αποφθεγμα Apoftegma
È venuto il regno della vita
ed è stato distrutto il dominio della morte.
ed è stato distrutto il dominio della morte.
Una diversa generazione è apparsa,
e una vita diversa e un diverso modo di vivere.
e una vita diversa e un diverso modo di vivere.
La nostra natura ha subìto un cambiamento.
Qual è questa generazione?
Quella che non scaturisce dal sangue,
né da volere di uomo, né da volere di carne,
né da volere di uomo, né da volere di carne,
ma è stata creata da Dio.
O confortante e splendida notizia!
Colui che si è fatto per noi uomo,
pur essendo l'unigenito Figlio di Dio,
per renderci suoi fratelli,
si presenta come uomo davanti al Padre,
si presenta come uomo davanti al Padre,
per portare con sé
tutti coloro che gli sono congiunti.
tutti coloro che gli sono congiunti.
San Gregorio di Nissa, Discorsi sulla resurrezione
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L'ANNUNCIO |
Dal Vangelo secondo Giovanni 16,20-23a.
In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia. La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia. In quel giorno non mi domanderete più nulla. In verità, in verità vi dico: Se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà.
Congedandosi dagli anziani di Mileto San Paolo
disse: "Avvinto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme, senza sapere ciò che
là mi accadrà. So soltanto che lo Spirito Santo, di città in città, mi attesta
che mi attendono catene e tribolazione. Non ritengo in nessun modo preziosa la
mia vita, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu
affidato dal Signore Gesù, di dare testimonianza al Vangelo della grazia di
Dio" (At. vv. 22-24). Afferrato da Cristo sulla via di
Damasco, dove lo aveva visto vivo, San Paolo ardeva dal desiderio di afferrare la
perfezione dell'intimità e dell'amore di Lui. Per questo aveva
reputato ogni cosa spazzatura e danno di fronte alla sublimità della
conoscenza di Gesù, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione
alle sue sofferenze per diventargli conforme nella morte, nella speranza
di giungere alla risurrezione dai morti. Sapeva dunque che cosa lo attendeva,
ma era anche consapevole che l'aver conosciuto Cristo secondo la carne,
l'averlo visto risorto e vivo, non era sufficiente per arrivare al premio che
Dio lo chiamava a ricevere. Per lui era decisivo l'essere creatura
nuova, dimentica del passato e protesa verso il futuro, per vivere ogni
giorno lanciato nella corsa verso la mèta, fissando lo sguardo al Cielo
nell'attesa ansiosa del ritorno del suo Signore. La visione di Cristo
risorto lo aveva salvato, perdonato, eletto e inviato, ma era stato solo
l'inizio. Afferrato da Cristo era ormai cittadino del Cielo, ma viveva
ogni momento per afferrare, nell'ultimo istante, il suo amore; aveva
trovato l'amato del suo cuore, desiderava stringerlo forte per non
lasciarlo più. L'esperienza di San Paolo è il compimento delle parole di
Gesù che appaiono nel vangelo di oggi. In esse la vita del discepolo è
paragonata a un parto. Sullo sfondo vi è la profezia di quanto
sarebbe accaduto di lì a poco: Gesù sta per affrontare il rifiuto, sarà
crocifisso e morirà. L'annuncio di questo destino aveva turbato e rattristato i
discepoli. Ma la tristezza sarebbe cambiata in una gioia che nessuno avrebbe
più potuto sottrarre perchè "Gesù stesso è la loro gioia, in perfetta
armonia con ciò che dice l'Apostolo: Una volta risuscitato dai morti, Cristo
non muore più, e la morte non ha più dominio sopra di lui (Rm 6, 9)" (S.
Agostino, Omelie sul vangelo di Giovanni). E così è stato: la
sera di Pasqua "i discepoli gioirono nel vedere Gesù". Ma Egli,
partendo dall'annuncio del suo mistero pasquale che avrebbe coinvolto
l'esperienza dei discepoli nella trasformazione del dolore in gaudio, dice
ancora di più. Per questo introduce l'immagine della donna in parto, non a caso
descritta da Giovanni anche nell'Apocalisse, quale segno del combattimento
escatologico nel quale è posta la Chiesa. Gesù con il suo scomparire nella
morte e il suo riapparire vittorioso, pone le fondamenta per quella che sarebbe
stata la vita della Chiesa nascente, e, in essa, di ogni discepolo.
Quell'esperienza è essa stessa annuncio e profezia della storia che in quel
giorno stava iniziando. Esattamente come è stato per San Paolo. Il primo
giorno, il giorno della gioia senza fine, ha inaugurato una storia nuova,
perché le porte del Cielo si erano ormai dischiuse: era sorto il giorno che non
muore, origine e meta della vita. L'esperienza di vedere il Signore risorto
aveva infuso nei discepoli la gioia ma, contemporaneamente, aveva loro rivelato
il destino cui, insieme ad ogni altro uomo, erano chiamati. Da quella gioia
scaturisce immediatamente la missione, il senso ed il contenuto della nuova
storia che aveva avuto inizio in quell'incontro sconvolgente: la storia della
Chiesa, la storia di ciascuno di noi: "la risurrezione di Gesù va al di
là della storia, ma ha lasciato una sua impronta nella storia. Per
questo può essere attestata da testimoni come un evento di una
qualità tutta nuova. Solo un avvenimento reale di una qualità
radicalmente nuova era in grado di rendere possibile l'annuncio
apostolico, che non è spiegabile con speculazioni o esperienze
interiori, mistiche. Nella sua audacia e novità, esso prende vita
dalla forza impetuosa di un avvenimento che nessuno aveva ideato e che
andava al di là di ogni immaginazione" Benedetto XVI). L'impronta
nella storia dell'evento di Pasqua è l'impronta lasciata dai piedi degli
apostoli; essi, come san Paolo, hanno ritenuto tutto spazzatura e danno di
fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo: assetati della pienezza di
questa conoscenza sconvolgente, hanno percorso le strade del mondo correndo
verso la meta che li avrebbe dissetati. Un'esperienza, una gioia ineffabile,
come un'eruzione dalla storia che la supera, che da essa prende il suo
inizio e che in essa si dilata attraverso l'annuncio del Vangelo. Perché
"la gioia è il gigantesco segreto del cristiano" (Chesterton).
