XXIX Domenica del Tempo Ordinario. Anno C


-----------




PREGARE INCESSANTEMENTE PER VIVERE IN PIENEZZA LA NOSTRA VITA


Sperare contro ogni speranza è il fondamento primo e ultimo della preghiera. Come quella della «vedova», con un «avversario» a stringerle la gola davanti a un «giudice terribile»; non può appellarsi né alla giustizia umana visto che il giudice «non ha riguardo di nessuno», né al sentimento religioso perché il giudice «non teme Dio». Essa si confonde nell’immagine dell’inerme colomba che simboleggia Israele, la sposa del Signore così come appare nel Cantico dei Cantici: “O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è incantevole” (Ct. 2,14). 
La tradizione di Israele interpreta questo versetto alla luce della notte di Pasqua: “Quando il Faraone malvagio inseguì il popolo d’Israele, questo era simile a una colomba che era in fuga da un falco ed è entrata nella fessure delle rocce, e il serpente sibilava contro di lei. Se entrava, ecco il serpente, se usciva, ecco, c’era il falco” (Targum Shir Ha-Shirim 2:14). La preghiera della vedova è, essenzialmente, la voce dell’amata in difficoltà e senza il sostegno del marito; ma è anche il grido  suscitato proprio dall’Amato: è Lui che, innamorato e appassionato di ciascuno di noi, vedendoci attaccati da un “avversario” più forte, desidera ascoltare la nostra voce e vedere il nostro volto; ci desidera dove Lui è, e dove ci ha preparato un posto. 
La “preghiera incessante” e “senza svenimenti”, secondo il significato originale del termine tradotto con “senza stancarsi”, è la necessità dell’amore: esso non ha nulla a che vedere con il sentimentalismo romantico di sui siamo impregnati. L’amore, infatti, è il grido d’aiuto di una sposa che cerca l’amato, che lo desidera ma sa che il compimento del suo amore sarà solo nel Cielo. Qui, sulla terra, tra il faraone e il mar Rosso, l’amore si può incarnare solo nella preghiera, nel grido, nelle lacrime; soprattutto, nell’insistente richiesta di aiuto che ha il potere di imprimere il nostro volto nel cuore di Cristo. 
La preghiera è dunque “necessaria” come l’aria che respiriamo, non per soddisfare passioni e concupiscenze, ma per dare compimento alla nostra vita. Per questo l’amore perfetto è rivelato nella “preghiera” di  Gesù nel Getsemani, così autentica da distillare le parole in gocce di sangue. 
L’ “avversario” del Signore è lo stesso che ronda intorno a ciascuno di noi come leone ruggente. E’ il demonio che non vuole che si compia in noi la volontà del Padre, che si mette di traverso sul nostro cammino verso il Cielo: prima ci inganna, seduce e spinge a peccare, e poi ci “trascina” «accusandoci» davanti al Giudice. Lui sa che è in gioco la salvezza di questa generazione: se distrugge il  nostro matrimonio ha messo nel sacco tantissime persone, tutte quelle che Dio ha pensato di salvare attraverso l’incarnazione del suo amore nella nostra famiglia. Per questo l’ “avversario” non ci lascia in pace neanche un istante. Deve provarle tutte per distruggere l’opera di Dio nella nostra vita. Si comprende allora che non possiamo abbassare la guardia, e dobbiamo “pregare incessantemente”, e rintuzzare ogni attacco del demonio attraverso l’abbandono alla fedeltà del Padre. 
La vita, infatti, è un combattimento simile a quello ingaggiato dalla vedova del Vangelo. Sola e con una nostalgia che le toglie il fiato, non smette un istante di cercare “giustizia”. Come per lei, anche per noi e per il nostro prossimo è “conveniente” pregare; come fu “conveniente” e “necessario” che Gesù si fermasse a casa di Zaccheo. Si tratta dello stesso verbo e ci illumina sull’urgenza della fatica ineludibile della preghiera. Con Zaccheo molti hanno conosciuto la salvezza. Con la nostra preghiera inizia e si compie la missione per la quale siamo stati chiamati nella Chiesa. Non vi sono parole, non vi è testimonianza, non vi è Calvario senza la notte del Getsemani – forse questa notte – dove con Cristo possiamo vedere il nostro “avversario” giustiziato
La «giustizia» nella Scrittura descrive il rapporto pieno e autentico con Dio, il permanere nella Verità. Questa vedova, come ciascuno di noi e le persone alle quali siamo inviate, ha un avversario che le ha strappato la verità, ovvero l’amore di Dio. Per questo «non si stanca» nel rivendicare la “giusta” misura di vita che corrisponde alla sposa di Cristo. Il verbo «enkakein» tradotto con «stancarsi», ha il significato di «cominciare a trascurare qualcosa» o «tralasciare un impegno a cui si è obbligati»: la preghiera è proprio la missione alla quale Dio ci ha chiamato. Chi l’ha dimenticata, si stanca e comincia a tralasciare l’impegno costitutivo della propria vita; in fondo non ha nulla da perdere, non ha un avversario… Quanti vivono così stoltamente e sentimentalmente il proprio cristianesimo; e quanti giovani fuggono da questa melassa che non risponde alla serietà della vita… 
Ogni persona, infatti, è definita proprio dal suo “avversario”. Contrastandola ne evidenzia la missione e il valore. Chi è oggi il tuo avversario? Come e dove ti sta muovendo guerra? E’ importante discernerlo nella fede. Chi non ha la fede adulta non capisce nulla della propria vita, confonde i raid dell’ “avversario” con sfortunati e ingiusti rovesci che feriscono la vita. E lotta inutilmente cercando di ragionare, dialogare, battersi con armi inadeguate. La “fede sulla terra” è quella di Abramo che, discernendo la voce del Signore nell’assurdo, si dispone a sacrificare suo figlio, nella certezza che, sul monte, Dio avrebbe provveduto. La fede che ci spinge a pregare per consegnarci, con Cristo, alla Croce che sconfigge l’ “avversario”. 
E’ proprio lui che, paradossalmente, rivela l’importanza di ogni istante, di ogni incontro, di ogni aspetto. Un giovane, come chiunque, illuminato sul suo avversario e sulla missione importantissima alla quale è chiamato e da questi insidiata, vivrà ben diversamente da chi si lascia scivolare sui giorni e sulle emozioni. Come insegna la Chiesa orientale, invocherà “incessantemente” il Nome di Gesù, facendo così di ogni momento un appuntamento con la salvezza. 
Ogni istante, infatti, è prezioso, un “kairos”, un momento favorevole e irripetibile: la preghiera innesca la giustizia di Dio, collegando i due “device”, Dio e l’uomo, come un bluethoot… Non dovremo “aspettare a lungo” perché il momento in cui Dio ci fa “giustizia” coincide con quello in cui preghiamo. In esso apriamo gli occhi della fede e riconosciamo il suo amore, anche negli eventi più dolorosi. Per questo gli “eletti” pregano “giorno e notte”,  sapendo che Dio fa giustizia “incessantemente”, al ritmo della nostra preghiera. Non di certo cambiando le situazioni, ma perché, pregando, apriamo le porte all’avvento della Giustizia della Croce che riscatta ogni uomo e ogni situazione. La fede che Gesù spera di “trovare sulla terra al suo ritorno” è proprio questo sguardo rivolto a Lui, simile a quello della Vergine Maria sotto la Croce; è la preghiera che implora lo Spirito Santo con il quale i cristiani sanno entrare “giustificati”, cioè liberi e vittoriosi, nella storia di ogni giorno, accompagnando in Cielo chi vede solo la terra. 


Nessun commento: