Giovedì della XXVII settimana del Tempo Ordinario


Rembrandt. L'addio di Gionata a Davide


αποφθεγμα Apoftegma


Quaggiù non c'è nulla di più santo da desiderare, 
nulla di più utile da cercare, 
nulla più difficile da trovare, 
niente più dolce da provare, 
niente più fruttuoso da conservare dell'amicizia.  

Aelredo di Rievaulx 
    






L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Luca 11,5-13
Poi aggiunse: «Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte a dirgli: Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti; e se quegli dall'interno gli risponde: Non m'importunare, la porta è già chiusa e i miei bambini sono a letto con me, non posso alzarmi per darteli; vi dico che, se anche non si alzerà a darglieli per amicizia, si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono almeno per la sua insistenza.
Ebbene io vi dico: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto.
Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione?
Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!».


Prega davvero solo il mendicante



La parabola di oggi è un midrash di Gesù sul Padre Nostro, spiega come la preghiera sia questione di vita o di morte; così come per vivere e non andare alla deriva senza un'identità che mi dia origine e destino, passato, presente e futuro, è fondamentale essere figli di un Padre, e conoscerlo sino in fondo. Se non sappiamo dire a Dio Abbà - Papà, vivremo come orfani, sempre in cerca di un'origine e di un senso, vuoti e frustrati. Per questo Gesù ci spiega la sua preghiera partendo dall'esperienza fondamentale di ogni uomo, il bisogno nel quale nasciamo tutti: "Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti". Un "amico" è giunto sulla soglia della nostra casa, nel mezzo del suo cammino, e ha chiesto ospitalità. In oriente essa è sacra, e per un ebreo costituisce uno degli appelli più pressanti della Torah. Il nome stesso "‘ibri", "ebreo", che i popoli confinanti davano a Israele e da lui accolto come suo, significa "abitante al di là della frontiera", cioè straniero. Ogni ebreo ha il dovere sacro dell'ospitalità "… perché voi siete stati stranieri in terra d’Egitto" (Es 22,20; 23,9). Per un ebreo, l'Egitto è il "luogo dell'angoscia" dal quale il Signore lo ha tratto in salvo, senza alcun merito. E quante volte, nella notte del deserto, il Popolo senza pane ha "bussato" alle porte del Cielo e sempre Dio lo ha esaudito. Ma ha "chiesto" mormorando, e "cercato" dubitando. Proprio nella misericordia di Dio così sproporzionata rispetto al suo cuore duro ed esigente, Israele ha conosciuto se stesso. E Dio, attraverso il suo amore infinito, la magnanimità e la pazienza con la quale ha sempre risposto; nel cammino di quaranta anni Israele ha così imparato che c'è qualcosa di più importante del pane materiale: la Parola di Dio, l'unica che infonde vita dove essa non c'è. E che solo lo Spirito Santo Creatore che esce dalla bocca del Padre, quello con cui ha