Oggi l'appello alla conversione,
che i missionari rivolgono ai non cristiani,
è messo in discussione o passato sotto silenzio.
Si vede in esso un atto di «proselitismo»;
si dice che basta aiutare gli uomini
a essere più uomini o più fedeli alla propria religione,
che basta costruire comunità capaci di operare
per la giustizia, la libertà, la pace, la solidarietà.
Ma si dimentica che
ogni persona ha il diritto di udire la «buona novella» di Dio
che si rivela e si dona in Cristo,
per attuare in pienezza la sua propria vocazione.
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L'ANNUNCIO |
Dal Vangelo secondo Luca 7,18b-23
In quel tempo, Giovanni chiamò due dei suoi discepoli e li mandò a dire al Signore: “Sei tu colui che viene, o dobbiamo aspettare un altro?”. Venuti da lui, quegli uomini dissero: “Giovanni il Battista ci ha mandati da te per domandarti: Sei tu colui che viene o dobbiamo aspettare un altro?” In quello stesso momento Gesù guarì molti da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. Poi diede loro questa risposta: “Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella. E beato è chiunque non sarà scandalizzato di me!”.
Andare a vedere l'amore di Cristo, senza scandalizzarci dei nostri peccati
Come ciascuno di noi, Giovanni vede sorgere nel cuore la domanda che riassume il dilemma dell'esistenza: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?". In carcere per la Verità, Giovanni chiede conferme su Colui che ha annunciato. Il carcere è una metafora della sua vita. A causa di Cristo è separato dal mondo, santo in mezzo all’impurità. Il mondo lo ha condannato come condanna ogni giorno la verità. E'
l'esperienza di ogni apostolo, di ogni cristiano, martire della Parola fatta
carne. E' l'esperienza dei giovani cristiani, separati i virtù della
primogenitura, non più del mondo
ma ancora chiamati a vivere nel mondo.
Sentono premere sulla pelle e sulle ossa le tentazioni e la castità,
l’obbedienza e il sacrificio pesano come catene. Spesso la Verità sembra
proprio aver incatenato le gioie, le passioni, la poesia della vita, e
l'esistenza afferrata da un annuncio di libertà sembra condannata a spegnersi
in una cella. Le catene stringono le pulsioni sessuali che il mondo spinge a
seguire, la porta sbarra la strada a discoteche e concerti affollati di
ragazzi. Così per tante mogli, assalite come già Eva dalle menzogne suadenti
del demonio, che dipinge le pareti domestiche come fossero le grate di un
carcere, e i pannolini dei bambini come fossero strumenti di torture. E il
matrimonio comincia ad apparire come un convento di clausura che non si è
scelto, che sottrae indipendenza, realizzazione di sé, taglie e libertà,
amicizie e svaghi. Chiamate a donarsi nella sottomissione che dischiude il
Cielo nella carne della vita coniugale, si finisce con il sottomettersi al duro
giogo della menzogna che sbiadisce l’identità di donna, moglie e madre per
indossarne di false. Così per tanti mariti, che ogni ritorno a casa sembra una
condanna, un ergastolo da scontare dietro ai capricci di moglie e figli.
Chiamati a morire per la moglie come Cristo per la sua Chiesa, si trovano a
vivere nel matrimonio come dentro un carcere di massima sicurezza. O la malattia che ti divora senza pietà, e ti restano pochi mesi
di vita. La malattia e la morte di tuo figlio, di tuo padre o di tua madre che
sei ancora così giovane. O il fidanzato, che non arriva mai… O che se ne è
andato lasciandoti con un messaggino. E tutta la vita scorre tra mille progetti e tentativi di evasione, nell’illusione di trovare la felicità nella libertà che ti incatena alla dittatura delle concupiscenze. Per questo la domanda sale prepotente: è
Cristo la Verità? E' davvero Lui il Salvatore? E' Lui che attende il mio cuore
impaziente di libertà e felicità? E' Lui o devo aspettare qualcun altro,
qualcosa d'altro? La volontà di Dio è il solo senso autentico che dà pienezza
alla mia vita? E oggi, come un preludio alla sua risposta fatta carne, il Signore
ci risponde come ha risposto a Giovanni: invia la sua Chiesa, i testimoni che
hanno visto la Parola incarnarsi nei segni da Lui compiuti. Essi indicano il
Cielo, un potere che scavalca il muro delle possibilità umane: gli angeli che
la notte di Natale hanno annunciato: “Gloria a Dio nell’alto dei Cieli, e pace
in terra agli uomini che Dio ama”. Gloria a Dio nell’alto dei Cieli per i “ciechi
ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi
riacquistano l'udito, i morti risuscitano", e pace a loro, ai "poveri a cui è annunciata la Buona Novella" sulla terra dove hanno toccato un frammento di paradiso nell’amore onnipotente del Padre. Pace a noi quindi, o no?
Forse no, niente pace in noi.
