αποφθεγμα Apoftegma
Chiediamoci: come seguo io Gesù?
Gesù parla in silenzio nel Mistero dell’Eucaristia
e ogni volta ci ricorda che seguirlo vuol dire uscire da noi stessi
e fare della nostra vita non un nostro possesso,
ma un dono a Lui e agli altri.
Papa Francesco
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L'ANNUNCIO |
Dal Vangelo secondo Matteo 14,13-21
In quel tempo, avendo udito [della morte di Giovanni Battista], Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte.
Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati.
Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui».
E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.
Come "le folle", anche noi abbiamo "saputo" dove è andato Gesù con la "barca" della sua Chiesa; abbiamo cioè ascoltato e accolto l'annuncio del Vangelo e lo abbiamo "seguito" camminando "a piedi" dalle nostre "città". E su questo cammino ci siamo fidanzati e poi sposati, ci siamo aperti alla vita, abbiamo studiato e lavorato, qualcuno ha accolto la chiamata al sacerdozio o alla vita consacrata. Insomma, abbiamo cercato di compiere la volontà di Dio. Ma poi, il rapporto tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra fidanzati e amici ha cominciato a farsi difficile se non impossibile, il ministero ha rivelato le sofferenze che suppone, e siamo arrivati anche noi nel "luogo deserto". Fratelli, il nostro matrimonio non è oggi un vero e proprio "eremo", secondo l'originale greco reso con "luogo deserto"? Nelle diverse circostanze della nostra vita, non stiamo sperimentando la solitudine propria degli "eremiti"? Probabilmente, quando abbiamo accolto la predicazione e abbiamo deciso di vivere nella volontà di Dio seguendo le orme del Signore non abbiamo compreso davvero quello che significava... Non ci siamo fidanzati nel desiderio di rinchiuderci in un eremo; non ci siamo sposati per restare soli; non siamo diventati preti o suore per non essere ascoltati e compresi. Ed è proprio con questi pensieri che il demonio ha spesso buon gioco con la nostra mente e il nostro cuore. Perché per tutti arriva "la sera", il momento in cui la carne esige il contraccambio per aver obbedito e seguito il Signore; arriva cioè la fame perché intorno scopriamo di non avere nulla di cui saziarci, e l'uomo vecchio che si era nascosto così bene, esce allo scoperto, come accadde al Popolo di Israele nel deserto, e comincia a mormorare in noi, desiderando il cibo di cui si nutre l'uomo che si corrompe dietro alle passioni ingannatrici: agli e cipolle, affetto e stima, successo e prestigio, attenzioni e lodi, e poi denaro e cose, piacere e consolazioni. E invece nulla di tutto questo. Abbiamo seguito il Signore che ci aveva parlato nella sua Chiesa promettendoci una vita nuova e felice, e niente, dopo tanto cammino ci accorgiamo che quello che abbiamo creduto essere comunione e felicità si è rivelato un "eremo" inospitale e senza cibo. Il coniuge si chiude in se stesso proprio quando ne avremmo più bisogno, i figli ci sfuggono spezzando i sogni e le speranze riposte su di loro, il fidanzato si rivela un egoista, gli amici ci volgono le spalle infilati nei propri problemi. Che fare allora? Beh, il demonio ha la soluzione giusta! Non resta che scappare dall'eremo e "andare nei villaggi a comprare da mangiare". Ma occorrono soldi, sforzi, compromessi. Occorre tornare al mondo e abbandonarsi ai suoi costumi e ai suoi valori, perché "nei villaggi" nessuno ti regala nulla. Quanti di noi, pur avendo seguito il Signore, anche nel presbiterato e nella vita religiosa, al sopraggiungere della sera buia di delusioni e problemi, all'apparire della Croce, si è lasciato sedurre dal demonio ed è tornato sui propri passi, sino all'Egitto dal quale l'amore di Dio lo aveva liberato, sperimentandovi delusioni più cocenti, perché lucidamente cercate nell'illusione di scamparle.