creato l'universo, dà senso e consistenza allo spirito dell'uomo. E' solo esso che imprime l'immagine e la somiglianza con Dio a chi lo riceve. Per questo, in ogni viandante riconoscerà se stesso, i suoi peccati e la misericordia di Dio; e, facendo memoria della sua storia, farà nei suoi riguardi quanto ha Dio ha fatto con lui. Ma l'uomo della parabola non può! Non ha il pane necessario ogni giorno, l'alimento sostanziale per accogliere il suo amico - quello che Gesù invita a chiedere nel Padre Nostro. Forse ha dimenticato di prepararlo, o ne ha consumato la provvista. Che amicizia può offrire? Forse anche noi dovremmo chiederci se davvero ci sta a cuore la sorte dell'amico che bussa alla nostra porta; o, addirittura, se è davvero nostro amico... Allora, vediamo, mio marito è mio amico? E mio figlio? E' mia amica mia madre o mia sorella? Sono "amici" nel senso illuminato dalla Scrittura? Sono "altri me stesso" come lo fu Gionata per Davide, al punto di legare indissolubilmente la sua vita a quella del suo amico, e di morire per lui? E dovremo ammettere che probabilmente non ci siamo mai svegliati di notte per pregare in favore del matrimonio, dei figli o di un collega. Forse abbiamo pensato di risolvere le questioni mondanamente, e ci siamo ritrovati senza "pane". L'amore autentico, invece, squarcia la notte e insanguina le ginocchia, bussando, cercando e chiedendo il "pane" per l'amico; chi ama si fa amico di Dio per diventarlo degli uomini: "Ricordate come fu tentato il nostro padre Abramo e come proprio attraverso la prova di molte tribolazioni egli divenne l'amico di Dio". Sa che ha bisogno di essere amato egli per primo, istante dopo istante, come il Popolo aveva bisogno della manna giorno dopo giorno. Così ha fatto Gesù per ciascuno di noi. Ci ha "cercati" e "trovati" scendendo tra i dirupi dove ci siamo perduti, affamati, schiacciati dal peso dei peccati, senza forze per andare avanti. Lui, come lo Sposo del Cantico dei Cantici, ha "bussato" alle nostre porte, e si è fatto "aprire" con la sua voce piena di misericordia. Ci ha "chiesto" i nostri peccati, i fallimenti, le divisioni, e, crocifiggendolo, glieli abbiamo "dati". Gesù ha pregato, ogni notte, sino all'alba, anticipando nell'orazione il Mistero Pasquale con cui ci avrebbe salvati. Sempre rivolto al Padre, parlandogli di noi, sino a Gerusalemme, quando è corso a "bussare" alle porte del Cielo, e ha "chiesto" a suo Padre il "pane" di cui avevamo bisogno. Ha "cercato" una via di salvezza per i peccatori e ha disteso le braccia sulla Croce. Inchiodato a quel Legno ha visto "aprirsi" il cammino al Paradiso, lo ha "trovato" in mezzo alla morte, e gli "è stata data" la salvezza per ciascuno di noi. La sua preghiera crocifissa ci ha ottenuto lo Spirito Santo, il suo stesso respiro di vita che ha vinto il peccato e la morte. E ora è pronto ad aprire le porte del Cielo per donarci la rugiada dello Spirito Santo, la manna senza la quale non possiamo vivere. 

Non a caso, infatti, Gesù ambienta la parabola nel cuore della notte; essa è immagine di quella in cui Dio ha "liberato i figli di Israele, nostri padri, dalla schiavitù dell'Egitto" (Exultet di Pasqua). E' notte anche oggi, per questo il Signore ci chiama a farci pellegrini per andare a "bussare", umilmente, alla porta dell'Amico: dobbiamo chiedere quello che non abbiamo per essere quello che dovremmo essere. Non abbiamo il "pane" per sfamare l'amico che bussa alla nostra porta; siamo senza amore per la moglie, il marito, i figli, i colleghi. Non possiamo accogliere quanti, stanchi e affaticati, cercano in noi ospitalità: è sacra, ci definisce come figli del Padre che ci ha accolto sempre con misericordia, ma non possiamo. Non abbiamo lo Spirito Santo per farci "pane" e offrire il riposo del perdono, la consolazione di una parola, la tenerezza dell'ascolto. Non possiamo farci carico dei peccati degli "amici" e lavare loro i piedi. Non possiamo aprire ai tanti Lazzaro che "bussano" alla porta del nostro cuore. Abbiamo dimenticato di esserlo stati noi, tante volte. Forse siamo già presi nelle fiamme che avvolgevano il ricco epulone, e non sappiamo come accogliere Cristo che "bussa" alla porta celato nel bisogno del fratello. Pur essendo padri cattivi - "schiavi", secondo l'etimologia del termine "cattivi" - sino ad ora abbiamo dato "cose buone" ai nostri figli; non li abbiamo ingannati dandogli una cosa per un'altra. In Palestina, infatti, lo scorpione può essere anche biancastro. Quando questo tipo di scorpione si arrotola su se stesso per nascondersi e camuffarsi, assume una forma molto simile a un piccolo uovo. L’anguilla, poi, assomiglia molto a una biscia, mentre certe focacce erano simili a delle pietre. Ebbene, proprio partendo dal nostro cuore paterno possiamo intuire quello dell'Amico celeste, che non ci ingannerà mai.Se noi, dunque, padri schiavi della carne, abbiamo saputo dare il pane che sazia la carne, forse che il Padre celeste non potrà darci lo Spirito Santo per nutrire la natura divina che è in noi? E' il frutto compiuto della Pasqua, l'alito della vita eterna che ha risuscitato il Figlio e che il Padre vuole donarci. E' il sigillo che Egli ha messo sul Pane che discende dal Cielo, sulla carne benedetta del Signore, con la quale ha vinto il peccato e la morte. Ricevendolo potremo donarci anche noi come "pane" capace di dare la vita anche a chi ci dà la morte; come "pesci" pescati nelle profondità del peccato, come Adamo ed Eva sedotti dal demonio - il primo matrimonio... - e presi per mano da Cristo disceso negli inferi; e così riemersi alla luce, saremo trasformati in alimento che annuncia e testimonia il perdono di ogni peccato."Pani e pesci" moltiplicati da Gesù quando si fa buio, per sfamare i suoi amici affamati. In ogni notte che ci avvolge impedendoci di vedere l'amico che abbiamo vicino possiamo "importunare" l'Amico perché "L’amico ama in ogni circostanza; è nato per essere un fratello nella avversità" (Pr 17,17): tuo figlio sta divorziando? Non sopporti più tua suocera o tua moglie? Hai perso il lavoro e non ce la fai ad avere rapporti aperti alla vita? Hai paura della vecchiaia? L'artrosi ti ha rubato speranza e pace? Alzati durante la notte, ed entra nell'angoscia; e lì dentro gettati in ginocchio, e "bussa" alle porte del Cielo e prega dicendo al tuo Amico, il Padre che ti ama, che proprio "Questa è la notte in cui, nel Figlio, hai vinto le tenebre del peccato". Per questo il Vangelo ci spinge a "cercare, chiedere e bussare" per "ottenere" quello che ci manca. A camminare nella Chiesa per rivestire l'uomo nuovo. Gesù ci invita a fare memoria della Pasqua, e ricordare la nostra storia per entrare così nella verità che è il bisogno estremo di chi non ha nulla, il nostro. Ci chiama a convertirci e incamminarci verso la fonte della Grazia, insieme al suo Popolo Santo per scendere i gradini dell'umiltà che conducono al battesimo, imparare a confidare nel Padre, e ricevere lo Spirito Santo, l'unico che plasma in noi l'amico di Dio e di ogni uomo. In fondo, è la stessa vocazione della Chiesa, che il Signore risorto viene a destare in questo tempo di Sinodo sulla famiglia. E' notte, è vero: convivenze e coppie di fatto, divorzi e debolezze infinite stanno ferendo la sua immagine e somiglianza che Dio ha impresso nell'uomo e nella donna creati e uniti nel matrimonio. Non si concepiscono più figli. Il demonio sembra vincere. Ma Cristo è risorto! Cristo è vivo nella Chiesa, il Popolo salvato nella notte di Pasqua dalla schiavitù dell'Egitto. La Chiesa, la comunità cristiana, hanno ricevuto il potere su ogni peccato! Nell'iniziazione cristiana, il catecumenato che il Concilio Vaticano II ha rimesso al centro della pastorale, i cristiani possono imparare a cercare e bussare, a chiedere lo Spirito Santo, l'unica medicina per il proprio matrimonio. Qualunque altra cosa, sarebbero pani e pesci che non saziano, succedanei che anche il mondo, "cattivo", ovvero "schiavo" della carne, "sa dare". Con i fratelli, invece, con il sostegno della comunità cristiana e dei pastori, si può entrare nella notte delle difficoltà, delle crisi e dei tradimenti, senza scappare: "Mezzanotte", il cuore delle nostre tenebre vuote, è l'ora in cui alzarsi e pregare, per sperimentare che il nostro Amico ci dona il suo Spirito che vince ogni divisione, lega indissolubilmente nell'amore crocifisso gli sposi, conduce alla Terra Promessa dove stillano il latte e il miele della misericordia e della comunione. 


