1 ottobre. Santa Teresa di Lisieux




αποφθεγμα Apoftegma


Appena do un’occhiata al Santo Vangelo,
subito respiro i profumi della vita di Gesù
e so da che parte correre… Non è al primo
posto, ma all’ultimo che mi slancio…
Sì lo sento, anche se avessi sulla coscienza
tutti i peccati che si possono commettere,
andrei, con il cuore spezzato dal pentimento,
a gettarmi tra le braccia di Gesù,
perché so quanto ami il figliol prodigo che ritorna a Lui.

Teresa di Lisieux









L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Matteo 18,1-4
In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: «Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?». Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli.






GESU' E' SCESO ALL'ULTIMO POSTO IN TERRA PER FARE DI OGNI ISTANTE E  LUOGO DELLA NOSTRA VITA IL PRIMO NEL CIELO



Come fu per Santa Teresina di Lisieux, “le nostre immense aspirazioni sono”, anche per noi, “come un martirio”: ne nascono sempre di nuove, mentre la maggior parte di esse restano frustrate. Ma anche quando riusciamo a realizzarne una, proprio nel momento di maggior soddisfazione spunta la solita insoddisfazione a ricordarci che c’è sempre qualcuno di più grande che ha realizzato qualcosa di meglio. Eh sì, perché tutte le “immense aspirazioni”, in fondo, mirano all’unico obiettivo di diventare “i più grandi”. Come Lucifero, che diceva “in cuor suo: Io salirò in cielo, innalzerò il mio trono al di sopra delle stelle di Dio, mi siederò sul monte dell'assemblea, nella parte estrema del settentrione, salirò sulle sommità delle nubi, sarò simile all'Altissimo”; e “invece sei stato precipitato negli inferi, nelle profondità dell'abisso!” (cfr. Is. 14,12-15). Vogliamo il primo posto, e ci ritroviamo all’ultimo; ci sforziamo per essere i più grandi, e ci scopriamo ogni volta più piccoli. C’è in noi un irrefrenabile desiderio di primeggiare destinato però a restare incompiuto perché orientato verso l'obiettivo sbagliato. Pensate ai tifosi di una squadra di calcio: conoscete qualcuno che tifi a perdere, sperando cioè che la propria compagine venga umiliata da quella avversaria? No di certo, anzi. Anche un “bambino” si adira e protesta quando vede negare un rigore sacrosanto ai propri beniamini. Può darsi che il padre lo abbia iniziato ad essere tifoso di quella squadra, ma quel pathos, quell’ira che arriva a spaccare qualsiasi cosa trovi davanti, è tutta farina del suo sacco, del peccato nel quale lo ha concepito sua madre... Il rifiuto drastico dell’umiliazione e del secondo posto fa il paio con le “immense aspirazioni” ad essere i più grandi; e ciò accade anche, e soprattutto, nei “bambini”, proprio quelli tra i quali Gesù ha chiamato a sé per parlare del Cielo. Ma se anche quel bambino è un superbo, che significano allora il gesto e le parole di Gesù? Per capire dobbiamo capovolgere completamente la direzione del nostro sguardo, come guardare il mondo sottosopra, dal basso verso l’alto. Provaci un momento, ora, mentre leggi... Se non ci convertiamo, infatti, non entreremo nel Regno dei Cieli; se cioè non cambiamo modo di pensare e guardare i fatti e le persone, cominciando da noi stessi, non ritroveremo mai la porta del Paradiso. Santa Teresina di Lisieux l’ha scoperta al fondo di se stessa, e per questo San Giovanni Paolo II l’ha dichiarata Dottore della Chiesa, invitando così tutti noi ad ascoltare la sua voce e guardare alla sua esperienza. Illuminata dalla Parola di Dio, Teresina aveva scoperto che l’unica via per entrare nel Regno dei Cieli era quella di sentirsi “chiamare a sé” da Gesù, come un bambino; sentirsi cioè amata così come era, piccola, capricciosa, sbadata, con aspirazioni immense, confuse però con i desideri della propria carne. Aveva capito che proprio nell’orgoglio di un bambino che lotta per diventare il primo tra i fratelli ad essere considerato dai genitori, a mangiare il gelato e ad avere le scarpe da ginnastica, si cela il desiderio santo di essere amato in modo speciale ed esclusivo da Dio. Per questo, esattamente come gli adulti, ottenuto il giocattolo che desiderava ardentemente, dopo averci giocato cinque minuti, un bambino lo lascia in un angolo, mosso da altri e nuovi desideri. Perché nulla ci può appagare se non il cuore del Padre nel quale essere accolti come i primogeniti.

