αποφθεγμα Apoftegma
Dovevano cambiare la loro idea sul potere, su Dio e sull’uomo
e, facendo questo, dovevano anche cambiare sé stessi.
Ora vedevano: il potere di Dio è diverso dal potere dei potenti del mondo.
Il modo di agire di Dio è diverso da come noi lo immaginiamo
e da come vorremmo imporlo anche a Lui.
Dio in questo mondo non entra in concorrenza con le forme terrene del potere.
Non contrappone le sue divisioni ad altre divisioni.
A Gesù, nell’Orto degli ulivi, Dio non manda dodici legioni di angeli per aiutarlo.
Egli contrappone al potere rumoroso e prepotente di questo mondo
il potere inerme dell’amore,
che sulla Croce – e poi sempre di nuovo nel corso della storia – soccombe,
e tuttavia costituisce la cosa nuova, divina
che poi si oppone all’ingiustizia e instaura il Regno di Dio.
Dio è diverso – è questo che ora riconoscono.
E ciò significa che ora essi stessi devono diventare diversi,
devono imparare lo stile di Dio.
Benedetto XVI, Colonia, 2005
L'ANNUNCIO |
I settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome».
Egli disse: «Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico; nulla vi potrà danneggiare. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli».
In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: «Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto. Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare».
E volgendosi ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro, e udire ciò che voi udite, ma non l'udirono».
I nomi di terra scritti in Cielo nel Nome disceso dal Cielo
Il peccato è vivere senza "esultare di gioia nello Spirito Santo". La missione di satana, infatti, è opporsi (è l'etimologia del nome) alla gioia, tagliando i pozzi dove possiamo attingere la ragione per esultare. Ogni giorno si avvicina prima strisciando come un "serpente" per iniettarci il veleno della menzogna su Dio, che è come dire sulle nostre origini; e poi subdolamente come uno "scorpione" che ha il pungiglione nella coda, perché, dopo averci ingannato sulla Patria da cui veniamo, ci vuole incatenare alla paura della fine, del ritorno ad essa, ingiusta e inospitale ai nostri occhi. Così ci tiene in schiavitù per tutta la vita, inducendoci a disprezzarla. Seducendoci attraverso la sua immagine dipinta con la menzogna sul frutto dell'albero ("Eva vide che il frutto era bello, buono da mangiare e desiderabile per acquistare saggezza), satana ha usurpato il posto di Dio nel nostro sguardo e nel nostro cuore. Ci ha presentato una caricatura di Dio e del Cielo, riducendo l'uno a un hamburger e l'altro a un fast-food dove allungare la mano e per pochi spiccioli acquistare la "sapienza" mondana e la "prudenza" secondo la carne che ci farebbero diventare come Dio. E così ci ha obbligati a specchiarci in un dio falso che ci restituisce un'immagine falsa di noi stessi, un idolo senza vita a cui ci convinciamo di assomigliare. Così satana disprezza la nostra vita, sottraendole il valore e la bellezza che le deriva dall'essere un riflesso della bellezza di Dio; ci fa credere di somigliare a lui, menzognero principe della morte, e sai che allegria scoprirsi ogni giorno con il profilo di Caronte che traghetta le ore all'inferno... Chi cade in questa trappola di satana ha gettato se stesso e la sua vita nel fallimento, ovvero nel peccato, che sappiamo essere proprio il fallimento dell'obiettivo della nostra vita, nelle piccole come nelle grandi cose. Siamo stati creati per esultare nello Spirito Santo, nella Vita di Dio che è stata infusa nella nostra carne plasmata con la polvere del suolo. Se satana riesce a farci buttar fuori l'Ospite dolce dell'anima, ha vinto, consegnandoci alla frustrazione della sconfitta, porta spalancata sul suicidio. Per questo, ogni istante vissuto senza esultare, senza cioè respirare a pieni polmoni l'ossigeno di Dio, è un istante buttato nella pattumiera; ogni pensiero, parola e gesto che non è stato fecondato dal soffio della vita divina e in esso non si muove è roba corrotta, avvelenata dal serpente e morsa dallo scorpione. Quante vite buttate così. Quanti giovani spalmano le loro ore tra noia e insoddisfazione, cercando nell'alcool, nella droga e nel sesso l'alito di vita che faccia impennare l'esistenza. Forse anche tu, da tempo hai disprezzato te stesso e rinchiuso la tua vita nell'anestesia della disperazione, e ora ti accontenti di non soffrire troppo, e passi le ore cercando di schivare la responsabilità e i rischi che suppongono l'amore, che