Mercoledì della III settimana del Tempo di Avvento




αποφθεγμα Apoftegma

Oggi l'appello alla conversione, 
che i missionari rivolgono ai non cristiani, 
è messo in discussione o passato sotto silenzio. 
Si vede in esso un atto di «proselitismo»; 
si dice che basta aiutare gli uomini 
a essere più uomini o più fedeli alla propria religione, 
che basta costruire comunità capaci di operare 
per la giustizia, la libertà, la pace, la solidarietà. 
Ma si dimentica che 
ogni persona ha il diritto di udire la «buona novella» di Dio 
che si rivela e si dona in Cristo, 
per attuare in pienezza la sua propria vocazione. 

Giovanni Paolo II, Redemptoris Missio, n.46


QUI IL COMMENTO AUDIO




L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Luca 7,18b-23 

In quel tempo, Giovanni chiamò due dei suoi discepoli e li mandò a dire al Signore: “Sei tu colui che viene, o dobbiamo aspettare un altro?”. 
Venuti da lui, quegli uomini dissero: “Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: Sei tu colui che viene o dobbiamo aspettare un altro?” 
In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. 
Poi diede loro questa risposta: “Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella. E beato è chiunque non sarà scandalizzato di me!”.


Andare a vedere l'amore di Cristo, senza scandalizzarci dei nostri peccati


Come ciascuno di noi, Giovanni vede sorgere nel cuore la domanda che riassume il dilemma dell'esistenza: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?". In carcere per la Verità, Giovanni chiede conferme su Colui che ha annunciato. Il carcere è una metafora della sua vita. A causa di Cristo è separato dal mondo, santo in mezzo all’impurità. Il mondo lo ha condannato come condanna ogni giorno la verità. E' l'esperienza di ogni apostolo, di ogni cristiano, martire della Parola fatta carne. E' l'esperienza dei giovani cristiani, separati i virtù della primogenitura, non più del mondo ma ancora chiamati a vivere nel mondo. Sentono premere sulla pelle e sulle ossa le tentazioni e la castità, l’obbedienza e il sacrificio pesano come catene. Spesso la Verità sembra proprio aver incatenato le gioie, le passioni, la poesia della vita, e l'esistenza afferrata da un annuncio di libertà sembra condannata a spegnersi in una cella. Le catene stringono le pulsioni sessuali che il mondo spinge a seguire, la porta sbarra la strada a discoteche e concerti affollati di ragazzi. Così per tante mogli, assalite come già Eva dalle menzogne suadenti del demonio, che dipinge le pareti domestiche come fossero le grate di un carcere, e i pannolini dei bambini come fossero strumenti di torture. E il matrimonio comincia ad apparire come un convento di clausura che non si è scelto, che sottrae indipendenza, realizzazione di sé, taglie e libertà, amicizie e svaghi. Chiamate a donarsi nella sottomissione che dischiude il Cielo nella carne della vita coniugale, si finisce con il sottomettersi al duro giogo della menzogna che sbiadisce l’identità di donna, moglie e madre per indossarne di false. Così per tanti mariti, che ogni ritorno a casa sembra una condanna, un ergastolo da scontare dietro ai capricci di moglie e figli. Chiamati a morire per la moglie come Cristo per la sua Chiesa, si trovano a vivere nel matrimonio come dentro un carcere di massima sicurezza. O la malattia che ti divora senza pietà, e ti restano pochi mesi di vita. La malattia e la morte di tuo figlio, di tuo padre o di tua madre che sei ancora così giovane. O il fidanzato, che non arriva mai… O che se ne è andato lasciandoti con un messaggino. E tutta la vita scorre tra mille progetti e tentativi di evasione, nell’illusione di trovare la felicità nella libertà che ti incatena alla dittatura delle concupiscenze. Per questo la domanda sale prepotente: è Cristo la Verità? E' davvero Lui il Salvatore? E' Lui che attende il mio cuore impaziente di libertà e felicità? E' Lui o devo aspettare qualcun altro, qualcosa d'altro? La volontà di Dio è il solo senso autentico che dà pienezza alla mia vita? E oggi, come un preludio alla sua risposta fatta carne, il Signore ci risponde come ha risposto a Giovanni: invia la sua Chiesa, i testimoni che hanno visto la Parola incarnarsi nei segni da Lui compiuti. Essi indicano il Cielo, un potere che scavalca il muro delle possibilità umane: gli angeli che la notte di Natale hanno annunciato: “Gloria a Dio nell’alto dei Cieli, e pace in terra agli uomini che Dio ama”. Gloria a Dio nell’alto dei Cieli per i “ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l'udito, i morti risuscitano", e pace a loro, ai "poveri a cui è annunciata la Buona Novella" sulla terra dove hanno toccato un frammento di paradiso nell’amore onnipotente del Padre. Pace a noi quindi, o no?