Ma Lucifero ci ha ingannato con la sua luce di menzogna trascinandoci con lui, in un posto lontanissimo da nostro Padre, quello che è diventata la nostra casa, la famiglia, l’ufficio, la scuola, l’ospedale e il parco giochi. L’ultimo posto dove non sopportiamo vivere perché lì dentro, la luce sinistra di Lucifero ci fa sentire troppo piccoli e deboli per realizzare le nostre aspirazioni ed essere felici. Tutte le nostre sofferenze, infatti, sono in realtà delle frustrazioni generate dal fallimento (significato originale del termine ebraico “peccato”) della volontà di Dio su di noi, amare cioè nell’amore in cui ci ha creati. Ma Dio non ci ha abbandonato nella morte, e Teresina lo aveva sperimentato proprio laggiù, nel posto più irrilevante del Carmelo. Nel buio dell’infermeria, come nella solitudine delle scale da lavare o della cucina dove pelare le patate, aveva incontrato lo Sposo! L’ultimo posto, infatti, è quello dove è sceso Gesù, per riportare in Cielo chi in esso è caduto. Per amore si è umiliato, è diventato cioè un bambino, il più piccolo, per sedersi accanto a tutti noi, bambini piccoli che senza Dio passiamo da una frustrazione all’altra. Se Gesù è sceso all’ultimo posto vuol dire che quello è diventato il primo accanto a Dio! Ecco il segreto della piccola via scoperta da Teresina: il mondo capovolto, convertito a Dio dal suo stesso amore che ha fatto risplendere il Cielo nelle pozzanghere che sono le nostre esistenze. Quello che abbiamo sotto gli occhi nel mondo, le lotte che ci sfiancano ogni giorno per ottenere un posto davanti alla massa, è solo la parodia triste e tragica della realtà; la verità è la piccolezza fragile di un bambino, della creatura che dipende in tutto dal suo Creatore, amata proprio per la sua piccolezza. Più è debole, goffo e insicuro, più è oggetto di tenerezze e attenzioni. Non si può non amarlo, anche quando sbaglia, cade, urla e strepita o si chiude nel silenzio dei sogni infranti. Teresa aveva sperimentato che Dio cerca, predilige e ama la piccolezza, la nostra realtà senza ipocrisie. Per questo, convertirci è cambiare verso allo sguardo del nostro cuore, “diventare come bambini” nel senso letterale di “tornare al principio”, riaccadere qui sulla terra nella storia di ogni giorno come una creazione che nasce dal pensiero originale di Dio su ciascuno di noi. Significa accettare la nostra piccolezza, come Teresa che ha aveva trovato il primo posto all’ultimo del convento, quello dove accogliere l’amore dello Sposo che ci fa grandi nel suo Regno. E’ il testacoda che redime l’uomo sedotto da Lucifero, il mistero dell’amore di Dio che può intuire e sperimentare come una primizia solo chi ha percorso un lungo cammino di umiliazione e verità nel grembo misericordioso della Chiesa. Come accadde a Dante al termine del “cammin di nostra vita”, quando, giunto nel Paradiso, contemplando l’immagine della “Luce etterna” di Dio, “dentro da sé, del suo colore stesso, mi parve pinta de la nostra effige, per che ‘l mio viso in lei era tutto messo”; spiega Franco Nembrini: “dice Dante: quando ho fissato il cuore di Dio, l’intimità di Dio, la sua natura più profonda, laggiù ho visto un volto d’uomo… Ma a me piace pensare che voglia dire anche: ho riconosciuto in quel volto il mio. Ho visto lì la mia vera immagine, la mia vera identità”. Convertirsi è dunque fare l’esperienza di Dante nel Paradiso, quella che ha fatto Teresina nel posto dove, secondo il mondo, non c’è che frustrazione: mentre pelava le patate, o aiutava una suora anziana che la trattava male, o soffriva i dolori lancinanti della tubercolosi, nella tomba di ogni emozione, nel buio del silenzio di Dio, quella “bambina” pregustava il Cielo, si vedeva amata in Dio! Sapeva d’essere la più grande nel cuore di Dio, anche se Egli taceva e la lasciava senza consolazioni, perché quello era il posto dei peccatori dove lo Sposo era disceso per unirsi alla sua sposa. Lì, nel tuo e nel mio posto, l’ultimo perché vero, “già volgeva il mio disio e ‘l velle, sì come rota ch’igualmente è mossa, l’amor che move il sole e l’altre stelle”: in un letto d’ospedale, nella precarietà della missione, all’ultimo posto dove gli eventi ci umiliano e ci fanno bambini, l’Amore di Dio che muove l’universo, volge, “converte” a Dio il nostro desiderio, le “immense aspirazioni”, e la volontà perché si muovano in comunione con il Cielo, nello stesso amore con cui Dio riempie e dà vita a tutto. Coraggio, Gesù ti chiama a sé proprio perché bambino, e così, in quella pozzanghera che è questa giornata, che è la tua vita e quella di chi ti è accanto, saprai contemplare il Cielo che vi è voluto discendere in Cristo fatto carne della tua carne.



