αποφθεγμα Apoftegma
Dove ci invia Gesù? Non ci sono confini, non ci sono limiti: ci invia a tutti.
Il Vangelo è per tutti e non per alcuni.
Non è solo per quelli che ci sembrano più vicini,
più ricettivi, più accoglienti.
E’ per tutti.
Non abbiate paura di andare e portare Cristo in ogni ambiente,
fino alle periferie esistenziali,
anche a chi sembra più lontano, più indifferente.
Il Signore cerca tutti,
vuole che tutti sentano il calore della sua misericordia e del suo amore.
Papa Francesco
L'ANNUNCIO |
Dal Vangelo secondo Luca 10,1-12
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».
QUI IL COMMENTO COMPLETO
Ciascuno di noi, discepolo di Gesù, è inviato come agnello in mezzo a un branco di lupi; questo significa essere sbranati. Per questo, nella missione della Chiesa, la sconfitta è programmatica: "La forza della Parola non dipende anzitutto dalla nostra azione, dai nostri mezzi, dal nostro 'fare', ma da Dio, che nasconde la sua potenza sotto i segni della debolezza, che si rivela sul legno della Croce" (Benedetto XVI, Omelia dell'11 Ottobre 2011). Ogni cosiddetto "piano pastorale" nasconde una contraddizione in sé stesso: non se ne conoscono che pongano, come obiettivo, il fallimento e il martirio, essenziali, invece, per la missione e che non si possono programmare. La missione dei settantadue incarna e annuncia la paradossale novità del Discorso della Montagna, compiedo quella affidata ai settandue anziani, di aiutare Mosè nel governo del popolo. Così i discepoli partecipano della missione di Gesù, il nuovo Mosè: la vita di ogni uomo è un esodo che punta al regno dei Cieli. Annunciandolo, i discepoli governano le nazioni riconducendole, nel deserto di ogni generazione, all'obbedienza alla volontà di Dio. Con loro, infatti, si avvicina e appare il Cielo, la primizia credibile del regno a cui tutti sono chiamati: qualcosa che non si è mai visto prima, che sfugge a ogni programmazione, il compimento stupefacente delle promesse di Dio. Nel regno annunciato ogni criterio mondano è stravolto. Il buon senso carnale mostra la sua inconsistenza. La Verità ha ragione della menzogna, e la vanità si dissolve per far posto all'autenticità.
Unico piano pastorale di Gesù è quello di consegnarsi, mite e indifeso, alla morte. Unico progetto, la croce. I discepoli sono i messaggeri del Signore inviati avanti a Lui ad annunciare il suo arrivo. Ambasciatori dell'agnello non possono che essere agnelli. Per questo siamo inviati nudi, senza alcuna sicurezza, indifesi. Niente bastone, niente calzari, niente borsa, alla mercè di tutto e di tutti. Crocifissi. E dentro il fuoco ardente dello zelo per annunciare il Vangelo: il mondo giace nelle tenebre della schiavitù, non c'è tempo per salutare, per convenevoli e cedimenti affettivi. Ci si ferma in una sola casa, la comunità dove pregare, ascoltare la Parola e nutrirsi dei sacramenti, la comunione che approfondisce l'intimità con Colui che invia.
Niente legami di casa in casa, niente ricerche di affetto e compiacenze, niente luoghi dove pianificare strategie. Il riposo arriverà dopo, quando ritorneranno dal Signore, per esultare con Lui nel vedere i propri nomi scritti in Cielo. Il passaggio dei discepoli è la luce pasquale che illumina la notte: essi sono gli azzimi della fretta, dell'urgenza che infiamma il cuore di Dio; sono le sue viscere commosse di misericordia per ogni suo figlio reso lupo dall'inganno del demonio: annunciano la Pace, il riscatto e la libertà. I discepoli, come paraninfi del Signore cercano i figli della Pace per prepararli alle nozze con Cristo. I discepoli, come Giovanni Battista, preparano il banchetto di nozze nelle quali il lupo ritorna ad essere l'agnello che è stato creato. "Chi dunque può rendere testimonianza a questa luce solare latente nella carne come in una nube? Tale compito è proprio degli amici dello sposo; nelle nozze umane è tradizionale un rito solenne, per cui, oltre tutti gli altri amici, è presente anche il paraninfo, amico più intimo, che conosce la casa dello sposo. Ma costui è importante, veramente molto importante. Quel che nelle nozze umane, uomo a uomo è il paraninfo, questo è Giovanni in rapporto a Cristo" (S. Agostino, Discorso 293).
Per questo, laddove sono accolti, i discepoli mangiano ciò che viene posto loro innanzi: come il Signore a casa di Matteo, dove assume su di sé il cibo della carne, si carica dei peccati per donare se stesso, il perdono che dà la vita nuova ed eterna: "Dio è accusato di chinarsi sull'uomo, di accostarsi al peccatore, di aver fame della sua conversione e sete del suo ritorno. Si mette sotto accusa il Signore perché prende il piatto della misericordia e il calice della pietà. Fratelli, Cristo è venuto a questa cena, la Vita è scesa tra questi convitati, perché i condannati a morire vivano con la Vita. La Risurrezione si è chinata, perché coloro che giacciono si levino dalle tombe. La Bontà si è abbassata, per elevare i peccatori fino al perdono. Dio è venuto all'uomo, perché l'uomo giunga a Dio. Il Giudice si è seduto alla mensa dei colpevoli, per sottrarre l'umanità alla sentenza di condanna. Il Medico è venuto dai malati, per guarirli mangiando con loro. Il buon Pastore ha chinato le spalle per riportare la pecora smarrita all'ovile di salvezza". (S. Pietro Crisologo, Discorsi, Sermo 30). I discepoli sono inviati a preparare questo banchetto, annunciando che Dio si è fatto carne e in essa ha distrutto il veleno di morte. Come il Signore portano la natura divina nella debolezza della natura umana, fragilità e precarietà che si fanno evidenti nella missione.
Tutto questo è la nostra vita. Ogni mattina siamo inviati avanti al Signore: il caffè con la moglie, la colazione con i figli, le strade intasate e le metro stracolme, la scuola, l'ufficio, ogni circostanza sino al momento di spegnere la luce e addormentarsi. Come pecore in mezzo ai lupi, in cerca dei figli della Pace cui riconsegnare la Pace perduta, il trofeo conquistato dal Signore nel combattimento vittorioso ingaggiato con il peccato e la morte: "Pace a voi!", la pace che sgorga dalle stigmate gloriose di Cristo risorto mostrate dai discepoli nella loro totale precarietà. Tutto è perdonato, si può vivere una vita diversa, autentica, piena. Si può amare perché la paura della morte che spinge a farsi lupi - homo homini lupus - è stata dissolta nella certezza di un amore più forte della tomba. Si può perdonare, si può pazientare, si può donare la propria vita. La fame dei lupi è stata saziata dall'Agnello senza macchia. La fame di affetto, di comprensione, di giustizia, di misericordia che ogni giorno miete vittime accanto e dentro di noi, è stata saziata dall'amore crocifisso, scandalo e stoltezza che cura ogni malattia.
Si può vivere come agnelli, anzi, proprio la vita di un agnellino è l'unica autentica, quella che custodisce la caparra del Cielo. E' questa la missione che ci ha raggiunto. Non si può pianificare la castità tra due fidanzati: ogni volta che escono insieme sono inviati come pecore in mezzo ai lupi delle concupiscenze, dell'egoismo che offre tutto a se stesso. Non si pianifica l'educazione: ogni giorno i genitori sono inviati come pecore in mezzo ai lupi delle ribellioni, dell'esigenza di autonomia, dell'immaturità. Non si programma l'essere marito, moglie, padre, figlio, fidanzato, collega di lavoro; non si pianifica secondo i criteri mondani un matrimonio, un'amicizia, un'attività lavorativa, lo studio. Non si pianifica il Servo di Yahwè: è una grazia che sgorga dall'essere stato scelto ed inviato, la primogenitura che costituisce la missione, la vita del missionario.
Nei “settantadue”, infatti, la morte è stata vinta e, più ancora nel rifiuto e nella persecuzione, con loro si fa “vicino il Regno di Dio”; esso è preparato anche per i nemici della Croce di Cristo, gli abitanti delle “Sodoma” che rifiutano e uccidono gli stranieri messaggeri di una vita diversa e senza peccato; liberi e senza paura, siamo inviati ad amarli nella verità, “scuotendo la polvere” di corruzione e vanità calpestata per raggiungerli, rivelando sin dove si spinge lo zelo di Dio per la pecora perduta. Ogni giorno siamo chiamati ad essere, come Cristo e con Lui, i messaggeri che giungono dal Cielo a testimoniare, nella vita e nelle parole, che la morte non é l'ultima parola. Nei discepoli brilla la pace che genera l'educare, il lavorare, lo studiare; la pace nella malattia, nella tentazione, nel fallimento di ogni progetto, anche nel rifiuto della stessa pace offerta: ovunque a farsi mangiare e saziare di Cristo la fame di tutti, come, ogni giorno, il Signore sazia la nostra.
UN ALTRO COMMENTO
“Andare e annunciare”, la Chiesa è viva in questi due verbi: "Essa esiste per evangelizzare, per predicare e riconciliare i peccatori con Dio" (Paolo VI, Evangelii nuntiandi). E, dentro, un amore infinito a muovere gambe, labbra e cuore, l'amore più grande, annunciare l'amore, che ha un nome, è una persona, è Cristo Gesù. L'annuncio del Vangelo è sempre un'apparizione di Cristo risorto: ovunque giungano i suoi messaggeri si rinnova la Pasqua: "Pace a voi! Pace a questa casa", lo stesso annuncio che ha deposto il Cielo sulla terra.
"Egli è venuto ad annunziare pace a voi che eravate lontani e pace a coloro che erano vicini": nei suoi apostoli Egli "è venuto" e "viene" ogni giorno passando attraverso la porta sprangata dietro la quale si nasconde l'uomo di ogni tempo, alienato nel cinismo che cantava John Lennon in Imagine, la canzone che ha sedotto milioni di giovani: “Immagina che non esiste paradiso, è facile se provi”. Ma Cristo èvenuto a sgretolare questo immaginare falso e distruttivo proprio annunciando la Pace, caparra di quel Paradiso che Lennon negava.
Come gli esploratori che, inviati da Mosè nella Terra di Canaan, tornarono con le primizie ivi raccolte, Gesù è tornato dal Paradiso portando il suo frutto più squisito, la Pace che fa dei due, di ogni Adamo ed Eva inesorabilmente separati dal veleno del peccato, una sola creazione nuova. Gli Apostoli gioirono nel vederlo di nuovo vivo; erano “figli della Pace”, e la Pace “discese su di loro”.
Ma il mondo ha cancellato dal suo orizzonte il peccato originale, e non sa più da dove prendere il male: esso sguscia via dai cuori, dalle menti, dalle mani, e domina e uccide. Occorre un miracolo, un segno, la testimonianza che non tutto finisce ingoiato dall'assurdo della morte e del male. Urge il Regno dei Cieli, qui ed ora, visibile, come un avvenimento autentico e gratuito, perché l'uomo smetta di costruirselo. E' necessario che la Chiesa annunci il Regno dei Cieli, incarnando come un sacramento di salvezza, l'irrompere di Dio nella storia dell'umanità.
Ma anche oggi “sono pochi gli operai” che, liberi perché amati, si gettino nella “messe abbondante”. Non si crede più che il mondo sia una “messe” pronta per la mietitura perché si è dimenticato il potere del Seme caduto in terra e morto per non rimanere solo. Si parla tanto di inculturazione del Vangelo, spesso dimenticando l’amore che muove l'evangelizzazione.
Si ingabbia il Vangelo nelle trame delle diverse culture sino a gettarlo prono dinanzi alla dittatura del relativismo etico e morale dei tempi e delle mode; si pensa così di renderlo più commestibile e appetibile. Per paura del rifiuto e del fallimento si annacqua l’annuncio nel compromesso, come facciamo spesso nella nostra vita. Ciò che realmente ci preme è non fallire, è l'essere compresi, accettati. Lo scandalo della Croce fa paura, perché si è dimenticato il Cielo che essa dischiude.
Per questo Gesù invia gli apostoli come ambasciatori del Regno di Dio; ne hanno sperimentato la vita e l’amore, devono annunciarlo, non possono perdersi in “saluti” e convenevoli. Con loro nessuna sicurezza di quelle in uso al di là del muro che separa il Cielo dalla terra. “Non passano di casa in casa” e non si legano strumentalmente a nessuno, perché non cercano la propria gloria, ma si sfiniscono perché nessuno vada perduto. “Accolti in una città, mangiano quello che è offerto” loro, anche il cibo avariato dalla menzogna del demonio, e non temono di “bere” anche il calice colmo dell’aceto amaro del peccato; “restano nella casa” dei “figli della pace”, ascoltando il dolore per “guarire i malati” con la misericordia e la stoltezza della predicazione; sanno, infatti, che solo la Parola del Vangelo ha il potere di sanare anche le situazioni più disperate.
Come i “discepoli” di Gesù - scelti alla stregua dei “settantadue anziani” che affiancarono Mosè nel governo di Israele - siamo inviati a giudicare le cause che il demonio ha intentato contro chi ci è accanto, in famiglia come al lavoro, a scuola o tra gli amici. Siamo “mandati come pecore in mezzo ai lupi", discepoli dell’Agnello che ha sottratto alla pena di morte l’umanità offrendo se stesso al patibolo; nei “settantadue” la morte è stata vinta e, più ancora nel rifiuto e nella persecuzione, con loro si fa “vicino il Regno di Dio”; esso è preparato anche per i nemici della Croce di Cristo, gli abitanti delle “Sodoma” che rifiutano e uccidono gli stranieri messaggeri di una vita diversa e senza peccato; liberi e senza paura, siamo inviati ad amarli nella verità, “scuotendo la polvere” di corruzione e vanità calpestata per raggiungerli, rivelando sin dove si spinge lo zelo di Dio per la pecora perduta.
Per noi è la gioia incorruttibile che nasce dalla certezza del “Cielo”, dove “i nostri nomi”, le nostre persone, sono custodite come lettere d’oro “scritte” dal sangue di Cristo. Non ci basta vedere “Satana cadere dal cielo” dove si è assiso usurpando il posto di Dio. Non è il “potere” smarrito dai progenitori di “camminare sopra” il serpente antico a rallegrarci; ogni giorno sperimentiamo che “nulla può danneggiarci”: tutto questo è la nostra missione, non il destino che ci attende. Niente orgoglio e presunzione, i discepoli dell’umile Servo sperano il Cielo, e, con Lui, camminano ogni giorno verso la “ricompensa”, la pienezza della gioia che non tramonta.
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