Martedì della XXI settimana del Tempo Ordinario





αποφθεγμα Apoftegma

Finché l'anima non è interamente sua, 
sgombrata di tutto, egli non agisce in essa. 
Del resto, non so come potrebbe farlo, 
colui che ama tanto l'ordine perfetto. 
Se riempiamo il palazzo con gente volgare e ogni sorta di ninnoli, 
come il sovrano, con la sua corte, potrebbe trovarvi posto? 
È già molto che si degni di fermarsi qualche momento 
in mezzo a tanto ingombro.


Santa Teresa d'Avila






L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Matteo 23,23-26

In quel tempo, Gesù parlò dicendo: 
«Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta, sull’anéto e sul cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste invece erano le cose da fare, senza tralasciare quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma all’interno sono pieni di avidità e d’intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi pulito!».



Il "guai" che ci salva



“Guai” a noi! Come inizio di giornata non c’è male… L’espressione greca “ouai” deriva dal termine ebraico “hôi” con cui si esprime il lamento funebre. Gesù dunque, con amore e compassione, ci guarda nella nostra realtà. Non ci minaccia per intimorirci, ma, proprio all’inizio di un nuovo giorno, ci parla per destarci dalla morte causata dall’aver dimenticato il suo amore nella nostra vita.  “Guai a voi” perché avete dimenticato che “il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli - siete infatti il più piccolo di tutti i popoli -, ma perché il Signore vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri, il Signore vi ha fatti uscire con mano potente e vi ha riscattati liberandovi dalla condizione servile, dalla mano del faraone, re di Egitto" (Dt 7,7ss). “Guai a voi” che, non "riconoscendo” più “che il Signore vostro Dio è Dio, il Dio fedele”, avete dimenticato “quello che il Signore tuo Dio fece al faraone e a tutti gli Egiziani”. “Guai a te” perché è tanto tempo che hai smesso di fare memoria “delle grandi prove che hai viste con gli occhi, dei segni, dei prodigi, della mano potente e del braccio teso, con cui il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire”. Infatti, proprio per vivere nella Grazia della libertà, il Signore ci ha comandato di fare dei segni concreti con cui destare la memoria dell’elezione e dell’amore di Dio in ogni circostanza della nostra vita. Allo stesso modo, gli ebrei erano tenuti a pagare la “decima” dei principali frutti della terra. Quella terra concreta nella quel vivevano e che li produceva era il segno della loro appartenenza a Dio. Era il la prova della gratuità del suo amore: bastava guardarla e sfiorarla per ricordare quella d’Egitto, impregnata di sangue e sudore, amara di schiavitù e infelicità. Viverci senza memoria significava violentarla e profanarla, come degli usurpatori. Perché questo non accadesse e far ritornare i figli di Israele alla gratuità si pagava la decima, che era come un sigillo d’amore posto su ogni frutto, impedendo così che esso diventasse il segno della propria forza. "Pagare la decima" era dunque un memoriale che annunciava la liturgia cristiana, soprattutto l’eucarestia: il corpo e sangue di Cristo sono la vera “decima”, il “rendimento di grazie” che offre la comunità dei riscattati dal peccato e dalla morte. Per liberarli, infatti, Gesù Cristo ha “pagato” sino all’ultimo spicciolo. Un cristiano sa che non avrebbe potuto “pagare” il prezzo del suo riscatto; vive nella terra promessa della vita nuova ricevuta gratuitamente come una veste immacolata. L'eucarestia a cui partecipa esprime il memoriale del Mistero Pasquale che lo ha salvato, lo rende attuale e per questo fa scaturire in ogni parola e gesto il rendimento di grazie. L’amore abbraccia ogni aspetto della sua vita, anche i dettagli più insignificanti, non "omettendo" nessuna occasione per lodare e amare.

Ecco il punto: “guai a te” che non vivi oggi nella gratitudine e nella benedizione, “conosco le tue opere; ti si crede vivo e invece sei morto. Svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire, perché non ho trovato le tue opere perfette davanti al mio Dio. Ricorda dunque come hai accolto la parola, osservala e ravvediti” (Ap. 3, 1-3). Ripensa ai sepolcri nei quali eri precipitato, e rispondi: saresti potuto uscire dal carcere "pagando la decima della menta, dell'anèto e del cumìno"? Impossibile vero? Eri rinchiuso lì proprio per scontare la giusta condanna per aver "trasgredito le prescrizioni più gravi della legge"... Eppure oggi, stoltamente, pensi che puoi rimettere ordine nella tua vita, in famiglia, al lavoro “pulendo l’esterno” con i tuoi sforzi e i tuoi criteri. Fratelli, il demonio ci inganna tutti erodendo la memoria dell’amore di Dio, che è il fondamento del cristianesimo, perché, abbassando la guardia, disperdiamo la Grazia. Per questo siamo “intemperanti”, incapaci cioè di entrare nell’umiliazione e nella sofferenza che suppone l’amore autentico. Continuiamo ad “ingoiare cammelli” mentre “filtriamo i moscerini”. Per gli ebrei il “cammello” era un animale immondo vietato da mangiare; per questo Gesù dice, metaforicamente, che quegli “scribi e i farisei ipocriti” si fissano sulle prescrizioni minori lasciando che il cuore si nutra di pensieri immondi e carnali, cioè provenienti dal demonio. Come accade a noi, che ci fissiamo nevroticamente e fobicamente sui difetti degli altri senza curarci del nostro cuore malato e perverso che sporca il nostro sguardo. I nostri, infatti, sono gli occhi di chi si crede un dio e, come quel fariseo salito al tempio a pregare, idolatra le proprie presunte opere buone frutto di sforzi e sacrifici, e per questo giudica, disprezza e si separa dal fratello, “trascurando” così “la giustizia, la misericordia e la fedeltà”. E questa è l'ipocrisia... Fratelli, se non vediamo più l’amore di Dio nella nostra vita, sbaglieremo le nostre scelte, dando importanza assoluta a ciò che, slegato dall'insieme, non ne ha. Faremo delle relazioni una coltivazione di nevrosi, e soffocheremo gli altri nella gelosia. Per questo esigiamo e non siamo mai soddisfatto. Decime da riscuotere ovunque e con chiunque, tasse a cui chiedere vita, prestigio, senso e identità. Allora, ha ragione Gesù a dirci: “guai a voi”? Sì, vero? E’ così, ci siamo svegliati pensando già a quale precetto inchiodare il marito, la moglie, i figli, i fratelli, i colleghi… Ma coraggio, accetta di essere un “fariseo cieco”, e lascia che Dio, attraverso la cura materna della Chiesa, “pulisca l’interno del bicchiere”. Non temere, il Signore non ti giudica, ti corregge perché ti ama! Con il suo “guai” pieno di compassione Gesù vuol scendere nelle profondità del tuo cuore malato di amnesia, per perdonare ogni peccato estirpandolo insieme alla malizia velenosa deposta dal demonio, e seminarvi la sua vita. Coraggio, ci è data una comunità dove gustare di nuovo, ogni giorno, le primizie della Terra Promessa, il latte e il miele dell’amore e della comunione. In essa possiamo “mangiare a sazietà e benedire il Signore Dio a causa del paese fertile che ci ha donato”. E imparare a non dimenticare i “portenti” dell’amore di Dio, camminando alla luce della parola di Dio e sotto la guida di pastori e catechisti, perché “il cuore non si inorgoglisca, pensando che la forza e la potenza della mia mano mi hanno acquistato queste ricchezze” (cfr. Dt 8). 






QUI IL COMMENTO COMPLETO










Le parole di Gesù rivolte ai farisei e agli scribi, dure e senza sconti, sono l'eco di quelle che, nella Chiesa primitiva, durante il catecumenato, venivano indirizzate ai catecumeni, soprattutto a quelli che provenivano dalla circoncisione, per illuminarli e incoraggiarli. 

E oggi sono dirette a ciascuno di noi, che forse abbiamo dimenticato l'annuncio primitivo come gli "stolti galati": "chi mai vi ha ammaliati, proprio voi agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso? Questo solo io vorrei sapere da voi: è per le opere della legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver creduto alla predicazione? Siete così privi d'intelligenza che, dopo aver incominciato con lo Spirito, ora volete finire con la carne? Tante esperienze le avete fatte invano? Se almeno fosse invano! Colui che dunque vi concede lo Spirito e opera portenti in mezzo a voi, lo fa grazie alle opere della legge o perché avete creduto alla predicazione?" (Gal. 3,1-5).

Sino ad ora, Dio non ha forse operato meraviglie impossibili alle nostre forze? Guarda bene, e fai memoria dei fatti nei quali hai sperimentato l'intervento di Dio che ti ha sottratto alla morte. Ripensa ai sepolcri nei quali eri precipitato. E rispondi: ce l'avresti fatta da solo? Saresti potuto uscire dal carcere "pagando la decima della menta, dell'anèto e del cumìno"? Impossibile vero? Eri rinchiuso lì proprio per scontare la giusta condanna per aver "trasgredito le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà"...

