Sabato della VII settimana del Tempo Ordinario




αποφθεγμα Apoftegma

L'ascensore che deve innalzarmi fino al Cielo 
sono le vostre braccia, Gesù!
Per questo non ho bisogno di crescere, 
al contrario bisogna che resti piccola,
che lo divenga sempre più.
Dio mio, avete superato la mia speranza,
ed io voglio cantare le vostre misericordie.

Santa Teresa di Lisieux









L'ANNUNCIO


Dal Vangelo secondo Marco 10,13-16.

Gli presentavano dei bambini perché li accarezzasse, ma i discepoli li sgridavano. Gesù, al vedere questo, s'indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso». E prendendoli fra le braccia e ponendo le mani sopra di loro li benediceva.









LA NOSTRA PICCOLEZZA ACCOLTA NELLA BENEDIZIONE DALLE BRACCIA CROCIFISSE DEL SIGNORE 

I discepoli di Gesù sono un mistero. Il Signore li ha chiamati, eletti, amati, proprio perché piccoli, bambini, mostrando così chi è un discepolo. Ma essi sgridano chi presenta a Gesù dei bambini perché li benedica. Davvero non avevano capito nulla. Una distanza siderale separava i loro pensieri mondani da quelli di Gesù: Lui gli annunciava che stavano andando a Gerusalemme dove avrebbe sofferto e dato la vita per salvare i peccatori, e loro a discutere su chi fosse il più grande, secondo la misura mondana con la quale anche noi siamo abituati a vivere ogni cosa, compreso il rapporto con Dio e i fratelli. Per questo pensavano fosse giusto impedire che la piccolezza e la sofferenza intralciassero il cammino di Gesù, mentre erano le loro pretese di grandezza ad essere di scandalo per la sua missione. Nell'Israele del primo secolo, infatti, il bambino era privo di stato sociale e diritti legali. Come purtroppo anche oggi, nonostante tanti proclami, nella società pagana un bambino non era neanche considerato persona; era manodopera, per questo, un bambino nato con malformazioni o malattie, costituiva un peso di cui il padre, secondo lo "ius exponendi", poteva disfarsi abbandonandolo appena nato in un luogo pubblico, condannandolo così alla morte o al recupero da parte di altri. Ciò era frequente nell'Impero Romano, nella Grecia antica ed ellenistica e presso molte altre popolazioni nel corso della storia. Insomma, un bambino era poco più che nulla. Ma San Paolo ci rivela il pensiero opposto di Dio: "Considerate bene la vostra chiamata fratelli. Non esistono molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti di nobili natali. Ma quel che esiste di folle nel mondo, proprio questo Dio ha scelto per confondere i sapienti; quello che esiste di debole nel mondo, ecco che Dio lo ha scelto per confondere la forza; quello che nel mondo è di ignobili natali (i figli di nessuno), e quello che viene disprezzato, ecco quello che Dio ha scelto: quello che non è per annientare quello che è, affinché nessuna carne abbia a gloriarsi davanti a Dio" (1Cor. 1,26-29). Dio è andato cioè per orfanotrofi a cercarsi i discepoli. E' sceso nei luoghi senza amore, senza dignità, nelle "dark room" di ogni generazione, nei postriboli, nelle celle di isolamento. Così ha chiamato Abramo, così il suo popolo, così i profeti, così Davide, unto re quando era ancora un bambino. Così ciascuno di noi, creature del tutto dipendenti. Bambini capricciosi, spesso egoisti, ancor più spesso orgogliosi. Bambini che si sono creduti adulti, ricchi, potenti, autonomi. Bambini buttati via; come un aborto dirà San Paolo parlando della sua chiamata, uno che agli occhi superbi del mondo non esiste, proprio come un bimbo ancora nascosto nel grembo di sua madre e scartato perché malato o solo perché di troppo. Sin qui è giunto l'amore di Dio. In questo abisso è sceso il Signore, negli inferi dove ci ha spinto la superbia con cui abbiamo rifiutato il non essere quello che avremmo voluto. Qui ci ha voluto abbracciare e benedire. Il suo amore che si fa carne nelle sue mani benedicenti e crocifisse stana l'orgoglio perché il veleno che portiamo dentro si ribella e sgrida chiunque ci voglia condurre al Signore. Lo spirito malvagio che s'è impossessato di noi vuole infatti impedirci di lasciarci amare per quello che siamo. E' l'amara conseguenza del peccato che ci ha strappato al Paradiso dove si vive nella Grazia, abbandonati alla volontà provvidente e gratuita del Padre; per questo, anche se siamo nella Chiesa, continuiamo a pensare che l'amore di Dio ce lo dobbiamo guadagnare con lo stesso sudore della fronte con cui siamo obbligati a coltivare la terra; sperimentando però l'identica frustrazione: spine e cardi produce la terra, aridità e solitudine genera il rapporto con Dio centrato moralisticamente su noi stessi. Come accade alla donna il cui istinto la spinge verso il marito nel quale però incontra un abbraccio egoista con cui la vuole dominare, anche noi nella nostalgia del Paradiso vorremmo donarci allo Sposo, ma basandoci sui nostri sforzi, sperimentiamo ogni volta di più la lontananza da Lui. Ma più forte della superbia è l'indignazione di Gesù dinanzi alla malizia del demonio che ci ha sedotto. La sua voce che risuona nella predicazione è un balsamo che guarisce dalla superbia: "Lasciate che i bambini vengano a me". Sì, Gesù ci vuole a sé ora, così come siamo, bambini; per questo, nella Chiesa viene a riscattarci per farci suoi con il potere di vanificare ogni tentativo del demonio di impedire che la nostra debolezza sia accolta dal suo abbraccio di misericordia. L'amore che possiamo sperimentare nella comunità, infatti, ci accompagna a comprendere che, a differenza di quello che il mondo insegna, proprio l'essere bambini, l'essere cioè quello che siamo, non ci impedisce di essere suoi. E' vero, con il carico di peccati che ci portiamo dentro, siamo un peso sulle spalle del Buon Pastore; il virus satanico ci ha resi malformati nel cuore e nella mente, poverissimi nello spirito. Ma il Regno dei Cieli appartiene a questi bambini che siamo tutti, perché Cristo si è fatto bambino per entrare in esso con la nostra carne. Ha portato il peso della Croce, ha lasciato che lo sfigurassero al punto di non avere più apparenza d'uomo, come te e come me, per entrare così nel Paradiso che abbiamo perduto. Per questo è nostro oggi, e domani, e ogni giorno; lo è perché siamo così, come Gesù, la cui "soavità ha reso esigua la sua grandezza, si è fatto peccato perché i nostri peccati non ci allontanassero da Lui" (Ode VII di Salomone). Accogliere il Regno come un bambino significa dunque lasciarci abbracciare da Gesù abbandonando ogni pretesa giustizia e riconoscendo umilmente di essere peccatori. Il suo abbraccio che ci accoglie così come siamo stringendoci a sé gratuitamente, senza esigere nulla, giunge a noi attraverso la Parola, i sacramenti e l'esperienza della comunione con i fratelli, ci riconcilia con Dio e ci apre ai fratelli guarendoci dalla superbia. Solo nell'abbraccio con cui Cristo "dice bene" di noi nonostante i nostri peccati possiamo imparare ad accettare noi stessi e sperimentare la libertà dal dover essere e dal dover fare per guadagnare la salvezza e la gioia nell'affetto e nella stima degli altri. Coraggio, Gesù ci chiama a sé, e non si tratta di fare o sentire qualcosa di speciale, ma semplicemente di andare a Lui camminando nella Chiesa che è il suo corpo vivo nel quale ci accoglie senza condizioni. 


