XXXII Domenica del Tempo Ordinario. Anno C




αποφθεγμα Apoftegma

Io sono esistito prima che il mondo fosse creato,
e sono esistito dopo che il mondo è stato creato.
Sono colui che è stato tuo aiuto nell’esilio in Egitto,
e sono io che sarò ancora tuo aiuto in ogni generazione.

Targum Neophiti su Gen 3,14-15









COMMENTO  CATECHETICO


RISORTI COME FIGLI DI DIO DALLE VISCERE DI MISERICORDIA DELLA CHIESA, I CRISTIANI SONO NEL MONDO GLI ANGELI CHE ANNUNCIANO IL DESTINO CELESTE DI OGNI UOMO
La risurrezione è certa perché esiste un “altro mondo” che si rivela in coloro che “ne sono giudicati degni”: la vita soprannaturale che in loro si manifesta ne è la garanzia; un uomo il cui corpo non è più schiavo della concupiscenza, ad esempio, è come una primizia della resurrezione: quel corpo ha già conosciuto qui sulla terra una forza capace di strapparlo alla corruzione.
Per annunciare la resurrezione Gesù insegna storia perché è in essa che Dio si rivela e depone i semi della risurrezione: Egli ricorda i memoriali legati ai Patriarchi, e, in modo particolare riconduce i sadducei all’alba della Pasqua, profezia di quella che Lui avrebbe vissuto nella sua morte e risurrezione.
E giunge al mistero del roveto ardente, immagine della sua vita che non ha subito la corruzione nelle fiamme degli inferi. E qui vi trova la risposta per i sadducei, perché “non osino più” mettere in dubbio il destino di resurrezione che attende ogni uomo. La loro domanda, infatti, è una traduzione della domanda di Mosè: “Chi sei?”. In quel roveto che non si consuma appare la risposta: Io sono colui che sono. La resurrezione non è un’ipotesi, una speculazione, è Dio che si rivela a Mosè, ardendo in un amore che non si consuma, ma brucia la morte e il peccato. 
La resurrezione è quel Rabbì che avevano di fronte, nel quale appariva ai loro occhi l’Eterno incorruttibile in una carne del tutto simile alla loro. Chi poteva avere tanto potere da liberare gli Ebrei, quel manipolo di poveri uomini dal giogo di ferro del Faraone, più potente dei re della terra? Allo stesso modo, “nella resurrezione, chi sarà il marito” di una donna che ne ha avuti sette, in virtù della legge del levirato che doveva garantire una discendenza? La risposta è identica: Io sono colui che sono ha il potere di liberare gli schiavi del Faraone e quelli sottoposti agli angusti confini della carne.
Lui è Dio, Lui è Kyrios: Gesù Cristo è il Signore! Non a caso vi è un uso profano del termine kyrios che indica anche il marito. E’ Lui il marito autentico, non c’entra nulla la successione dei sette mariti avuti in terra. Che cos’è un matrimonio se non un raggio dell’amore che vi è tra Cristo e la Chiesa e che tocca la vita delle persone? Ogni matrimonio riflette il Cielo qui sulla terra, nel perdono che rivela l’amore infinito che unisce il Figlio al Padre!
Nella risposta di Dio a Mosè e in quella di Gesù ai sadducei non vi è né passato né futuro, solo il presente eterno reso possibile da Cristo che ha sconfitto la morte e il peccato ed è risuscitato.
Gesù è stato giudicato degno dell’altro mondo per essersi umiliato sino alla morte di croce, per non essersi difeso, per aver offerto la propria vita. E’ kyrios perché ha amato sino alla fine. Come scrive S. Giovanni nel prologo del suo Vangelo, “a coloro che lo hanno accolto (Gesù) ha dato il potere di divenire figli di Dio”,  “figli della risurrezione” nel Figlio che ha vinto la morte. Essi partecipano ormai della natura e della vita divina, e sono qui in questo tempo e in questo mondo “giudicati degni di un altro mondo e della risurrezione dai morti”; vivono ogni relazione in modo diverso, celeste perché “sono uguali agli angeli”, anche se profeticamente e non ancora in pienezza: “hanno moglie come se non l’avessero… possiedono come se non possedessero, usano del mondo senza usarne appieno” .
Per questo Gesù dice che “non prendono moglie né marito”: nei loro peccati hanno visto già “passare la scena di questo mondo”, e sanno che, con la risurrezione di Cristo che li ha liberati, “il tempo si è fatto breve” come la distanza che ormai li separa dal Cielo. “Non possono più morire” e per questo non si difendono più come i figli di questo mondo, che afferrano cose e persone per stordire la paura della morte, tendando così di allungare il tempo nell’illusione di allontanare la tomba.
In loro è vivo il “Dio dei vivi” che vuole trasfigurare anche la nostra carne incapace di andare oltre la biologia ferita dal peccato, come la donna data in sposa a sette mariti. Sette, come i peccati capitali, come gli sposi di Sara morti nella prima notte di nozze. Ma Gesù ha vinto il peccato e la morte e viene oggi ad unirsi a ciascuno di noi come Tobia: è Lui il Marito al quale siamo stati promessi sin dall’eternità. 
Egli ha inaugurato per noi l'”ottavo” giorno, del quale con i sadducei di ogni tempo anche tutti noi, schiacciati nel dubbio di fronte al dolore e alla morte, non potevamo sospettarne l’esistenza. E’ vero, siamo schiavi di una carne incapace di andare oltre la biologia ferita dal peccato. Siamo noi questa donna data in sposa a sette mariti: sette mariti, e nessun figlio. Siamo sterili, le tentiamo tutte, ma la vita ci scappa di mano. Il lavoro, il matrimonio, le amicizie, sono mariti incapaci di darci una discendenza, il sigillo dell’eternità, l’amore che sfugga alla corruzione.
Ma siamo chiamati a ben altro! La vita di Dio plana sulla terra e stravolge l’equilibrio precario dettato dalla corruzione figlia del peccato: possiamo vivere una vita feconda di frutti che rimangano, in un amore che, tra le fiamme della storia, non si consumi, e sia capace di perdonare. Esiste la risurrezione perché proprio noi “esistiamo per Lui”; in tutto si vede che il Dio dei vivi che è sempre con noi, come è stato nella storia della salvezza con Abramo, Isacco e Giacobbe, come ha soccorso e risuscitato il suo Figlio per fare della nostra storia un frammento dell’eternità.