è il Nome di Dio fatto carne nel Figlio e gioia nello Spirito Santo. Esulta, infatti, solo chi, amato da Dio, ama in Lui. Vive in pienezza raggiungendo il "target" di ogni esistenza consegnata da Dio solo chi, unito a Cristo, ama sino a morire per l'altro, cammino certo alla gioia di chi sperimenta il passaggio alla risurrezione. Sì fratelli, perché la gioia autentica per la quale siamo stati creati, e ricreati dopo averla disprezzata con il peccato, è quella dei discepoli che hanno visto "i loro nomi scritti in Cielo". Quando? Quando Cristo risorto è apparso loro mostrando le sue piaghe gloriose, e il vangelo annota che i discepoli gioirono immensamente. Quando cioè hanno visto nella carne di Gesù la prova del perdono che smentiva la menzogna del demonio. Quando, finalmente umiliati nella verità, "piccoli", "infanti" secondo l'originale, ovvero senza parole di fronte alla Croce, Gesù ha rivelato il vero volto del Padre nel suo che li accoglieva e amava così come erano. L'esultanza di Gesù planava nei loro cuori dal Cielo dove aveva scritto con il suo sangue i nomi di ciascuno. In quell'incontro sulla soglia che dischiudeva la loro piccolezza che li aveva indotti a tradire per paura sulla grandezza infinita dell'amore di Dio, gli apostoli avevano sperimentato la gioia autentica, quella che San Paolo comandava con uno strano imperativo aoristo (continuato) ai fratelli della comunità di Filippi.
Si può comandare un sentimento? No di certo, ma la "gioia" a cui l'Apostolo invitava ad obbedire non è un sentimento, ma la forma autentica e fondamentale in cui un cristiano perdonato da Dio rivela al mondo il suo cuore rinnovato nell'amore. E' la felicità incontenibile di chi, come la Vergine Maria, sperimenta il potere del Nome di Cristo che scaraventa satana giù dal Cielo come folgore, perché risplenda in esso il suo "nome" insieme a quello dei suoi fratelli. Il nome nella Scrittura rappresenta la persona e tutto ciò che la costituisce, la sua storia, i suoi affetti, anche gli aspetti più piccoli. Gesù ha scritto con il suo sangue ogni istante della nostra esistenza sul Libro della vita: nel suo amore ogni peccato è trasformato in luce di misericordia, ogni momento buttato è riscattato, come ogni angoscia, tradimento, menzogna, cupidigia, concupiscenza; tutto di noi, ma proprio tutto, lavato nel sangue del Signore, splende già ora nel Cielo. Tutto di noi è registrato nel cuore di Dio, come nell'inventario delle sue cose più preziose, anche quello che stiamo vivendo ora e ci fa soffrire. Ed è così "perché il Padre ha deciso così", perché a Lui "è piaciuto" salvare ogni uomo attraverso i più piccoli, quelli che, dopo un lungo cammino di conversione, hanno scoperto come Giobbe di non aver capito e visto nulla. Gli "infanti" che, come lui, si mettono la mano sulla bocca e non parlano più, la smettono cioè con le parole banali del mondo, per lasciare spazio al silenzio della contemplazione del Figlio, del volto autentico di Dio che, insieme a tutti gli altri uomini, non avevano potuto vedere a causa dell'inganno satanico. Fratelli, Dio ha scelto noi, il peggio, perché non esista nessuno peggiore da scartare. E così, "piccoli" e senza parole sapienti e prudenti secondo gli uomini, con la sola parola della Croce siamo inviati nel mondo dove tutti vivono il dolore dell'esilio dalla propria patria. Il Nome di Cristo che ha vinto la morte nei nostri nomi scolpiti in Cielo ha il potere di precipitare satana dal cielo per dischiudere gli occhi di tuo marito, tua moglie, i tuoi figli, i colleghi, sul volto di Dio. Liberi da ogni ansia di successo perché consapevoli che la gioia autentica non nasce neanche dai miracoli dell'amore di Dio, "camminando su serpenti e scorpioni senza che questi ci possano danneggiare" portiamo l'aria del Paradiso che il demonio ha nascosto alla terra. Vittoriosi cioè sulla morte e il male che dominano il mondo, "contempliamo" il compimento del giorno del Messia "che Profeti e Re hanno desiderato ardentemente vedere", mentre attraverso la nostra "beatitudine" lo annunciamo a ogni uomo per riportarlo a casa con noi. L'esultanza, infatti, è la nostra missione! L'esultanza in mezzo alla valle di lacrime che è l'esistenza sulla terra segnata dal peccato e dal male. L'esultanza della "perfetta letizia" che aveva scoperto San Francesco: non la gioia per i miracoli, le prediche, le conversioni. La gioia perfetta che si sperimenta proprio nel dolore e nella persecuzione, nel rifiuto e nella