Sabato della XXIII settimana del Tempo Ordinario



αποφθεγμα Apoftegma

Io conosco una persona - qui Francesco Saverio parla di se stesso - 
alla quale Dio ha concesso una grande grazia allorquando molte volte, 
sia nei pericoli come fuori di essi, 
si preoccupava di porre in Lui ogni sua speranza e fiducia, 
e il profitto che gli venne da ciò sarebbe assai lungo da scrivere. 
E poiché le maggiori tribolazioni in cui voi finora vi siete visti 
sono piccole al confronto di quelle che dovrete vedere se voi verrete in Giappone 
vi supplico e vi chiedo quanto posso, per amore e servizio di Dio nostro Signore, 
che vi disponiate al massimo, distruggendo molto le vostre affezioni personali 
poiché, sono d'impedimento a tanto bene.

San Francesco Saverio










L'ANNUNCIO
Dal Vangelo secondo Luca 6, 43-49
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non c'è albero buono che faccia frutti cattivi, né albero cattivo che faccia frutti buoni. 
Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dalle spine, né si vendemmia uva da un rovo. 
L'uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore; l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore. 
Perché mi chiamate: Signore, Signore, e poi non fate ciò che dico? 
Chi viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sopra la roccia. Venuta la piena, il fiume irruppe contro quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene. 
Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la rovina di quella casa fu grande». 


FONDANDO LA VITA SULL'UNICO FONDAMENTO CHE NELLA CHIESA SPERIMENTIAMO SOLIDO E AUTENTICO


In fondo, è tutta una questione di fondamenta. La riuscita di una vita dipende proprio dal modo in cui si gettano le fondamenta e la si costruisce sopra. Nel mondo si costruisce male perché si fonda male, scegliendo di poggiare la casa sulla terra senza scavare le fondamenta. Il demonio, infatti, inganna facendo balenare la falsa possibilità di un rapido successo: guardare, prendere e mangiare, un lampo e si diventa come dio. Che ne dite? Niente male, no? Purtroppo non accade mai così, anzi. La rovina di una vita è direttamente proporzionale alla velocità e alla superficialità con la quale essa è costruita. Così come accade nelle relazioni, nello studio e nel lavoro, nello sport e in ogni attività un uomo intraprenda. La concupiscenza, infatti, esige tempi rapidi. Appare e deve essere soddisfatta. Ciò significa che molto di quello che si fa nel mondo è mosso, subdolamente, dalla concupiscenza, ed è destinato a crollare subito, con la stessa velocità con cui ci si illude di saziare, dare compimento e pienezza. Basta pensare ai rapporti tra adolescenti, vissuti come “fast-food” degli affetti che, tracimando come un fiume di ormoni in piena e incontrollati, gettano in rovina la vita futura di tanti giovani, feriti nella dignità e consegnati al disprezzo di se stessi. Per questo "in quel tempo", oggi, Gesù parla a noi, alla comunità dei "suoi discepoli", scelti per salvare questa generazione, smentendo la menzogna con cui il demonio la tiene schiava. Non è vero che non esiste Dio, o che se esiste è un mostro che permette le ingiustizie. Non è vero che non è il fondamento solido e certo su cui fondare l’esistenza. Dio ama ogni uomo peccatore che va in rovina e ha inviato suo Figlio a scavare nella morte di tutti per raggiungerlo e risorgere con loro. Cristo è risorto, e la sua vittoria è la Roccia capace di stringere a sé chi su di essa ha posto le fondamenta perché il fiume in piena di peccati e morte non abbia il potere di smuoverla. Perché una vita autentica è quella che non va in rovina di fronte al male; una vita più forte della morte che, come un albero buono, dà i frutti belli e buoni: i pensieri, le parole e le opere di vita eterna che il cristiano, uomo rinato buono e bello nella bontà e bellezza di Cristo, trae fuori dal buon tesoro del suo cuore ricreato. I frutti originali e inconfondibili di un cristiano sono quelli dell’amore celeste che giunge anche al nemico. Non ci si improvvisa cristiani, non basta dire Signore, Signore, non è sufficiente andare al Signore e ascoltare la sua parola per vivere da figli di Dio; quando arriva il martirio, le invocazioni ipocrite di chi dice e non fa la volontà di Dio perché non ha lo Spirito di Gesù Cristo, sono solo frutti cattivi di chi non è fondato in Cristo, scandalizzano invece di testimoniare il Cielo. Quando il tuo coniuge ti chiede la vita che fai, gli rispondi “Signore, Signore”? Per questo, per formare i cristiani, la Chiesa ha sempre avuto i tempi lunghi e pazienti dell’agricoltore. Ha scavato molto profondo nella vita delle persone prima di battezzarle: “Quanti sono stati scelti e messi da parte per ricevere il battesimo saranno esaminati riguardo alla loro vita: se sono vissuti piamente mentre erano catecumeni, se hanno onorato le vedove, visitato i malati e praticato tutte le buone opere. Se coloro che si presentano rendono testimonianza della loro condotta, allora ascoltino il Vangelo... Se si trova uno che non è puro, verrà scartato, perché non ha ascoltato le parole dell'istruzione con fede. Uno spirito estraneo e cattivo dimora in lui” (Ippolito, Tradizione Apostolica). Per essere purificati dallo spirito estraneo a Cristo che è quello del demonio occorre scendere, scendere, scendere nella verità, perché la Parola di Dio giunga a stanarlo nelle zone più oscure dove si nasconde. Solo allora vi potrà prendere dimora quello dello Sposo che colma il cuore dal quale trarre fuori il bene che attende chi ci è accanto. Coraggio allora, non aver paura di scendere, di umiliarti e passare per il buio dove scende a disfarsi il seme per diventare radici solide sui cui la vita possa innalzarsi verso il Cielo; non temere di entrare nell’assurdo che sembra essere lo scavare mentre si vuole edificare. I momenti in cui non si vede e non si sente nulla sono i più fecondi, perché in essi Dio è all’opera per fondare e radicare la tua vita sul suo amore incorruttibile.









"In quel tempo", oggi, Gesù parla alla comunità dei "suoi discepoli"; non si rivolge al mondo, ma a noi, vescovi, preti, catechisti, padri, madri, insegnanti, a tutti coloro che sono stati piantati nel suo campo per dare "frutti buoni e belli". Quando nel Vangelo appare l'immagine dell'albero occorre pensare innanzitutto al seme da cui si è sviluppato. Alla predicazione che ha seminato nel "cuore" l'annuncio del kerygma, dando inizio a un percorso di crescita nella fede. 

Per questo Gesù dice anche che bisogna "scavare molto profondo", "porre le fondamenta sulla roccia", e così "costruire bene". Sta parlando del battesimo, del cammino con cui ci preparava a riceverlo e della vita nuova dei cristiani con cui la Chiesa avrebbe annunciato al mondo la salvezza . 

Di fronte ai "fiumi" in "piena" che, gonfi di male, "investono" il mondo facendo andare in "rovina" la vita di tanti, i cristiani sono chiamati a mostrare la Chiesa come una "casa" che il demonio non "riesce a smuovere". Ovunque intorno a noi il nome di Dio è maledetto: famiglie distrutte, aborti, abomini di ogni tipo, guerre, sfruttamenti delle persone. 

Non solo, anche le malattie e le morti premature, i disastri ambientali, i rovesci economici inducono a bestemmiare Dio. In mezzo a tutto questo i cristiani sono chiamati a "santificare il Nome di Dio" nella loro vita; perché gli uomini possano passare dalla bestemmia alla benedizione devono poter vedere in loro i "frutti buoni" che nascono dall'"albero buono" della Croce. Devono poter ascoltare dalle loro "bocche" l'annuncio di salvezza che "parla dalla pienezza" d'amore di un "cuore" rigenerato.

Chi ci è accanto ha diritto alla salvezza, quindi ha diritto di incontrare un popolo che dà gloria a Dio nelle stesse situazioni difficili e di sofferenza che vivono tutti; una comunità che annuncia e testimonia la verità, che cioè Dio è un Padre buono, che ama ogni uomo, che ha mandato suo Figlio a vincere il peccato e la morte, per dare a tutti la possibilità di camminare in una vita diversa, piena, felice, anche tra le sofferenze. 

Per questo, con le sue parole il Signore viene oggi a "vendemmiare" nella sua vigna, cercandovi l"'uva", ovvero il vino nuovo della vita cristiana da offrire al mondo. Così faceva la Chiesa primitiva: "Quanti sono stati scelti e messi da parte per ricevere il battesimo saranno esaminati riguardo alla loro vita: se sono vissuti piamente mentre erano catecumeni, se hanno onorato le vedove, visitato i malati e praticato tutte le buone opere. Se coloro che si presentano rendono testimonianza della loro condotta, allora ascoltino il Vangelo... Se si trova uno che non è puro, verrà scartato, perché non ha ascoltato le parole dell'istruzione con fede. Uno spirito estraneo e cattivo dimora in lui" (Ippolito, Tradizione Apostolica).

Il Signore scruta i nostri "cuori" per vedere che tipo di "pienezza" stanno producendo, se i frutti sono dati dallo Spirito Santo o da uno spirito estraneo al Vangelo e "cattivo". Guarda alla nostra "bocca" come a un "albero", e ascolta le "parole" che vi escono come fossero i suoi "frutti". Sono "buoni" come i "fichi" o pieni di "spine"? Sono i "frutti" della Croce gloriosa di cristo, o sono avvelenati come quello che il demonio ha spinto Eva a mangiare?

Non possiamo illudere nessuno, come "un albero buono non può dare frutti cattivi", così anche le "parole rivelano il cuore"; anche se con esse chiamiamo Gesù "Signore, Signore", potremmo celare lo stesso cuore di Giuda che si era avvicinato a Lui per baciarlo. Quello che conta sono i fatti, le opere, "i frutti", non le "parole". 

Non importa se sono impreziosite da citazioni bibliche, piene di forza profetica, unite come una collana di perle a formare una catechesi stupenda. Scriveva San Francesco Saverio: "nell'inferno vi sono molti i quali, quando stavano nella vita presente, furono la causa e lo strumento affinché gli altri si salvassero per mezzo delle loro parole e se ne andassero alla gloria del paradiso, mentre loro, mancando di umiltà interiore, andarono all'inferno essendosi fondati su una ingannevole e falsa opinione di loro stessi"

Forse oggi il Signore trova la nostra vita come "una casa" appena appoggiata sulla "terra", senza altro "fondamento" che il nostro orgoglio presuntuoso. Per questo, di fronte ai "fiumi" che ci "investono" ogni giorno, non possiamo far altro che difenderci ed erigere argini sempre più precari, e darci sotto più forte, rispondendo al male con il male, colpo su colpo. 

Quante volte a messa hai ripetuto "Signore, Signore"? Moltissime, ma poi quando torni a casa, e tua moglie, che ti conosce e non ha voglia di passare la settimana discutendo, ti chiede all'ultimo momento di andare a pranzo dai suoi? Basta un secondo, e l'eco di quel "Signore, Signore" è già spenta, sostituita immediatamente da un irato "io, io"... Io non ce la faccio, mi brontolano sempre, mia suocera poi non la sopporto; guarda, ho mille cose da fare, non posso perdere tempo con quei babbioni. Ecco la "spina" con cui ferisci tua moglie, che invece aveva bisogno della tua "uva"... Come le altre parole con le quali mentiamo, insultiamo, inganniamo, uccidiamo, perché il nostro cuore è pieno di veleno, non ha altro con cui riempire la nostra bocca.

Spesso ci ritroviamo così, senza "fondamenta", perché abbiamo dimenticato che cosa significhi dire "Signore, Signore". Il termine traduce la parola greca "Kyrios", il termine che nella "Settanta" (traduzione greca dell'Antico Testamento del III secolo) a sua volta traduceva il tetragramma YHWH, il Nome di Dio: "Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre".  

Dunque, se diciamo "Signore, Signore" significa che anche la nostra lingua sta proclamando che Gesù Cristo, crocifisso e morto per i nostri peccati, è risuscitato ed è "il Signore". Significa che lo crediamo perché lo abbiamo sperimentato nella nostra vita, dove Lui è il Signore della nostra carne e dei suoi desideri.    

Ma se "non facciamo quello che Gesù dice", allora stiamo "pronunciando invano il nome di Dio". In ebraico "pronunciare" si può tradurre anche "portare". Per questo "il Talmud interpreta il comandamento "non porterai il nome di Dio invano" come "non farai falsi giuramenti", perché l'espressione "portare il nome" significa "giurare" ( M-A. Ouaknin). Stiamo giurando che Dio esiste, che Cristo e risorto, e con la vita affermiamo il contrario. 

Stiamo ripetendo il nome "Signore, Signore" invano, ovvero, secondo il significato ebraico del termine, senza distinguerlo dal resto. Dio è per noi uno tra i tanti, e per questo ci è indifferente vivere obbedendo a quello che dice o seguire la nostra volontà. Come farà allora chi ci incontra a distinguere la terra e il Cielo, la speranza dalla disperazione, la vita autentica da quella destinata a corrompersi?

Chiamati a "santificare il nome di Dio" lo stiamo rendendo oggetto di insulto e bestemmia. E così siamo uno scandalo, una "rovina" per la Chiesa, per i fratelli e per chi attendeva da noi "parole" autentiche, "piene" di speranza, un annuncio del Vangelo credibile a cui aggrapparsi.

Per questo il Signore oggi ci chiama a conversione. Con te e con me, con la maggioranza di quanti vanno a messa e dicono di essere cristiani ma non danno i frutti del battesimo, è necessario un percorso di formazione cristiana che accompagni tutta la vita: "Il Battesimo si estende a tutta la nostra vita: sia pre-battesimale, sia post-battesimale, siamo sempre in cammino battesimale, in cammino catecumenale. La nostra sfida è vivere il dono del battesimo, vivere realmente, in un cammino post-battesimale" (Benedetto XVI).

Per vincere questa "sfida" bisogna innanzitutto "scavare molto profondo". Per questo il Signore scende come uno Sposo nella sua vigna in “rovina”, come quando si inoltrò negli inferi. E ci tende la mano con misericordia, per "andare a Lui", ma stavolta per "ascoltare le sue parole" e "metterle in pratica". Ciò significa accogliere la Parola di Dio, la predicazione e la catechesi che "scavano" in noi, svelandoci gli inganni con cui il demonio ci tiene schiavi. Sono così "profondi" che non ce ne siamo mai accorti. 

Solo quando saranno illuminati e spazzati via saremo liberi per “ascoltare”, obbedire e fondare la nostra vita sulla "Roccia" del suo amore incorruttibile. Rinunciato agli idoli e al peccato, potremo accogliere il "Signore" nella nostra vita abbracciando la Croce che ci unisce a sé indissolubilmente, l'unica che dà frutti autentici e capaci di saziare.

Allora sapremo "costruire bene", seguendo le sue orme incise nell’insegnamento della Chiesa, dei pastori e dei catechisti, divenendo noi stessi il Nome di Dio annunciato al mondo, come lo furono Abramo, Isacco e Giacobbe: "Dio prende questi tre e proprio nel suo nome essi diventano il nome di Dio. Per capire chi è questo Dio si devono vedere queste persone che sono diventate il nome di Dio, un nome di Dio, sono immersi in Dio. Chi sta nel nome di Dio è vivo, perché Dio – dice il Signore – è un Dio non dei morti, ma dei vivi. E proprio questo succede nel nostro essere battezzati: diventiamo inseriti nel nome di Dio, in un’unica, nuova esistenza apparteniamo a Dio, siamo immersi in Dio stesso, così che apparteniamo a questo nome e il Suo nome diventa il nostro nome e anche noi potremo, con la nostra testimonianza – come i tre dell’Antico Testamento –, essere testimoni di Dio, segno di chi è questo Dio, nome di questo Dio” (Benedetto XVI).

APPROFONDIMENTI



San Francesco Saverio. Solo l'umiltà ci fa fondare la casa sulla Roccia

Si deve temere più per la sfiducia in Dio che non per il timore del nemico. Dio permette al demonio di affliggere e tormentare quelle creature che, da pusillanimi, cessano di confidare nel loro Creatore e non attingono forza nello sperare in Lui. Per questo male tanto grande della pusillanimità, molti di coloro che hanno cominciato col servire Dio, vivono desolati per non andare avanti, portando con perseveranza la soave croce di Cristo.
Inoltre coloro che si ritengono qualcosa, facendo assegnamento su loro stessi più di quanto non valgano, disprezzando le cose umili senza essersi molto esercitati e avvantaggiati vincendosi in esse, sono più deboli dei pusillanimi durante i grandi pericoli e travagli perché, non portando a termine quello che avevano cominciato, perdono il coraggio per le piccole cose allo stesso modo con cui lo avevano perduto per le grandi.
E dopo sentono in sé tanta ripugnanza e vergogna ad esercitarsi in esse, che corrono gran pericolo di perdersi oppure di vivere desolati, non riconoscendo in sé le loro debolezze, che attribuiscono alla croce di Cristo, dicendo che è faticosa da portare avanti. 
O fratelli, che sarà di noialtri nell'ora della morte se nella vita non ci prepariamo e ci disponiamo a saper sperare e confidare in Dio, dato che in quell'ora noi ci troveremo in tentazioni, travagli e pericoli in cui non ci siamo mai visti, tanto dello spirito come del corpo? Pertanto, nelle cose piccole, coloro che vivono col desiderio di servire Dio, si devono impegnare nell'umiliarsi molto, sconfiggendo sempre se stessi, ponendo un grande e solido fondamento in Dio, affinché nei grandi travagli e pericoli, tanto della vita come della morte, sappiano sperare nella somma bontà e misericordia del loro Creatore. 
Tutto ciò lo hanno appreso nel vincere le tentazioni nelle quali, per piccole che fossero, trovavano ripugnanza e diffidando di sé con molta umiltà e fortificando i loro animi avendo confidato molto in Dio, poiché nessuno è debole quando adopera bene la grazia che Dio nostro Signore gli da. 
E per quanti impedimenti il nemico gli metta nella perseveranza della virtù e della perfezione, corre più pericolo manifestandoli al mondo, quando si trova in grandi tribolazioni e non ha per esse fiducia in Dio, che non soffrendo le tribolazioni che il diavolo gli presenta. 
Se il timore che gli uomini hanno del demonio nelle tentazioni, paure e minacce che questi pone loro davanti onde distrarli dal servizio di Dio, lo convertissero nel timore del loro Creatore, lasciandolo fare e avendo per certo che se tralasciano di compiere il proprio dovere con Dio sarà per loro un male maggiore di quello che può capitare da parte del demonio, o quanto vivrebbero consolati e quale profitto ne trarrebbero, sapendo per esperienza quale poca cosa essi siano! Inoltre vedrebbero chiaramente che possono valere molto solo unendosi strettamente a Dio, mentre il demonio come resterebbe confuso e debole nel vedersi vinto da coloro sui quali una volta era stato vincitore!
Pertanto vi prego, in tutte le vostre cose, di fondarvi totalmente in Dio, senza confidare nel vostro potere o sapere od opinione umana, e in tal modo faccio conto che voi siate preparati per tutte le grandi avversità, sia spirituali sia corporali, che vi possono accadere, poiché Dio solleva e fortifica gli umili, soprattutto quelli che nelle cose piccole e basse hanno visto le loro debolezze come in un limpido specchio e in esse seppero vincersi. Questi tali, quando si vedono in tribolazioni maggiori di quelle in cui mai si siano trovati, e sprofondando in esse, né il demonio con i suoi ministri, né le molte tempeste del mare, né le genti malvagie e barbare tanto del mare come della terra, né alcun'altra creature li può danneggiare: essi sanno per certo — stante la grande confidenza che hanno in Dio — che senza il Suo permesso o licenza non possono far niente.
Ed essendo a Lui manifeste tutte le loro intenzioni e il desiderio di servirlo ed essendo tutte le creature a Lui obbedienti, confidando in Lui non temono alcuna cosa, se non soltanto di offenderlo; essi sanno che, quando Dio permette al demonio di fare il suo mestiere e alle creature di perseguitare un uomo, è per provarlo oppure per una migliore conoscenza interiore, o per castigo dei propri peccati, o per maggior merito oppure per sua umiliazione. In questo modo gli uomini ringraziano infinitamente Dio perché concede loro tanto dono, e amano coloro che li perseguitano poiché sono lo strumento con cui viene loro così gran bene; e non avendo essi di che pagare tale grazia e per non essere ingrati, pregano Dio per i persecutori con grande efficacia: spero in Dio che così sarete voialtri.

(Lettera 90)



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