Fratelli, accettiamo la verità: abbiamo camminato dietro al Signore conservando l'Egitto nel cuore. Non sono bastati anni di seminario e di ministero, di fidanzamento e di matrimonio; non sono bastati i milioni di passi deposti sulle orme nel Signore accompagnati dalla Chiesa. La "sera" ci smaschera, come ha smascherato gli apostoli che da tanto erano accanto a Gesù. Eppure proprio la "sera" nella quale stai vivendo oggi è il "luogo" della tua salvezza. Conseguenza dei tuoi peccati e non di un inganno di Dio come vorrebbe farti credere il demonio, in essa puoi finalmente incontrare la "compassione" di Gesù e rinnegare davvero te stesso, gettando all'anatema l'Egitto che ti sei nascosto in un angolo di cuore. Gesù, infatti, "è partito" per "ritirarsi in disparte" a causa della Verità per la quale Giovanni Battista ha perduto la vita. Quel "luogo deserto" è immagine delle conseguenze di solitudine, infecondità e morte di chi pensa e fa ciò che "non gli è lecito". E' vero dunque, come ci dice il demonio, che in quel posto non c'è vita; ma non è vero che sia stato Gesù a portarci a morire, anzi. Gesù prende su di sé le conseguenze della superbia con cui l'uomo ha tagliato con Dio illudendosi di poter decidere da solo cosa sia "lecito" e cosa non lo sia. Ma ti rendi conto? Gesù è già lì, al fondo del tuo dolore, della tua solitudine! Gesù si è "ritirato" per te e per me nel sepolcro dove è sepolto il tuo matrimonio, la relazione con quel parente o quel fratello. Gesù è sceso nella tua morte prima di te, spinto in essa dai tuoi peccati, dal tuo aver fatto lecito quello che per la tua anima era illecito. Gesù è già al capolinea deserto dei tuoi adulteri, dei tuoi furti, delle tue concupiscenze e avarizie! Gesù è venuto nella nostra solitudine per colmarla del suo perdono; nella nostra sofferenza per averne "compassione". Per questo, nel nostro eremo, il Signore ci annuncia che "non occorre" andare da nessuna parte a cercare pane e salvezza! Fratelli, la realtà che stiamo vivendo è l'"eremo", identico a quello dei monaci del deserto e delle suore di clausura, nel quale il nostro Sposo ci attende per moltiplicare la sua vita in noi. Non c'è altro matrimonio che questo, non esistono figli diversi, perché il suo amore si riversa pienamente nell'eremo e nella sera che stiamo vivendo. Appoggiamoci alla predicazione della Chiesa per non dubitare che, proprio nel deserto dove è impossibile vivere Gesù ha il potere di "moltiplicare" la vita, di farci risorgere con Lui! In qualunque situazione ci troviamo, se è vero che siamo peccatori, la cosa di gran lunga più importante è che Lui è con noi e per noi! Per questo ci dice oggi: "voi stessi date loro da mangiare". Sì, "non occorre" altro che "portare" a Lui quello che abbiamo già ricevuto nella Chiesa, la sua Parola (i "cinque pani" segno dei "cinque" rotoli della Torah) deposti nelle nostre mani macchiate dai peccati; e i "due pesci", segno della nostra vita così com'è, la natura umana corruttibile, unita alla natura divina che si dona a noi nei sacramenti che ci amministra la Chiesa. E' il grande mistero che ci confonde e ci umilia: le nostre mani sono quelle che sono, le nostre forze tante volte spese a servizio della menzogna; ma è in esse che, ogni giorno, il Signore depone se stesso, Parola fatta carne, per moltiplicare la vita nella morte di chi ci è accanto. Consegniamoci a Cristo allora, così come siamo, e vedremo la "folla" delle situazioni inestricabili, le relazioni affamate di amore e pienezza, le debolezze di cui sono immagini le "donne" e i "bambini", obbedire alla Parola creatrice di Gesù e "distendersi" sui prati "d'erba" fresca che segnano l'anticipo del Paradiso. L'eremo del matrimonio, infatti, non è la prigione dove sentirsi condannati alla schiavitù, ma il pascolo verde dove i coniugi, deboli e affamati, non cercano l'uno nell'altro quello che non si possono dare, ma dove insieme si consegnano a Cristo perché sazi d'amore i loro cuori. Solo dopo aver "mangiato" di Cristo, e "saziati" del suo amore, potranno consegnarsi mutuamente senza esigersi nulla, perché in loro "avanzerà" vita, amore e misericordia. Non cercheranno nell'altro l'alimento con cui saziarsi, ma, al contrario, divenuti apostoli di Cristo, come le "dodici ceste" che ne sono immagine, nella sovrabbondanza dell'amore di Dio, si lasceranno "portare via" tempo e idee, criteri e progetti, perché ormai in essi la vita ricevuta non si esaurisce più. Così in ogni altra relazione, in ciascun evento della vita, quando "si fa sera", sapremo che è giunto il momento di abbandonarsi alla "benedizione" di Gesù, che trasforma in "bene" ogni nostro male; Lui saprà "alzare con gli occhi" anche la nostra carne "verso il Cielo", "spezzandoci" come pane consegnato alla Chiesa e da questa ad ogni uomo, cominciando dai più vicini e intimi.
