IV Domenica del Tempo di Pasqua. Anno A




αποφθεγμα Apoftegma

  Per mezzo della croce noi, pecorelle di Cristo, 
siamo stati radunati in un unico ovile 
e siamo destinati alle eterne dimore.

Teodoro Studita


Cristo nostro Signore è una porta bassa: 
è necessario che chi entra per questa porta si abbassi, 
se vuole entrare con la testa sana. 
Chi invece di abbassarsi si innalza, vuole entrare per il muro; 
e chi sale attraverso il muro, sale per precipitare giù.
Chi non entra per la porta nell'ovile delle pecore, 
ma vi sale da qualche altra parte ... Miserabile! Cadrà.
Se è umile entrerà per la porta; venga per la via giusta, e non inciamperà.
Entriamo dunque per la porta, che il Signore spiegò essere lui stesso.
Chi altri, infatti, chiama per nome le sue pecore e le conduce fuori, 
da qui alla vita eterna, se non colui che conosce i nomi dei predestinati? 
Per questo disse ai suoi discepoli: 
Rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti in cielo
E chi altri può condurle fuori se non chi rimette i loro peccati, 
sicché liberate dalle dure catene possano seguirlo? 
E chi può andare avanti a loro in modo che esse lo seguano, 
se non colui che risorgendo da morte ormai non muore più, 
e la morte non avrà più su di lui alcun dominio? 
Poiché per mezzo della fede Cristo abita nei nostri cuori, 
entrare attraverso Cristo significa pensare alla luce della fede, 
uscire attraverso Cristo significa agire davanti agli uomini guidati dalla fede...
perché abbiano la vita entrando, e l'abbiano ancor più abbondante uscendo. 
Non si può infatti uscire per la porta che è Cristo, 
ed entrare nella vita eterna dove si vedrà Dio faccia a faccia, 
se prima, per la medesima porta, che è Cristo, 
non si entra nell'ovile della sua Chiesa, 
attraverso la vita temporale che è la vita di fede. 
Perciò dice: Io sono venuto perché abbiano la vita, 
cioè la fede operante per mezzo della carità, 
e per mezzo della quale entrano nell'ovile per vivere, 
dato che il giusto vive di fede
E l'abbiano sovrabbondante coloro che, perseverando sino alla fine, 
per quella stessa porta, cioè per mezzo della fede di Cristo, 
escono, in quanto muoiono da veri fedeli; 
e avranno una vita più abbondante là dove il pastore li ha preceduti, 
e dove non dovranno più morire. 
Quantunque neanche qui, entro l'ovile, manchino i pascoli, 
poiché tanto per chi entra quanto per chi esce viene detto che troverà pascolo; 
tuttavia i veri pascoli si troveranno là dove saranno saziati 
coloro che hanno fame e sete di giustizia. 
Quei pascoli che trovò colui al quale fu detto: Oggi sarai con me in paradiso

S. Agostino





COMMENTO PIU' AMPIO





ASCOLTARE LA VOCE DEL PASTORE BUONO E BELLO PER SEGUIRLO E PASSARE DALLA MORTE ALLA VITA


“Amen, amen, io vi dico”: fermi tutti, è Dio che parla, con un’autorità che nessun maestro sulla terra ha mai avuto. “In verità, in verità vi dico”, cioè è degno di fede quello che vi dico, è molto importante per ciascuno di voi. Attenzione allora a come ascoltiamo, ne va della nostra vita. Innanzi tutto è bene collocarci dalla parte giusta. Gesù “disse questa similitudine” ai farisei. A quelli che non avevano accettato d’essere ciechi, e avevano cacciato fuori il cieco nato guarito da Gesù.

Ma oggi parla a noi, farisei come loro, pronti a escludere dalla nostra vita l’opera di Dio, in nome dei nostri criteri, religiosi, culturali e politici che siano. Come loro, anche noi “non capiamo che cosa significhi quello che Gesù ci dice”. Non è così? Davvero crediamo di aver capito la “similitudine” del pastore e del mercenario? Bene, vediamo allora. E forse scopriremo che, al netto di una comprensione sentimentalistica, non solo non abbiamo capito nulla, ma, una volta capita, ci ritroviamo esattamente come i farisei, incapaci di accettarla.

Innanzitutto appare un “recinto”. In greco il termine non designa un ovile, ma è usato anche per il Tempio di Gerusalemme, o per la Tenda del Convegno usata durante il tempo dell’esodo nel deserto. Gesù, dunque, parla del Tempio. E il contesto nel quale Gesù oggi ci parla, è quello della festa di Hanukka’h, della Dedicazione, che celebrava la riconsacrazione del nuovo Tempio ad opera di Giuda Maccabeo, dopo la profanazione di Antioco Epifane. I Greci Siriani, promulgarono un decreto che mirava a far “dimenticare la Tua Torà e violare i decreti della Tua volontà” agli Ebrei. I Greci erano dei fans della conoscenza, per questo non importava loro se gli Ebrei apprendevano la saggezza della Torà. Ciò a cui si oppenevano con violenza era l’idea che la Torà provenisse da Dio – “la Tua Torà”…

Come sempre, la ragione al servizio della superbia e del potere non sopporta che ci sia un Dio al di sopra di lei. Quando non è illuminata dalla fede, la ragione è sempre schiava, e finisce con il trascinare con sé anche il cuore e la carne. La storia dell’umanità ce lo racconta: tutte le dittature e tutte le ideologie hanno sempre perseguitato ferocemente i popoli ebraico e cristiano, perché solo chi riconosce Dio al di sopra di tutto è libero. Conosce la propria origine, da dove gli viene la vita, e sa discernere in ogni evento la propria missione.

Il Tempio di Gerusalemme si ergeva come un segno e un limite di fronte a tutti i popoli e le culture. C’è un solo Dio, e nessun potere, per quanto illuminato, e nessuna cultura, per quanto sviluppata, potevano paragonarsi a Lui. Per questa ragione i Greci contaminarono l’olio nel Santo dei Santi, come uno sfregio a Dio, a dimostrare che non aveva potere su di loro. La rivolta ebraica scoppiò quando i Seleucidi, dominatori della Giudea, imposero agli ebrei di abbandonare progressivamente le proprie tradizioni, costringendoli ad adorare gli idoli nel Tempio di Gerusalemme.

Di fronte al pericolo della perdita della propria identità, gli ebrei si opposero e organizzarono una resistenza che fondava le proprie basi sull’adesione all’educazione ebraica. E Hanukkah, significa anche “educare”. Gesù, nel mezzo di questa festa, passeggia nel Tempio, sotto il portico di Salomone. Passeggia come Dio nel paradiso, alla ricerca di Adamo. La sua presenza e le sue parole sono, per ciascuno, un interrogativo: “dove sei?”.

Dove sono le pecore? Dove sei tu? Dove sono io? Chi ci sta educando? Per caso, “da un’altra parte” diversa dalla “porta” sono “entrati i ladri e i briganti” a profanare l’olio dello Spirito Santo con cui ciascuna pecora è stata unta, obbligando ciascuno di noi a un culto idolatrico, a rinnegare la primogenitura per vivere contro la natura di figli che ci è stata donata nel battesimo? Forse abbiamo dimenticato la Parola che abbiamo ricevuto, consegnando il tempio della nostra vita agli idoli e al principe di questo mondo. Non siamo per caso oggi immondi, inadatti al culto, schiavi di chi ci ha rubato identità e dignità?

Le pecore di cui parla il Signore, infatti, sono quelle molto speciali che si trovavano nel Tempio, nel quale erano allevati gli agnelli per il sacrificio e l’olocausto. Erano agnelli scelti, senza difetto, immagine dei cristiani rinati nelle acque del battesimo, rivestiti di Cristo, l’Agnello di Dio che ha tolto il peccato del mondo. Vediamo, nella tua vita oggi tu sei un agnello? Di fronte a tua moglie o a tuo marito, ai figli e ai parenti, offri te stesso oppure reagisci, ti ribelli e cerchi di offrirti gli affetti per saziare la tua fame di piacere e tranquillità? Dinanzi alla malattia, all’umiliazione, alla solitudine, al disprezzo, al fallimento, quali sono le tue reazioni? Di fronte alle ingiustizie patite sul lavoro o a scuola, lotti e cerchi di farti giustizia, oppure “facendo il bene sopporti la sofferenza”? (1 Pt. 2,20).

Le pecore del “recinto”, infatti, “a questo erano chiamate, poiché anche Cristo patì per loro, lasciando lun esempio, perché ne seguissero le orme” (1 Pt. 2,21). Per questo solo Lui è “il Pastore delle pecore – di quelle pecore – che entra per la porta”, la porta della Croce. Chiunque, quando si avvicina a noi per parlarci, consigliarci, persuaderci, non entra attraverso la Croce, e’ “ladro e un brigante” come Barabba, ci dice menzogne e sofismi, per ingannarci e farci rinnegare Cristo e la sua Croce. E sappiamo che il nemico della Croce è il demonio.

