αποφθεγμα Apoftegma
Proprio nello spaventoso incontro con la gloria di Dio in Gesù
i tre apostoli devono imparare
ciò che Paolo dice ai discepoli di tutti i tempi
nella Prima Lettera ai Corinzi:
«Noi predichiamo Cristo crocifisso,
scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani;
ma per coloro che sono chiamati,
sia Giudei che Greci,
predichiamo Cristo potenza di Dio [dinamis] e sapienza di Dio».
Questa «potenza» del regno futuro
appare loro nel Gesù trasfigurato
che parla con i testimoni dell' Antica Alleanza
della «necessità» della sua passione come via verso la gloria.
Joseph Ratzinger - Benedetto XVI
UN ALTRO COMMENTO
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L'ANNUNCIO |
Dal Vangelo secondo Luca 9,28b-36.
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare.
E, mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante.
Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia,
apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme.
Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.
Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quel che diceva.
Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse; all'entrare in quella nube, ebbero paura.
E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo».
Appena la voce cessò, Gesù restò solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.
Così anche i tre apostoli avevano visto la realtà da una "nuova prospettiva soprannaturale e di grande pericolo": erano ebrei, e per questo portavano dentro l'esperienza della precarietà vissuta nel deserto, dove "Dio onnipotente non aveva lasciato cadere" il Popolo. Per questo, di fronte a quel rovesciamento di prospettiva, è risuonata in loro la Pasqua, e il "cambiamento di forma" di cui Israele aveva esperienza: dalla schiavitù alla libertà, dalla sottomissione al giogo del faraone al cammino nel deserto sino alla libertà della Terra promessa. E, al centro di quell'esperienza, il Sinai e il dono della Legge, perché fosse osservata da un popolo diverso da tutti gli altri. Per un ebreo, quel cammino di libertà abbracciato alla Torah era la "bellezza". Per questo Pietro dice a Gesù: "Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia". Non era semplicemente un voler catturare quel momento estatico. Pietro intuiva che ciò che stava accadendo aveva relazione con l'esperienza del suo popolo, per questo vorrebbe costruire tre "capanne", come ogni ebreo fa durante la festa di Succot, Le tende, o capanne, infatti sono il segno della permanenza del popolo nel deserto. E proprio in quel momento, quando cioè Pietro ha intuito cosa stava accadendo, mentre "stava ancora parlando, una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo»". Dalla stessa "nube" che aveva guidato gli israeliti durante i quarant'anni dell'Esodo, la voce del Padre ripete agli Apostoli quello che aveva annunciato nel deserto: "Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!". Tra una mormorazione e l'altra, tra le maglie di una debolezza infinita, ogni ebreo aveva fatto l'incomparabile esperienza di poter (e dover) vivere del solo cibo della Parola di Dio, capace di trasformare la roccia in acqua. Pietro, attento ai segni come ogni buon ebreo, aveva saputo riconoscere in quell'evento il compimento dell'Esodo del suo Popolo; su quel Monte Dio aveva di nuovo parlato, ed era di una "bellezza" mai contemplata. Era "bello" quel momento, era "bello" starci dentro, ma che schianto... L'urto di quell'epifania non poteva non stordire le povere carni degli apostoli. In un momento era apparsa dinanzi a loro la visione della Verità, di ciò che di autentico, glorioso, ovvero di peso, consistente, si cela nella realtà. Ma ciò significava anche "precarietà", la stessa vissuta dal popolo nel deserto, identica a quella di Assisi rovesciata, "in costante pericolo e dipendenza". Vivere una vita trasfigurata contempla anche accettare la propria debolezza, e la "dipendenza" da Dio. Essere cristiani significa essere istante dopo istante "appesi" al Cielo, perché i "pericoli" sono "costanti". E il filo che ci lega al Padre, quello al quale siamo "appesi" per vivere in pienezza ogni frammento della nostra vita, è l"ascolto" del Figlio amato di Dio. Non c'è altro cammino sul quale trasfigurare la nostra realtà in un0identità celeste, in un amore oltre la morte, che "ascoltare" Cristo. Sul Tabor iniziava per gli apostoli, come per ciascuno di noi, un cammino nuovo, che li avrebbe condotti con Gesù al Calvario. Un altro Monte, dove si sarebbe compiuto il rovesciamento di ogni realtà, la trasfigurazione della morte in un'esplosione di luce. E' il cammino che Dio ha preparato anche per noi nella Chiesa. Essa è la Madre di ogni trasfigurazione, perché nel suo seno si compie il mistero accaduto sul Tabor. In essa possiamo "ascoltare" le Parole del Figlio che "cambiano forma" al nostro essere, sino a farci "brillare come il sole", rivestiti delle vesti battesimali "candide" di misericordia. Coraggio, il Signore si "avvicina" a noi anche oggi, e ci "tocca", attraverso i sacramenti. E ci dice di "alzarci, di risuscitare e di non temere". E' questa la "trasfigurazione" che ci attende: risorgere dalla morte dei nostri peccati, dalla schiavitù alla menzogna, alla concupiscenza, all'egoismo, per essere trasformati in puro amore. Siamo chiamati a vivere come uomini trasformati dalla Grazia, che camminano nel mondo a testa in giù, indicando a tutti dove guardare: al Cielo, dove ogni uomo è appeso pur non sapendolo. Basta mostrarglielo, come ha fatto Gesù ai suoi apostoli.
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