per la sapienza del mondo è stolto e per quella religiosa è scandaloso: la necessità ineludibile della sofferenza, del rifiuto e della morte di Gesù. Per te e per me. Per noi, che, avendo rifiutato Dio, soffriamo immensamente nel rifiutarci l’un l’altro, morendo nei peccati. Dio doveva scendere nel nostro rifiuto, come profetizzato nella figura di Giuseppe, il figlio di Giacobbe. Leggete la sua storia (dal capitolo 37 al capitolo 48 della Genesi), vi aiuterà a comprendere il mistero di Gesù; soprattutto l’ultima parte (Gen 45,1-15), che possiamo leggere in filigrana nell’episodio del Vangelo di oggi : “Allora Giuseppe non poté più contenersi dinanzi ai circostanti e gridò: « Fate uscire tutti dalla mia presenza! ». Così non restò nessuno presso di lui, mentre Giuseppe si faceva conoscere ai suoi fratelli. Ma diede in un grido di pianto e tutti gli Egiziani lo sentirono e la cosa fu risaputa nella casa del faraone. Giuseppe disse ai fratelli: « Io sono Giuseppe! Vive ancora mio padre? ». Ma i suoi fratelli non potevano rispondergli, perché atterriti dalla sua presenza. Allora Giuseppe disse ai fratelli: « Avvicinatevi a me! ». Si avvicinarono e disse a loro: « Io sono Giuseppe, il vostro fratello, che voi avete venduto per l'Egitto. Ma ora non vi rattristate e non vi crucciate per avermi venduto quaggiù, perché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita. Perché già da due anni vi è la carestia nel paese e ancora per cinque anni non vi sarà né aratura né mietitura. Dio mi ha mandato qui prima di voi, per assicurare a voi la sopravvivenza nel paese e per salvare in voi la vita di molta gente. Dunque non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio ed Egli mi ha stabilito padre per il faraone, signore su tutta la sua casa e governatore di tutto il paese d'Egitto”.  I paralleli sono evidenti: la comunità dei fratelli di Giuseppe, come la comunità degli apostoli; entrambe hanno tradito, per cui la domanda di Gesù suona così: “ma voi”, che siete la comunità che mi ha tradito, che cosa dite di me? Pietro e la Chiesa non possono dire nulla di diverso da quello che avrebbero detto i fratelli di Giuseppe: “sei il Cristo” perché ti abbiamo visto nella cisterna e poi portato via verso l’Egitto, e ora ti vediamo governatore di tutto l’Egitto. Ti abbiamo visto soffrire a causa dei nostri rifiuti, quando abbiamo tradito moglie e marito, figli e amici crocifiggendoti in loro, e ora ti vediamo risorto e vivo accoglierci e perdonarci, senza altra condizione che quella di accogliere  il tuo amore. Giuseppe scaccia tutti per restare solo con i fratelli, come Gesù con gli apostoli e le nostre comunità. Giuseppe grida, come anche Gesù secondo il testo originale. Ci sgrida intimandoci di non dire nulla su di Lui finché il suo Mistero Pasquale non si faccia carne in noi e nella nostra comunità non appaiano i segno della fede, l’amore e l’unità. Altrimenti l’annuncio del Vangelo sarebbe preda dello scandalo e dell’incredulità per causa nostra. Ed è proprio quello che accade nella Messa: ascoltiamo la Parola di Dio e la predicazione che suscita in noi la fede che professiamo recitando il Credo. Ma qui, è come se Gesù ci sgridasse per indirci ad accogliere il Mistero Pasquale che realizza la Parola ascoltata compiendosi sull’altare eucaristico. Così la fede, che è la conoscenza intima del Signore, si realizza nella liturgia della Chiesa, come profetizzato nell’incontro intimo tra Giuseppe e i suoi fratelli: è solo nel cuore della comunità cristiana, infatti, che possiamo sperimentare la necessità dell’amore di Dio che, nel sacrificio di Cristo, ci scagiona da ogni peccato. E’ folle, assurdo, impensabile; atterrisce, come accade ai fratelli di Giuseppe. Ma Gesù è questo amore fatto carne da mangiare, capace di saziare i suoi fratelli, e in loro, ogni uomo di ogni generazione. Gesù doveva soffrire molto, essere rifiutato e morire perché solo così avrebbe potuto strappare i suoi fratelli alla condanna che gravava sulla loro vita. Coraggio, avviciniamoci a Cristo allora, senza paura e senza crucci: “non siamo stati noi a consegnare Cristo alla morte”, ma è stata la volontà d’amore di Dio che ha portato Gesù nel sepolcro per essere costituito Signore sui peccati e sulla morte. Ciò non significa che tu ed io non abbiamo peccato, ma che l’amore di Dio ha trattato da peccato suo Figlio al posto nostro, per giustificarci e donarci una vita nuova. La comunità che lo sperimenta può professare e testimoniare, con Pietro, che Gesù è davvero il Cristo di Dio, l’inviato nella morte per strappare al peccato ogni figlio di Adamo. 