calunnia, la gioia piena che scaturisce solo sulla Croce, dove il nostro nome fatto di terra è scritto in Cielo nel Nome che è disceso dal Cielo. Chi ha conosciuto il perdono dei peccati e l'amore che lo ha trasferito alla destra del Padre, esulta di gioia pura proprio nella sofferenza, e depone così nella sofferenza di ogni uomo la testimonianza della vittoria di Cristo, il martirio di un amore che supera le angosce della morte. E così, come Francesco, proprio mentre torniamo a casa dalla missione, il rifiuto e la persecuzione, la malattia e le sofferenze, ci faranno testimoni pieni di gioia del Cielo, perché anche i nomi di chi ci è accanto, compresi i nemici, siano scritti lassù, accanto ai nostri.
Si può comandare un sentimento? No di certo, ma la "gioia" a cui l'Apostolo invitava ad obbedire non è un sentimento, ma la forma autentica e fondamentale in cui un cristiano perdonato da Dio rivela al mondo il suo cuore rinnovato nell'amore. E' la felicità incontenibile di chi, come la Vergine Maria, sperimenta il potere del Nome di Cristo che scaraventa satana giù dal Cielo come folgore, perché risplenda in esso il suo "nome" insieme a quello dei suoi fratelli. Il nome nella Scrittura rappresenta la persona e tutto ciò che la costituisce, la sua storia, i suoi affetti, anche gli aspetti più piccoli. Gesù ha scritto con il suo sangue ogni istante della nostra esistenza sul Libro della vita: nel suo amore ogni peccato è trasformato in luce di misericordia, ogni momento buttato è riscattato, come ogni angoscia, tradimento, menzogna, cupidigia, concupiscenza; tutto di noi, ma proprio tutto, lavato nel sangue del Signore, splende già ora nel Cielo. Tutto di noi è registrato nel cuore di Dio, come nell'inventario delle sue cose più preziose, anche quello che stiamo vivendo ora e ci fa soffrire. Ed è così "perché il Padre ha deciso così", perché a Lui "è piaciuto" salvare ogni uomo attraverso i più piccoli, quelli che, dopo un lungo cammino di conversione, hanno scoperto come Giobbe di non aver capito e visto nulla. Gli "infanti" che, come lui, si mettono la mano sulla bocca e non parlano più, la smettono cioè con le parole banali del mondo, per lasciare spazio al silenzio della contemplazione del Figlio, del volto autentico di Dio che, insieme a tutti gli altri uomini, non avevano potuto vedere a causa dell'inganno satanico. Fratelli, Dio ha scelto noi, il peggio, perché non esista nessuno peggiore da scartare. E così, "piccoli" e senza parole sapienti e prudenti secondo gli uomini, con la sola parola della Croce siamo inviati nel mondo dove tutti vivono il dolore dell'esilio dalla propria patria. Il Nome di Cristo che ha vinto la morte nei nostri nomi scolpiti in Cielo ha il potere di precipitare satana dal cielo per dischiudere gli occhi di tuo marito, tua moglie, i tuoi figli, i colleghi, sul volto di Dio. Liberi da ogni ansia di successo perché consapevoli che la gioia autentica non nasce neanche dai miracoli dell'amore di Dio, "camminando su serpenti e scorpioni senza che questi ci possano danneggiare" portiamo l'aria del Paradiso che il demonio ha nascosto alla terra. Vittoriosi cioè sulla morte e il male che dominano il mondo, "contempliamo" il compimento del giorno del Messia "che Profeti e Re hanno desiderato ardentemente vedere", mentre attraverso la nostra "beatitudine" lo annunciamo a ogni uomo per riportarlo a casa con noi. L'esultanza, infatti, è la nostra missione! L'esultanza in mezzo alla valle di lacrime che è l'esistenza sulla terra segnata dal peccato e dal male. L'esultanza della "perfetta letizia" che aveva scoperto San Francesco: non la gioia per i miracoli, le prediche, le conversioni. La gioia perfetta che si sperimenta proprio nel dolore e nella persecuzione, nel rifiuto e nella calunnia, la gioia piena che scaturisce solo sulla Croce, dove il nostro nome fatto di terra è scritto in Cielo nel Nome che è disceso dal Cielo. Chi ha conosciuto il perdono dei peccati e l'amore che lo ha trasferito alla destra del Padre, esulta di gioia pura proprio nella sofferenza, e depone così nella sofferenza di ogni uomo la testimonianza della vittoria di Cristo, il martirio di un amore che supera le angosce della morte. E così, come Francesco, proprio mentre torniamo a casa dalla missione, il rifiuto e la persecuzione, la malattia e le sofferenze, ci faranno testimoni pieni di gioia del Cielo, perché anche i nomi di chi ci è accanto, compresi i nemici, siano scritti lassù, accanto ai nostri.
Perfetta Letizia
Come andando per cammino santo Francesco e frate Leone, gli spuose quelle cose che sono perfetta letizia.
Venendo una volta santo Francesco da Perugia a Santa Maria degli Angioli con frate Lione a tempo di verno, e ‘l freddo grandissimo fortemente il crucciava, chiamò frate Lione il quale andava innanzi, e disse così: “Frate Lione avvegnadiochè li frati Minori in ogni terra dieno grande esempio di santità e di buona edificazione; nientedimeno scrivi e nota diligentemente che non è quivi perfetta letizia”. E andando più oltre santo Francesco, il chiamò la seconda volta: “O frate Lione, benché il frate Minore allumini li ciechi e distenda gli attratti, iscacci le dimonia, renda l’udire alli sordi e l’andare alli zoppi, il parlare alli mutoli e, ch’è maggior cosa, risusciti li morti di quattro dì; iscrivi che non è in ciò perfetta letizia”. Andando un poco più oltre, santo Francesco chiamava ancora forte: “O frate Lione, pecorella di Dio, benché il frate Minore parli con lingua d’Agnolo, e sappia i corsi delle istelle e le virtù delle erbe, e fussongli rivelati tutti li tesori della terra, e conoscesse le virtù degli uccelli e dè pesci e di tutti gli animali e delle pietre e delle acque; iscrivi che non è in ciò perfetta letizia”. E andando ancora un pezzo, santo Francesco chiamò forte: “O frate Lione, benché ‘l frate Minore sapesse sì bene predicare, che convertisse tutti gl’infedeli alla fede di Cristo; iscrivi che non è ivi perfetta letizia”.
E durando questo modo di parlare bene di due miglia, frate Lione con grande ammirazione il domandò e disse: “Padre, io ti priego dalla parte di Dio che tu mi dica dove è perfetta letizia. E santo Francesco sì gli rispose: “Quando noi saremo a santa Maria degli Agnoli, così bagnati per la piova e agghiacciati per lo freddo e infangati di loto ed afflitti di fame, e picchieremo la porta dello luogo, e ‘l portinaio verrà adirato e dirà: “Chi siete voi?” E noi diremo: “Noi siamo due de’ vostri frati, e colui dirà: “Voi non dite il vero, anzi siete due ribaldi ch’andate ingannando il mondo e rubando le limosine de’ poveri; andate via” e non ci aprirà, e faracci stare di fuori alla neve e all’acqua, col freddo e colla fame infino alla notte; allora se noi tanta ingiuria e tanta crudeltà e tanti commiati sosterremo pazientemente sanza turbarcene e sanza mormorare di lui, e penseremo umilmente che quello portinaio veramente ci conosca, che Iddio il fa parlare contra a noi; o frate Lione, iscrivi che qui è perfetta letizia. E se anzi perseverassimo picchiando, ed egli uscirà fuori turbato, e come gaglioffi importuni ci caccerà con villanie e con gottate dicendo: “Partitevi quinci, ladroncelli vivissimi, andate allo spedale, chè qui non mangerete voi né albergherete” se noi questo sosterremo pazientemente e con allegrezza e con buono amore; o frate Lione, iscrivi che quivi è perfetta letizia. E se noi pur costretti dalla fame e dal freddo e dalla notte più picchieremo e chiameremo e pregheremo per l’amore di Dio con grande pianto che ci apra e mettaci pure dentro, e quelli più scandolezzato dirà: “Costoro sono gaglioffi, importuni, io li pagherò bene come sono degni; e uscirà fuori con uno bastone nocchieruto, e piglieracci per lo cappuccio e gitteracci in terra e involgeracci nella neve e batteracci a nodo con quello bastone: se noi tutte queste cose sosterremo pazientemente e con allegrezza pensando le pene di Cristo Benedetto le quali dobbiamo sostenere per suo amore; o frate Lione, iscrivi che qui e in questo è perfetta letizia. E però odi la conclusione, frate Lione. Sopra tutte le grazie e doni dello Spirito Santo, le quali Cristo concede agli amici suoi, si è di vincere se medesimo e volentieri per lo amore di Cristo sostenere pene, ingiurie e obbrobri e disagi; imperò che in tutti gli altri doni di Dio noi non ci possiamo gloriare, però che non sono nostri, ma di Dio, onde dice l’Apostolo: “Che hai tu, che tu non abbi da Dio? E se tu lo hai avuto da lui, perché te ne glorii, come se tu l’avessi da te? Ma nella croce della tribolazione e dell’afflizione ci possiamo gloriare, però che dice l’Apostolo: “Io non mi voglio gloriare se non nella croce del nostro Signore Gesù Cristo”.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
E durando questo modo di parlare bene di due miglia, frate Lione con grande ammirazione il domandò e disse: “Padre, io ti priego dalla parte di Dio che tu mi dica dove è perfetta letizia. E santo Francesco sì gli rispose: “Quando noi saremo a santa Maria degli Agnoli, così bagnati per la piova e agghiacciati per lo freddo e infangati di loto ed afflitti di fame, e picchieremo la porta dello luogo, e ‘l portinaio verrà adirato e dirà: “Chi siete voi?” E noi diremo: “Noi siamo due de’ vostri frati, e colui dirà: “Voi non dite il vero, anzi siete due ribaldi ch’andate ingannando il mondo e rubando le limosine de’ poveri; andate via” e non ci aprirà, e faracci stare di fuori alla neve e all’acqua, col freddo e colla fame infino alla notte; allora se noi tanta ingiuria e tanta crudeltà e tanti commiati sosterremo pazientemente sanza turbarcene e sanza mormorare di lui, e penseremo umilmente che quello portinaio veramente ci conosca, che Iddio il fa parlare contra a noi; o frate Lione, iscrivi che qui è perfetta letizia. E se anzi perseverassimo picchiando, ed egli uscirà fuori turbato, e come gaglioffi importuni ci caccerà con villanie e con gottate dicendo: “Partitevi quinci, ladroncelli vivissimi, andate allo spedale, chè qui non mangerete voi né albergherete” se noi questo sosterremo pazientemente e con allegrezza e con buono amore; o frate Lione, iscrivi che quivi è perfetta letizia. E se noi pur costretti dalla fame e dal freddo e dalla notte più picchieremo e chiameremo e pregheremo per l’amore di Dio con grande pianto che ci apra e mettaci pure dentro, e quelli più scandolezzato dirà: “Costoro sono gaglioffi, importuni, io li pagherò bene come sono degni; e uscirà fuori con uno bastone nocchieruto, e piglieracci per lo cappuccio e gitteracci in terra e involgeracci nella neve e batteracci a nodo con quello bastone: se noi tutte queste cose sosterremo pazientemente e con allegrezza pensando le pene di Cristo Benedetto le quali dobbiamo sostenere per suo amore; o frate Lione, iscrivi che qui e in questo è perfetta letizia. E però odi la conclusione, frate Lione. Sopra tutte le grazie e doni dello Spirito Santo, le quali Cristo concede agli amici suoi, si è di vincere se medesimo e volentieri per lo amore di Cristo sostenere pene, ingiurie e obbrobri e disagi; imperò che in tutti gli altri doni di Dio noi non ci possiamo gloriare, però che non sono nostri, ma di Dio, onde dice l’Apostolo: “Che hai tu, che tu non abbi da Dio? E se tu lo hai avuto da lui, perché te ne glorii, come se tu l’avessi da te? Ma nella croce della tribolazione e dell’afflizione ci possiamo gloriare, però che dice l’Apostolo: “Io non mi voglio gloriare se non nella croce del nostro Signore Gesù Cristo”.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Fioretti di San Francesco n° 1836 - 4292
Lettera di San Giacomo 1, 2–4
“Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la prova della vostra fede produce la pazienza. E la pazienza completi l’opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla.”
La gioia più grande, i nostri nomi scritti in Cielo. La gioia vera scaturisce solo dalla certezza che nulla di noi andrà perduto. Il nome nella Scrittura rappresenta la persona, e tutto ciò che la costituisce, la sua storia, i suoi affetti, anche gli aspetti più piccoli, nulla escluso. Tutto di noi è già scritto in Cielo, registrato nel cuore di Dio, come nell'inventario delle sue cose più preziose. Per questo siamo nati, scelti da prima della creazione del mondo: per essere santi e immacolati nell'amore al cospetto di Cristo.
Gli apostoli sono le primizie della nuova creazione, il destino di ogni uomo posto sul candelabro perchè chiunque possa alzare lo sguardo, vederlo, e convertirsi. I nomi scritti in Cielo e la vita qui sulla terra, gli apostoli sono come angeli che salgono e scendono sulla scala della Croce per mostrare il volto di Cristo risorto; in loro si sprigiona il suo potere vittorioso sui serpenti, su satana, sul peccato e sulla morte. Camminano su serpenti e scorpioni senza che questi li possano danneggiare, ed è il segno che le porte del Paradiso, già sprangate e difese dai cherubini, sono state riaperte e tutti vi possono tornare. Dio infatti, aveva creato l'uomo a sua immagine conferendogli il potere su ogni altra creatura, donandogli di condividere il suo stesso potere, ma come un dono, una grazia: "Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra". Simile a Dio l'uomo ne condivide il potere a patto di conservare la consapevolezza di essere la sua creatura, depositaria della sua eredità, bisognosa di Lui, dipendente e quindi obbediente. L'inganno di satana ha poi sospinto l'uomo a volersi fare come Dio, a dimenticare la sua identità originaria: e così, invece di diventare come il Creatore, si è ritrovato a perdere la grazia che lo faceva a Lui somigliante, il potere sugli animali, l'essere cioè al di sopra della semplice natura. L'uomo cui era stato dato il potere di dominare sui serpenti e ogni rettile ha fato la dura esperienza di essere da loro dominato: il serpente aveva vinto e l'uomo ha perduto il Paradiso.
Si comprende allora perchè i discepoli tornano dalla missione pieni di gioia: essa era stata come ritornare a casa, a quel paradiso perduto di cui, con ogni uomo, portavano dentro la struggente nostalgia. Avevano sperimentato il potere che Dio aveva dato ai progenitori, segno del progetto originario su ogni uomo; avevano vissuto nella volontà di Dio, nel compimento della vita cui ogni fibra dell'uomo tende irresistibilmente e che non può raggiungere. Avevano visto quello che Profeti e Re hanno desiderato ardentemente, il giorno del Messia, quello in cui sarebbe stato ristabilito il Regno, l'Eden perduto, ed in esso la libertà, la pace, l'armonia. Nella missione i discepoli hanno sperimentato che il Maestro era stato con loro perchè il suo potere era divenuto il loro. Nel nome del Signore i demoni si erano sottomessi, il principe di questo mondo, il potere più grande che distrugge e getta nel dolore, era sconfitto dall'unico potere più grande, quello di Dio. Dio era sceso sulla terra per piantarvi il suo paradiso. Per questo il nome di Gesù nelle labbra degli apostoli sconfigge satana, lo precipita dal Cielo dove si era stabilito per usurpare il posto di Dio e degli uomini sua immagine. Nella missione i discepoli avevano ritrovato il posto preparato per loro, ed erano una primizia, una profezia della nuova creazione che Dio avrebbe operato in suo Figlio.
Salvare, sanare, strappare dalla schiavitù e dal dolore, portare la Pace ed ogni dono messianico, ecco la missione della Chiesa e dei suoi apostoli; annunciare il nome di Gesù, renderne attuale la presenza perchè sia Lui stesso a operare i prodigi del suo amore. Ogni volta che si annuncia il Vangelo si aprono le porte del Paradiso, e l'uomo ritrova la sua dignità, può convertirsi, tornare a casa, al paradiso per il quale è stato creato. L'annuncio del Vangelo riorienta la vita, qui ed ora, libera dalla schiavitù al potere del serpente, cancella la menzogna di satana dal cuore dell'uomo per illuminare la Verità, il Destino cui egli è chiamato. L'annuncio del Vangelo ha il potere di salvare un matrimonio, di fare casto un fidanzamento, di accendere nel cuore il perdono, di sanare ogni ferita. Il nome di Gesù, il Vangelo sulle labbra degli apostoli ha il potere di scacciare satana dal cuore e deporvi l'amore autentico, quello che conduce ad offrire la vita, anche per i nemici.
Eppure non è per tutto questo che occorre rallegrarsi. Non è il potere sul mondo, il peccato, satana e la morte che colma la vita, che ne conferisce senso e gioia. La sconfitta di satana è solo il segno di qualcosa di ancora più grande: che i nomi degli apostoli sono scritti in Cielo, che sono sono ormai passati all'altra riva, che vivono nascosti con Cristo in Dio. Fermarsi all'opera dimenticando l'Autore è cadere nel peccato dei giudei che, saziati dei pani, cercano Gesù solo per essere di nuovo saziati. No, la gioia non è neanche nella missione! Per questo San Paolo dirà che anche se percorressimo il mondo intero per convertire un solo uomo, senza l'amore sarebbe pura vanità. L'amore! La gioia è autentica, piena e incorruttibile solo nell'amore di Cristo. Questo significa rallegrarsi perchè i nomi sono scritti in Cielo. Lui ha scritto con il suo sangue ogni istante della nostra esistenza sul Libro della vita: nel suo amore ogni peccato è trasformato in luce di misericordia, ogni momento buttato è riscattato, come ogni angoscia, tradimento, menzogna, cupidigia, concupiscenza; tutto di noi, ma proprio tutto, lavato nel sangue del Signore, splende già ora nel Cielo, scritto per l'eternità con caratteri d'oro, quello purificato nel fuoco sette volte, e per questo incorruttibile.
E' un mistero sul quale è inutile indagare, ed è la nostra elezione. Si può solo intuire la ragione per la quale noi, e non altri, siamo stati scelti: perchè siamo i più piccoli, perchè la storia ci fa piccoli consegnandoci all'ultimo posto della terra. Ed è così perchè il Padre ha deciso, e resta un mistero. La sproporzione tra l'elezione e la grandezza della missione e la nostra totale inadeguatezza e indegnità ci atterrisce; spesso diviene scandalo in noi stessi, e fonte di dubbi e di crisi. Ma Dio è così, sceglie il peggio perchè non esista nessuno da scartare. A noi non è dato altro che godere di una beatitudine che ci ha raggiunti per pura Grazia, e i nostri occhi possono vedere e i nostri orecchi udire quello che profeti e re hanno desiderato vedere e udire ma non hanno potuto. Possiamo vedere e ascoltare Dio, il Padre e il Figlio, e il sussurro d'amore dello Spirito in ogni istante. La sapienza mondana e carnale ha altri criteri, e lo vediamo ogni giorno. Al mondo, a quello che vale secondo gli uomini, sono nascoste "queste cose", i misteri del Regno, quelli che si possono captare solo dal basso della polvere, della miseria, della debolezza. Perchè quello che per il mondo è sapienza, e articoli di fondo, e pensiero unico, e titoli accademici, e talk show, è, per Dio, pura stoltezza. La stoltezza dei piccoli invece, quella che prende su di se l'ingiustizia e i peccati degli altri, che perdona e si apre alla vita, che vive abbandonata alla provvidenza, è, per Dio, la vera sapienza. Ed in essa consiste la beatitudine, la gioia autentica, ed è un segno per ogni uomo. Tutto di noi è santo, prezioso, strappato alla corruzione. Il nome di Cristo ha potere su ogni parola, pensiero, azione. Lui è in ogni relazione, in famiglia, a scuola, al lavoro, con gli amici e la fidanzata. La gioia è vivere nel suo amore incorruttibile, che dà senso e pienezza ad ogni istante, che ne fa un frammento di Cielo offerto ad ogni uomo. La gioia che è la certezza che nulla e nessuno potrà mai separarci dall'amore di Dio. La gioia di Cristo, quella che nessuno potrà più toglierci, la sua stessa esultanza come quando c'è un gol allo stadio. Al vederci di ritorno dalla missione, dai giorni spesi per il suo Nome, Gesù prorompe di gioia, perchè siamo noi la sua gioia. Proprio perchè piccoli, proprio perchè suoi. Come non potrà essere Lui la nostra gioia?
Nessun commento:
Posta un commento