Eppure oggi, stoltamente, pensi che puoi riscattare con lo sforzo la tua vita, pulirla e rimetterla in ordine; che puoi essere cristiano pagando cinque euro, mentre la multa che ti sei meritato è di cento milioni. Assurdo no? Eppure il demonio ci inganna tutti così, erodendo la memoria dell’amore di Dio, che è il fondamento del cristianesimo. Come aveva fatto con gli “scribi e i farisei ipocriti”, immagine di quanti, nella Chiesa, hanno incominciato con lo Spirito e stanno finendo con la carne.

Forse Israele è stato scelto perché era un popolo straordinario, speciale, naturalmente disposto a compiere le opere della Legge? Forse tu sei stato scelto per le stesse ragioni, perché sei migliore di tuo cugino? No, ma “il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli - siete infatti il più piccolo di tutti i popoli -, ma perché il Signore vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri, il Signore vi ha fatti uscire con mano potente e vi ha riscattati liberandovi dalla condizione servile, dalla mano del faraone, re di Egitto" (Dt 7,7ss). 

Per questo aggiunge anche per noi: "Riconoscete dunque che il Signore vostro Dio è Dio, il Dio fedele… Ricordati di quello che il Signore tuo Dio fece al faraone e a tutti gli Egiziani; ricordati delle grandi prove che hai viste con gli occhi, dei segni, dei prodigi, della mano potente e del braccio teso, con cui il Signore tuo Dio ti ha fatto uscire”.

Proprio per fare in ogni circostanza memoria dell’elezione e dell’amore di Dio, per ricordare e vivere nella Grazia della libertà, era stato comandato di pagare la “decima” dei principali frutti della terra.

Quella terra, infatti, era il segno dell’appartenenza a Dio del Popolo e di ciascuno dei suoi figli. Era il memoriale della gratuità del suo amore: bastava guardarla e sfiorarla per ricordare quella d’Egitto, impregnata di sangue e sudore, amara di schiavitù e infelicità, e sciogliersi nella lode.

"Pagare la decima" era dunque un memoriale, una profezia della liturgia cristiana, della stessa eucarestia: il corpo e sangue di Cristo sono la vera “decima”, il “rendimento di grazie” che offre la comunità dei riscattati dal peccato e dalla morte. 

La Chiesa è il nuovo Israele liberato dall'Egitto del peccato, per celebrare un culto nuovo, in spirito e verità; per incarnare nella storia la lode che il demonio ha sottratto dal cuore degli uomini. Per questo, nella Chiesa, un catecumeno conosceva l’amore gratuito di Dio, sperimentava nella vita il kerygma di Cristo risorto, contemplando il suo potere che lo liberava dalla prigione dei peccati pagando per lui fino all’ultimo spicciolo.

Non diventava cristiano senza la certezza che di suo non poteva pagare neanche un centesimo: per questo entrava nelle acque del battesimo dove abbandonava l'uomo vecchio dell'orgoglio per riemergere nella terra promessa a respirare la gratitudine; l'eucarestia a cui partecipava era il sigillo di una vita nuova che in ogni parola e gesto avrebbe espresso la lode e la gratitudine a Dio.

Un cristiano, a qualunque generazione appartenga, vive ormai nella terra promessa, dove, libero dalla schiavitù del peccato, può amare il fratello. L’amore abbraccia ogni aspetto della sua vita, anche i dettagli più insignificanti. Gesù non ha detto di "omettere" nulla, ma di viverlo tutto nel respiro della carità.

L’agape, infatti, l'amore celeste effuso nei cuori per mezzo dello Spirito Santo ricevuto nella Confermazione, realizza in un cristiano la “giustizia”, ovvero il “diritto” di ogni uomo di essere rispettato, la “misericordia”, ovvero il cuore che accoglie senza giudizio ogni fratello, e la “fedeltà”, ovvero la “hesed” di Dio che genera in lui l’abbandono fiducioso, la sottomissione alla sua volontà, l’amicizia e la tenerezza.

Tutto questo è opera della Grazia che, nella Chiesa, per mezzo della predicazione, della celebrazione della Parola di Dio e dei sacramenti, penetra a poco a poco all’”interno” dell’uomo, lo “purifica” perché anche l’”esterno”, ovvero i suoi atti, siano “netti”.

Ma il pericolo è di camminare nella Chiesa con un cuore doppio e perverso: permettere cioè alla Grazia di “pulire” solo “l'esterno del bicchiere e del piatto, mentre all'interno” il cuore resta “pieno di rapina e d'intemperanza”.

