IL DISCERNIMENTO PER CAMMINARE VERSO IL CIELO E' POSSIBILE SOLO IN CRISTO ATTRAVERSO LA COMUNITA'


Ci svegliamo un giovedì di giugno, stiamo per infilarci in uno dei tanti normalissimi giorni dell'anno, e forse non immaginiamo che oggi può diventare un giorno decisivo. Vediamo perché. Nel Vangelo appare di nuovo qualcuno che "si accosta a Gesù" per fargli una domanda. Ma stavolta sembra che ci sia qualcuno che cerchi davvero una risposta: "qual'è il primo di tutti i comandamenti?". In mezzo a tante domande trabocchetto finalmente ecco l'unica importante, alla cui risposta “nessuno oserà più interrogarlo”, neppure noi. Il termine "comandamento" ne traduce diversi ebraici che tra l’altro significano "una parola che affida un incarico". Secondo la tradizione di Israele, i comandamenti sono sempre "parole di vita, il cammino che conduce alla riuscita della vita attraverso il compimento della missione affidata. Lo vediamo anche in italiano: “co - mandare”, ovvero “mandare, inviare con” un incarico. La domanda dello “scriba” può significare: "Che cos'è decisivo e fondamentale nella vita? Quale è il cuore della missione che mi è affidata? Tra le tante che sento ogni giorno, qual'è la Parola che mi guida verso il Regno di Dio?". La nostra vita, infatti, è come una freccia scoccata dall'arco verso un obiettivo ben preciso. "Chet", uno dei termini ebraici che esprime il concetto di “peccato” significa "fallire il bersaglio"; in greco è tradotto con “hamartia”, che significa letteralmente “direzione sbagliata di vita”. Il peccato è dunque il fallimento dei propri obiettivi, un cammino contrario al compimento della propria vita. S. Agostino considera il peccato come un "bene che non ha raggiunto il suo fine". Secondo il Concilio Vaticano II è “una diminuzione per l’uomo stesso, impedendogli di conseguire la propria pienezza”. E’ quello che diciamo tante volte, magari senza accorgercene: “che peccato!”… Allora, chiedendo a Gesù quale sia il primo dei comandamenti, lo scriba è l’immagine di quella parte del nostro intimo che non è contaminata dalla menzogna. Anche oggi dovremo affrontare situazioni difficili e relazioni complicate, e potremmo reagire ribellandoci a Dio, oppure potremmo “ascoltare” questo Vangelo e convertirci, ovvero lasciare che “lo scriba saggio” che è in noi si “avvicini” a Gesù per chiedergli: “Signore, ti prego illuminami, che cosa c’è dietro a quello che mi accade? Qual’è il fondamento sul quale appoggiare i miei pensieri, le mie parole e i miei gesti per compiere la missione alla quale oggi mi chiami?”. Scopriremmo allora che questo giorno non è uno dei tanti usciti alla roulette della vita, ma è unico e irripetibile, e che ci è donato per fondare noi stessi sull’amore di Dio e così compiere l’incarico concreto che ci è affidato. Se sapremo porre umilmente a Gesù la domanda giusta e accogliere altrettanto umilmente la sua risposta, sapremo anche noi come lo scriba “rispondere saggiamente”, cioè amando, agli eventi e alle persone che oggi ci chiederanno risposte concrete in parole e gesti. Gesù infatti ci risponderà che “il primo dei comandamenti” è un fatto, una verità che Dio stesso ha rivelato compiendola: Lui è l’unico Signore della nostra vita. Se questo fondamento scompare, l’amore verso di Lui e verso il prossimo che ne consegue diventa incomprensibile e quindi impossibile. Come si fa ad amare chi non si conosce? E tu lo conosci Dio? E’ facile rispondere: basta vedere se nella tua vita è “il primo” e “l’unico Signore”. No vero? Allora “ascolta!”: Dio ti ama così come sei! Ti ama oggi che ti sei svegliato schiavo di te stesso e della tua paura di morire. Ti ama infinitamente, come nessuno ti ha mai amato. Lo credi? Forse no, non sino in fondo almeno, perché non abbiamo ancora accettato di essere anche noi i peccatori che hanno crocifisso Cristo. Agiamo “per ignoranza” come quelli che scelsero Barabba, incapaci di comprendere che “il primo di tutti i comandamenti” si stava compiendo dinanzi a loro in quel Messia che si faceva Agnello. Ma non potevano comprenderlo senza riconoscere di essere peccatori, e che proprio per loro era necessario quell’Agnello, “l’unico” che potesse prendere su di sé i loro delitti e perdonarli. Perché l’amore a Dio e al prossimo è “il primo di tutti i comandamenti” solo per chi ha sperimentato di non poter amare a causa dei propri peccati e ha accettato di aver bisogno che Cristo lo perdoni e lo colmi del suo amore. Così è stato per lo scriba che ha compreso che l’amore “val più di tutti gli olocausti e i sacrifici”. Egli certo ricordava il Salmo 40: “Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto. Non hai chiesto olocausto e vittima per la colpa. Allora ho detto: Ecco, io vengo, sul rotolo del libro di me è scritto, che io faccia il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero, la tua legge è nel profondo del mio cuore”. Sapeva quindi di non poter fondare la propria vita sugli “olocausti”, e che i “sacrifici” offerti per il peccato non potevano di cambiare il suo cuore. Per questo Gesù dice allo scriba che ha “risposto con sapienza” e che “non è lontano dal Regno di Dio”. Non vi era ancora entrato, ma “aprendo gli orecchi” per “ascoltare” la Parola perché si incidesse nel suo cuore, era giunto alle sue porte. Voleva compiere la volontà di Dio e in questo “desiderio” incontra nel suo intimo Gesù che, come leggiamo nella Lettera agli Ebrei, aveva lo stesso “desiderio”. Proprio perché era “impossibile cancellare i peccati con i sacrifici… entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato”. Con la sua saggia risposta lo scriba aveva deposto il suo desiderio nel desiderio di Gesù. Per entrare nel Regno non gli restava che accogliere lo Shemà compiuto per lui da Gesù, il “comandamento” che, nell’amore perfetto a Dio e al prossimo, “valeva più di tutti gli olocausti e i sacrifici”. Coraggio fratelli, oggi si schiude dinanzi a noi il Regno di Dio! Possiamo entrarvi attraverso la porta che è Cristo crocifisso, attraverso cioè gli eventi che ci crocifiggono perché solo in essi Egli potrà compiere in noi il “comandamento più grande”: amare Dio che “non vediamo”, quando sperimentiamo perfino l’abbandono del Padre, amando il prossimo che “vediamo”, debole e peccatore per dire con Cristo “Padre perdonali perché non sanno quello che fanno”.

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