QUI IL COMMENTO COMPLETO E GLI APPROFONDIMENTI





"Ma voi chi dite che io sia?". C'è un "ma" fondamentale che separa i cristiani dalla "gente", perché traccia una linea netta tra i "pensieri secondo Dio" e quelli della religiosità, delle opinioni, della cultura, i "pensieri secondo il mondo" che non riesce a vedere in Lui il Messia. Che cosa manca alla gente per avere la stessa fede di Pietro e degli apostoli? Perché molti, nel mondo, la invidiano, vorrebbero averla, mentre in fondo rimproverano Dio di non offrire anche a loro il dono riservato ai cristiani. Che tonteria... Che inganno, con il quale il demonio tiene al guinzaglio anche tante belle intelligenze. La fede è un'esperienza, per cui Gesù oggi chiede a ciascuno di noi: "ma voi che ho scelto e chiamato per stare con me e imparare da me; ma voi, che prima di incontrarmi avevate una vita radicalmente diversa; ma voi che vi appartate per pregare e per riposare con me; ma voi che camminate dietro a me, e avete ascoltato tante parole che ho spiegato solo a voi nell'intimità della casa; ma voi, che ho costituito per andare e portare frutto annunciando il Vangelo; ma voi che avete ricevuto da me il potere di guarire gli infermi e scacciare i demoni; ma voi chi dite che io sia?". Dove siamo dunque? Al di qua o al di là del "ma"? Stiamo camminando dietro a Lui imparando a obbedire alla sua Parola? Lo stiamo conoscendo attraverso il perdono dei peccati e il dono della vita nuova che ci fa entrare nella storia concreta di ogni giorno, senza scappare dalla sofferenza? Insomma, dal crogiuolo della Croce, cosa diciamo di Gesù?  Perché quando i chiodi ti trapassano mani e piedi, c'è poco da scherzare e scivolare sul politicamente e religiosamente corretto. Il mondo, infatti, scappa dalla sofferenza, per non prendere posizione di fronte a Cristo. E' questo il dramma di questa generazione, al quale partecipiamo tutti, noi e i nostri figli. Se, ridicolizzando e cancellando il peccato, non si guardano in faccia la sofferenza e la morte, Gesù resta del tutto irrilevante. Un profeta che scalda il cuore, che dice cose romantiche, ma in fondo le sue parole e i suoi gesti sono solo sublimi utopie, ideali così trendy da indossare nei salotti e al bar, ma impossibili da incarnare. Così Gesù, pur tra le acclamazioni, resta irrilevante, e l'incontro con Lui non cambia radicalmente l'esistenza. La sessualità, la famiglia, il lavoro, il denaro, l'amicizia, lo studio: in tutto Gesù è via, verità e vita, ma di fatto, le sue parole scorrono sulle giornate come una struggente colonna sonora, mentre le passioni, il piacere e l'egoismo travestiti da valori civili e criteri ragionevoli, ci conducono lontani da Lui.