Sì, l'evangelizzazione
è l'impronta gioiosa della resurrezione nella storia, l'annuncio della
notizia che ogni uomo attende perso e schiavo in alienazioni che sono solo
delle caricature di quel destino per cui egli è nato. L'annuncio del
vangelo è l'impronta di Cristo risorto nella storia offerta agli uomini perché,
nel seguirla, possano incontrare la gioia preparata per loro, la misericordia e
l'amore rivelati in Cristo Gesù. Si comprende allora come la vita di
San Paolo, avvinta da Cristo, fosse unita al Vangelo. Fonte di gioia perenne,
sostegno della sua vita, ne era divenuto l'unico scopo, il senso primo ed
ultimo, l'origine e la meta della sua esistenza: "Non è infatti per me un
vanto predicare il vangelo; una necessità mi si impone: guai a me se
non annuncio il Vangelo! pur essendo libero da tutti, mi sono
fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero... mi sono
fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto
io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe con loro". Tutto
a tutti e tutto per il Vangelo, ecco la vita di San Paolo e di ogni
apostolo, della Chiesa, di ciascuno di noi. Siamo tutti la gioia di
Cristo, frutti del suo dolore crocifisso come di una donna in parto. Lui ci
ha "visto di nuovo" dopo essere stato ucciso dai nostri peccati. Per
questo siamo la sua gioia, il frutto benedetto del suo amore più forte dei
nostri delitti. E la sua gioia è la nostra gioia, perché siamo suoi per sempre,
perché nessuno può più strapparci dalla sua mano. Ogni apostolo, ogni
figlio della Chiesa ha questa esperienza dentro, ognuno di noi è nato
dal parto sulla via di Damasco. In quel momento di gioia purissima che
ha segnato il confine tra la morte e la vita, il dolore e la letizia, il
travaglio e il parto, la vita di ciascuno ha cambiato inesorabilmente
direzione. Perché "l'amore di Cristo ci spinge, al pensiero
che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. Ed egli è morto per
tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per
colui che è morto e risuscitato per loro" (2 Cor. 5, 14 ss.). I rinati
in Cristo non vivono più per se stessi, ma per Lui. E' questa la svolta
decisiva, l'impronta visibile della risurrezione nella storia: una comunità che
si ama, fratelli che non si difendono, che offrono se stessi per amore. La risurrezione
che ha distrutto le barriere dell'invidia, della gelosia, del rancore; una
comunità che si ama nell'amore con cui è amata da Cristo. L'annuncio autentico
del Vangelo si fa carne nel suo compimento reale e concreto in un manipolo di
piccoli e deboli fratelli, inermi ed incapaci, ma irrorati dello stesso sangue
di Cristo, vivi del suo stesso Spirito. Avvinti da questo sentono
ardere in loro il dovere di annunciare il Vangelo, come una necessità che si
impone. I cristiani attirano nella loro gioia l'umanità intera; così,
autenticamente, l'annuncio del Vangelo offre la concretezza della parola e
dell'agire alla speranza che alberga nei loro cuori: figli di un parto che ci
ha dischiusi alla vita che non muore, gestiamo e soffriamo anche noi i dolori dello
stesso parto, per dare alla luce la vita nella morte del mondo: "Vorrei
ricordare qui soltanto l'inizio dell'evangelizzazione nella vita di S. Paolo.
Il successo della sua missione non fu frutto di una grande arte retorica o di
prudenza pastorale; la fecondità fu legata alla sofferenza, alla
comunione nella passione con Cristo. In tutti i periodi della storia si è
sempre di nuovo verificata la parola di Tertulliano: È un seme il sangue dei
martiri. Una madre non può dar la vita a un bambino senza sofferenza.
Ogni parto esige sofferenza, è sofferenza, ed il divenire cristiano è un parto"
(Joseph Ratzinger). Così si comprendono anche le ultime parole di Gesù,
apparentemente contraddittorie. Nel cammino della storia, i cristiani "non
hanno più da chiedere nulla" perché sono già nati alla vita eterna. Vivono
già le primizie del Regno di Dio, la gioia che, anche dentro il timore, la
preoccupazione ed il dolore del parto, non si spegne perché tutto ciò è via
alla nascita di una nuova vita. Ma, contemporaneamente, il non aver
bisogno di nulla per se stessi, li spinge con fiducia, a chiedere e pregare per
il mondo. Come il loro Maestro, presentano ogni uomo al Padre, perché possa
sperimentare, nella morte in cui giace, il Mistero Pasquale di Gesù. I
cristiani pregano offrendo se stessi, intercedendo proprio attraverso le
sofferenze del parto, per il mondo. La loro vita è preghiera certa d'essere
esaudita, e così comprendiamo come ogni istante, ogni dolore, ogni fallimento,
siano preziosi. Ogni avvenimento della nostra storia, offerto a Dio in
sacrificio di soave odore, è fondamento e compimento della missione,
dell'annuncio del vangelo. La preghiera che coinvolge la nostra vita è la
sostanza più autentica e feconda dell'impronta di Cristo risorto nella storia.
Il dolore del parto fatto preghiera, la salvezza di ogni uomo chiesto al Padre
nel nome di Cristo, nella certezza di essere esauditi.
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