QUI IL COMMENTO COMPLETO E MOLTI APPROFONDIMENTI



La parabola di oggi è un midrash di Gesù sul Padre Nostro; con le parole che ne seguono, fa chiarezza su cosa sia, essenzialmente, la preghiera. Essa è questione di vita o di morte, così come è fondamentale essere figli di un Padre. Se non sappiamo dire a Dio Abbà - Papà, vivremo come orfani, sempre in cerca di un'origine e di un senso, vuoti e frustrati. Per questo Gesù ci spiega la sua preghiera partendo dall'esperienza fondamentale di ogni uomo, il bisogno nel quale nasciamo tutti: "Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti". Un "amico" è giunto sulla soglia della nostra casa, nel mezzo del suo cammino, e ha chiesto ospitalità. In oriente essa è sacra, e per un ebreo costituisce uno degli appelli più pressanti della Torah. Il nome stesso "‘ibri", "ebreo", che i popoli confinanti davano a Israele e da lui accolto come suo, significa "abitante al di là della frontiera", cioè straniero. Ogni ebreo ha il dovere sacro dell'ospitalità "… perché voi siete stati stranieri in terra d’Egitto" (Es 22,20; 23,9). Per un ebreo, l'Egitto è il "luogo dell'angoscia" dal quale il Signore lo ha tratto in salvo, senza alcun merito. 

Per un ebreo, l'Egitto è il "luogo dell'angoscia" dal quale il Signore lo ha tratto in salvo, senza alcun merito. E quante volte si è rivolto a Dio perché non aveva pane. Nella notte del deserto il Popolo ha bussato alle porte del Cielo e Dio lo ha sempre beneficato. Ma lo ha fatto mormorando, e dubitando. E proprio nella misericordia così sproporzionata rispetto al suo cuore duro ed esigente, Israele ha conosciuto se stesso e Dio. Il suo amore infinito, la magnanimità e la pazienza con la quale ha sempre risposto hanno svelato al popolo che c'è qualcosa di più importante del pane materiale. Nel deserto Israele ha compreso che è la Parola di Dio a dare vita dove essa non c'è; e che solo lo Spirito Santo Creatore che esce dalla bocca del Padre, quello con cui ha fatto l'universo, dà senso e consistenza allo spirito dell'uomo. E' solo esso che imprime l'immagine e la somiglianza con Dio a chi lo riceve. 

Chi non ha questa esperienza, la certezza cioè che Dio esiste e provvede in tutto, e ama al di là di ogni ragionevole limite, e dona senza misura il suo Spirito Santo giorno dopo giorno, come la manna di cui nutrirsi per camminare nel deserto che avvolge la vita, chi non lo ha ricevuto e non ci crede, non può bussare al cuore di Dio. Anzi, pur bussando si sentirà rispondere di non essere conosciuto. Non è amico di Dio perché non ha ascoltato le sue confidenze, e non desidera compierne la volontà. Per che cosa allora il Padre dovrebbe donargli lo Spirito Santo e ciò che chiede? Sarebbe gettare tra i rifiuti la Grazia. 

Per questo, in ogni viandante riconoscerà se stesso, i suoi peccati e la misericordia di Dio; e, facendo memoria della sua storia, farà nei suoi riguardi quanto ha Dio ha fatto con lui. Ma l'uomo della parabola non può! Non ha il pane necessario ogni giorno, l'alimento sostanziale per accogliere il suo amico - quello che Gesù invita a chiedere nel Padre Nostro. Forse ha dimenticato di prepararlo, o ne ha consumato la provvista. Che amicizia può offrire? La Scrittura descrive così l'amico: "L’amico fedele è solido rifugio, chi lo trova, trova un tesoro. Per un amico fedele non c’è prezzo, non c’è peso per il suo valore" (Cfr. Sir 6). Forse anche noi dovremmo chiederci se davvero ci sta a cuore la sorte dell'amico che bussa alla nostra porta; o, addirittura, se è davvero nostro amico... "C’è chi è amico quando gli è comodo, ma non resiste nel giorno della tua sventura. C’è anche l’amico che si cambia in nemico e scoprirà a tuo disonore i vostri litigi. C’è l’amico compagno a tavola, ma non resiste nel giorno della tua sventura" (Sir 6). Allora, vediamo, mio marito è mio amico? E mio figlio? E' mia amica mia madre o mia sorella? Sono "amici" nel senso illuminato dalla Scrittura? Sono "altri me stesso" come lo fu Gionata per Davide, al punto di legare indissolubilmente la sua vita a quella del suo amico: "l’anima di Gionata s’era già talmente legata all’anima di Davide, che Gionata lo amò come se stesso. Gionata strinse con Davide un patto, perché lo amava,come se stesso(1 Sam. 18,1;3,4). 

Niente a che vedere con la caricatura post-sessantottina dei genitori amici dei figli, niente di sdolcinato, anzi: Gionata è morto per Davide, perdendo tutto. Questo è un amico. Dovremo allora ammettere che no, non andiamo a "importunare" nessuno: non abbiamo amici da accogliere; infatti, non abbiamo preparato nulla per loro; e non abbiamo amici a cui chiedere aiuto, crediamo di bastare a noi stessi. Autoreferenziali e centrati sul nostro ego, anche quando crediamo di amare cerchiamo solo di saziare la nostra concupiscenza. Siamo presi tra due amici dei quali forse non conosciamo nulla, i bisogni dell'uno e la generosità dell'altro. Con uno siamo egoisti e narcisi, dell'altro dubitiamo perfino dell'amicizia, e non siamo certi che possa darci il pane di cui abbiamo bisogno. Per tutto questo, probabilmente non ci siamo mai svegliati di notte per pregare in favore del matrimonio, dei figli o di un collega

Forse abbiamo pensato di risolvere le questioni mondanamente, e ci siamo ritrovati senza "pane". L'amore autentico, invece, squarcia la notte e insanguina le ginocchia, bussando, cercando e chiedendo il "pane" per l'amico; chi ama sa che ha bisogno di essere amato egli per primo, istante dopo istante. Così ha fatto Gesù per ciascuno di noi. Ci ha incontrati sul nostro cammino, affamati, schiacciati dal peso dei peccati, senza forze per andare avanti. E ha pregato, ogni notte, sino all'alba, anticipando nell'orazione il Mistero Pasquale con cui ci avrebbe salvati. Sempre rivolto al Padre, parlandogli di noi, sino a Gerusalemme, quando è corso a "bussare" alle porte del Cielo, e ha "chiesto" a suo Padre il "pane" di cui avevamo bisogno. Ha "cercato"  una via di salvezza per i peccatori e ha disteso le braccia sulla Croce. Inchiodato a quel Legno ha visto "aprirsi" il cammino al Paradiso, lo ha "trovato" in mezzo alla morte, e gli "è stata data" la salvezza per ciascuno di noi. La sua preghiera crocifissa ci ha ottenuto lo Spirito Santo, il suo stesso respiro di vita che ha vinto il peccato e la morte.

Non a caso, infatti, Gesù ambienta la parabola nel cuore della notte; essa è immagine di quella in cui Dio ha "liberato i figli di Israele, nostri padri, dalla schiavitù dell'Egitto" (Exultet di Pasqua). E' notte anche oggi, siamo schiavi, non sappiamo amare, dubitiamo e mormoriamo. Per questo il Signore ci chiama a farci pellegrini per andare a "bussare", umilmente, alla porta dell'Amico: dobbiamo chiedere quello che non abbiamo per essere quello che dovremmo essere. Dobbiamo aprire gli occhi e accettare di essere ancora stranieri in terra d'Egitto, strozzati nell'angoscia e nella paura di perdere il brandello di vita che ci è rimasto; solo così potremo sperimentare di nuovo l'opera di Dio. Gesù ci invita a fare memoria della Pasqua, e ricordare la nostra storia per entrare così nella verità. E' da essa, sinonimo di umiltà, che sgorga la preghiera autentica, fiduciosa, audace, radicata nella certezza di non essere delusi. E la verità è il bisogno estremo di chi non ha nulla, il nostro. Non abbiamo il "pane" per sfamare l'amico che bussa alla nostra porta; siamo senza amore per la moglie, il marito, i figli, i colleghi. Non possiamo accogliere quanti, stanchi e affaticati, cercano in noi ospitalità: è sacra, ci definisce come figli del Padre che ci ha accolto sempre con misericordia, ma non possiamo. 

Non abbiamo lo Spirito Santo per farci "pane" e offrire il riposo del perdono, la consolazione di una parola, la tenerezza dell'ascolto. Non possiamo farci carico dei peccati degli "amici" e lavare loro i piedi. Non possiamo accogliere Cristo che bussa alla porta celato nel bisogno del fratello. Per questo il Vangelo ci spinge a "cercare, chiedere e bussare" per "ottenere" quello che ci manca: c'è un amico che bussa alla nostra vita e ha bisogno di pane; e c'è un Amico che può darcelo. Pur essendo padri cattivi "schiavi", secondo l'etimologia del termine "cattivi" - sino ad ora abbiamo dato "cose buone" ai nostri figli; non li abbiamo ingannati dandogli una cosa per un'altra. In Palestina, infatti, lo scorpione è presente in una dozzina di specie, tra cui una biancastra, che può raggiungere anche i 15 centimetri. Quando questo tipo di scorpione si arrotola su se stesso per nascondersi e camuffarsi, assume una forma molto simile a un piccolo uovo. L’anguilla, poi, assomiglia molto a una biscia, mentre certe focacce erano simili a delle pietre. Ebbene, proprio partendo dal nostro cuore paterno possiamo intuire quello dell'Amico celeste, che non ci ingannerà mai. Abbiamo dato ai nostri figli tanti consigli, forse denaro, e lo studio, e i vestiti. Così come a tutti quelli che ci sono vicini: succedanei dell'amore, regali che saziano solo fugacemente. 

Se noi, dunque, padri schiavi della carne, abbiamo saputo dare il pane che sazia la carne, forse che il Padre celeste non potrà darci lo Spirito Santo per nutrire la natura divina che è in noi? E' il frutto compiuto della Pasqua, l'alito della vita eterna che ha risuscitato il Figlio e che il Padre vuole donarci. E' il sigillo che Egli ha messo sul Pane che discende dal Cielo, sulla carne benedetta del Signore, con la quale ha vinto il peccato e la morte. Ricevendolo potremo donarci anche noi come "pane" capace di dare la vita anche a chi ci dà la morte. In ogni notte che ci avvolge impedendoci di vedere l'amico che abbiamo vicino possiamo "importunare" l'Amico perché "L’amico ama in ogni circostanza; è nato per essere un fratello nella avversità" (Pr 17,17): tuo figlio sta divorziando? Non sopporti più tua suocera o tua moglie? Hai perso il lavoro e non ce la fai ad avere rapporti aperti alla vita? Hai paura della vecchiaia? L'artrosi ti ha rubato speranza e pace? Alzati durante la notte, ed entra nell'angoscia; e lì dentro gettati in ginocchio, e "bussa" alle porte del Cielo e prega dicendo al tuo Amico, il Padre che ti ama, che proprio "Questa è la notte in cui, nel Figlio, hai vinto le tenebre del peccato". E' la "notte beata, che sola ha meritato di conoscere il tempo e l'ora in cui Cristo è risorto dagli inferi". 

Mezzanotte, il cuore delle nostre tenebre vuote, è l'ora in cui pregare e sperimentare che "Il santo mistero di questa notte sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l'innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti" (Exultet di Pasqua). Questa è la notte in cui brilla la luce della Pasqua, quando il nostro Amico ci dona il suo Spirito, che, come in ogni sacramento, trasforma in segni della vita eterna le nostre cose inzuppate nel dolore, facendole "pane" preparato e cotto nel Mistero Pasquale di Gesù.