Per questo, oggi, il Signore viene a fare un “tagliando” al nostro cammino: allora, vediamo: sei ancora “intemperante”, incapace cioè di entrare nell’umiliazione e nella sofferenza che l’amore autentico presuppone? Sei ancora schiavo della tua carne e dei suoi capricci che vuole tutto e tutti per sé. Vivi ancora su Facebook, all'esterno per non occuparti dell'interno? Vivi per apparire quello che non sei e così “rapinare” affetto, stima, onore e vanagloria per saziare il tuo uomo vecchio?

Tutti abbiamo “ingoiato cammelli” mentre “filtravamo moscerini”. Per gli ebrei il “cammello” era un animale immondo vietato da mangiare; per questo Gesù dice, metaforicamente, che “gli scribi e i farisei ipocriti” si fissano sulle prescrizioni minori lasciando che il cuore si nutra di pensieri immondi e carnali, cioè provenienti dal demonio.

Non succede anche a te, a casa, con tua moglie e i tuoi figli? O in parrocchia e nella tua comunità? Tutti ci siamo fissati nevroticamente e fobicamente sui difetti degli altri senza curarci del nostro cuore malato e perverso. Anzi, proprio perché siamo “ciechi” a causa della “trave” che è nel nostro occhio, ci fissiamo sulla “pagliuzza” che è su quello del fratello. 

Quante liti per delle stupidaggini… Ma non lo sono, perché il problema vero è nel cuore! Se il mio cuore è malato, allora anche l’occhio è torbido e guarda tutto male; è l’occhio di chi si crede come dio e, come il fariseo salito al tempio a pregare, idolatra le proprie presunte opere buone, e giudica, disprezza e si separa dal fratello, “trascurando” così “la giustizia, la misericordia e la fedeltà”.

Il cuore malato acceca gli occhi che non possono più vedere l'amore di Dio. e chi non lo vede sbaglierà le sue scelte, darà importanza assoluta a ciò che, slegato dall'insieme, non ne ha. Farà delle relazioni una coltivazione di nevrosi, e soffocherà gli altri nella gelosia. Esigerà e non sarà mai soddisfatto. Decime, decime, decime da riscuotere ovunque e con chiunque, tasse a cui chiedere vita, prestigio, senso e identità. 

Se così fosse, coraggio, convertiti! Accetta di essere un “fariseo cieco”, e lascia che Dio, attraverso la cura materna della Chiesa, “pulisca l’interno del bicchiere”. Che Cristo giunga nelle profondità del tuo cuore, perdoni ogni peccato estirpandolo insieme alla malizia velenosa deposta dal demonio, e vi semini la sua vita più forte della morte, il suo amore sino alla fine.

"Pulire l'interno", infatti, non è altro che camminare nella Chiesa! Da soli non ce la faremmo mai. Solo la luce e la fede della Chiesa ci aiuterà, anche oggi a discernere e ad accogliere il Signore che viene e "ci attira nel deserto" di un problema, di un fallimento, di una sofferenza; per loro mezzo vuole "farci sua sposa per sempre, nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore". Sì, ci chiama oggi per "fidanzarci con Lui nella fedeltà" perché possiamo "conoscerlo" intimamente e donarci a Lui senza riserve.

Se ciò non accade, se dietro a Mosè non passiamo il Mar Rosso, se con Giosuè, non attraversiamo il Giordano, non distruggiamo Gerico, non sconfiggiamo i nemici ed entriamo nella Terra Promessa, se cioè non camminiamo dietro a pastori e catechisti per sperimentare il potere di Cristo risorto, tutto è vano. L’agire, infatti, è sempre conseguenza dell’essere

Per questo il cristianesimo non è un moralismo, ma una Buona Notizia fatta carne e voce in un pugno di poveri uomini trasformati dalla Grazia. E’ il frutto della Pasqua di Cristo che ha spalancato per i cristiani la Terra Promessa dove scorrono il latte e il miele dell’amore e della comunione.

Essi li vivono nella Chiesa, anticipo del regno di Dio; qui i cristiani “mangiano a sazietà e benedicono il Signore Dio a causa del paese fertile che dato loro”.

E imparano a non dimenticare i “portenti” dell’amore di Dio, camminando alla luce della parola di Dio e sotto la guida di pastori e catechisti, perché “il cuore non si inorgoglisca, pensando che la forza e la potenza della mia mano mi hanno acquistato queste ricchezze” (cfr. Dt 8). 

Nella Chiesa il Signore guarisce il cuore e apre gli occhi per camminare dietro di Lui, come un discepolo; e, passando per la porta stretta della Croce, entrare nella Vita che non muore, oggi e per sempre. 




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