Forse è così anche per noi che, pur seguendo Gesù, come la "folla" non abbiamo ancora professato la stessa fede di Pietro e dei discepoli. Gesù è per noi come Giovanni Battista, ci ha scosso illuminando alcuni peccati e situazioni difficili indicandoci una via di uscita; o come Elia, che ha fatto tanti miracoli per saziarci; o come gli altri profeti, ci ha consolato e dato speranza, ma il nostro giudizio su di Lui resta ancora oggi una opinione. Non certo la fede adulta. Dunque, su Cristo hai opinioni personali o lo conosci e risuona in te la fede della Chiesa? Hai un'esperienza concreta di Lui nella tua vita, o solo un'idea che ti sei fatto da alcuni momenti in cui, a intermittenza, lo hai sentito vicino e lo hai visto all'opera? Perché per dire che Gesù è "Cristo di Dio" occorre essere al di qua del ma, vivere in Lui, dimorare nella sua intimità, dove imparare a riconoscere nel Nazareno Crocifisso il Figlio di Dio. Per questo, non a caso Gesù pose la domanda decisiva "mentre si trovava in un luogo appartato a pregare e i discepoli erano con lui". Non la fa alla "folla", anzi, proprio il contesto e il contenuto del dialogo rivelano la peculiarità della Chiesa, la comunità riunita "in un luogo appartato". Altra cosa è la missione, frutto maturo della fede. Solo nell'intimità con Gesù, innestati nella sua preghiera solitaria e staccata dal chiasso e dalle menzogne del mondo, solo nel cammino di conversione che è il seno fecondo della Chiesa, si può ricevere la rivelazione che schiude gli occhi sull'identità di Gesù. Come quelli di Pietro, aperti in quel luogo solitario ma che, per poter annunciare a tutti chi era Gesù, hanno poi dovuto vedere la propria realtà di peccato per sperimentare in essa il potere dell'amore di Dio capace di vincere peccato e morte. Doveva camminare e sperimentare ciò che gli era stato rivelato. Per questo, il segreto che Gesù ha "ordinato severamente" di mantenere, significava difendere se stesso e Pietro, proteggere dalla sua debolezza la missione e l'annuncio che avrebbe portato nei secoli. Era un segreto messianico che riguardava Gesù ma coinvolgeva anche Pietro, perché anche lui doveva prima morire nel rinnegamento per risorgere con Cristo nella sua misericordiaAnche noi dobbiamo percorrere un cammino che sigilli la fede nell'esperienza. Non si può far confusione: se i cristiani non spendono la vita annunciando il vangelo, se le parrocchie sono autoreferenziali, è perché non sanno chi è Cristo. Non ne hanno l'esperienza! Alle periferie, infatti, si va solo nutriti dalla liturgia che, proprio per questo e per preparare alla missione, nella Chiesa primitiva era celebrata in luoghi appartati, riservata agli eletti, ai battezzati, ai cristiani. C'è un "voi" che ci riguarda oggi, perché è chiamato a dare ragione del "ma" che ci separa dalla gente per essere inviati alla gente. Abbiamo bisogno di un luogo appartato, di una comunità dove risuoni la domanda di Gesù e trovi, nella fede di Pietro, la risposta che si fa, giorno dopo giorno, esperienza e vita. Gli occhi illuminati dalla fede vedono Gesù crocifisso nella propria storia, e riconoscono in Lui l'amore che vince il peccato e la morte. La professione di fede di Pietro infatti, si fa autentica nel crogiuolo della storia: egli è morto come Gesù, che aveva riconosciuto essere il Messia. Alle parole "Tu sei il Cristo" aggiunge così quel "per me" e "in me" che certifica la credibilità e l'autenticità del suo annuncio agli occhi degli uomini. Anche "per noi" Gesù è il Cristo proprio quando la sua Croce ci accoglie per condurci alla risurrezione, per testimoniare che Lui è il Cristo "in me" oggi, ovunque e dinanzi a chiunque.





"Ma voi chi dite che io sia?". C'è un ma fondamentale che separa i cristiani dalla "gente". Un ma per destare il cuore di chi ha visto, sperimentato, conosciuto il Signore. Un ma che traccia una linea netta a separare la rivelazione dello Spirito Santo, i "pensieri secondo Dio", dalla religiosità, dalle opinioni, dalla cultura, dai "pensieri secondo il mondo". 

