Mercoledì della XXIII settimana del Tempo Ordinario




αποφθεγμα Apoftegma

Il profeta non è uno che predice l’avvenire. 
Il profeta è colui che dice la verità perché è in contatto con Dio 
e cioè si tratta della verità valida per oggi che naturalmente illumina anche il futuro. 
Pertanto non si tratta di predire l’avvenire nei suoi dettagli, 
ma di rendere presente in quel momento la verità divina 
e di indicare il cammino da prendere.  

Alla fine del Deuteronomio, Mosè viene presentato come profeta 
e si presenta lui stesso come tale. 
Egli annunzia a Israele: "Dio ti invierà un profeta come me". 
Mosè parlava con Dio come con un amico. 
In questo "faccia a faccia con Dio", nel "conversare con Lui come con un amico"
si vede il nocciolo o la radice della vera essenza profetica. 
Solo in virtù di questo diretto incontro con Dio, il profeta può parlare nella storia di Israele.
Il profeta è chiamato a soffrire in un modo specifico: 
l’essere pronto a soffrire e a condividere la Croce di Cristo 
è la pietra di verifica della sua autenticità. 
Il profeta non cerca mai di imporre se stesso. 
Il suo messaggio viene verificato e reso fertile dalla Croce.

Card. J. Ratzinger










L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Luca 6,20-26. 

Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva: «Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete.
Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v'insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell'uomo.
Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione.
Guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete.
Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti. 



BEATI PERCHE' AMATI SIN DOVE NESSUNO SAPREBBE E POTREBBE AMARCI
Dove siamo, chi siamo? La nostra vita è nascosta nel Cielo con Cristo, oppure siamo prigionieri della terra? Siamo creature nuove oppure vecchie? Uomini celesti o carnali? Cristiani o pagani? Si fa presto a discernerlo: le parole delle beatitudini stanno parlando di te? Ti senti "beato"? Nella totale "povertà" stai sperimentando la pienezza della vita che non muore? Per un cristiano, infatti, tutto, eccetto il peccato, è "a causa del Figlio dell'uomo": nella sua vita tutto accade perché possa vivere come un profeta autentico che annuncia la Verità dell'amore agli uomini che hanno perduto il Cielo. Tutto accade perché appaia la beatitudine del profeta che, come Mosè, vive già nel Cielo dell'amicizia con Dio, e per questo può annunciare l'unica parola che interpreta la realtà alla luce della misericordia di Dio compiuta nel Mistero Pasquale del suo Figlio che, denunciando e smentendo la menzogna del demonio, indica agli uomini il cammino di ritorno al Cielo, profetizzando il Destino autentico che Gesù ha preparato per tutti. I discepoli di Gesù sono poveri, affamati, piangono ogni giorno lacrime abbondanti tra insulti e rifiuti, perché in loro vive Cristo e la loro vita è una profezia del Cielo che contesta la vita di chi ancora appartiene alla terra. I pagani vivono della "ricompensa" terrena e carnale destinata ad esaurirsi, per questo non riescono a sopportare i profeti che annunciano la ricompensa celeste. Non conoscono il Cielo e la "beatitudine" in esso preparata per chi crede alla predicazione, si incammina nella Chiesa, e diviene un cristiano, un discepolo di Cristo. Per questo i "guai" di Gesù sono oggi rivolti a noi, chiamati ad essere suoi profeti autentici. "Guai" se perdessimo il sapore tornando ad essere mondani! "Guai" - termine che in ebraico esprime un lamento funebre - perché la vita del mondo è falsa, pura apparenza di chi è morto dentro perché schiavo del peccato. Allora, basta combattere per farci "ricchi", per "non avere fame e non piangere"; basta brigare e sforzarci al limite delle possibilità perché "tutti parlino bene di noi", ci accettino e così ci nascondano la morte che, ineluttabile, si avvicina. Basta, non ne abbiamo abbastanza dei "guai" che invadono le nostre giornate? Della "ricchezza" effimera che ci fa egoisti e diffidenti, delle "risate" superficiali e beffarde che ci lasciano più tristi e soli, della "sazietà" che ci affama sempre di più, della stima falsa che abbiamo conquistato a forza di ipocrisie? Basta perché Gesù si è fatto povero, ha avuto fame, ha pianto, il suo Nome è stato insultato per strapparci alla maledizione del peccato! Ed è risorto per farci "beati" della sua beatitudine. 