La cura del “guardiano” era orientata a preparare gli agnelli per il sacrificio. Così è per noi nella Chiesa, che ci nutre e ci ammaestra attraverso i sacramenti e la Parola, perche’ cresca in noi la fede sino a divenire adulta, capace cioe’ di spingerci ad offrire, senza condizioni, la nostra vita sull’altare preparato ogni giorno in famiglia, al lavoro, a scuola, ovunque. Nel “recinto” cresce e si fortifica la primogenitura degli agnelli di Cristo, allevati all’ombra del Santo dei Santi, illuminati dal suo amore, nutriti della sua misericordia perche’, al tempo opportuno, possano essere offerti uniti a Lui per la salvezza di ogni uomo.

Siamo nati per perdere la vita e amare, come Lui, in Lui, per Lui. Per questo oggi appare Cristo dinanzi a noi, e possiamo riconoscere in Lui la nostra immagine “rubata e distrutta” dai “ladri e dai briganti” che “sono venuti orima di Lui” alla nostra vita.
Solo “ascoltando la sua voce” possiamo scoprire che la nostra vita ha sempre e solo cercato Lui, carne della nostra carne, ossa delle nostra ossa. E così “fuggire via dagli estranei”, da chi ci inganna interpretandoci I fatti e giudicando le persone con una voce che non ci ha mai dato pace. Sono “estranei”, non hanno il nostro sangue, in loro non scorre quello di Cristo; non lo hanno versato per noi, non ci hanno amato… Egli è Pastore proprio perché è Agnello, e conosce cioè cosa significhi vivere come un agnello. Per questo ci può educare: ci conosce “uno ad uno”, le debolezze, le nevrosi, i complessi, anche i peccati. Ed è l’unico che sa riconoscere in noi la primogenitura, al di là delle contraddizioni e degli errori.

E’ Lui che riconsacra il suo tempio, la nostra vita: “Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti come pecore, ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime.” (1 Pt. 2,24-26). E’ Lui che ci attira a “seguire le sue orme” che ci conducono a vivere, ogni giorno, lo stesso mistero Pasquale. A “passare” attraverso la “porta” che avevamo sprangato per paura di morire come Lui. Ma è risorto, è vivo, e oggi ci mostra di nuovo le piaghe che ci fanno liberi di “vivere per la giustizia” della Croce.

Gesù ci attende sulla “porta” di ogni giorno, nel matrimonio, al lavoro, a scuola, sul letto d’ospedale e nelle ore angosciate in cerca di un lavoro, nelle ingiustizie e nei soprusi. Gesù ci attende sulla Croce dove ha già ha steso le braccia per accoglierci e farci una sola cosa con Lui. E’ Lui, infatti, “la porta” sempre aperta verso la “vita in abbondanza”. Sulla Croce Lui è vivo, e per questo “ci spinge fuori dal recinto”. Lui “cammina innanzi a noi” verso il “pascolo” e la “salvezza”. Che cosa ti fa paura? 

Guarda che proprio quello è il “pascolo” dove puoi sperimentare la vita più forte della morte, e la “salvezza” per te e per i fratelli!. La vita eterna è “fuori” dal recinto! Non si può vivere sempre dentro, a guardarci narcisisticamente, come ripete Papa Francesco. Nel “recinto” ci prepariamo per salire al sacrificio, perché la nostra vita ha senso solo se è “abbondante”, tanto da offrirla senza misura a chi ne ha bisogno.
Siamo chiamati ad “entrare” nella morte e “uscirne” vittorioso, trascinando con noi questa generazione sino al Cielo.





Benedetto XVI. Io sono il Buon Pastore



ARTE E LITURGIA



RADICI NELL'EBRAISMO




S. AGOSTINO SUL VANGELO DI QUESTA DOMENICA

Per bocca del profeta Ezechiele il Signore rimprovera severamente i pastori, e tra l'altro dice loro a proposito delle pecore: Non avete richiamato la pecora sbandata (Ez 34, 4). Dice sbandata e dice pecora. Se quando si sbandava era pecora, di chi ascoltò la voce per sbandarsi? Senza dubbio non si sarebbe sbandata se avesse ascoltato la voce del pastore; ma proprio per questo si è sbandata, per aver ascoltato la voce di un estraneo, di un ladro o di un predone. E' certo che le pecore non ascoltano la voce dei predoni. Dice il Signore: Quelli che sono venuti (e abbiamo capito che intendeva quelli che sono venuti al di fuori di lui) quelli che sono venuti al di fuori di me, estranei a me, sono ladri e predoni, ma le pecore non li hanno ascoltati. Ma, Signore, se le pecore non li hanno ascoltati, come hanno potuto sbandarsi? Se le pecore ascoltano solo te, e tu sei la verità, chiunque ascolta la verità non può certo sbandarsi. Questi invece si sono sbandati e vengono chiamati pecore. Se quando si sbandano non fossero più pecore, il Signore non direbbe per bocca di Ezechiele: Non avete richiamato la pecora sbandata. Come può essere sbandata ed essere pecora? Ha ascoltato la voce di un estraneo? E' certo che le pecore non li hanno ascoltati. Se erano pecore, come mai il Signore dice che le pecore non ascoltano la voce di un estraneo? E se non erano pecore, perché il Signore rimprovera i pastori dicendo loro: Non avete richiamato la pecora sbandata? Disgraziatamente accade anche a coloro che già sono diventati cattolici cristiani e sono fedeli di buone speranze, di cedere alla seduzione dell'errore; cadono nell'errore e poi si ravvedono. Quando hanno ceduto all'errore e si son fatti ribattezzare, oppure quando, dopo aver fatto parte dell'ovile del Signore, sono ricaduti nell'antico errore, erano o non erano pecore? Certamente erano cattolici: e se erano fedeli cattolici, erano pecore. Ma se erano pecore, come hanno potuto ascoltar la voce di un estraneo, dal momento che il Signore dice: le pecore non li hanno ascoltati? Avete avvertito, o fratelli, la profondità di questo problema. Io dico: Il Signore conosce i suoi (2 Tim 2, 19). Dunque il Signore conosce i suoi, cioè le sue pecore. Talora le pecore non conoscono se stesse, ma le conosce il pastore in virtù di questa predestinazione, in virtù della prescienza divina, della elezione delle pecore fatta prima della fondazione del mondo; secondo quanto ancora dice l'Apostolo: in lui ci ha eletti prima della fondazione del mondo (Ef 1, 4). Ora, secondo questa prescienza e predestinazione di Dio, quante pecore sono fuori e quanti lupi sono dentro l'ovile! quante pecore sono dentro e quanti lupi sono fuori! Perché dico che ci sono molte pecore fuori? Perché molti che ora si abbandonano alla lussuria, diventeranno casti; molti che ora bestemmiano, crederanno in Cristo; molti che si ubriacano, diventeranno sobri; molti che adesso rubano le cose degli altri, saranno pronti a donare le proprie. Con tutto ciò adesso ascoltano la voce di un estraneo, seguono degli estranei. Come pure, molti che oggi dentro l'ovile lodano il Signore, lo bestemmieranno; sono casti e fornicheranno, sono sobri e affogheranno nel vino, stanno in piedi e cadranno. Essi non sono pecore (stiamo parlando dei predestinati, di coloro che il Signore sa che sono suoi). E tuttavia questi, finché pensano rettamente, ascoltano la voce di Cristo. Ecco, questi l'ascoltano, quelli non l'ascoltano. C'è una voce, c'è, dico, una voce del pastore, per cui le pecore non ascoltano gli estranei, e coloro che pecore non sono non ascoltano Cristo. Quale è questa voce? Chi avrà perseverato sino alla fine, questi sarà salvo (Mt 10, 22). Chi è di Cristo non trascura questa voce, non l'ascolta l'estraneo. Anche ad un estraneo il Cristo fa sentire la sua voce, invitandolo ad essere fedele a lui sino alla fine, ma l'estraneo, non perseverando sino alla fine, non ascolta la sua voce. Si è accostato al Cristo, ha ascoltato tante e tante parole, tutte vere, tutte giuste; e tra le altre anche queste: Chi avrà perseverato sino alla fine, questi sarà salvo. Chi ascolta questa voce è pecora. Ma supponiamo che uno dopo averla ascoltata, abbia perduto la testa, si sia raffreddato, ed abbia ascoltato la voce di un estraneo: se egli è predestinato, si è sbandato temporaneamente, non si è perduto per sempre. Tornerà ad ascoltare ciò che ha trascurato, metterà in pratica ciò che ha ascoltato. Se infatti appartiene al numero dei predestinati, Dio ha conosciuto prima tanto il suo errore che la sua futura conversione; se si è sbandato, ritornerà e di nuovo ascolterà la voce del pastore, e seguirà la voce che dice: Chi avrà perseverato sino alla fine, questi sarà salvo. Questa, o fratelli, è una voce buona, vera, è la voce del pastore, è la voce della salvezza che risuona nelle tende dei giusti (cf. Sal 117, 15). Poiché è facile ascoltare Cristo, è facile lodare il Vangelo, è facile applaudire il predicatore; ma perseverare sino alla fine, questo è proprio delle pecore che ascoltano la voce del pastore. Viene la tentazione; ebbene, persevera sino alla fine, poiché la tentazione non durerà sino alla fine. Sino a quale termine dovrai perseverare? Sino al termine del cammino. Finché non ascolti Cristo, egli è nella tua via, cioè in questa vita mortale, un avversario. Ma cosa dice il Vangelo? Mettiti d'accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui (Mt 5, 25). Hai sentito e hai creduto; ti sei messo d'accordo? Se eri in discordia, mettiti d'accordo. Se ti è stata offerta la possibilità di stare in pace, non riprendere a litigare. Tu non sai quando avrà termine il cammino, ma lui lo sa. Se sei pecora, e persevererai sino alla fine, sarai salvo: per questo i suoi non disprezzano questa voce, mentre gli estranei non l'ascoltano. Vi ho spiegato come ho potuto, secondo quanto egli stesso ci ha concesso, anzi abbiamo affrontato insieme un argomento tanto profondo. Coloro che hanno compreso poco si mantengano in un atteggiamento di religioso rispetto, e sarà loro rivelata la verità; quelli, invece, che hanno compreso, non s'innalzino per superbia, come più veloci, sopra gli altri più lenti, perché innalzandosi non abbiano ad andare fuori strada, e così i più lenti giungano alla meta con maggiore facilità di loro. E che tutti infine ci guidi alla meta colui al quale diciamo: Conducimi, o Signore, sulla tua via, e camminerò nella tua verità (Sal 85, 11).



Amen, amen, io vi dico”: fermi tutti, è Dio che parla, con un'autorità che nessun maestro sulla terra ha mai avuto. “In verità, in verità vi dico”, cioè è degno di fede quello che vi dico, è molto importante per ciascuno di voi.

Attenzione allora a come ascoltiamo, ne va della nostra vita. Innanzi tutto è bene collocarci dalla parte giusta. Gesù “disse questa similitudine” ai farisei. A quelli che non avevano accettato d'essere ciechi, e avevano cacciato fuori il cieco nato guarito da Gesù.

Ma oggi parla a noi, farisei come loro, pronti a escludere dalla nostra vita l'opera di Dio, in nome dei nostri criteri, religiosi, culturali e politici che siano. Come loro, anche noi “non capiamo che cosa significhi quello che Gesù ci dice”.

Non è così? Davvero crediamo di aver capito la “similitudine” del pastore? Bene, vediamo allora. E forse scopriremo che, al netto di una comprensione sentimentalistica, non solo non abbiamo capito nulla, ma, anche se capita, ci ritroviamo esattamente come I farisei, incapaci di accettarla.

Innanzitutto appare un “recinto”. In greco il termine non designa un ovile, ma è usato anche per il Tempio di Gerusalemme, o per la Tenda del Convegno usata durante il tempo dell'esodo nel deserto.

Gesù, dunque, parla del Tempio. E il contesto nel quale Gesù oggi ci parla, è quello della festa di Hanukka'h, della Dedicazione, che celebrava la riconsacrazione del nuovo Tempio ad opera di Giuda Maccabeo, dopo la profanazione di Antioco Epifane.

I Greci Siriani, promulgarono un decreto che mirava a far "dimenticare la Tua Torà e violare i decreti della Tua volontà" agli Ebrei. I Greci erano dei fans della conoscenza, per questo non importava loro se gli Ebrei apprendevano la saggezza della Torà. Ciò a cui si oppenevano con violenza era l'idea che la Torà provenisse da Dio - "la Tua Torà"...

Come sempre, la ragione al servizio della superbia e del potere non sopporta che ci sia un Dio al di sopra di lei. Quando non è illuminata dalla fede, la ragione è sempre schiava, e finisce con il trascinare con sé anche il cuore e la carne.

La storia dell'umanità ce lo racconta: tutte le dittature e tutte le ideologie hanno sempre perseguitato ferocemente i popoli ebraico e cristiano, perché solo chi riconosce Dio al di sopra di tutto è libero. Conosce la propria origine, da dove gli viene la vita, e sa discernere in ogni evento la propria missione.

Il Tempio di Gerusalemme si ergeva come un segno e un limite di fronte a tutti i popoli e le culture. C'è un solo Dio, e nessun potere, per quanto illuminato, e nessuna cultura, per quanto sviluppata, potevano paragonarsi a Lui.

Per questa ragione i Greci contaminarono l'olio nel Santo dei Santi, come uno sfregio a Dio, a dimostrare che non aveva potere su di loro. La rivolta ebraica scoppiò quando i Seleucidi, dominatori della Giudea, imposero agli ebrei di abbandonare progressivamente le proprie tradizioni, costringendoli ad adorare gli idoli nel Tempio di Gerusalemme.

Di fronte al pericolo della perdita della propria identità, gli ebrei si opposero e organizzarono una resistenza che fondava le proprie basi sull'adesione all'educazione ebraica. E Hanukkah, significa anche "educare".

Gesù, nel mezzo di questa festa, passeggia nel Ttempio, sotto il portico di Salomone. Passeggia come Dio nel paradiso, alla ricerca di Adamo. La sua presenza e le sue parole sono, per ciascuno, un interrogativo: "dove sei?".

Dove sono le pecore? Dove sei tu? Dove sono io? Chi ci sta educando? Per caso, “da un'altra parte”, diversa dalla “porta” sono “entrati i ladri e i briganti” a profanare l'olio dello Spirito Santo con cui ciascuna pecora è stata unta, obbligando ciascuno di noi a un culto idolatrico, a rinnegare la primogenitura per vivere contro la natura di figli che ci è stata donata nel battesimo?

Forse abbiamo dimenticato la Parola che abbiamo ricevuto, consegnando il tempio della nostra vita agli idoli e al principe di questo mondo. Non siamo per caso oggi immondi, inadatti al culto, schiavi di chi ci ha rubato identità e dignità?

Le pecore di cui parla il Signore, infatti, sono quelle molto speciali che si trovavano nel Tempio, nel quale erano allevati gli agnelli per il sacrificio e l'olocausto. Erano agnelli scelti, senza difetto, immagine dei cristiani rinati nelle acque del battesimo, rivestiti di Cristo, l'Agnello di Dio che ha tolto il peccato del mondo.

Vediamo, nella tua vita oggi tu sei un agnello? Di fronte a tua moglie o a tuo marito, ai figli e ai parenti, offri te stesso oppure reagisci, ti ribelli e cerchi di offrirti gli affetti per saziare la tua fame di piacere e tranquillità? Dinanzi alla malattia, all'umiliazione, alla solitudine, al disprezzo, al fallimento, quali sono le tue reazioni? Di fronte alle ingiustizie patite sul lavoro o a scuola, lotti e cerchi di farti giustizia, oppure “facendo il bene sopporti la sofferenza”? (1 Pt. 2,20).

Le pecore del “recinto”, infatti, “a questo erano chiamate, poiché anche Cristo patì per loro, lasciando lun esempio, perché ne seguissero le orme” (1 Pt. 2,21). Per questo solo Lui è “il Pastore delle pecore – di quelle pecore - che entra per la porta”, la porta della Croce.

Chiunque, quando si avvicina a noi per parlarci, consigliarci, persuaderci, non entra attraverso la Croce, e' “ladro e un brigante” come Barabba, ci dice menzogne e sofismi, per ingannarci e farci rinnegare Cristo e la sua Croce. E sappiamo che il nemico della Croce è il demonio.

La cura del “guardiano” era orientata a preparare gli agnelli per il sacrificio. Così è per noi nella Chiesa, che ci nutre e ci ammaestra attraverso i sacramenti e la Parola, perche' cresca in noi la fede sino a divenire adulta, capace cioe' di spingerci ad offrire, senza condizioni, la nostra vita sull'altare preparato ogni giorno in famiglia, al lavoro, a scuola, ovunque.

Nel “recinto” cresce e si fortifica la primogenitura degli agnelli di Cristo, allevati all'ombra del Santo dei Santi, illuminati dal suo amore, nutriti della sua misericordia perche', al tempo opportuno, possano essere offerti uniti a Lui per la salvezza di ogni uomo.

Siamo nati per perdere la vita e amare, come Lui, in Lui, per Lui. Per questo oggi appare Cristo dinanzi a noi, e possiamo riconoscere in Lui la nostra immagine “rubata e distrutta” dai “ladri e dai briganti” che “sono venuti orima di Lui” alla nostra vita.

Solo “ascoltando la sua voce” possiamo scoprire che la nostra vita ha sempre e solo cercato Lui, carne della nostra carne, ossa delle nostra ossa. E così “fuggire via dagli estranei”, da chi ci inganna interpretandoci I fatti e giudicando le persone con una voce che non ci ha mai dato pace. Sono “estranei”, non hanno il nostro sangue, in loro non scorre quello di Cristo; non lo hanno versato per noi, non ci hanno amato...

