αποφθεγμα Apoftegma
Francesco rappresenta un alter Christus,
era veramente un’icona viva di Cristo.
Egli fu chiamato anche “il fratello di Gesù”.
In effetti, questo era il suo ideale: essere come Gesù;
contemplare il Cristo del Vangelo,
amarlo intensamente, imitarne le virtù.
Davvero, cari amici, i santi sono i migliori interpreti della Bibbia;
essi, incarnando nella loro vita la Parola di Dio,
la rendono più che mai attraente,
così che parla realmente con noi.
Benedetto XVI
L'ANNUNCIO |
Dal Vangelo secondo Luca 6,12-19.
In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione.
Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli: Simone, che chiamò anche Pietro, Andrea suo fratello, Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo d'Alfeo, Simone soprannominato Zelota,
Giuda di Giacomo e Giuda Iscariota, che fu il traditore.
Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, che erano venuti per ascoltarlo ed esser guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti immondi, venivano guariti.
Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che sanava tutti.
Sulla "montagna" del Calvario" Gesù moriva e discendeva nel buio di ogni anima, anche in quella di Francesco. A Perugia prima, a Spoleto poi, sino a quella della Verna, le notti hanno avvolto la sua vita, ed erano gli abbracci innamorati del suo Signore. In quelle notti Dio ha dipinto Francesco, un'icona fedele e somigliante del suo Figlio: carne, ossa, parole e stigmate per dargli vita in quella generazione. Allo stesso modo, in ogni notte che ci ha rapiti, come questa che ci avvolge in questo tempo, è stata ed è la mano del Padre a tracciare sicuri i tratti di Gesù in noi. Ogni vocazione, infatti, nasce nella notte della Pasqua. Essa appare oscura, e lo è, eccome se lo è: quando ci scappa il presente dalle mani, senza capire nulla di quello che ci sta accadendo, e nessun futuro ci è dato di pensare; quando una malattia spezza i sogni e le speranze; o le altri notti che hanno inghiottito l'infanzia e la giovinezza, il divorzio dei genitori, la morte del padre, l'amico che ha tradito, la solitudine a scuola, il fidanzato che è sparito all'improvviso, la povertà e le umiliazioni. O quando il buio ci ha nascosto agli altri, per via di un fisico al di sotto degli standard, o di un pessimo carattere, o perché stranieri, goffi e balbettanti. Era il Signore che imprimeva in noi le sue stigmate. In ogni notte contro la quale abbiamo lottato, che non abbiamo accettato, e per la quale abbiamo sofferto; in ogni notte che abbiamo vissuto sommersi nella solitudine, vi era Gesù, accanto a noi, e pregava per noi. Lì dove tutto moriva Lui raccoglieva ogni frammento per farne un quadro meraviglioso. Dalla notte che il demonio ci ha fatto credere come il capolinea di ogni speranza, una galassia lontana dove ci aveva espulso la storia, nasce il "giorno" della nostra chiamata. Sì, perché ogni chiamata è il compimento del Mistero Pasquale di Gesù, della notte delle notti che si è fatta giorno senza tramonto. Il Signore ci chiama ogni giorno sulla "montagna" per essere con Lui l'agnello scelto per essere immolato. E di qui, ancora con Lui, "scendere" per scioglierci come sale nel mondo, perché ogni uomo possa risuscitare. Salire sulla Croce e scendere nell'umiltà, non c'è altro cammino per un apostolo. La nostra vocazione nasce in questo mistero di morte e risurrezione, per annunciare e testimoniare che ogni vita ha senso solo in esso: la notte nella quale sono stati amati e scelti gli apostoli è la notte di Cristo che ama sino alla fine. Non si tratta di sentire qualcosa, o di scegliere noi il Signore, ma di lasciarsi scegliere, raggiungere e accogliere dal "giorno" di Gesù. Non esiste chiamata autentica se non ha origine e non è ancorata nel perdono, nell'esperienza indubitabile di un amore così forte da vincere le tenebre della disperazione e del dubbio. Per questo ogni vocazione è la carne che veste la gratitudine, la storia che si fa didascalia della gioia. Niente di più lontano dal volontarismo pelagiano e narcisistico che si trasforma in clericalismo. L'essere chiamato ogni giorno per nome e inviato in missione nel matrimonio, nel sacerdozio o nella vita consacrata, è purissima Grazia; e la gioia in ogni situazione, quella autentica che trasuda anche dalle lacrime di dolore, è la prova che non si sta seguendo un'ideologia o un sogno, ma una chiamata cruda e santa. Gesù ci chiama anche oggi, sapendo che portiamo nel cuore il veleno di Giuda e quello di Pietro. Lui ci conosce e ci ama, e ci chiama deboli e fragili per una missione speciale: essere la sua gioia in mezzo al dolore, il suo "giorno" in mezzo alla notte del mondo. Per questo, anche oggi, e domani, e per tutta la nostra vita, "scenderà con noi" verso i "luoghi pianeggianti" dove giacciono le "moltitudini" di frustrati e falliti che non possono salire sul monte della Croce perché incapaci di soffrire e amare. "Tutta la folla", ma proprio tutti, anche i peggiori, hanno bisogno di "toccare" Gesù; nessuno tra i falsi profeti ha la sua "forza" per liberarli; non hanno trovato nel mondo chi li possa "guarire". Ma Gesù e la sua Chiesa, tu ed io nella nostra famiglia, con i colleghi e i parenti, abbiamo una "forza" che "guarisce tutti", anche il più corrotto. Lo ha fatto quel giorno in quella pianura, lo farà oggi, e guarirà "anche quelli che sono tormentati da spiriti immondi" e lo rifiutano.
APPROFONDIMENTI
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