Santa Teresa di Lisieux. Approfondimenti: biografia, spiritualità, scritti

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L'ambizione è sempre figlia dell'insoddisfazione. Essa scaturisce dall'esigenza insopprimibile di colmare il vuoto di cui ogni uomo fa esperienza. Tutto appare sfuggevole e precario, incapace di saziarci: la malinconia per le esperienze scivolate via, la delusione per un affetto, e poi il lavoro, la salute, gli amici, la famiglia; così, prepotente, si fa strada nel cuore e nella mente il desiderio di grandezza, che non è necessariamente relazionato al prestigio. Grandezza significa sicurezza, pienezza, realizzazione. Anche chi sembra nascosto nella timidezza non è immune da questa ambizione. L'esperienza quotidiana che nulla riesce a colmare il nostro cuore ci spinge ad ambire, a desiderare qualcosa di grande capace di dar senso alle nostre vite. Grande in un affetto, sul lavoro, nello studio, tra fratelli. Grande, ovvero importante per qualcuno; grande, ovvero amato e ricordato. Anche chi si nasconde nella timidezza cerca la stessa grandezza; spesso ci si sottomette all’evidenza della realtà covando risentimento, e l’apparente umiltà è solo un soprabito indossato per vestire le frustrazioni.
  
Grande, come il serpente aveva illuso di diventare Adamo ed Eva, che, per averci creduto, hanno perduto il Paradiso. Pensavano di diventare come Dio, per salire più in alto di tutti e poter decidere in tutta "libertà", dirigere e proteggere la propria vita senza nessuno che la contesti e ne frustri i desideri. E si sono trovati fuori dal Regno dei Cieli. Per questo Gesù rispondendo alla domanda dei discepoli nei quali risuonava l’inganno di satana, li invita a “convertirsi” per “entrare” in quel “Regno” da dove ogni uomo è stato scacciato. E “chiama a sé un bambino”, l’esatto contrario di un “grande”. Chiama oggi a sé la nostra piccolezza, la debolezza, la realtà che ci definisce, perché solo se andiamo a Lui e ci consegniamo al suo amore così come siamo, potremo “convertirci”, “rientrare” cioè nel Regno che il Padre ha preparato per noi.

In esso non vi è qualcuno più grande; se per entrarci occorre “diventare come un bambino” significa che dentro non vi è nessuno che non sia “piccolo”. Nella Chiesa, infatti, presenza viva di Gesù nella storia e immagine del Regno di Dio che è in mezzo a noi, non vi sono gerarchie secondo i parametri mondani. Vi sono ministeri, e Grazie speciali accordate per compiere missioni speciali. Se dobbiamo andare a dissodare un terreno non prenderemo una Ferrari, ma un trattore. Allo stesso modo vi sono diversi carismi e ministeri per il bene della Chiesa e per la sua missione. Ma non si tratta che uno sia più “grande” di un altro. Perché l’unico carisma davvero grande è la “carità”, l’amore di Dio rivelato in Cristo. 