Egli e' Pastore proprio perche' e' Agnello, e conosce cioè cosa significhi vivere come un agnello. Per questo ci può educare: ci conosce “uno ad uno”, le debolezze, le nevrosi, i complessi, anche i peccati. Ed è l'unico che sa riconoscere in noi la primogenitura, al di là delle contraddizioni e degli errori.

E' Lui che riconsacra il suo tempio, la nostra vita: “Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti come pecore, ma ora siete tornati al pastore e guardiano delle vostre anime.” (1 Pt. 2,24-26).

E' Lui che ci attira a “seguire le sue orme” che ci conducono a vivere, ogni giorno, lo stesso mistero Pasquale. A “passare” attraverso la “porta” che avevamo sprangato per paura di morire come Lui. Ma è risorto, è vivo, e oggi ci mostra di nuovo le piaghe che ci fanno liberi di “vivere per la giustizia” della Croce.

Gesù ci attende sulla “porta” di ogni giorno, nel matrimonio, al lavoro, a scuola, sul letto d'ospedale e nelle ore angosciate in cerca di un lavoro, nelle ingiustizie e nei soprusi. Gesù ci attende sulla Croce dove ha già ha steso le braccia per accoglierci e farci una sola cosa con Lui.

E' Lui, infatti, “la porta” sempre aperta verso la “vita in abbondanza”. Sulla Croce Lui è vivo, e per questo “ci spinge fuori dal recinto”. Lui “cammina innanzi a noi” verso il “pascolo” e la “salvezza". Che cosa ti fa paura? Guarda che proprio quello è il “pascolo” dove puoi sperimentare la vita più forte della morte, e la "salvezza" per te e per i fratelli!

La vita eterna è “fuori” dal recinto! Non si può vivere sempre dentro, a guardarci narcisisticamente, come ripete Papa Francesco. Nel “recinto” ci prepariamo per salire al sacrificio, perché la nostra vita ha senso solo se è “abbondante”, tanto da offrirla senza misura a chi ne ha bisogno. Siamo chiamati, infatti, ad “entrare” nella morte e “uscirne” vittoriosi, trascinando con noi questa generazione sino al Cielo.


Il Vangelo di questa domenica ci annuncia una splendida notizia. Ciascuno di noi è al centro dell'intimità e della perfetta unità tra il Padre e il Figlio. E' vero che tante volte anche noi mormoriamo e ci mettiamo davati al Signore con lo stesso atteggiamento dei Giudei. Esigiamo che il Signore si manifesti secondo i nostri desideri, secondo le voglie e i problemi del momento. Anzi, lo facciamo responsabile delle nostre sofferenze. In greco infatti invece di "fino a quando ci terrai con l'animo in sospeso" si può leggere anche "fino a quando ci toglierai la vita?". Confessiamo che è proprio quello che tante volte ci ritroviamo a pensare, quando ci sembra che il Signore resti muto di fronte alle nostre angosce. In fondo non è vero, come non era vero per i giudei, che siamo con l'animo in sospeso. La verità è che nel cuore abbiamo deciso ed è chiara ai nostri occhi l'immagine del salvatore di cui abbiamo bisogno. E non ci rendiamo conto che stiamo aspettando e desiderando un mercenario, un estraneo, uno cui di noi non importa nulla.

Aspettiamo Barabba. Aspettiamo un brigante, l'importante è che ci risolva le cose. Per questo, rieccheggiando le parole dei demoni rivolte a Gesù nei sinottici, ci scandalizziamo del Signore, temiamo che venga a distruggerci, a scompaginare i nostri progetti di vita. Soprattutto, i nostri criteri, il nostro sguardo sul mondo, sulla vita, sugli eventi, sulle persone. Il cristianesimo non è una religione come le altre, alla sua origine ripete il Papa vi è un incontro personale capace di sconvolgere, convertire, cambiare e colmare l'esistenza. Dove si dà questo incontro, e dove esso si approfondisce in una conoscenza che superi la buccia dell'apparenza, necessariamente si da un cambio radicale di mentalità.