Allora domandiamoci: “che cosa abbiamo visto e udito nella nostra vita? Perché senza
aver udito e visto non si può credere, non si è certi di aver incontrato Colui
che abbiamo sempre atteso senza l'esperienza concreta e raccontabile del suo
amore. I discepoli di Giovanni racconteranno quello che hanno visto e udito,
come ogni apostolo, testimoni di
un'esperienza. Giovanni Battista, cugino di Gesù, che ancora nel grembo
di Elisabetta ha esultato alla voce di Maria, che ha visto scendere lo Spirito
Santo come una colomba su Gesù, non aveva ancora la certezza che fosse Lui il Messia. Così nella nostra vita,
percezioni, sentimenti, ma non basta. Anche Pietro ha confessato Gesù come
l'Inviato, il Figlio di Dio, e un istante dopo s'è perso nei pensieri della
carne. Occorre qualcosa in più, “vedere e udire”, e il sigillo dello Spirito su
quanto visto e udito. Ecco la nostra vita, ecco le nostre infermità, le catene,
i peccati. Eccoli in fila, sono più numerosi del nostro capo. Ed ecco il
Messia, Lui nella nostra vita, l'Agnello immolato che prende su di sé le nostre
infermità e i nostri peccati. E fa nuove tutte le cose, creando in noi un cuore
nuovo. Non sono parole, fantasie, e neanche semplici intuizioni. Sono fatti,
davanti ai nostri occhi. Per questo oggi risuona nelle nostre orecchie la
Parola di Vita della Buona Notizia che ha il potere di realizzare ciò che
annuncia. I pastori andarono senza indugio alla Grotta di Betlemme e “videro
esattamente come avevano udito dalla voce degli angeli”. C'è anche per noi una grotta, una stalla e una mangiatoia.
Gli angeli appaiono anche oggi sul nostro cammino, gli apostoli che
instancabilmente annunciano il Vangelo ad ogni creatura. Andiamo a Betlemme
dunque, andiamo al fondo della nostra vita, lì dove più povero è il nostro
cuore. Andiamo senza indugio alla mangiatoia, lì dove hanno mangiato animali
d'ogni tipo, dove la carne cioè l'ha fatta da padrona. Lì dov'è la fonte dei
nostri peccati e dove ogni giorno s'ingrassa il nostro uomo vecchio. Non
temiamo di scoprirci incapaci di perdonare, di dimenticare. Andiamo a vedere,
nella nostra debolezza, il suo potere. Perché proprio lì, nella mangiatoia
dove, sino ad ora, abbiamo mangiato povera paglia incapace di trasformarci, "in quel momento", ora, e ogni giorno, Lui
si fa pane per saziarci e trasformarci in pane per gli altri. Unico intralcio,
lo scandalo per il suo amore che nasce da quello che abbiamo per la totale
debolezza nella quale Lui vuole deporre la forza infinita dell'amore. Lo scandalo che ci fa inciampare impedendoci di andare a vedere il suo amore. La paura che prende un giocatore di poker prima di rilanciare e, appunto, andare a vedere. Ma essa è figlia di chi ha preso la vita e la fede come un gioco d'azzardo, e il cristianesimo non lo è, perché l'amore vince il timore. "Beato" allora chi
crede, che cioè, come un bambino che si fa prendere per la mano dal papà, si appoggia alla parola e alla fede della Chiesa, per andare a vedere i segni che Cristo ha operato ed è pronto ad operare nella nostra vita. Solo così potremo "riferire" alla domanda di Battista che alberga nel nostro cuore, che è proprio Lui il Salvatore che aspettiamo. "Beato" dunque è "chi
non si scandalizza" di Cristo vivo nella stoltezza della predicazione perché ascoltandola, smette finalmente di "aspettare Godot". Non
esiste e non esisterà mai un'altra moglie, un altro marito, un altro figlio, un
altra storia, un altro se stesso: esiste, è autentico solo quanto oggi ci è
dato da Dio: alla povertà, alla cecità, alla sordità, alla lebbra, alla morte
che oggi costituisce la nostra vita è inviato il Signore, nella semplicità e
nella stoltezza della predicazione della Chiesa. Anche oggi, sospinti dalla
Grazia, siamo chiamati ad ascoltare, accogliere e credere, perché la nostra
vita, questa e nessun'altra, sia colmata del suo amore ed in esso trasfigurata.
Beati noi se, così come siamo, ci lasciamo attirare dall'amore infinito
annunciato dalle sue braccia distese per accoglierci senza condizioni. La
debolezza, l'Astheneia - la
fiacchezza del corpo e dell’anima, la precarietà, l’incapacità di compiere
il bene - non è un ostacolo, è il segno della forza di Dio! E' la
mangiatoia del Natale del Messia. E' lì che ci aspetta, e proprio nel “carcere”
dove siamo rinchiusi per essere di Cristo, potremo crescere nella fede insieme
alla Chiesa che vi è rinchiusa per noi, sino alla certezza incrollabile che Lui
è il Messia, l’unico che ci ama così come siamo, perché laddove la carne e il
mondo non trova gioia e pace, i cristiani vivono senza mancare di nulla. In
carcere come in un anticipo di Paradiso.
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