Nella Chiesa, infatti, attraverso la Parola, i sacramenti e la comunione tra i fratelli, Gesù si è fatto ricchezza, pane e letizia per noi. Oggi è nostro il Regno di Dio! Il Regno, il Cielo, ogni ricchezza! Non un sogno o un ideale, ma un regno reale che possiamo sperimentare nella comunità cristiana, e poi in famiglia, e ovunque. Che ti manca se hai Cristo e con Lui puoi vivere ogni circostanza nella pienezza del suo amore, per entrare già vittorioso in ogni povertà, fame e dolore? La nostra fame, la nostra povertà, le nostre lacrime, sono infatti il candelabro sul quale Dio ha voluto accendere la luce della sua Pasqua, perché esse sono quelle di ogni uomo schiavo del peccato e della menzogna. Chi potrà loro annunciare che la morte è vinta se non chi della loro stessa morte porta le stigmate gloriose? Per salvare le persone occorre parlare la loro stessa lingua immersa però nella sapienza della Croce. Chi ci è accanto ogni giorno o un solo istante ha bisogno di ascoltare un profeta che annuncia la Verità vivendo da "beato", seguendo Gesù sulla via della Croce per essere dove è Lui. Entra cioè nella storia amando e offrendo se stesso nella certezza che Gesù ha preparato per lui un posto in Cielo perché ne sperimenta le primizie qui sulla terra. Non a caso in ebraico la parola "Ashrei", felice, che traduce “beato” non richiama sentimenti, sensazioni o stati d’animo. E neanche quiete, tranquillità e appagamento. Ma dinamismo, relazioni dinamiche, in un senso un po’ più esteso, la parola beato, felice, significa “cammino rinnovato in ogni momento” (M. Vidal). "Beato" è dunque colui che cammina nella volontà di Dio per mostrare che esiste un’altra vita e brilla profeticamente nella carne perseguitata e ferita dei cristiani. Per questo ogni rifiuto, insulto o persecuzione è una benedizione! Significa che la nostra vita è così autenticamente celeste da scatenare l'ira del nemico di Dio. Chiaro che si soffre; a chi piace essere insultati, rifiutati e derisi? A nessuno, nemmeno a Gesù. Eppure il demonio si può scacciare solo così. Solo un "beato" sulla Croce può esorcizzarlo con l’autenticità del suo amore, la vera profezia che sa leggere il Cielo sulla terra, l'amore di Dio nella sofferenza; per questo può scuotere il torpore di chi, sedotto dal demonio ha creduto ai suoi falsi profeti che inducono a costruirsi un Cielo qui sulla terra perché Dio e il suo Cielo non esistono. "Beato" tuo figlio, allora, povero e affamato, deriso e rifiutato in una classe che non conosce l'amore di Dio, e tutti i suoi compagni sono figli di genitori divorziati: per loro brillerà in lui la luce di Cristo; "beata" tua figlia, affamata e povera, perseguitata dalla carne e vincitrice in Cristo nel martirio quotidiano per difendere un fidanzamento casto: sarà un segno del Cielo per il fidanzato e gli amici; "beata" tua madre che soffre ormai da anni con un'artrosi che l'ha crocifissa su quel letto: dirà a tutti che basta poco per perdere l'effimero su cui fondano l'esistenza; "beato" te, povero e senza risorse umane per aiutare nessuno, ma con le chiavi del Regno di Dio per aprirlo a tutti. "Beati" noi, perché Cristo è vivo, è risorto e ci colma di pace e di speranza, di amore e gioia in ogni istante, perché il mondo possa guardarci come il popolo di Israele vedeva Mosè quando scendeva dal Monte con il volto radiante dopo aver parlato faccia a faccia con Dio: vederci cioè gustare in ogni evento le primizie della "grande ricompensa" che ci attende "nei cieli", dove Dio vuole condurre ogni uomo. 




QUI IL COMMENTO COMPLETO E GLI APPROFONDIMENTI





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