Sabato della XXV settimana del Tempo Ordinario




αποφθεγμα Apoftegma

Dio ha risposto a questo angoscioso interrogativo 
che si sprigiona dallo scandalo del male 
non con una spiegazione di principio, 
quasi a volersi giustificare, 
ma con il sacrificio del proprio Figlio sulla Croce. 
Nella morte di Gesù s'incontrano 
l'apparente trionfo del male e la vittoria definitiva del bene; 
il momento più buio della storia e la rivelazione della gloria divina; 
il punto di rottura e il centro di attrazione e di ricomposizione dell'universo. 
"Io quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me".

Giovanni Paolo II






    



L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Luca 9,43-45.

E tutti furono stupiti per la grandezza di Dio. Mentre tutti erano sbalorditi per tutte le cose che faceva, disse ai suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato in mano degli uomini». Ma essi non comprendevano questa frase; per loro restava così misteriosa che non ne comprendevano il senso e avevano paura a rivolgergli domande su tale argomento.



PER RADICARE IN NOI IL SUO AMORE, CON L'ESPERIENZA CHE FACCIAMO NELLA COMUNITA',GESU' PIANTA NELLE ORECCHIE E NEL CUORE LA PAROLA CHE LA CHIESA CI ANNUNCIA



Dio è grande, onnipotente, ma oggi ci stupisce per la sua... testardaggine. Gesù, infatti, conosceva quello che gli uomini avevano nel cuore; sapeva che i suoi discepoli non avevano capito nulla di quello che Egli diceva e faceva. Non solo, si nascondevano per paura come Adamo, e, pur avendo accanto a loro l'Autore di quei gesti e di quelle parole, non riuscivano neppure a rivolgergli domande su quell'amore incredibile. Ebbene, perché Gesù, pur sapendo tutto questo dei suoi discepoli, si intestardisce al punto di conficcare nelle loro orecchie parole che non avrebbero compreso e dalle quali sarebbero sfuggiti? Non si tratta di una questione di poco conto. E' anzi attualissima, in questo tempo in cui regna l'idolo della tolleranza e del rispetto di ogni diritto. Ecco, è proprio qui il punto: non solo gli ideologi, i cattivi maestri e i falsi profeti di turno esaltano e idolatrano la menzogna ipocrita dell'indifferenza spacciata per amore; anche noi, vescovi, preti, padri e madri, cristiani, siamo intrappolati nell'inganno subdolo del demonio che, con la scusa del rispetto, ci imbavaglia perché non si annunci il vangelo. Non è opportuno, è troppo presto, non capirebbero... Non si può far violenza, occorre la delicatezza che sa avere pazienza e cogliere il momento propizio. I consigli pastorali e i differenti comitati che organizzano a tavolino la missione della Chiesa come fosse una qualsiasi multinazionale, nascono da questo inganno di fondo. Così come le crisi dei genitori che, dopo aver sperimentato tante volte il rifiuto dei figli e la totale chiusura alle loro parole, si ritirano in una libertaria e moderna tolleranza, perché in fondo capiranno da soli con l'esperienza, non è capitato anche a noi? A me no, e sono ancora distante anni luce dalla conversione; ma nemmeno ai santi, come a nessun cristiano. Non si aprono gli occhi solo in virtù della propria esperienza, anzi; spesso questa porta a cadere ancora più in basso, a chiudersi nella paura e a non domandare aiuto e luce, proprio come i discepoli di Gesù. Per convertirsi, per aprirsi cioè all'amore di Dio rivelato in Cristo suo Figlio, occorre che qualcuno pianti la sua Parola nelle orecchie. Il testo originale dice proprio così: seminate, piantate, infilate bene e a fondo "queste parole". Conficcatele nelle orecchie perché penetrino nel cuore. Come fece, ad esempio, S. Ignazio di Loyola con quella stoffa grezza e ribelle che era, all'inizio, Francesco Saverio. Come una goccia d'acqua che cade sul ferro sino a forarlo, Ignazio ripeteva ogni giorno al giovane studente queste parole di Gesù: "Che gioverà a un uomo aver guadagnato tutto il mondo se perde poi l’anima sua?". Francesco Saverio era in quel momento lanciato verso il futuro; dotato di una intelligenza fuori dal comune, brillante e geniale, sognava di diventare un intellettuale, un giurista o un uomo d’armi per ottenere una posizione di rilievo nella sua nativa Javier, e risollevare così la sua famiglia umiliata dalle vicende avverse dela storia. Si trovava quindi nel momento meno favorevole per accogliere la parola di Gesù annunciata da Ignazio. E invece, la sua ripetizione incessante, ebbe ragione del cuore duro e indocile del giovane navarro, e vi si conficcò per non sganciarvisi mai più. Quella parola "messa bene nelle sue orecchie" cominciò ad ardere nel suo cuore trasformandosi in amore e zelo che lo spinsero a consumare la sua vita per annunciarla in ogni angolo dell'Asia. Grazie ad Ignazio che non ebbe timore e rispetto umano, Francesco Saverio percorse senza sosta un continente immenso per "mettere bene nelle orecchie" di chi ancora non lo conosceva, le Parole redentrici di Cristo.