APPROFONDIMENTI



Benedetto XVI. Il roveto ardente

"Mosè, mentre pascola il gregge, vede un roveto in fiamme, che non si consuma. Si avvicina per osservare questo prodigio, quando una voce lo chiama per nome e, invitandolo a prendere coscienza della sua indegnità, gli comanda di togliersi i sandali, perché quel luogo è santo. "Io sono il Dio di tuo padre – gli dice la voce – il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe"; e aggiunge: "Io sono Colui che sono!" (Es 3,6a.14). Dio si manifesta in diversi modi anche nella vita di ciascuno di noi. Per poter riconoscere la sua presenza è però necessario che ci accostiamo a lui consapevoli della nostra miseria e con profondo rispetto. Diversamente ci rendiamo incapaci di incontrarlo e di entrare in comunione con Lui" (Benedetto XVI, Angelus del 7 marzo 2010).



Beato Giovanni Paolo II (1920-2005), papa

Udienza generale del 01/12/82 (© copyright Libreria Editrice Vaticana)

«Essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio»


Il matrimonio - come sacramento nato dal mistero della Redenzione e rinato, in certo senso, nell'amore sponsale di Cristo e della Chiesa (Cf Ef 5, 22-23) - è una efficace espressione della potenza salvifica di Dio, che realizza il suo eterno disegno anche dopo il peccato e malgrado la triplice concupiscenza, nascosta nel cuore di ogni uomo, maschio e femmina... Questa verità - che cioè il matrimonio, quale sacramento scaturito dal mistero della Redenzione... determina inoltre il carattere del matrimonio quale uno dei sacramenti della Chiesa. Come sacramento della Chiesa, il matrimonio ha indole di indissolubilità. Come sacramento della Chiesa, esso è anche parola dello Spirito, che esorta l'uomo e la donna a modellare tutta la loro convivenza attingendo forza dal mistero della «redenzione del corpo»... La redenzione del corpo significa... anche quella «speranza» che, nella dimensione del matrimonio, può essere definita speranza del giorno quotidiano, speranza della temporalità...

Coloro che, come coniugi, secondo l'eterno disegno divino si uniscono così da divenire, in certo senso, «una sola carne», sono anche a loro volta chiamati, mediante il sacramento, ad una vita «secondo lo Spirito»... La vita «secondo lo Spirito»,... a cui corrisponde la dignità degli stessi coniugi in qualità di genitori, si esprime nella profonda consapevolezza della santità della vita..., a cui ambedue danno origine, partecipando - come i progenitori - alle forze del mistero della creazione. Alla luce di quella speranza, che è connessa col mistero della redenzione del corpo, questa nuova vita umana, l'uomo nuovo concepito e nato dall'unione coniugale di suo padre e di sua madre, si apre alle «primizie dello Spirito» «per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8, 21). E se «tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto» (Rm 8, 22), una particolare speranza accompagna le doglie della madre partoriente, cioè la speranza della «rivelazione dei figli di Dio» (cf. Rm 8, 19-23), speranza di cui ogni neonato che viene al mondo porta con sé una scintilla.... A ciò si riferiscono le parole, in cui Cristo si richiama alla risurrezione dei corpi...«Essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio».





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