ALTRO COMMENTO
I discepoli di Gesù sono un vero mistero. Gesù li ha istruiti mostrando loro che cosa sia un discepolo. Li ha chiamati, eletti, amati, proprio perché piccoli, perché bambini. Ed essi sgridano chi presenta a Gesù dei bambini perché li accarezzasse. Un mistero di stoltezza. La nostra. In fondo, non com-prendendo non si può accogliere. Lo stolto non può penetrare il pensiero di Dio. Esso è lontano da lui quanto il cielo sovrasta la terra. La gratuità non è nel registro del pensiero dell'uomo. Pietro ne aveva dato dimostrazione quando si è messo di traverso sul cammino d'amore di Gesù. Cosa ha da offrire un bambino? Quali meriti? Nell'Israele del primo secolo il bambino era un simbolo di mancanza di stato sociale e di diritti legali. Era una sorta di "non-persona", completamente dipendente dagli altri per il sostentamento e la protezione. Poco più che nulla. San Paolo scrivendo ai Corinzi circa la loro elezione dirà: "Considerate bene la vostra chiamata fratelli. Non esistono molti sapienti secondo la carne, né molti potenti, né molti di nobili natali. Ma quel che esiste di folle nel mondo, proprio questo Dio ha scelto per confondere i sapienti; quello che esiste di debole nel mondo, ecco che Dio lo ha scelto per confondere la forza; quel che nel mondo è di ignobili natali (i figli di nessuno), e quello che viene disprezzato, ecco quello che Dio ha scelto: quello che non è per annientare quello che è, affinché nessuna carne abbia a gloriarsi davanti a Dio" (1 Cor. 1,26-29). Dio ha scelto gente ignobile, disprezzata, figli senza genitori, abbandonati. Dio è andato per orfanotrofi a cercarsi i discepoli. E' sceso nei luoghi senza amore, senza dignità, nel nulla. Così ha chiamato Abramo, così il suo popolo, così i profeti, così Davide. Così il Suo Figlio, disprezzato, reietto, rifiuto degli uomini. Così ciascuno di noi, bambini, creature del tutto dipendenti, incapaci di tutto. Soprattutto, bambini abbandonati, di nessun valore agli occhi del mondo. Bambini capricciosi, spesso egoisti, ancor più spesso orgogliosi. Bambini che si son creduti adulti, e ricchi, e potenti. Autonomi. Bambini ingannati dallo splendore effimero di ciò che appariva bello e desiderabile. Bambini buttati via. Ciò che non è agli occhi superbi del mondo, come un bimbo ancora nascosto nel grembo di sua madre e per questo scartato, perché malato o solo perché di troppo. Sin qui è giunto l'amore di Dio. In questo abisso è sceso il Signore, soprattutto negli inferi nei quali ci ha spinto la superbia con cui abbiamo rifiutato il non essere quello che avremmo voluto. Qui ci ha voluto abbracciare e benedire i Signore. 