Quelle parole che annunciano la consegna del Figlio dell'uomo nelle mani degli uomini, seminate nelle orecchie dei discepoli sono il primo passo della consegna. In esse è Gesù stesso che si consegnava per essere seminato nel loro cuore. L'imperativo aoristo positivo usato da Gesù, infatti, nell'originale greco indica "la necessità di dare inizio a una cosa nuova, fare ciò che i discepoli non avevano ancora fatto" (Silvano Fausti). Si trattava della stessa necessità di Gesù di consegnarsi e lasciarsi consegnare alla morte per ogni figlio di Adamo schiavo dell'inganno del demonio che getta nell'ignoranza. I discepoli, infatti, "ignoravano" le parole di Gesù, schiavi dell'imperfetto che, nel greco originale, indica un'azione del passato che dura nel presente. Come loro, anche noi con i nostri figli siamo incapaci di comprendere l'amore di Dio che si lascia uccidere dai malvagi, perché abbiamo ascoltato e accolto la parola di menzogna del serpente, che ha chiuso la nostra mente e il nostro cuore nel sepolcro dell'ignoranza, sigillato dalla durissima pietra dell'incredulità. Per questo Gesù, nel momento in cui "stava per essere consegnato", ha voluto seminare il primo passo del suo amore proprio nei cuori di coloro che aveva scelto perché lo annunciassero a tutti gli uomini. E' un po' come fa un prestigiatore quando ti fa scegliere una carta prima di nasconderla nel mazzo; devi essere sicuro che quella che poi riuscirà a riconoscere era proprio quella che tu avevi visto e scelto. Sulla soglia del suo compimento, Gesù ha conficcato nelle orecchie dei discepoli la primizia della sua passione d'amore proprio mentre erano chiusi ad essa, perché vedendolo poi risuscitato, quel seme si dischiudesse dalla loro carne, come una fonte interiore che zampilla per la vita eterna. Gesù ha piantato la sua Parola perché facesse spazio allo Spirito che avrebbe donato dopo essere risuscitato. Il greco originale "mellein" tradotto con "sta per", indica proprio un futuro già presente e iniziato. Per amore dunque, pur conoscendo la loro ignoranza e la loro chiusura, Gesù ha voluto piantare nel cuore dei discepoli l'embrione della sua opera di salvezza. Senza quella semina della Parola nel buio di una terra ostile e, apparentemente, pure fuori stagione, il seme dell'amore non sarebbe cresciuto sino ad uscire con Cristo dal sepolcro per incontrare la luce della risurrezione, il compimento dello Spirito santo che lo avrebbe fatto fruttificare. Coraggio allora, perché anche oggi il Signore si dona a noi piantandosi nella nostra vita, anche se non capiamo e non vogliamo capire, nella paura di vederla stravolta come accadde a San Francesco Saverio. Coraggio, non temiamo di annunciare il Vangelo dell'amore infinito di Dio a chi ci è accanto, ai giapponesi che sembrano impermeabili a tutto; non cediamo alla tentazione demoniaca che, con la scusa dell’inculturazione, vorrebbe farci tacere per squagliare la Verità celeste del Vangelo nella cultura che è sempre frutto dell’uomo vecchio schiavo del peccato. Questo non è rispetto, ma disprezzo per l'altro! Annuncia, non temere, anche e soprattutto ai figli che sembrano dei muri invalicabili. Pianta nel loro cuore la Parola, una, due, mille volte, perché ogni istante è il momento nel quale Cristo "sta per consegnarsi a lui" attraverso di te, di voi genitori, e poi della comunità cristiana. Non aver paura di donarti, prendi oggi su di te la paura dell'altro, è identica alla tua, che Cristo ha vinto con la forza dell'amore piantato nella tua morte per farti risorgere con Lui nella vita nuova e libera dalla schiavitù del peccato. Perché ogni parola predicata e conficcata in chi ci è accanto prepara l'avvento dello Spirito Santo vivificante, primizia del Cielo preparato per ogni uomo.