QUI IL COMMENTO COMPLETO E GLI APPROFONDIMENTI
"Non occorre che vadano": così Gesù risponde ad ogni nostra soluzione escogitata per risolvere i problemi. "Non occorre" che alcuno sia "congedato" da Lui perché si impegni a cercare vita e felicità, cibo e vestito. Nelle parole dei discepoli leggiamo i nostri criteri mondani. Come loro, camminiamo con Gesù, ne ascoltiamo le parole, siamo testimoni dei segni che compie, ma sempre, "sul far della sera", quando gli eventi incalzano e giunge l'ora di "mangiare", prende forza in noi l'uomo vecchio, schiavo della superbia e dell'orgoglio, incapace di arrendersi all'evidenza della verità.
Nell'"ora tarda" che corrisponde a quella del pasto principale, l'uomo della carne ci spinge immancabilmente ad allontanarci da Gesù, convincendoci che solo nei "villaggi" del mondo ci si possa sfamare; è la situazione dell'uomo che, fuori dal Paradiso della comunione di intimità con il Padre, ne dimentica la gratuità provvidente e misericordiosa, e si ritrova schiavo del dover "andare a comprarsi" la vita.
Il demonio spesso ci gioca proprio così: attira i nostri occhi della carne sul "luogo deserto" nel quale Gesù si è ritirato, insinuandoci che laddove Egli ci porta non vi è possibilità di vita, gioia e pace. Come accadde al Popolo di Israele nel deserto, crediamo alle sue menzogne e ci abbandoniamo alle ideologie che promettono pane e libertà, alle mode e alle culture che ci offrono diritti e sazietà, ai criteri della carne che esige soddisfazione e realizzazione.
E, quando la fame di affetto e pienezza si fa sentire, ci rendiamo conto che il nostro matrimonio è in realtà un vero e proprio "eremo", secondo l'originale greco reso con "luogo deserto". Quando il rapporto tra marito e moglie, tra genitori e figli, tra fidanzati e amici si rivela difficile se non impossibile e di esso non possiamo nutrirci, sperimentiamo la solitudine propria degli eremiti.
Ma non ci siamo sposati per restare soli, non abbiamo messo al mondo figli per vederci abbandonati, non ci fidanziamo nel desiderio di rinchiuderci in un eremo. Come "le folle" abbiamo "saputo" dove è andato Gesù con la "barca" della sua Chiesa: lo abbiamo "seguito" camminando "a piedi" dalle nostre "città": ci siamo sposati per fare la volontà di Dio, e così ci siamo aperti alla vita, ci siamo fidanzati, studiamo e lavoriamo. Ma arriva "la sera", il momento in cui la carne esige il contraccambio per aver obbedito e seguito, e niente, ci accorgiamo che quello che abbiamo creduto essere comunione e felicità si rivela un eremo inospitale e senza cibo. Il coniuge si chiude in se stesso proprio quando ne avremmo più bisogno, i figli ci sfuggono spezzando i sogni e le speranze riposte su di loro, il fidanzato si rivela un egoista, gli amici ci volgono le spalle infilati nei propri problemi.
Che fare allora? Non resta che scappare dall'eremo e "andare nei villaggi a comprare da mangiare". Ma occorrono soldi, sforzi, compromessi. Occorre tornare al mondo e abbandonarsi ai suoi costumi e ai suoi valori, perché nei villaggi nessuno ti regala nulla. Quanti di noi, pur avendo seguito il Signore, anche nel presbiterato e nella vita religiosa, al sopraggiungere della sera buia di delusioni e problemi, all'apparire della Croce, si è lasciato sedurre dal demonio ed è tornato sui propri passi, sino all'Egitto dal quale l'amore di Dio lo aveva liberato! Per sperimentarvi delusioni più cocenti, perché lucidamente cercate nell'illusione di scamparle; perché, comunque la si metta, per chi ha sperimentato la presenza di Cristo nella propria vita, nulla sarà più come prima, anche allontanandosene la sua memoria graffia il cuore con un'inestinguibile nostalgia.
Per questo, anche oggi, di nuovo, nell'eremo dove è deposta la nostra vita, il Signore ci annuncia che "non occorre" andare da nessuna parte a cercare pane e salvezza! Lo dice innanzi tutto ai suoi discepoli, alla Chiesa troppo spesso tentata di seguire la carne e il pensiero del mondo per divenire una ONG attenta alla pancia e dimentica dell'anima. E lo dice a ciascuno di noi, invitandoci a guardarci intorno, nell'eremo dove Lui stesso "si è ritirato" per attirarci a vivere con Lui e di Lui. E' proprio la realtà che stiamo vivendo la Verità che Lui ha da sempre pensato per noi. Non c'è altro matrimonio che questo, non esistono figli diversi, perché la sua volontà si rivela pienamente nell'eremo e nella sera che siamo chiamati a vivere. Nell'eremo, infatti, Lui ci aspettava, e da qui ci ha misteriosamente chiamato: non è vero allora che il matrimonio, così come è oggi, sia un luogo di angosciante solitudine da cui dover fuggire per cercare altrove quello che in esso non abbiamo ottenuto.