Il suo amore, le sue mani benedicenti, le sue mani crocifisse ci vengono incontro oggi a svellere i cardini dell'orgoglio. Il suo amore disarma l'orgoglioIl suo amore proteso oggi su ciascuno di noi è la buona notizia d'una speranza. Il veleno che portiamo dentro si ribella, si agita, sgrida chiunque ci voglia condurre al Signore perché ci benedica. Lo spirito malvagio che s'è impossessato di noi non può accettare il cammino di conversione sul quale la Chiesa ci accompagna. L'avversario sa bene che nell'incontro con le mani di Gesù la nostra vita sarebbe salva, si chiuderebbero le porte del Regno dei Cieli. Se cattolici lo dobbiamo essere secondo i nostri schemi nei quali ci sentiamo così "adulti"; comunque che nessuno si permetta di apostrofarci come bambini, abbiamo esperienza da vendere noi, non siamo sottomessi a nessuno! Ma è più forte l'indignazione di Gesù. La stessa che appare dinanzi all'opera nascosta e subdola del demonio, il dolore acuto che muove le viscere di misericordia di Gesù. Lui è geloso di tutti noi, non può esservi che indignazione dinanzi all'inganno di cui siamo preda. La sua voce tuona e dirada le nebbie dei nostri pensieri, delle paure, delle mormorazioni. La sua voce incatena il demonio al suo rantolo di gelosia, l'ultimo: "Lasciate che i bambini vengano a me", Lui ci vuole a sé. Ci ha chiamati per stare con Lui. E' Lui che il Padre ha inviato all'orfanotrofio che è la nostra vita. E' Lui il Fratello che viene a riscattarci per farci, in Lui, figli adottivi del Suo Padre. E' Lui che brucia ogni tentativo del demonio di impedire, vietare, proibire che la nostra debolezza sia oggetto del suo amore, delle sue benedizioni. La nostra debolezza, l'essere bambini, disprezzati, deboli, capricciosi, inutili, dipendenti in tutto, l'essere quello che siamo non impedisce l'essere di Gesù. Anzi, il Regno dei Cieli, la Vita eterna in Lui è proprio dei bambini. La costruzione greca della frase infatti dice letteralmente che il Regno "a costoro appartiene". E' nostro, esattamente così come siamo. Le mani di Gesù che ci abbracciano, le sue mani che ci stringono, sono esse il nostro vero desiderio, l'unico, il più profondo. Qualcuno che ci accolga così come siamo, qualcuno che ci stringa a sé senza chieder nulla, senza esigere. Gratuitamente. La sua voce, le sue parole che ci attirano vincendo ogni impedimento orgoglioso; le sue mani che ci accolgono e ci stringono in un abbraccio misericordioso che colma ogni nostro vuoto. Il suo amore è il Cielo qui ed ora davanti a noi, è quello che abbiamo atteso, desiderato. E' la libertà. Da noi stessi, dal dover essere, dal dover fare. E' la felicità piena, è la beatitudine dei piccoli, dei poveri, è il Regno dei Cieli. Occorre solo accoglierlo come un bambino, come chi non ha nulla se non un bisogno infinito d'amore, di perdono, d'aiuto. Accogliere la buona notizia del Regno come chi non ha niente, ma proprio niente da dare se non la Grazia del suo stesso amore che lo ha fatto esistere e desiderare: «Dio tocca il cuore dell'uomo con l'illuminazione dello Spirito Santo, in modo che né l'uomo resti assolutamente inerte subendo quell'ispirazione, che certo può anche respingere, né senza la grazia divina, con la sua libera volontà, possa incamminarsi alla giustizia dinanzi a Dio» (Concilio di Trento, Sess. 6a, Decretum de iustificatione, c. 5: DS 1525). Accogliere come un bambino che conosce intimamente l'amore di suo padre, non ne dubita, si lascia abbracciare, e perdonare, e amare. Ed è felice così. Il Regno, per lui, sono quelle braccia che lo stringono, la forza di un infinito amore che non delude. Mai.







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