Forse no, niente pace in noi. Allora domandiamoci: “che cosa abbiamo visto e udito nella nostra vita? Perché senza aver udito e visto non si può credere, non si è certi di aver incontrato Colui che abbiamo sempre atteso senza l'esperienza concreta e raccontabile del suo amore. I discepoli di Giovanni racconteranno quello che hanno visto e udito, come ogni apostolo, testimoni di un'esperienza. Giovanni Battista, cugino di Gesù, che ancora nel grembo di Elisabetta ha esultato alla voce di Maria, che ha visto scendere lo Spirito Santo come una colomba su Gesù, non aveva ancora la certezza che fosse Lui il Messia. Così nella nostra vita, percezioni, sentimenti, ma non basta. Anche Pietro ha confessato Gesù come l'Inviato, il Figlio di Dio, e un istante dopo s'è perso nei pensieri della carne. Occorre qualcosa in più, “vedere e udire”, e il sigillo dello Spirito su quanto visto e udito. Ecco la nostra vita, ecco le nostre infermità, le catene, i peccati. Eccoli in fila, sono più numerosi del nostro capo. Ed ecco il Messia, Lui nella nostra vita, l'Agnello immolato che prende su di sé le nostre infermità e i nostri peccati. E fa nuove tutte le cose, creando in noi un cuore nuovo. Non sono parole, fantasie, e neanche semplici intuizioni. Sono fatti, davanti ai nostri occhi. Per questo oggi risuona nelle nostre orecchie la Parola di Vita della Buona Notizia che ha il potere di realizzare ciò che annuncia. I pastori andarono senza indugio alla Grotta di Betlemme e “videro esattamente come avevano udito dalla voce degli angeli”. C'è anche per noi una grotta, una stalla e una mangiatoia. Gli angeli appaiono anche oggi sul nostro cammino, gli apostoli che instancabilmente annunciano il Vangelo ad ogni creatura. Andiamo a Betlemme dunque, andiamo al fondo della nostra vita, lì dove più povero è il nostro cuore. Andiamo senza indugio alla mangiatoia, lì dove hanno mangiato animali d'ogni tipo, dove la carne cioè l'ha fatta da padrona. Lì dov'è la fonte dei nostri peccati e dove ogni giorno s'ingrassa il nostro uomo vecchio. Non temiamo di scoprirci incapaci di perdonare, di dimenticare. Andiamo a vedere, nella nostra debolezza, il suo potere. Perché proprio lì, nella mangiatoia dove, sino ad ora, abbiamo mangiato povera paglia incapace di trasformarci, "in quel momento", ora, e ogni giorno, Lui si fa pane per saziarci e trasformarci in pane per gli altri. Unico intralcio, lo scandalo per il suo amore che nasce da quello che abbiamo per la totale debolezza nella quale Lui vuole deporre la forza infinita dell'amore. Lo scandalo che ci fa inciampare impedendoci di andare a vedere il suo amore. La paura che prende un giocatore di poker prima di rilanciare e, appunto, andare a vedere. Ma essa è figlia di chi ha preso la vita e la fede come un gioco d'azzardo, e il cristianesimo non lo è, perché l'amore vince il timore. "Beato" allora chi crede, che cioè, come un bambino che si fa prendere per la mano dal papà, si appoggia alla parola e alla fede della Chiesa, per andare a vedere i segni che Cristo ha operato ed è pronto ad operare nella nostra vita. Solo così potremo "riferire" alla domanda di Battista che alberga nel nostro cuore, che è proprio Lui il Salvatore che aspettiamo. "Beato" dunque è "chi non si scandalizza" di Cristo vivo nella stoltezza della predicazione perché ascoltandola, smette finalmente di "aspettare Godot". Non esiste e non esisterà mai un'altra moglie, un altro marito, un altro figlio, un altra storia, un altro se stesso: esiste, è autentico solo quanto oggi ci è dato da Dio: alla povertà, alla cecità, alla sordità, alla lebbra, alla morte che oggi costituisce la nostra vita è inviato il Signore, nella semplicità e nella stoltezza della predicazione della Chiesa. Anche oggi, sospinti dalla Grazia, siamo chiamati ad ascoltare, accogliere e credere, perché la nostra vita, questa e nessun'altra, sia colmata del suo amore ed in esso trasfigurata. Beati noi se, così come siamo, ci lasciamo attirare dall'amore infinito annunciato dalle sue braccia distese per accoglierci senza condizioni. La debolezza, l'Astheneia - la fiacchezza del corpo e dell’anima, la precarietà, l’incapacità di compiere il bene - non è un ostacolo, è il segno della forza di Dio! E' la mangiatoia del Natale del Messia. E' lì che ci aspetta, e proprio nel “carcere” dove siamo rinchiusi per essere di Cristo, potremo crescere nella fede insieme alla Chiesa che vi è rinchiusa per noi, sino alla certezza incrollabile che Lui è il Messia, l’unico che ci ama così come siamo, perché laddove la carne e il mondo non trova gioia e pace, i cristiani vivono senza mancare di nulla. In carcere come in un anticipo di Paradiso.













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