Che cosa abbiamo, dunque, tra le mani? Il Signore ci invita oggi a guardare senza timore alla nostra vita, a non scandalizzarci della povertà, della debolezza, degli stessi peccati. Che abbiamo allora? "Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!": ci siamo noi Signore, con le nostre gelosie, i nostri giudizi, le mormorazioni e le invidie, la solitudine nella quale l'orgoglio ci ha chiusi; ma abbiamo anche la tua Parola, i "cinque" rotoli della Torah (i "cinque" libri del Pentateuco); e poi ci sei Tu che ci parli; sei "qui" con noi, pescato vivo nel mare della morte come un "pesce" (Icthys, che significa in greco pesce, dalla frase ‘Iesus Cristos Théou Uios Soter, ovvero Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore); sei accanto a noi e per noi nelle tue "due" nature, vero uomo e vero Dio, per fare di ciascuno, solo uomo e schiavo della carne, un figlio libero di vivere secondo la nuova natura divina che sei venuto a donarci.
In qualunque situazione ci troviamo, se è vero che siamo peccatori, la cosa di gran lunga più importante è che Lui è con noi e per noi! Per questo, senza neanche chiederci che cosa abbiamo per le mani, ci dice "voi stessi date loro da mangiare": sì, "non occorre" altro che "portare" a Lui quello che abbiamo, i nostri peccati e la nostra fame unite alla sua Parola che ci ha chiamati e alla sua presenza che ci ha presi per mano. "Occorre" solo abbandonarsi a Lui, così come siamo. Aprire gli occhi e guardarlo, accorgerci che Lui c'è, e ci ama, e ha "compassione" della folla che Lui stesso ha chiamato a sé; fare memoria delle tante "guarigioni" che ha compiuto nella nostra vita e non dubitare che, proprio nell'eremo dove sembra impossibile la vita, tanto simile alla tomba dove è stato deposto il suo corpo, Gesù ha il potere di sfamare di vita, e vita eterna.
E così vedremo la "folla" delle situazioni inestricabili, le relazioni affamate di amore e pienezza, le debolezze di cui sono immagini le "donne" e i "bambini", obbedire alla Parola creatrice di Gesù e "distendersi" sui prati "d'erba" fresca che segnano l'anticipo di Paradiso, i pascoli di pace e gioia piena nei quali la compassione di Gesù Buon Pastore ha il potere di mutare gli eremi delle nostre vite. Come per i monaci, come per le suore di clausura, essi non sono luoghi di dolore e solitudine, ma di gioia e di pienezza, gli unici pensati per ciascuno, perché in essi incontri in modo decisivo il Signore e sperimenti che con Lui non esiste solitudine ma comunione profonda, crocifissa e perciò feconda; l'eremo del matrimonio, infatti, non è la prigione dove sentirsi condannati alla schiavitù, ma il pascolo verde dove i coniugi, deboli e affamati, non cercano l'uno nell'altro quello che non si possono dare, ma dove insieme si consegnano a Cristo perché sazi d'amore i loro cuori.
Solo dopo aver "mangiato" di Cristo, e "saziati" del suo amore, potranno consegnarsi mutuamente senza esigersi nulla, perché in loro "avanzerà" vita, e amore, e misericordia. Non cercheranno nell'altro l'alimento con cui saziarsi, ma, al contrario, divenuti apostoli di Cristo, come le "dodici ceste" che ne sono immagine, nella sovrabbondanza dell'amore di Dio, si lasceranno "portare via" tempo e idee, criteri e progetti, perché ormai in essi la vita ricevuta non si esaurisce più. Così in ogni altra relazione, in ciascun evento della vita, quando "si fa sera", sapremo che è giunto il momento di abbandonarsi alla "benedizione" di Gesù, che trasforma in "bene" ogni nostro male; Lui saprà "alzare con gli occhi" anche la nostra carne "verso il Cielo", "spezzandoci" come pane consegnato alla Chiesa e da questa ad ogni uomo, cominciando dai più vicini e intimi.
Così impariamo a vivere ogni giorno, nella comunione con Gesù che si realizza attraverso le sue mani che, per noi, sono quelle della Chiesa. Attraverso la Parola e i sacramenti possiamo amarci davvero, vedere compiuta la nostra vocazione, e sfamare il mondo che ancora non ha conosciuto Cristo.
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