QUI UN ALTRO COMMENTO



La  predicazione della Chiesa ci mette bene in testa le parole di Gesù che illuminano il nostro cammino dietro di Lui


Abramo e Isacco
Per "comprendere" il Vangelo di oggi occorre fare un salto indietro di alcuni versetti e ricordare perchè tutti furono "stupiti per la grandezza" di Dio e di quali "cose" erano "sbalorditi". Il Signore aveva appena "volto lo sguardo" sul figlio unico di un padre disperato: Gesù riesce laddove i suoi discepoli avevano fallito, con un esorcismo aveva liberato quel giovane da un demonio che ne straziava la vita. Lo stupore era dunque giustificato perché davvero la grandezza di Dio era apparsa in quel lembo di mondo, scendendo sino al dolore di quel padre. Dio aveva guardato attentamente quel figlio unico, quell'unica speranza infranta, tanto attentamente da celare in quel miracolo la profezia del suo sguardo colmo di compassione che avrebbe raggiunto il dolore dell'uomo sino all'estremo, sin dentro la morte. In quell'esorcismo era annunciato il grande e decisivo Esorcismo, la Croce piantata come una spada nel cuore del demonio, la compassione del Padre che lo spinge a consegnare alle fauci della morte il suo unico Figlio per riscattare ogni suo unico figlio perduto tra gli inganni del demonio. Gesù ascolta il grido di quel padre che emerge dalla folla riconoscendo la voce di suo Padre, ne intercetta la tenerezza disciolta nella miseria di ogni padre. E' questa la grandezza di Dio che stupisce e sbalordisce, l'amore smisurato che cancella ogni distanza, che discende sino al profondo dello Sheol, che giunge a identificarsi con il dolore dell'umanità. Dio si incarna, senza riserve, al punto che il dolore umano diviene il suo dolore, e si fa grido e strazio, supplica e compassione. Il cuore di Gesù capisce, si fa carico di quel grido, e si consegna a quello strazio per distruggerne la causa. E' la grandezza più grande: amare sino a diventare una cosa sola con l'amato. Gli occhi di Abramo fissi su Isacco, i due uniti nella stessa Aquedà, legati nella stessa consegna, nello stesso sacrificio. Il Padre e Gesù, la stessa grandezza ridotta a carni trapassate, e sangue versato e corpo offerto, e morte, e sepolcro. I discepoli non avevano ancora quello sguardo, e quell'orecchio aperto sul dolore, e per questo non avevano potuto cacciare quel demonio. Il loro pensiero, come era apparso in Pietro all'annuncio della passione, non a caso un parallelo del brano di Luca che ci accompagna oggi, era un pensiero mondano, secondo gli uomini, avvelenato dall'inganno satanico. I discepoli non erano ancora pronti, non potevano comprendere la profezia celata in quell'esorcismo, la Trasfigurazione era stata archiviata come un enigma difficile da risolvere, i miracoli erano un linguaggio troppo duro. Le loro orecchie erano ancora chiuse alla Parola: chiamati per una missione che trascendeva le loro forze non erano ancora discepoliSi comprende allora perché Gesù dica loro: "Mettetevi bene in mente"letteralmente, mettete queste parole nelle vostre orecchie. Il discepolo è colui che ha l'orecchio aperto: "Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, Perché sappia essere curvo con chi è stanco, una parola risveglia, nel mattino, nel mattino risveglia il mio orecchio, perché ascolti, come ascoltano i discepoli. Il Signore Dio mi ha aperto l'orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi" (Is. 50, 4-6). Gesù è il Servo di Yahwè, con una lingua da discepolo, capace di curvarsi, come il Padre, con chi è stanco, e scendere sino al dolore seguendo il grido che si affaccia alle sue orecchie, offrendosi alla passione, alla Croce e alla morte. Gesù ha l'orecchio aperto, le parole del Padre giungono diritte al suo cuore: la compassione di Dio risveglia il suo orecchio ogni giorno e lo conduce, passo dopo passo, sino alla consegna nelle mani degli uomini. 