La "folla" che si accalca attorno a Gesù ne è conquistata dalle parole e dai miracoli. La "gente" è stupita dal suo insegnamento perché riconosce che nessuno ha mai parlato e agito con la stessa autorità. In fondo ha visto gli stessi segni e ascoltato le stesse parole dei discepoli, ma riconosce in Lui solo un profeta. Forse il più grande, il più prodigioso, ma non riesce a dire di Gesù che è "il Cristo di Dio", ovvero il Messia. Che cosa manca alla "gente"? Esattamente quello che sottintende il ma di Gesù.

E' come se il Signore dicesse ai suoi discepoli: "Ok, secondo la gente che mi segue in massa sono un profeta; ma voi che ho scelto e chiamato per stare con me e imparare da me; ma voi, che prima di incontrarmi avevate una vita radicalmente diversa; ma voi che vi appartate per pregare e per riposare con me; ma voi che camminate dietro a me, e avete ascoltato tante parole che ho spiegato solo a voi nell'intimità della casa; ma voi, che ho costituito per andare e portare frutto annunciando il Vangelo; ma voi che avete ricevuto da me il potere di guarire gli infermi e scacciare i demoni; ma voi chi dite che io sia?". 

Oggi lo stesso ma raggiunge ciascuno di noi e le nostre comunità. Dove siamo? Al di qua o al di là del ma? La domanda di Gesù ci scruta per fare luce e svelarci se dimoriamo nella sua intimità gustando la sua amicizia che ci svela i segreti del Regno dei Cieli; se stiamo camminando dietro a Lui imparando a obbedire alla sua Parola; se lo stiamo conoscendo attraverso il perdono dei peccati e il dono della vita nuova che ci fa entrare nella storia concreta di ogni giorno, senza scappare dalla sofferenza; se, sulla Croce, stiamo sperimentando la presenza amorevole di Gesù che consola e le dà senso nel potere della sua risurrezione; se stiamo scendendo i gradini che conducono alla Verità e all'umiltà, permettendo che le persone e gli eventi ci facciano "piccoli" per entrare nel Regno dei Cieli; se cioè, sperimentando nella Chiesa le primizie della vita celeste, dell'amore e della comunione, siamo in conversione cambiando a poco a poco mentalità, rinunciando al mondo e ai suoi valori. Se in noi sta operando la Grazia che ci trasforma in uomini nuovi. 

O se siamo ancora uomini vecchi che orientano la vita determinando le scelte e e gli atteggiamenti secondo i criteri del mondo. Se, come la "folla", pur andando dietro a Gesù, non abbiamo ancora professato la stessa fede di Pietro e dei discepoli. Se cioè Gesù è per noi come Giovanni Battista, ci ha scosso illuminando alcuni peccati e situazioni difficili indicandoci una via di uscita; o come Elia, ha fatto dei miracoli per saziarci; o come gli altri profeti, ci ha riscaldato il cuore, consolato e dato speranza; opinioni rispettabili e valide, perché ogni profeta è immagine e profezia del Messia, ma restano pensieri umani, molto religiosi chissà, o mondani, perché nella massa della "gente" c'è di tutto. Ma non sono la fede adulta, quella capace di trapiantare un gelso nel mare, la fede che vince il mondo, e in esso il peccato e la morte. 

Allora, hai opinioni su Cristo o lo conosci? Hai un'esperienza concreta di Lui nella tua vita, o solo un'idea che ti sei fatto da alcuni momenti in cui, a intermittenza, lo hai sentito vicino e lo hai visto all'opera? Tu che discetti sulla Chiesa, sui preti e sui cardinali, che hai giudizi invincibili sui fratelli, che sai come andrebbero fatte le cose in parrocchia e nella tua comunità, nel tuo movimento; tu che non riesci a dimenticare quel torto, che non perdoni tuo marito, che hai un giudizio su tua figlia, che sei attaccato al denaro, che vivi la sessualità fuori della volontà di Dio, tu che scappi dalla Croce non hai conosciuto il Messia; tu prete che hai idee, iniziative, ma non riesci ad obbedire al tuo vescovo, che disprezzi il tuo viceparroco, che sei avaro e sempre preoccupato per i soldi, che ti circondi di brave e zelanti mamme-catechiste pronte ad assecondarti in tutto schivando altri che davvero potrebbero aiutarti ad annunciare il Vangelo, tu che celebri messe, matrimoni e funerali, se sei scandalizzato dalla sofferenza e dai peccatori, se sfuggi la solitudine e le sofferenze dell'apostolo rifugiandoti nella pornografia e nelle alienazioni che saziano il tuo ego frustrato, forse non hai mai conosciuto il Signore. 