Appare un nuovo discernimento. Per questo Gesù parla di sè come del buon pastore, del pastore bello, del pastore vero. E per questo il contesto è proprio quello della festa di Hanukkàh, della Dedicazione, che celebrava la riconsacrazione del nuovo tempioad opera di Giuda Maccabeo, dopo la profanazione di Antioco Epifane. È la hanukkàh (consacrazione), detta in greco enkainía (rinnovazione) (cfr 1 Macc 4, 54-59; 2 Macc 1,8; 2,16; 10,5). In questa festa, secondo i rabbini e la tradizione ebraica, tra i tanti, vi sono due elementi che crediamo essere fondamentali per l'intelligenza delle parole di Gesù:

"Il decreto promulgato dai Greci Siriani, era di far "dimenticare la Tua Torà e violare i decreti della Tua volontà" agli Ebrei. I Greci adoravano la conoscenza. A loro non importava se gli Ebrei apprendevano la saggezza della Torà. Ciò che obiettavano violentemente era l'idea che la Torà provenisse da Dio - "la Tua Torà"... Per questa ragione i Greci contaminarono l'olio nel Beit Hamikdash". "La radice Hanukkah, da cui derivano Hanukkah e hinnukh (educazione), significa anche "educare".

La rivolta ebraica scoppiò quando il nemico greco tentò di colpire proprio le radici culturali e religiose del popolo e più precisamente, quando i Seleucidi, dominatori della Giudea, imposero agli ebrei di abbandonare progressivamente le proprie tradizioni, costringendoli ad adorare gli idoli nel Tempio di Gerusalemme. Di fronte al pericolo della perdita della propria identità, gli ebrei si opposero e organizzarono una resistenza che fondava le proprie basi sull'adesione all'educazione ebraica".

Gesù, nel mezzo di questa festa, passeggia nel tempio, sotto il portico di Salomone. Passeggia come Dio nel paradiso, alla ricerca di Adamo. La sua presenza e le sue parole sono per ciascuno un interrogativo: "dove sei?". E' lui che interroga, e denuda, per questo la reazione è scomposta, e sembra che le domande del Signore ci tolgano la vita. Gesù ci chiede conto della mentalità che guida la nostra vita.

Siamo sue pecore, oppure siamo sballottate qua e là da qualunque vento di dottrina, afferrate da uno dei tanti Barabba che attentano alle anime? Di fronte all'ingiustizia, alla malattia, all'umiliazione, alla solitudine, al disprezzo, al fallimento, quali sono le nostre reazioni? Con quali occhi, con quale mente, con quale cuore guardiamo oggi alla Croce? Chi ci sta educando? L'olio dello Spirito Santo, quello della sapienza della Croce, non è stato per caso profanato, e oggi giace inutilizzabile e ci troviamo come le vergini stolte, impossibilitate ad entrare al banchetto? Non abbiamo forse dimenticato la Parola che abbiamo ricevuto, consegnando il tempio della nostra vita agli idoli e al principe di questo mondo? Non siamo per caso oggi immondi, inadatti al culto, schiavi di mercenari e ingannatori?

Se così fosse la parola del Vangelo è proprio per noi, ed è una buona notizia. E' la sua voce, quella per la quale siamo nati, per la quale siamo stati creati. E' il Pastore vero, bello, buono, che ci strappa dall'inganno, che distrugge nella sua morte, la menzogna e l'inganno. E' Lui che riconsacra il suo tempio, la nostra vita. E' Lui che ci attira nella stessa intimità divina, nel Santo dei Santi, il cuore di Dio. E' Lui che si fa nostro condottiero, che torna a guidare le nostre menti e i nostri cuori per i cammini della giustizia, della sapienza crocifissa. E' la sua voce che schiude i nostri occhi sulle sue opere, i segni dell'amore di Dio nella nostra vita. E' la sua voce colma delle sue parole che che ci dona la fede per credere ed ottenere la vita che non muore. E' la sua mano trapassata dai chiodi che ci tiene stretti per l'eternità. Sono stati i nostri peccati a scrivere, a tatuare con il sangue i nostri nomi nelle mani del Signore. E Lui, con il suo sangue, li ha scritti in Cielo, per l'eternità, ed è questa la verità che si fa unica fonte di vera gioia, il pascolo che ci sazia perchè ci dona il perdono eterno.

E' la conoscenza di Dio in questo amore sperimentato mille volte, la conoscenza della misericordia, che scende sino al fondo più fondo delle nostre esistenze, è questa intimità che ci fa sue pecore, gregge del suo pascolo. La conoscenza crocifissa, che è la stessa sapienza con la quale guardare ogni istante della storia come una nota sullo spartito della sinfonia d'amore che Dio sta eseguendo per tutto il creato. E la nostra vita, il nostro corpo, il nostro cuore, la nostra mente, costituiscono così il nuovo tempio riconsacrato per il culto nuovo, quello della Chiesa, quello del Figlio: la lode di una vita perduta per amore. Seguendo il Pastore, insieme al Pastore. Perchè nessuno, nel mondo vada perduto.


Nessun commento: