αποφθεγμα Apoftegma
Egli divenne come me, perché lo potessi ricevere;
simile a me fu creduto, perché lo potessi
rivestire.
E io non tremai, quando lo vidi,
perché lui è la mia clemenza.
Egli divenne come la mia natura, perché
imparassi a conoscerlo,
e come il mio sembiante, perché da lui
non mi ritraessi.
Padre della conoscenza
è la Parola della conoscenza.
Egli si è dato per farsi vedere da chi è suo,
perché riconoscessero il loro fattore
e non pensassero d’esser sorti da sé.
La conoscenza egli ha stabilito come
suo sentiero;
l’ha ampliato, prolungato
e condotto
completamente a perfezione.
Vi ha posto sopra le tracce della sua luce
e il cammino dal principio ha
raggiunto la fine.
Ode VII di Salomone
L'ANNUNCIO |
Dal Vangelo secondo Luca 9,1-6
In quel tempo, Gesù convocò i Dodici e diede loro forza e potere su tutti i demòni e di guarire le malattie. E li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi.
Disse loro: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né sacca, né pane, né denaro, e non portatevi due tuniche. In qualunque casa entriate, rimanete là, e di là poi ripartite. Quanto a coloro che non vi accolgono, uscite dalla loro città e scuotete la polvere dai vostri piedi come testimonianza contro di loro».
Allora essi uscirono e giravano di villaggio in villaggio, ovunque annunciando la buona notizia e operando guarigioni.
CONVOCATI DAL CIELO PER PORTARE IL CIELO IN OGNI CASA
Il Regno dei Cieli è vicino, gli Apostoli ne sono gli ambasciatori. Un giapponese in Italia, ovunque vada, faccia quel che faccia, manifesta chiaramente la propria origine. È disegnata nei suoi occhi, l'annunciano le sue parole, la si intuisce dall’approccio alle cose della vita. Così è per gli Apostoli del Regno, ovunque giungano appare il Cielo. È impresso nelle loro vite, così diverse, così scandalose. Vite trasformate nella Chiesa, la comunità cristiana dove ciascuno di loro è stato "convocato". Il termine Chiesa, deriva infatti dalla radice ebraica «qăhăl», l'assemblea di popolo convocata da Dio. Come sottolineava l'allora Cardinal Ratzinger, "tali assemblee, esistevano tanto nel mondo greco quanto in quello semitico. La «qăhăl» ebraica si differenzia però dall’assemblea plenaria greca, costituita da cittadini con diritto di voto, in un duplice senso: alla «qăhăl» partecipavano anche le donne e i bambini, che in Grecia non potevano essere soggetti attivi della vita politica; erano infatti gli uomini che con le loro decisioni a stabilire quello che si doveva fare, mentre l’assemblea d’Israele si riuniva per ascoltare l’annuncio di Dio e darvi il proprio assenso, come accadde alle falde del Sinai. Cristo morto e risorto è il Sinai vivente; quelli che si accostano a lui formano l’assemblea eletta e definitiva del popolo di Dio, che stipula la Nuova ed Eterna Alleanza nel suo Mistero Pasquale. Con il battesimo gli apostoli sono stati inseriti in Cristo, non più molti, uno accanto all’altro, ma uno solo in Cristo Gesù". Per questo la Chiesa diviene il luogo della Nuova ed Eterna Alleanza tra Dio e gli uomini, tra il Cielo e la terra. Come Israele (gli apostoli sono dodici come le tribù del Popolo eletto) durante la teofania del Sinai, così gli apostoli convocati nella comunità che ascolta la Parola e celebra il culto, vedono Dio e non muoiono. Quello che era stato profetizzato nel deserto si compie nella Chiesa: Dio ha riaperto la porta del Paradiso, l'uomo esule e ramingo nel deserto di morte come il figlio prodigo, può tornare a casa dove il Padre lo attende per accoglierlo nella sua intimità. Gli apostoli sono i profeti che, convocati da Gesù, hanno camminato nella Chiesa sulla via del ritorno, della teshuwà (conversione); hanno sperimentato la propria debolezza e l'amore di Dio che li ha guariti dalla loro incapacità di restare in piedi e donarsi strappandoli alla menzogna del demonio.
La Chiesa, infatti, è l'unico luogo dove l'uomo non è dio, e proprio per questo può testimoniare e annunciare il Paradiso dove è vivo e ci ama il Dio unico e vero. Nel Vangelo di oggi dunque, appare la Chiesa, e, quindi, la sua missione. Ciò che gli apostoli sono inviati a fare è quello che Gesù ha fatto e fa per loro nella comunità. Come loro, nessuno di noi è passato per un ipotetico ufficio risorse umane della Chiesa. Siamo stati convocati, così come siamo, perché in noi risplendessero la forza dell'amore e il potere sui peccati di Cristo. Uniti a Lui nel grembo della Chiesa, siamo inviati ogni giorno nella volontà del Padre che è la salvezza di ogni uomo. Per questo ogni nostra parola e ogni nostro gesto saranno l'incarnazione delle parole e dei gesti di Gesù. Come portare con noi bastone (segno di comando e potere umano), denaro, pane, bisacce per il viaggio? Sono i segni dell'uomo vecchio che si fa dio, apostoli di se stessi che nessun peccatore potrà accogliere. Invece ogni missione, cioè ogni relazione è un vero e proprio "viaggio" da se stessi all'altro: ogni nuova giornata di lavoro, ogni mattina e serata in famiglia, ovunque siamo in cammino, senza radici e installazioni. Non abbiamo schemi per parlare ai figli. Come non abbiamo manuali per vivere le relazioni con i capi e i colleghi di lavoro. Abbiamo "solo" la Parola da annunciare, garanzia della libertà assoluta. Niente vincoli, nessuna catena, perché ogni giorno è nuovo e ogni relazione va costruita istante dopo istante, disposti a camminare e a viaggiare sino a dove si trova l'altro, nella libertà di rinunciare a tutto pur di salvarlo. Per entrare nella casa delle persone, nella loro intimità e familiarità, occorre portare una sola tunica, quella della nostra debolezza resa candida nel sangue dell'Agnello, identica a quella che indossa il prossimo a cui siamo inviati perché diventi per lui un segno di speranza. Non servono vestiti con cui cambiare a seconda delle situazioni, ma l'amore di Cristo che si è fatto peccato per noi, lasciandosi spogliare per raggiungerci nella nostra vergognosa nudità, e riportarci con Lui nella nudità innocente del figlio di Dio che vive abbandonato al suo Papà celeste. Coraggio, il Signore oggi ci convoca nella sua Casa dove ci sazia e trasforma nel suo amore, ci dona la sua forza e il suo potere, per entrare nelle case che ci accolgono a guarire e a scacciare il demonio, per fare di esse il luogo nel quale Gesù possa rimanere. E, per amore, scuotere dai sandali la polvere pagana della terra di chi ci rifiuterà, perché si accorgano della terra del Cielo giunta sino alle soglie della loro vita.
QUI IL COMMENTO COMPLETO E GLI APPROFONDIMENTI
Davide e Golia |
Niente "denaro" perché nulla dobbiamo comprare sulla strada della gratuità. Abbiamo pensato di legare il figlio regalandogli chissà cosa? Siamo così schiavi da non poter rifiutare quello che, per altro, sarebbe naturale non concedere? Una vacanza, la macchina, lo scooter o lo smartphone, gli oggetti per i quali i figli non hanno fatto nulla per guadagnarseli, non sono cambiali da versare per non essere in debito con loro, o per non avere problemi. L'unico debito è la carità, l'amore gratuito e nella Verità, che sa dire di no, dove un sì sarebbe puro veleno. Nessun "bastone" perché l'apostolo si appoggia solo laddove può distendere le sue braccia per donarsi. Unico suo bastone è la Croce, certificato di credibilità della sua missione. Un marito che non parli a sua moglie appoggiato alla Croce sarà sempre insincero, in cerca di un fondamento dove deporre se stesso. E i problemi, le sofferenze e i peccati non si conteranno. Per relazionarsi con sua figlia, una madre non può non essere crocifissa. Altrimenti come potrà annunciarle la castità, i sacrifici per custodire la santità del suo corpo, aiutandola a scegliere vestiti e atteggiamenti? Coniugi e genitori, sacerdoti e catechisti, vescovi e suore, tutti sono chiamati e inviati per lasciar risplendere in loro la luce della Grazia. Se questo non avviene saranno solo dei moralisti insopportabili, e seppelliranno l'annuncio del Vangelo sotto una valanga di leggi e codici senza Spirito. Spesso, purtroppo, come il Popolo di Israele con le sue tragiche alleanze, preferiamo appoggiarci al potere di questo mondo. E ne restiamo schiavi. Per questo, come già con la razione quotidiana di manna nel deserto, ogni mattina ci attende l'unica tunica, resa candida nel sangue dell'Agnello; ogni giorno abbiamo noi per primi bisogno della misericordia che ci fa, per Grazia, cittadini del Regno. Così, rivestiti di Cristo, possiamo annunciare il suo Vangelo a chi ci è accanto e ci attende a "casa" sua. Non possiamo esigere che escano e ci vengano a cercare, invitare, supplicare. Al contrario, siamo noi a essere inviati sino a "casa" loro: un apostolo non teme di sporcarsi e di entrare nei tuguri dove ha rinchiuso la propria vita il figlio; o di scendere nella cantina dove, per paura, si è rinchiuso il coniuge. Un apostolo, tu ed io, andiamo a "casa" di chiunque, per un servizio a domicilio che si faccia tutto a tutti, in ogni loro luogo. E ci sediamo a tavola con loro, per ascoltarli, e condividere i loro dolori; e, con pazienza, aspettare che sia Dio a toccare il loro cuore. Forse ci vorranno giorni, mesi, anni, chi può saperlo? Un apostolo resta, comunque, con amore e misericordia laddove abita colui al quale è stato inviato. Senza giudicare, esigere, sperare nulla, ma solo annunciando il Vangelo con parole e gesti, perché è l'unico capace di "guarire i malati". Questo è il "potere" inerme che Dio ci ha donato. Il potere di chi può stare sulla Croce, che non scappa, e su di essa sa comprendere chi, invece, la Croce non la sopporta, e la deve fuggire. Il potere dell'amore senza limiti, l'unico che può avere ragione dei "demoni", di "tutti" i demoni. Ma davvero lo crediamo? Abbiamo potere anche sul demonio più subdolo... O pensiamo, invece, che bisogna percorrere altre strade, psicologi, dialoghi, terapie di gruppo, e quant'altro. E invece la missione della Chiesa, come quella di Gesù, è un grande esorcismo: per questo non possiamo che essere crocifissi, ogni giorno, per scacciare "tutti" i demoni che si nascondono per distruggere la vita. Malattie, difficoltà, sofferenze, rifiuti, tutto ci fa missionari e vincitori: sono il legno della nostra fionda, la Croce, attraverso la quale la Parola predicata si fa autentica e credibile. Che il Signore ci conceda un cuore che sappia guardare ogni persona come un malato che ha urgente bisogno del Medico. Questo è l'amore autentico, che ha sempre questa consapevolezza di fondo, per esperienza personale. Solo in essa ci potremo avvicinare a tutti con dolcezza, pazienza e misericordia, senza dubitare che l'annuncio del Vangelo è l'unico capace di "operare guarigioni" autentiche ed eterne.
APPROFONDIMENTI
Sant'Agostino su Davide e Golia.
Questo è dunque l'uomo: tutto ciò che Dio gli comunica, il fatto che gli dà la sua grazia, su cui Davide riponeva la propria fiducia. Golia, viceversa, confidava in sé e nelle sue forze: era superbo, orgoglioso, sprezzante; fin dal principio ripose esclusivamente in se stesso la completa vittoria di tutto il suo popolo. E siccome ogni superbia comporta della sfrontatezza, ecco perché fu abbattuto da un sasso che gli andò dritto in fronte. Apparve così la fragilità d'una fronte che si presentava con la sfrontatezza della propria superbia, e vinse la fronte che recava l'umiltà della croce di Cristo.
L'Assemblea della Chiesa. J. Ratzinger
Il vocabolo greco, che sopravvive nel latino «ecclesia», deriva dalla radice veterotestamentaria «qăhăl», abitualmente tradotta con l’espressione «assemblea di popolo». Tali «assemblee», nelle quali il popolo si costituiva come entità cultuale e, a partire dal culto, come entità giuridica e politica, esistevano tanto nel mondo greco quanti in quello semitico.
La «qăhăl» veterotestamentaria si differenzia però dall’assemblea plenaria greca, costituita da cittadini con diritto di voto, in un duplice senso: alla «qăhăl» partecipavano anche le donne e i bambini, che in Grecia non potevano essere soggetti attivi della vita politica. Ciò dipende dal fatto che in Grecia sono gli uomini che con le loro decisioni stabiliscono quel che si deve fare, mentre l’assemblea d’Israele si riunisce «per ascoltare l’annuncio di Dio e darvi il proprio assenso». Questa concezione tipicamente biblica dell’assemblea del popolo deriva dal fatto che l’adunanza al Sinai era vista come modello e norma di tutte le successive adunanze; dopo l’esilio, essa venne ripetuta solennemente da Esdra come rifondazione del popolo. Ma per la continuazione della dispersione e il ritorno della schiavitù, sempre di più divenne nucleo centrale della speranza di Israele una «qăhăl» proveniente da Dio stesso, una nuova convocazione e fondazione del popolo. La preghiera per questa convocazione — per la nascita dell’ecclesia — appartiene al forte patrimonio della preghiera tardo-giudaica.
Risalta, dunque, il significato del fatto che la Chiesa nascente scelga appunto il nome di Chiesa. Essa dichiara in tal modo che in noi questa preghiera si è adempiuta. Cristo, morto e risorto, è il Sinai vivente; quelli che si accostano a lui formano l’assemblea eletta e definitiva del popolo di Dio (cfr. per es. Eb 12,18-24). Si capisce così perché non sia stata usata la comune definizione di «popolo di Dio» per designare la nuova comunità, ma sia stata scelta quella che indicava il centro spirituale ed escatologico del concetto di popolo. Questa nuova comunità si forma soltanto nella dinamica dell’adunanza originata da Cristo e sostenuta dallo Spirito Santo, e il centro di tale dinamica è il Signore stesso, il quale si comunica nel suo corpo e nel suo sangue. L’autodesignazione come «ecclesia» definisce il nuovo popolo nella continuità storico-salvifica dell’alleanza, ma anche da quel momento in poi, nella chiara novità del mistero di Cristo. Se va detto che «alleanza» in origine comporta essenzialmente il concetto di «legge», di giustizia, ciò significa allora che la «nuova legge», l’amore, diventa il centro decisivo, la cui misura estrema fu posta da Cristo con la sua dedizione fino alla sua morte sulla croce.
A partire da qui possiamo comprendere l’ampiezza di significato del termine «ecclesia» nel Nuovo Testamento. Esso indica sia l’assemblea cultuale, sia la comunità locale, sia la Chiesa di un più vasto ambito geografico, sia infine la stessa e unica Chiesa di Gesù Cristo. Questi significati si integrano perciò senza residui l’uno nell’altro, poiché tutto è sospeso al centro cristologico, che si concretizza nell’assemblea dei credenti alla mensa del Signore. E' sempre il Signore che nel suo unico sacrificio riunisce a sé il suo unico popolo. In tutti i luoghi si verifica l’assemblea dell’unico popolo. Questa considerazione è sottolineata da Paolo con estrema chiarezza nella lettera ai Galati. Rifacendosi alla promessa fatta ad Abramo, egli rileva con metodi interpretativi tipicamente rabbinici che quella promessa, in tutti e quattro i punti nei quali ci viene comunicata, si rivolge a un singolare, cioè «alla tua discendenza». Dunque, conclude Paolo, vi è sempre un portatore unico e non diversi titolari della promessa. Ma come si concilia ciò con la volontà divina di salvezza universale? Attraverso il battesimo — risponde Paolo — noi siamo stati inseriti in Cristo, ricomposti in un unico soggetto insieme con lui; non più molti, uno accanto all’altro, ma «uno solo in Cristo Gesù» (Gal 3,16.26-29). Solo l’autoidentificazione di Cristo con noi, solo il nostro fonderci in lui ci rende portatori della promessa: il traguardo ultimo dell’assemblea è quello della completa unità; è il divenire «uno» con il Figlio, che permette nel contempo di entrare nell’unità vivente di Dio stesso, perché Dio sia tutto in tutti (1Cor 15,28)
La «qăhăl» veterotestamentaria si differenzia però dall’assemblea plenaria greca, costituita da cittadini con diritto di voto, in un duplice senso: alla «qăhăl» partecipavano anche le donne e i bambini, che in Grecia non potevano essere soggetti attivi della vita politica. Ciò dipende dal fatto che in Grecia sono gli uomini che con le loro decisioni stabiliscono quel che si deve fare, mentre l’assemblea d’Israele si riunisce «per ascoltare l’annuncio di Dio e darvi il proprio assenso». Questa concezione tipicamente biblica dell’assemblea del popolo deriva dal fatto che l’adunanza al Sinai era vista come modello e norma di tutte le successive adunanze; dopo l’esilio, essa venne ripetuta solennemente da Esdra come rifondazione del popolo. Ma per la continuazione della dispersione e il ritorno della schiavitù, sempre di più divenne nucleo centrale della speranza di Israele una «qăhăl» proveniente da Dio stesso, una nuova convocazione e fondazione del popolo. La preghiera per questa convocazione — per la nascita dell’ecclesia — appartiene al forte patrimonio della preghiera tardo-giudaica.
Risalta, dunque, il significato del fatto che la Chiesa nascente scelga appunto il nome di Chiesa. Essa dichiara in tal modo che in noi questa preghiera si è adempiuta. Cristo, morto e risorto, è il Sinai vivente; quelli che si accostano a lui formano l’assemblea eletta e definitiva del popolo di Dio (cfr. per es. Eb 12,18-24). Si capisce così perché non sia stata usata la comune definizione di «popolo di Dio» per designare la nuova comunità, ma sia stata scelta quella che indicava il centro spirituale ed escatologico del concetto di popolo. Questa nuova comunità si forma soltanto nella dinamica dell’adunanza originata da Cristo e sostenuta dallo Spirito Santo, e il centro di tale dinamica è il Signore stesso, il quale si comunica nel suo corpo e nel suo sangue. L’autodesignazione come «ecclesia» definisce il nuovo popolo nella continuità storico-salvifica dell’alleanza, ma anche da quel momento in poi, nella chiara novità del mistero di Cristo. Se va detto che «alleanza» in origine comporta essenzialmente il concetto di «legge», di giustizia, ciò significa allora che la «nuova legge», l’amore, diventa il centro decisivo, la cui misura estrema fu posta da Cristo con la sua dedizione fino alla sua morte sulla croce.
A partire da qui possiamo comprendere l’ampiezza di significato del termine «ecclesia» nel Nuovo Testamento. Esso indica sia l’assemblea cultuale, sia la comunità locale, sia la Chiesa di un più vasto ambito geografico, sia infine la stessa e unica Chiesa di Gesù Cristo. Questi significati si integrano perciò senza residui l’uno nell’altro, poiché tutto è sospeso al centro cristologico, che si concretizza nell’assemblea dei credenti alla mensa del Signore. E' sempre il Signore che nel suo unico sacrificio riunisce a sé il suo unico popolo. In tutti i luoghi si verifica l’assemblea dell’unico popolo. Questa considerazione è sottolineata da Paolo con estrema chiarezza nella lettera ai Galati. Rifacendosi alla promessa fatta ad Abramo, egli rileva con metodi interpretativi tipicamente rabbinici che quella promessa, in tutti e quattro i punti nei quali ci viene comunicata, si rivolge a un singolare, cioè «alla tua discendenza». Dunque, conclude Paolo, vi è sempre un portatore unico e non diversi titolari della promessa. Ma come si concilia ciò con la volontà divina di salvezza universale? Attraverso il battesimo — risponde Paolo — noi siamo stati inseriti in Cristo, ricomposti in un unico soggetto insieme con lui; non più molti, uno accanto all’altro, ma «uno solo in Cristo Gesù» (Gal 3,16.26-29). Solo l’autoidentificazione di Cristo con noi, solo il nostro fonderci in lui ci rende portatori della promessa: il traguardo ultimo dell’assemblea è quello della completa unità; è il divenire «uno» con il Figlio, che permette nel contempo di entrare nell’unità vivente di Dio stesso, perché Dio sia tutto in tutti (1Cor 15,28)
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