Perché per dire che Gesù è "Cristo di Dio" - quel Gesù che preghiamo, che celebriamo, del quale probabilmente abbiamo spesso in bocca le parole - occorre essere al di qua del ma, vivere in Lui, dimorare nella sua intimità. Occorre seguirlo sul cammino della conversione che va diritta al Calvario: "Il Figlio dell'uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno".

Per rispondere alla domanda di Gesù liberi dalla stretta della religiosità naturale abbiamo bisogno di una speciale Grazia dal Cielo; è necessaria una rivelazione che generi la fede e occhi capaci di trapassare la carne, che riconoscano nel Profeta di Nazaret l'Unto di Dio, il Messia, perché "la fede va al di là dei semplici dati empirici o storici, ed è capace di cogliere il mistero della persona di Cristo nella sua profondità" (Benedetto XVI). 

Per questo, non a caso Gesù pose la domanda decisiva "mentre si trovava in un luogo appartato a pregare e i discepoli erano con lui". Non la fa alla "folla", anzi, proprio il contesto e il contenuto del dialogo rivelano la peculiarità della Chiesa, la comunità riunita "in un luogo appartato". Altra cosa è la missione, frutto maturo della fede. Solo nell'intimità con Gesù, innestati nella sua preghiera solitaria e staccata dal chiasso e dalle menzogne del mondo, solo nel cammino di conversione che è il seno fecondo della Chiesa, si può ricevere la rivelazione che schiude gli occhi sull'identità di Gesù. Non si può far confusione: alle periferie si va solo nutriti dalla liturgia che, proprio per questo e per preparare alla missione, nella Chiesa primitiva era riservata agli eletti, ai battezzati, ai cristiani. Quanta confusione su questo... C'è un voi che è chiamato a dare ragione del ma che lo separa dalla gente.E' la comunità scelta e inviata proprio per salvare chi non conosce Cristo. E ha bisogno dell'intimità dei luoghi solitari e separati dal mondo, delle liturgie, di un'iniziazione cristiana che sia un po' come un ritiro pre-campionato, di un luogo, di una comunità dove risuoni la domanda di Gesù che faccia interrogare su stessi, per aprirsi alla Parola e così crescere nella fede. 

Chi è dunque Gesù? E' il Crocifisso che ha vinto la morte. Non v'è altra risposta. E' Colui nel quale si è compiuto l'impossibile, l'inimmaginabile, l'unico evento capace di cambiare il corso d'una storia inevitabilmente lanciata verso il fallimento e la fine. Gesù è vivo qui ed ora, ma gli occhi della carne sono incapaci di vederlo in ciò che, nella vita e nella storia, odora di scandalo, sofferenza e morte; quelli della fede invece lo riconoscono nella sua vittoria compiuta nella propria esistenza: il perdono dei peccati e la Vita nuova, l'amore che muove ogni passo, il poter perdere la propria vita laddove i criteri mondani consigliano tutt'altro. 

Gli occhi della fede si dischiudono attraverso un cammino che sostanzia, con l'esperienza, la professione ispirata dall'Alto. Come quelli di Pietro, aperti in quel luogo solitario ma che, per poterlo dire a tutti, hanno poi dovuto vedere la propria realtà di peccato per sperimentare l'amore gratuito di Dio, la misericordia rigeneratrice e il potere della risurrezione di Cristo; il segreto che Gesù ha "ordinato severamente" di mantenere significava anche questo: difendere Pietro e la sua missione, proteggere l'annuncio che avrebbe portato nei secoli, dalla propria debolezza. Non solo era solo un segreto messianico, perché Gesù non era ancora morto e risorto. Era anche un segreto perché lo stesso Pietro doveva prima morire nel rinnegamento per risorgere con Cristo sulle sponde del Mare di Galilea. E' lì infatti che, non a caso, il Vangelo di Giovanni pone il primato di Pietro. E' lì, in quell'incontro tra la misericordia e il pentimento, tra la potenza della resurrezione e la debolezza, che Pietro potrà professare apertamente che Gesù è il Cristo, perché sa tutto e lo ha perdonato, prova e sigillo della sua vittoria sulla morte. E da lì Pietro partirà per annunciarlo a ogni generazione, sino agli estremi confini della terra.