Gesù forma i suoi discepoli, come forma ciascuno di noi, mostrando la sua docilità, il suo ascolto pronto e obbediente. Gesù ci forma aprendo le nostre orecchie, le fora per imprimere in noi le sue parole, quelle che annunciano l'amore di Dio, la grandezza che stupisce e sbalordisce: "Per questo, entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: "Ecco, io vengo - poiché di me sta scritto nel rotolo del libro - per fare, o Dio, la tua volontà" (Eb. 10, 5-7). Queste parole riprendono il salmo 40 applicandolo alla missione di Gesù. Nel salmo però, laddove la Lettera agli Ebrei recita "un corpo mi hai preparato", si legge: "gli orecchi mi hai scavato". Si tratta di un'allusione al segno della perforazione dell'orecchio che faceva il padrone allo schiavo, votandolo così al proprio servizio per sempre. Gesù è il servo consegnato al Padre, il suo orecchio è circonciso per compiere la volontà paterna. In ebraico ascoltare e obbedire si esprimono con lo stesso verbo. Per questo avere un orecchio forato, circonciso, significa essere obbediente senza condizioni, al punto che la volontà del Padre e quella del Figlio coincidono, al di là della carne, come appare evidente nell'agonia del Getsemani: "“Non la mia volontà, ma la tua sia realizzata”. Che cos'è questa mia volontà, che cos'è questa tua volontà, di cui parla il Signore?  La mia volontà è che non dovrebbe morire, che gli sia risparmiato questo calice della sofferenza: è la volontà umana, della natura umana, e Cristo sente, con tutta la consapevolezza del suo essere, la vita, l'abisso della morte, il terrore del nulla, questa minaccia della sofferenza. E Lui più di noi, che abbiamo questa naturale avversione contro la morte, questa paura naturale della morte, ancora più di noi, sente l'abisso del male. Sente, con la morte, anche tutta la sofferenza dell'umanità. Sente che tutto questo è il calice che deve bere, deve far bere a se stesso, accettare il male del mondo, tutto ciò che è terribile, l’avversione contro Dio, tutto il peccato. E possiamo capire come Gesù, con la sua anima umana, sia terrorizzato davanti a questa realtà, che percepisce in tutta la sua crudeltà: la mia volontà sarebbe non bere il calice, ma la mia volontà è subordinata alla tua volontà, alla volontà di Dio, alla volontà del Padre, che è anche la vera volontà del Figlio. E così Gesù trasforma, in questa preghiera, l’avversione naturale, l’avversione contro il calice, contro la sua missione di morire per noi; trasforma questa sua volontà naturale in volontà di Dio, in un “sì” alla volontà di Dio"(Benedetto XVI). Gesù, è il servo che ha l'orecchio forato, aperto all'obbedienza, in un sì senza condizioni, che lo fa compatire della stessa compassione del Padre. Gesù, il suo corpo forato dai chiodi sulla Croce, consegnato alle mani degli uomini, un amore fatto pane da mangiare, e sangue da bere, perdono e misericordia che rigenerano e guariscono. Gesù, il servo obbediente, ci viene oggi accanto per mettere bene ed imprimere in noi le su parole, le stesse del Padre, la sua vita consegnata perchè divenga in noi Parola viva nella nostra stessa vita. Gesù apre le nostre orecchie, ci forma alla scuola della sua obbedienza, perchè, con gli Apostoli formati nella sua intimità e nel sigillo dello Spirito Santo, possiamo anche noi compiere le sue opere, mostrare la grandezza di Dio a questa generazione: "Gesù tira la nostra volontà, che si oppone alla volontà di Dio, che cerca l'autonomia, tira questa nostra volontà in alto, verso la volontà di Dio. Questo è il dramma della nostra redenzione, che Gesù tira in alto la nostra volontà, tutta la nostra avversione contro la volontà di Dio e la nostra avversione contro la morte e il peccato, e la unisce con la volontà del Padre: “Non la mia volontà ma la tua”. In questa trasformazione del “no” in “sì”, in questo inserimento della volontà creaturale nella volontà del Padre, Egli trasforma l'umanità e ci redime. E ci invita a entrare in questo suo movimento: uscire dal nostro “no” ed entrare nel “sì” del Figlio. La mia volontà c'è, ma decisiva è la volontà del Padre, perché questa è la verità e l'amore" (Benedetto XVI, ibid).





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