E questo amore cerca e “chiama a sé” i più piccoli, i “bambini”. Un bambino, infatti, è amato di più proprio per la sua piccolezza. Più è debole, goffo e insicuro, più è oggetto di tenerezze e attenzioni. Non si può non amarlo, anche quando sbaglia, cade, urla e strepita o si chiude nel silenzio dei sogni infranti. 

E' l'esperienza della Vergine Maria cantata nel Magnificat: "L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiliazione della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata". Dio ha guardato l'umiliazione di Maria, che nel Vangelo non significa il suo umiliarsi quanto sua realtà, la sua piccolezza. Dio ha guardato Maria così come era, piccola, indifesa, debole; l'ultima. Lo sguardo di Dio ha colmato il suo vuoto, ed era lo stesso suo Figlio, il tutto di Dio fatto carne a prendere dimora in lei. La beatitudine di Maria, la sua gioia, la sua pace, la benedizione, scaturiscono dal prodigioso incontro dello sguardo di Dio con il suo nulla. La grandezza di Dio con la piccolezza di Maria.

Santa Teresa di Lisieux aveva intuito esattamente questo: quello che Dio cerca, ciò di cui il Signore si innamora, il segno della sua predilezione è proprio la piccolezza. Che non è una virtù morale, il frutto di uno sforzo o di un'ascesi. Semplicemente è la verità, è accogliere e rimanere nella verità. Non ce la faremmo mai da soli, siamo troppo orgogliosi. Per questo abbiamo bisogno che il Signore “ci chiami a sé” attraverso la Chiesa. Solo in essa possiamo scoprire e accettare la nostra piccolezza, l'estrema indigenza, il fatto di essere peccatori senza aver bisogno che l’orgoglio si muova in nostra difesa. Nella Chiesa siamo tutti piccoli e con un  bisogno assoluto di Lui. La conversione che ci fa diventare come bambini non è altro che il cammino sul quale la Parola di Dio e i sacramenti uniti agli eventi e alle persone della nostra storia, ci aprono gli occhi su noi stessi, per accogliere la nostra piccolezza come il tesoro più grande e lasciarci amare così come siamo.

Un cammino angusto e una porta stretta schiudono il passo al Regno dei Cieli. Per entrarvi non sono necessari sforzi e fantasie, le dimensioni di quell’uscio coincidono esattamente con le nostre, quelle “originali” con le quali Dio ci ha creati. Convertirci è, semplicemente, ritornare a quelle misure, al pensiero di Dio su ciascuno di noi; quello che avanza non ci appartiene, è falso, fonte di sofferenza e frustrazione, avvelenata di peccati.

Diventare come bambini, significa dunque aprire senza paura gli occhi su noi stessi e amare come Teresa del Gesù Bambino la nostra piccolezza. Proprio quello che pensiamo ci renda inadeguati e indegni, proprio gli aspetti della storia che non mandiamo giù. No, non i peccati certo, ma i difetti sì, quelli che ci impediscono di diventare "grandi" agli occhi del mondo; perché Gesù ama di noi la povertà, non le qualità. Queste servono a Lui per la missione che ha pensato, e certo non è più importante una macchina di chi la usa; mettetene una di quella che si usano per le operazioni chirurgiche in mano a un vigile urbano... Ma sia un chirurgo che un vigile hanno debolezze e povertà che attirano la compassione di Cristo. 

Per amare quello che ama Lui, concretamente dobbiamo sperimentare che tutto concorre al nostro bene, per imparare ad accogliere la storia che con la Croce pota il superfluo. Obbedire, anche facendo i capricci, perché un bambino, il bambino di cui parla Gesù è così piccolo che non si mette a decidere e a opinare. Mamma mia, allora, dobbiamo perdere la nostra personalità, rinunciare alle nostre idee, buttare nel secchio sogni e progetti? Sì, se sono quelli dell’uomo vecchio. Perché siamo chiamati ad avere la personalità di Cristo, il suo pensiero e il suo cuore; a camminare seguendo le sue orme spesso invisibili e incomprensibili. 

