αποφθεγμα Apoftegma
Considera, uomo, colui che ti ha colmato dei suoi doni.
Rifletti un po' su te stesso:
Chi sei? Cosa ti è stato affidato?
Da chi hai ricevuto questo incarico? Perché sei stato scelto?
Sei il servo del Dio buono;
hai la responsabilità dei tuoi compagni di servizio...
«Che farò?» La risposta è semplice:
«Sazierò gli affamati, inviterò i poveri... Voi tutti che mancate di pane,
venite ad attingere i doni accordati da Dio che sgorgano come da una fontana».
San Basilio Magno
venite ad attingere i doni accordati da Dio che sgorgano come da una fontana».
San Basilio Magno
L'ANNUNCIO |
In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
Sapienza e stoltezza
"O uomo!" Così Gesù risponde al "tale" e a ciascuno di noi, insoddisfatti e sempre in cerca di giustizia. "O uomo!" perché in lui e in noi il Signore intercetta Adamo. Ricco "presso Dio" nel Paradiso, di fronte al "raccolto abbondante" ricevuto in "eredità", si è fermato a "dialogare con sé stesso" ed è rimasto intrappolato nella menzogna del demonio. Come accade a noi quando, di fronte alla storia, ci rintaniamo nella nostra ragione facendo spazio alle adulazioni del nemico che ci convincono che è tutta un'ingiustizia perché nessuno si è accorto che il vero dio siamo noi. Bene, a quel punto siamo fritti e diciamo: "so io che fare" per rimediare e farmi giustizia: accumulare! "So io", perché io sono dio. Ecco perché cerchiamo la giustizia che riporti le cose in ordine, e per ottenerla riconosciamo a Gesù l'autorità di Maestro. Non certo per imparare da Lui che è mite e umile di cuore, ma per costringere gli altri, "mio fratello", a dividere con me quello che, ingannato dal demonio, credo che mi abbia sottratto. Eh sì, è qui che si nasconde il tranello. Siamo così "stolti" da credere alla menzogna secondo la quale sarebbe "divisibile" l'infinito! Possiamo credere a una baggianata del genere solo se il demonio riesce a convincerci che la nostra "eredità" non sia infinita; che cioè la vita donataci si infranga sul limite invalicabile dell'ingiustizia e della gelosia di Dio che ci ha sottratto la possibilità di toccare e mangiare dell'albero della conoscenza del bene e del male. Se accettiamo questo presupposto falso, allora possiamo credere anche alla conseguente affermazione secondo la quale saremo infelici sino a che non ci ripiglieremo quello che Dio ci ha tolto: per questo "accumuliamo per noi e non davanti, alla presenza di Dio": moglie, marito, amici, denaro, tutto fagocitato nella "cupidigia" perché il demonio è riuscito a "dividere" da Dio, fonte della vita, prima le persone e poi le cose. Si tratta dell'atteggiamento tipico di chi non ha conosciuto l'amore di Dio, e vive il cristianesimo covando nel cuore il risentimento: ovunque vede ingiustizie e nemici ed esige da Gesù che legittimi la propria cupidigia facendosi "giudice" e "mediatore" al soldo del diavolo, il principe dei "divisori". Insomma, chiediamo a Gesù e alla sua Chiesa che legittimino e portino a termine la nostra vendetta contro Dio. Paradosso fatale per l'anima prima e la mente poi, che ci fa precipitare nel delirio di grandezza dell'uomo ricco della parabola. Solo uno che si crede dio e non ha più la coscienza del peccato può essere certo di "avere a disposizione molti beni per molti anni". Solo uno "stolto" può illudersi che davvero ci si possa appropriare dell'"eredità" di Dio: essa, infatti, è un dono, ed è protetta nel "caveau" inattaccabile della gratuità. Può accedervi solo chi si riconosce creatura, e per di più ormai indegna a causa dei propri peccati.