APPROFONDIMENTI


Chiedete e vi sarà dato. Benedetto XVI

Questa preghiera accoglie ed esprime anche le umane necessità materiali e spirituali: “Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati” (Lc 11,3-4). E proprio a causa dei bisogni e delle difficoltà di ogni giorno, Gesù esorta con forza: “Io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto” (Lc 11,9-10). Non è un domandare per soddisfare le proprie voglie, quanto piuttosto per tenere desta l’amicizia con Dio, il quale – dice sempre il Vangelo – “darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!” (Lc 11,13). Lo hanno sperimentato gli antichi “padri del deserto” e i contemplativi di tutti i tempi, divenuti, a motivo della preghiera, amici di Dio, come Abramo, che implorò il Signore di risparmiare i pochi giusti dallo stermino della città di Sòdoma (cfr Gen 18,23-32). Santa Teresa d’Avila invitava le sue consorelle dicendo: “Dobbiamo supplicare Dio che ci liberi da ogni pericolo per sempre e ci tolga da ogni male. E per quanto imperfetto sia il nostro desiderio, sforziamoci di insistere in questa richiesta. Che ci costa chiedere molto, visto che ci rivolgiamo all’Onnipotente?» (Cammino, 60 (34), 4, in Opere complete, Milano 1998, p. 846). Ogniqualvolta recitiamo il Padre Nostro, la nostra voce s’intreccia con quella della Chiesa, perché chi prega non è mai solo. “Ogni fedele dovrà cercare e potrà trovare nella verità e ricchezza della preghiera cristiana, insegnata dalla Chiesa, la propria via, il proprio modo di preghiera… si lascerà quindi condurre… dallo Spirito Santo, il quale lo guida, attraverso Cristo, al Padre» (Congregazione per la Dottrina della Fede, Alcuni aspetti della meditazione cristiana, 15 ottobre 1989, 29: AAS 82 [1990], 378).



Ambrogio di Milano, Esposizione sul Vangelo di Luca

Questo passo del Vangelo secondo Luca ci insegna la preghiera frequente, la speranza di impetrare, il modo di persuadere: e questo innanzi tutto in un precetto, poi in un esempio. Infatti, quando uno promette qualcosa, deve aggiungervi la speranza di quanto promesso, affinché sia data obbedienza ai consigli, fedeltà alle promesse. E questa, pensando alla bontà umana, a maggior ragione raggiunge la speranza della bontà divina, purché evidentemente le richieste fatte siano ragionevoli. In caso contrario, la richiesta si cambierebbe in colpa. Né quel tale di cui parla il Vangelo ha avuto vergogna di chiedere con molta insistenza qualcosa, perché non sembrasse che mancava di fiducia nella misericordia del Signore, oppure che protestava sfacciatamente per non aver ottenuto alla prima domanda quanto chiedeva. E così ci ha fatto vedere che sovente Dio non concede quanto noi gli chiediamo con le nostre preghiere, perché giudica inutili e dannose quelle cose che noi invece riteniamo convenienti.




Giovanni Taulero (circa 1300-1361)
Discorso 17, per il lunedì prima dell'Ascensione

« Dacci oggi il nostro pane quotidiano » (Mt 6,11)

        Dobbiamo considerare come e perché dobbiamo pregare. Quando l'uomo vuole impegnarsi nella preghiera, deve, prima di tutto, riportare il suo cuore all'interno, richiamarlo dal vagabondaggio e dalle dissipazioni dove si perdeva, e allora cadere con grande umiltà ai piedi di Dio, chiedere l'elemosina con generosità, bussare alla porta del cuore del Padre e mendicare il suo pane, ossia la carità... Dobbiamo domandare, inoltre, che Dio ci accordi e ci insegni a chiedere ciò che gli piace di più nella nostra preghiera e ciò che ci sarà più utile...

        Non tutti gli uomini possono pregare in spirito, ma ci sono quelli che devono ricorrere alla preghiera vocale. In questo caso ti rivolgerai a nostro Signore con le parole le più amabili, le più amicali e le più affettuose che tu possa immaginare : ciò ecciterà anche la tua carità e il tuo cuore. Chiedi al Padre celeste che, per mezzo del suo unico Figlio, si dona lui stesso a te come oggetto della tua preghiera, nel modo più piacevole.  E quando avrai trovato una forma di preghiera che, più di tutte le altre, ti piaccia e ecciti la tua devozione..., conserva questo modo di pregare e concedile le tue preferenze... Bisogna bussare alla porta con diligenza e perseveranza perché « chi persevererà sino alla fine sarà salvato » (cfr. Mt 10,22; 2Tm 2,5)... « Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono! » (Lc 11,13).



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