Come un bambino che i genitori mettono sul sedile della macchina per andare dove hanno deciso. Come un bambino che la madre prende tra le braccia per allattarlo, e lui, appena divezzato, appena finito di poppare, si addormenta sazio e felice stretto in quell’amore. Così si entra nel Regno dei Cieli, nella felicità che Teresina ha sempre custodito, molto al di là dei sentimenti. Viveva in Cristo e per Lui si offriva come vittima del suo amore, per la Chiesa e per i peccatori. Anche tra dolori lancinanti e incomprensioni, nella notte oscura in cui le pareva di sperimentare l’aridità dei peccatori e degli atei, mentre tra lei e Gesù era issata una parete sino alle stelle, ella viveva radicata nella fede, e non desiderava consolazioni umane; lei che era stata così affettiva da piccola, aveva capito quanto effimero fosse ciò che si sente ma non è autentico. Voleva solo la Verità! Anche se dura, perché solo in essa poteva incontrare Cristo. Sapeva di avere una missione, da continuare anche in Cielo. La stessa di ogni cristiano: portare in Paradiso i peccatori. Per questo la sua vita era offerta sulla Croce per la Chiesa e per gli schiavi del demonio. Ma soprattutto per i missionari. Ah, ecco il cuore della Chiesa, il motore della sua missione. Non sono i preti, neanche i missionari. E’ l’amore che consumava Teresina nel segreto del Carmelo, invisibile al mondo come Gesù lo fu nel Getsemani, sulla Croce e nel sepolcro.

Oggi Gesù ci “chiama” di nuovo “a sé”, piccoli “in mezzo” ai tanti grandi secondo la carne, per fare giustizia del nostro orgoglio. Ci chiama così come siamo, proprio perché peccatori, scacciati dal Regno. Coraggio, la nostra realtà, i nostri luoghi nascosti, insignificanti, senza alcun prestigio agli occhi del mondo sono quelli dove diventare i “più grandi” nel cuore di Cristo. Lui ci chiama a sé per amore dei lontani, dei pagani; è il grande mistero della missione della Chiesa, della tua e della mia. Più siamo uniti a Lui e nascosti al mondo, più scendiamo all'ultimo posto, più siamo fecondi. Se oggi ti senti solo, piccolo, inutile, se pensi che potresti fare di più, che dovresti stare in un altro posto, che è tutto troppo piccolo, significa che stai nel posto giusto, nella volontà di Dio. Teresina è patrona delle missioni senza mai essere uscita dal Carmelo. Anche noi possiamo giungere sino agli estremi confini della terra, offrendo nel segreto la nostra vita, un'umiliazione, una malattia, una preoccupazione; la nostra piccolezza. Per salvare il mondo Dio ha scelto ciò che nel mondo non vale, che è stolto e ignobile: la nostra inutilità, fragilità, povertà; anche i nostri capricci, anche i peccati. La tua vita di oggi, così com'è.

Lui prende tutto di noi per esaltarvi il suo potere sul peccato e sulla morte. Lui esplode in tutto il suo amore proprio negli ultimi della terra, perché nessuno tra i peccatori si senta escluso. Perché il nostro ego sbriciolato si confonde con il suoCorpo crocifisso e il Padre lo accoglie come pegno di salvezza per chi sembra non avere speranza. Come fece in Teresa di Lisieux, nevrotica e capricciosa da piccola, identica a te e a me; quando lo ha accettato è diventata un panetto di burro sul fuoco dell'amore di Dio. Si è liquefatta per dare sostanza alla missione; come il sale si è sciolta per dare sapore al mondo. Affrettiamoci allora, andiamo a Lui, per lasciarci sciogliere dalle fiamme del suo amore; così disciolti nel suo cuore offriremo noi stessi, in ogni nostro istante, per la salvezza di questa generazione.



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