Ma coraggio, perché siamo ancora in tempo per accoglierla: il Testamento di Gesù parla chiaro: "Padre, perdonali - cioè concedigli l'eredità della vita eterna - perché non sanno quello che fanno". In quel momento, sulla Croce, il Signore stava parlando di te e di me, che ci illudiamo di "sapere cosa fare", mentre invece siamo degli ignoranti totali. Gesù ha lasciato la sua eredità agli "stolti" che, come Davide pizzicato con le mani sporche di sangue, riconoscono la loro "stoltezza". Sì fratelli, "la vita non dipende dai beni", perché "anche se uno è nell'abbondanza", se cioè sperimenta i miracoli con cui Dio moltiplica la sua povera debolezza, non è per questo al riparo dalla tentazione. La vita vera, quella eterna che non si corrompe, dipende dall'umiltà con cui, ogni giorno, imploriamo il Signore di avere pietà di noi perché "non sappiamo che fare" dei doni di Dio, e non "abbiamo dove metterli" tanto il cuore è indurito; e così, nella paura di perderli, li serriamo nei "granai" del nostro egoismo, sempre "più grandi" per saziare il vuoto di un dio senza paradiso; i giorni spesi a progettare e mettere in agenda "per molti anni" riposo e godimento, e nessun giorno riservato alla morte. Sino a quello in cui un "fratello", un altro Adamo ingannato come noi, non ci ruba "l'eredità", il nostro tempo, l'onore, la carriera, i diritti; sino a che la "notte" degli eventi oscuri e dolorosi non viene a "chiederci la vita" rivelando la nostra "stoltezza" che chiede giustizia mondana a Colui che ha consegnato se stesso per giustificarci per sempre nella giustizia della Croce. Ecco la sapienza alla quale ci chiama il Signore! Lasciarci amare e giustificare nell'amore che unisce ciò che il demonio ha diviso. Anche oggi ci viene a cercare nell'inferno dove la separazione dal Padre ci aveva gettato, per ricondurci all'ovile e fare di noi i suoi" fratelli" per i quali ha donato tutta l'eredità. Contempliamo allora la Croce sulla quale Gesù ha preso su di sé le nostre ingiustizie spogliandosi di tutto pur di "arricchire davanti al Padre" con le nostre vite riscattate. Lasciamoci "giudicare" dal vero "mediatore" che è Dio, e ci "giudica" anche oggi con la sua croce che, con amore, ha preparato per noi: i progetti fondati sull'egoismo si riveleranno spine conficcate nella testa, ovvero preoccupazioni, angosce e notti insonni. Le ricchezze accumulate con avidità saranno i chiodi che impediscono la libertà di donarci ed essere felici. Tutto per umiliarci e imparare a desiderare di vivere come "si fa" nella Chiesa, "tra i cristiani". Ecco allora "che fare": rimanere "presso" il Signore, ai suoi piedi come Maria, ascoltando la sua Parola che ha il potere di creare figli di Dio dalla pietra che è il nostro cuore. Figli che si arricchiscono presso il loro Padre, distendendo sulla Croce le loro braccia insieme al loro fratello Gesù, per "riunire" i fratelli dispersi e presentarli a Lui. Per donare ovunque e a tutti "il raccolto abbondante" dell'amore che colma la "campagna" della nostra vita, e così arricchire il Cielo di "fratelli" che cercano in noi l'Eredità perduta.
Ma coraggio, perché siamo ancora in tempo per accoglierla: il Testamento di Gesù parla chiaro: "Padre, perdonali - cioè concedigli l'eredità della vita eterna - perché non sanno quello che fanno". In quel momento, sulla Croce, il Signore stava parlando di te e di me, che ci illudiamo di "sapere cosa fare", mentre invece siamo degli ignoranti totali. Gesù ha lasciato la sua eredità agli "stolti" che, come Davide pizzicato con le mani sporche di sangue, riconoscono la loro "stoltezza". Sì fratelli, "la vita non dipende dai beni", perché "anche se uno è nell'abbondanza", se cioè sperimenta i miracoli con cui Dio moltiplica la sua povera debolezza, non è per questo al riparo dalla tentazione. La vita vera, quella eterna che non si corrompe, dipende dall'umiltà con cui, ogni giorno, imploriamo il Signore di avere pietà di noi perché "non sappiamo che fare" dei doni di Dio, e non "abbiamo dove metterli" tanto il cuore è indurito; e così, nella paura di perderli, li serriamo nei "granai" del nostro egoismo, sempre "più grandi" per saziare il vuoto di un dio senza paradiso; i giorni spesi a progettare e mettere in agenda "per molti anni" riposo e godimento, e nessun giorno riservato alla morte. Sino a quello in cui un "fratello", un altro Adamo ingannato come noi, non ci ruba "l'eredità", il nostro tempo, l'onore, la carriera, i diritti; sino a che la "notte" degli eventi oscuri e dolorosi non viene a "chiederci la vita" rivelando la nostra "stoltezza" che chiede giustizia mondana a Colui che ha consegnato se stesso per giustificarci per sempre nella giustizia della Croce. Ecco la sapienza alla quale ci chiama il Signore! Lasciarci amare e giustificare nell'amore che unisce ciò che il demonio ha diviso. Anche oggi ci viene a cercare nell'inferno dove la separazione dal Padre ci aveva gettato, per ricondurci all'ovile e fare di noi i suoi" fratelli" per i quali ha donato tutta l'eredità. Contempliamo allora la Croce sulla quale Gesù ha preso su di sé le nostre ingiustizie spogliandosi di tutto pur di "arricchire davanti al Padre" con le nostre vite riscattate. Lasciamoci "giudicare" dal vero "mediatore" che è Dio, e ci "giudica" anche oggi con la sua croce che, con amore, ha preparato per noi: i progetti fondati sull'egoismo si riveleranno spine conficcate nella testa, ovvero preoccupazioni, angosce e notti insonni. Le ricchezze accumulate con avidità saranno i chiodi che impediscono la libertà di donarci ed essere felici. Tutto per umiliarci e imparare a desiderare di vivere come "si fa" nella Chiesa, "tra i cristiani". Ecco allora "che fare": rimanere "presso" il Signore, ai suoi piedi come Maria, ascoltando la sua Parola che ha il potere di creare figli di Dio dalla pietra che è il nostro cuore. Figli che si arricchiscono presso il loro Padre, distendendo sulla Croce le loro braccia insieme al loro fratello Gesù, per "riunire" i fratelli dispersi e presentarli a Lui. Per donare ovunque e a tutti "il raccolto abbondante" dell'amore che colma la "campagna" della nostra vita, e così arricchire il Cielo di "fratelli" che cercano in noi l'Eredità perduta.
QUI UN ALTRO COMMENTO E GLI APPROFONDIMENTI
Eredità e cupidigia, ogni conflitto tra fratelli sorge dalla contraddizione di questi due termini. Dove vi è eredità non può esservi cupidigia. L'eredità è un dono che scaturisce dall'essere legati a colui che fa testamento. E' frutto della sua liberalità, del suo amore. Noi tutti siamo eredi di Dio e coeredi di Cristo. Per pura Grazia, senza aver desiderato nè sperato nulla. Di nostro abbiamo messo solo ribellioni e peccati. Come il figlio prodigo abbiamo dilapidato tutto. Eppure il Padre ci ha amati, ha inviato il suo Figlio sulle nostre tracce, quelle di un'eredità amaramente perduta. Ci siamo appropriati della primogenitura stravolgendola e pervertendola. Ci siamo fatti dio in ogni aspetto della nostra vita e ci siamo ritrovati mille volte gettati in terra, in mezzo al fango di tanti fallimenti. Abbiamo perso ogni diritto, come i carcerati. Eppure Dio ci ha amati e, nella Croce del suo Figlio, ci ha riscattati e ci ha ridonato la dignità e l'eredità perduta. Di più. ci ha ricreati quale sua eredità più bella, figli nel Figlio. Per questo Gesù è giudice in quanto mediatore. Ha giudicato il peccato e ha posto la sua vita come mediazione per il riscatto. Lui al posto nostro. Lui nella tomba, nudo, senza diritti, come l'ultimo dei peccatori perché noi potessimo essere riaccolti quali figli degni dell'eredità paterna.
Si comprendono allora le parole del Signore: chi mi ha costituito giudice secondo i criteri del mondo e della carne? Chi ha posto la mia vita a mediare tra una cupidigia e l'altra? Questo è l'inganno con il quale spesso ci accostiamo a Lui, cercando giustizia e mediazione, e vedere così affermate le nostre ragioni, sempre tristemente mosse dalla cupidigia, che nel greco originale significa anche arroganza e avidità. Cerchiamo Cristo perché decreti giusti i nostri ragionamenti, i dialoghi con se stesso di cui è schiavo l'uomo ricco della parabola. Dirò a me stesso: la pazzia di chi si crede nello stesso tempo autore e fruitore della vita, dio e creatura.
Si comprendono allora le parole del Signore: chi mi ha costituito giudice secondo i criteri del mondo e della carne? Chi ha posto la mia vita a mediare tra una cupidigia e l'altra? Questo è l'inganno con il quale spesso ci accostiamo a Lui, cercando giustizia e mediazione, e vedere così affermate le nostre ragioni, sempre tristemente mosse dalla cupidigia, che nel greco originale significa anche arroganza e avidità. Cerchiamo Cristo perché decreti giusti i nostri ragionamenti, i dialoghi con se stesso di cui è schiavo l'uomo ricco della parabola. Dirò a me stesso: la pazzia di chi si crede nello stesso tempo autore e fruitore della vita, dio e creatura.
La stoltezza demoniaca che si fa cupidigia, desiderio rapace, perché sempre inappagato. O si è Dio o si è creatura. La sapienza del cuore è saper contare i propri giorni, ciascuno come un dono di Dio, eredità gratuita che ci raggiunge senza alcun merito e diritto. Siamo tutti uomini ricchi la cui vita dà sempre un raccolto abbondante: Cristo Gesù vivo in noi! E con Lui ogni altro bene! Pensare che questo possa essere utile per installarsi e mangiare, bere e divertirsi, è fare della vita una folle corsa verso il nulla. Stoltezza di chi non sa che ogni giorno ci viene chiesto conto del dono ricevuto, se il frutto abbondante recato da Cristo si è compiuto in amore oppure se è stato fagocitato dalla cupidigia. La morte è sempre in agguato, e non solo quella fisica: il tradimento, una malattia, una crisi economica, e molto altro che fa verità e mostra la qualità della nostra vita: oro o paglia!
La vita non dipende dall'abbondanza, ma dall'uso che se ne fa. A chi molto è stato dato, molto molto sarà richiesto. E vi è un solo uso della vita che la rende autentica e innestata nell'eternità: arricchire presso Dio. Già, ma come è possibile? Arricchire presso Dio significa vivere con sapienza, mentre stoltezza è accumulare per sé. Il sapiente vive fissando lo sguardo sul Cielo, è figlio del Padre, conosce se stesso e conosce il dono che costituisce la sua vita: sa che può essere vissuta solamente donandola, esattamente come è stata ricevuta. Il sapiente vive abbandonato all'amore provvidente di Dio; conosce per esperienza il valore di ogni istante quale scrigno di Grazie infinite, tra le quali può celarsi quella della Pasqua eterna, l'incontro con il suo Signore.
Lo stolto teme di morire, vive tutto con cupidigia perché è ancora nudo del peccato di Adamo e tutto, persone e cose, accaparra tentando maldestramente di coprirsi e sfuggire alla corruzione. Il sapiente ha conosciuto il perdono, lo stolto vive nel rimorso. Come il ricco epulone, incapace di accorgersi di Lazzaro che bussava alla sua porta, soffocato com'era dal proprio io da ingrassare. Perché l'io senza Dio è un tiranno implacabile. Per il sapiente, invece, che ha conosciuto la misericordia di Dio, seno benedetto dove gli stolti sono rigenerati a vita nuova, la vita, con i suoi beni e i suoi affetti, è segno del perdono e così diventa dono. Lo stolto progetta e si tormenta, e non trova mai pace, difendendo senza requie quei brandelli di vita che ancora gli restano tra le mani. Accogliamo oggi la Sapienza fatta carne, Cristo Gesù vittorioso sul peccato e sulla morte. Lasciamo che ci liberi e ci perdoni, e ci faccia figli della Sapienza, quella eterna della Croce, porta del Cielo sul quale fissare il nostro sguardo e il nostro cuore.
La vita non dipende dall'abbondanza, ma dall'uso che se ne fa. A chi molto è stato dato, molto molto sarà richiesto. E vi è un solo uso della vita che la rende autentica e innestata nell'eternità: arricchire presso Dio. Già, ma come è possibile? Arricchire presso Dio significa vivere con sapienza, mentre stoltezza è accumulare per sé. Il sapiente vive fissando lo sguardo sul Cielo, è figlio del Padre, conosce se stesso e conosce il dono che costituisce la sua vita: sa che può essere vissuta solamente donandola, esattamente come è stata ricevuta. Il sapiente vive abbandonato all'amore provvidente di Dio; conosce per esperienza il valore di ogni istante quale scrigno di Grazie infinite, tra le quali può celarsi quella della Pasqua eterna, l'incontro con il suo Signore.
Lo stolto teme di morire, vive tutto con cupidigia perché è ancora nudo del peccato di Adamo e tutto, persone e cose, accaparra tentando maldestramente di coprirsi e sfuggire alla corruzione. Il sapiente ha conosciuto il perdono, lo stolto vive nel rimorso. Come il ricco epulone, incapace di accorgersi di Lazzaro che bussava alla sua porta, soffocato com'era dal proprio io da ingrassare. Perché l'io senza Dio è un tiranno implacabile. Per il sapiente, invece, che ha conosciuto la misericordia di Dio, seno benedetto dove gli stolti sono rigenerati a vita nuova, la vita, con i suoi beni e i suoi affetti, è segno del perdono e così diventa dono. Lo stolto progetta e si tormenta, e non trova mai pace, difendendo senza requie quei brandelli di vita che ancora gli restano tra le mani. Accogliamo oggi la Sapienza fatta carne, Cristo Gesù vittorioso sul peccato e sulla morte. Lasciamo che ci liberi e ci perdoni, e ci faccia figli della Sapienza, quella eterna della Croce, porta del Cielo sul quale fissare il nostro sguardo e il nostro cuore.
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