Come Pietro anche noi dobbiamo percorrere un cammino che sigilli la fede nell'esperienza: "la fede non dà solo alcune informazioni sull’identità di Cristo, bensì suppone una relazione personale con Lui, l’adesione di tutta la persona, con la propria intelligenza, volontà e sentimenti alla manifestazione che Dio fa di se stesso. Così, la domanda «Ma voi, chi dite che io sia?», in fondo sta provocando i discepoli a prendere una decisione personale in relazione a Lui. Fede e sequela di Cristo sono in stretto rapporto. E, dato che suppone la sequela del Maestro, la fede deve consolidarsi e crescere, farsi più profonda e matura, nella misura in cui si intensifica e rafforza la relazione con Gesù, la intimità con Lui. Anche Pietro e gli altri apostoli dovettero avanzare per questo cammino, fino a che l’incontro con il Signore risorto aprì loro gli occhi a una fede piena" (Benedetto XVI). 

La fede piena è il dono dall'alto che scopre in Gesù colui che realizza le profezie, l'unico capace di dare compimento al destino di ciascun uomo. La fede adulta spicca il volo oltre l'angusta prospettiva della religiosità naturale, dando alla vita una sterzata decisiva, innestandola nella stessa vita di Cristo. Essa produce frutti che hanno il sapore della vita eterna, il compimento reale e concreto in ogni giorno, delle sublimi parole di Gesù; esse disegnano e modellano l'uomo celeste, il figlio del Regno, colui che vive mosso da un amore che supera la barriera della morte, del rancore, della rivalsa, della gelosia, del giudizio, della concupiscenza, dell'avarizia. 

E' questa esperienza che manca alla "gente" che ti è vicina, tua cugina, il collega, il compagno di scuola. C'era andata vicino, perché Giovanni Battista aveva preparato la via al Messia; i profeti avevano fatto di Lui l'identikit aggiungendone ciascuno un frammento. Ma non erano lo Sposo, non potevano salvare dalla morte. Nel "luogo appartato" della comunità invece, per pura Grazia la Profezia si fa carne, pensiero, sentire e azione che rivelano la natura divina, la vita immortale che ha preso dimora nell'uomo rigenerato nella fede. Dire "Tu sei il Cristo, l'Unto, il Messia Salvatore" significa molto concretamente vivere la Pasqua nel rifiuto, nella sofferenza e nella morte di Croce che ci attendono ogni giorno. 

La professione di fede di Pietro infatti, si fa autentica nel crogiuolo della storia: Pietro è morto come quel Gesù di Nazaret che aveva riconosciuto essere il Messia: il suo martirio e la sua croce hanno autenticato la professione scaturita dalle sue labbra. La certezza della risurrezione di quell'uomo che lo aveva chiamato a seguirlo e che aveva vigliaccamente tradito, sigillata dalla stessa unzione dello Spirito Santo, lo ha reso conforme al Messia vincitore della morte; alle parole Tu sei il Cristo si aggiungeva ora quell'in me che ne certificava la credibilità agli occhi degli uomini. Sulla Croce con Cristo Pietro era, a nome della comunità, della Chiesa intera, la ragione vivente di quel ma pronunciato da Gesù. 

Dall'intimità con Cristo nasce la professione di fede della Chiesa. E da essa scaturisce la missione della Chiesa durante i secoli: essa deve prima incarnare il Mistero che annuncia, allo stesso modo che, prima che Pietro potesse dire a tutti che Gesù era il Cristo di Dio, Egli doveva morire e risorgere. Solo dopo averlo sperimentato nella comunità cristiana, i cristiani possono annunciare il che Gesù è il Signore, incarnandolo e rendendolo visibile e credibile in loro che offrono la vita per i propri nemici, certi che in Lui la morte è stata sconfitta.


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