COMMOSSI PER CHI CI E' ACCANTO DALLA COMMOZIONE DI CRISTO PER NOI

   


E' sabato, e anche noi siamo stanchi per "tutto quello che abbiamo fatto e insegnato". D'accordo, magari non come missionari, ma di sicuro non abbiamo avuto neanche il tempo di mangiare. Le settimane ci scorrono sotto il naso tra ufficio, spesa, scuola, banche, ospedali, palestra, riunioni di condominio; e poi i figli, il fidanzato, i suoceri, il cane che abbaia davanti alla porta, la spazzatura che tracima come un torrente gonfiato dalla pioggia, il piccolo con la febbre alta ma è finito l’antipiretico e sono le undici e mezza e dove sarà una farmacia di turno? Se siamo preti, ecco le messe, catechismo, consiglio pastorale, riunione in decanato e mille altri incontri. E alla fine non abbiamo mai tempo per riposare davvero. Ma se non ci alimentiamo, e bene, il nostro fare ci distrugge. Infatti, i nervi accumulati si scaricano sul primo a portata di insulto. Siamo sempre stanchi, angosciati, nevrotici, stritolati in agende fittissime che neanche Trump. E per alimentarci solo un fast-food spirituale, e che vuoi che sia un hamburger di preghiere, ci basta per stare in piedi, cioè in pace, dieci minuti scarsi. Ma questo sabato può essere diverso. Andiamo con Gesù in un luogo in disparte, solitario per riposarci un po'. Impariamo cioè dal sui riposo come fare le cose di tutti i giorni, perché è qui che nasce la sua commozione. Gesù non viveva a compartimenti stagni, ma tutto quello che diceva e  faceva sorgeva dal suo sguardo materno che in tutti riconosceva delle pecore senza pastore. Il riposo di Gesù nella comunità dei suoi discepoli è come le viscere di una madre che si commuove, che cioè si “muove-con” il figlio che porta nel seno. Tutto di lei è per lui: i pensieri, i gesti, i minuti. Quando mangia sta attenta a quello che potrebbe fargli male, se c'è qualche pericolo sospende qualsiasi lavoro, perfino il riposo della notte dipende strettamente dal bimbo che porta in grembo. Non si appartiene più, è trasformata in vita da donare al suo piccolo. Come una madre incinta, anche noi siamo chiamati alla fede adulta nella comunità cristiana perché essa dia frutto per gli altri in tutto quello che facciamo. A “muoverci-con” le persone che Dio ci affida, ovvero ad amarle sino al punto di entrare nel loro dolore e nella loro gioia. A donare ogni frammento del nostro fare perché tutto nella nostra vita sia un segno della sollecitudine di Cristo. Anche la malattia che ti impedisce qualsiasi cosa, come il dolore, è amore che scaturisce dalle ferite del corpo e del cuore per la tua nipote che soffre senza speranza. Ma la compassione nasce dall’essere stati a nostra volta oggetti della “compassione” di Gesù. Per questo oggi ci richiama all’ovile della Chiesa per riposare in Lui. E così, dalle viscere della comunità dove ci siamo ben alimentati, sapremo uscire ad annunciare le molte cose sperimentate a chi ancora vaga nella vita perché non ha conosciuto Cristo. Coraggio, perché ogni istante, ogni incontro, ogni fare è prezioso. Gli occhi della commozione, infatti, sono gli stessi di Cristo, sanno che ogni persona ci precede e non è lì per caso, perché tutti cercano Lui in chi lo ha conosciuto, anche se ti rifiuta mettendo alla prova se è vero quello che dici e vivi. Perché chi vede un cristiano capisce che ha dentro qualcosa di diverso, e lo desidera anche per lui.


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