Un paralitico era gettato sul ciglio della vita, alla "porta delle pecore", confuso tra tanta sofferenza, tra gli animali destinati alla macellazione sacrificale. In un sabato che non è festa ma legge dura d'espiazione. C'era odore di sangue e morte, fumi grigi di sensi di colpa che si innalzavano da quel senso di solitudine che era inutilità e impossibilità di salvezza. La piscina era a un passo, quello che egli non poteva proprio fare; a volte era agitata dal vento, pochi e fugaci istanti per guarigioni destinate a risolversi in altre, future infermità. E nessuno ad accorgersi di lui come di noi, soli con le nostre angosce, le sofferenze, le infermità. Era lì da trentotto anni, una vita senza riuscire a vivere in pienezza. E ad un tratto ecco Lui, Gesù, con il suo sguardo e la sua voce che gli pianta una domanda che poteva sembrare un'inopportuna presa in giro: "Vuoi guarire?". E invece era un'eco come una saetta che scendeva fin nelle giunture dell'anima, al fondo dell'invivibilità d'una vita che nulla attende:
"La vita dell'uomo si svolge laggiù, tra le case, nei campi. Davanti al fuoco e in un letto. E ogni giorno che spunta ti mette davanti la stessa fatica e le stesse mancanze. E' un fastidio alla fine, Melete. C'è una burrasca che rinnova le campagne - né la morte né i grandi dolori scoraggiano. Ma la fatica interminabile, lo sforzo di star vivi d'ora in ora, la notizia del male degli altri, del male meschino, fastidioso come le mosche d'estate - quest'è il vivere che taglia le gambe. Melete" ( Dialoghi con Leucò). Questo è il vivere che sarebbe meglio non vivere, per il quale, con Geremia e con Giobbe, maledire il giorno della nascita. E invece tutto era accaduto per essere suo: non avere nessuno per avere Cristo; non avere nulla per avere Lui. Trentotto anni, una vita in attesa come la nostra dipanatasi sino ad oggi per incontrare Lui. Il fallimento umano, infatti, è il corteggiamento con il quale Cristo ci seduce giorno dopo giorno. Perché Lui ha posto i suoi occhi su di noi mentre nessuno ci ha mai degnati di uno sguardo di amore autentico. Ci ha scelti per Lui. Se il paralitico del Vangelo avesse avuto qualcuno ad immergerlo, non avrebbe incontrato il Signore e ascoltato la sua voce. Sarebbe guarito, forse, avrebbe trovato lavoro, una casa, un fidanzato, un bel matrimonio, un po' di salute, uno stipendio adeguato, non avrebbe perso il padre da piccolo, niente violenze, avrebbe studiato e si sarebbe laureato, sarebbe un pochino più bello e presentabile, la sua famiglia non sarebbe stata così povera, non avrebbe subito l'ombra del fratello maggiore. Non sarebbe stato crocifisso trentotto anni. E non avrebbe conosciuto il potere dell'amore di Cristo. Il suo cuore non sarebbe guarito, e non sarebbe stato salvato. Invece in quell'incontro tutta la vita s'illumina di senso, e quel lettuccio appare come un talamo d'amore preparato per Lui. La Croce, il lettuccio, ogni aspetto della nostra vita, i più difficili, i più dolorosi, illuminati e trasfigurati come un talamo per accogliere la sua misericordia. Ogni istante che abbiamo passato distesi, dimenticati, rifiutati, disprezzati e soli, è stato ed è una fessura aperta in noi per Lui, per risuscitare in una vita nuova, in cammino verso il Cielo, amando senza riserve. Insomma "sola a solo" come la vergine Maria sotto la Croce, immersa nella solitudine e nell'assurdo mentre era misteriosamente unita al suo Figlio che offriva se stesso per redimere l'umanità.
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